Era
passata una settimana.
Una
settimana dalla sua nuova vita, una settimana dal suo ritorno al regno
dei
non-morti.
Una
settimana dal suo primo vero incontro con Bianca.
Bianca
e i suoi occhi grandi e spesso spaventati, Bianca e le sue labbra rosse
e
piene, Bianca e la sua adorabile indecisione sul da farsi.
Bianca,
Bianca, Bianca.
Quel
nome rimbombava nella testa di Stefan Salvatore da sette giorni ormai,
senza
dargli una minima tregua o un attimo di respiro. Non aveva pensato ad
altro.
Nascosto
sulla sommità di un pino, la osservava dormire.
La
osservava e basta: come si fa con qualcosa di prezioso, da preservare a
costo
della vita, o della morte nel caso di Stefan. Eppure non aveva il
coraggio di
andare a parlarle: aveva il terrore che quella sua perfetta illusione
si
sarebbe spezzata in mille pezzi, rivelando una Bianca del tutto diversa
da
quella del suo immaginario poetico-notturno.
Doveva
ancora riabituarsi al suo corpo di eterno adolescente, così
perfetto e
cristallizzato. Doveva ancora ritrovare i suoi occhi in quel profondo
verde
bosco che era il colore delle sue iridi.
Pensò
ad Elena.
Dov’era
in quel momento? Lo stava guardando? Lo amava?
Una
stretta gli serrò il cuore: la sua Elena.
Da
umano si era ripromesso di non pensarla, di dedicarsi alla sua vita che
tanto
prima o poi sarebbe finita in un sonoro puff!
donandogli il riposo eterno una volta per tutte. Non gli
importava se fosse
stato tra le fiamme dell’Inferno o nei canti del Paradiso:
l’importante era
vivere e poi finire. Così la figura del suo primo, grande
amore era sfumata nel
ricordo opaco che aveva dei suoi giorni da vampiro.
Ma
ora che era tornato immortale, era come se riuscisse a sentire ancora
il sapore
delle labbra della ragazza contrapposte alle sue. Riusciva ancora a
udire i
suoi dolci respiri prima di addormentarsi e quando si guardava allo
specchio,
vedeva il ragazzo che Elena Gilbert aveva amato alla follia fino alla
fine.
Aspettavano
anche… No! Non ci doveva pensare. Di sicuro al tempo si
stavano sbagliando… Le
vampire non sono fertili, c’è solo una
possibilità su un milione di concepire
un bambino.
Non
doveva piangere due persone, no.
Solo
una: Elena.
Bianca
intanto, si stava agitando nel sonno. Quella notte non c’era
Damon a farle
compagnia: era impegnato con il lavoro, che lo aveva portato fino ai
confini
dello stato per una campagna pubblicitaria di una nuova marca della
quale
Stefan proprio non riusciva a ricordare il nome.
Ed
era per questo motivo che lui, il fratello minore, si era offerto di
fare la
guardia ai sogni di Bianca Satin.
Arrossì
lievemente, pensando al fatto che la ragazza, appena una settimana
prima, si
era tanto preoccupata per lui quando Bonnie lo aveva
“ucciso”.
Bianca
aveva qualcosa di diverso dalle altre ragazze e non solo
perché era un ibrido,
ma anche perché Stefan non sapeva nulla delle sue origini,
eppure la sua aura
vitale lo attirava come la luce attira una falena. Era così
gonfia di potere
represso, che non sembrava affatto umana. Nemmeno per metà.
Suo
padre non doveva essere un vampiro normale. Forse non era nemmeno un
vampiro.
Ma
Damon era sempre stato vago sulla discendenza di ibridi alla quale
apparteneva
la sua nuova ragazza: cambiava spesso discorso e lui era
così bravo in questo,
che Stefan si scordava di avergli posto una domanda su Bianca.
Le
stelle erano così belle quella sera d’autunno:
limpide come il cielo, così blu
e perfetto che sembrava avessero steso una coperta su tutto il mondo
per
facilitare il sonno agli umani.
Stefan
paragonò le stelle agli anni che aveva passato, da umano e
da vampiro.
Incontabili. E tutti diversi, ma con una propria luce anche se
minuscola.
Si
era distratto guardando il cielo appoggiato ad un ramo di pino. Si era
distratto così tanto da non accorgersi che Bianca si era
alzata dal letto per
andare a prendere una boccata d’aria in giardino. Non la vide
arrivare, ma
sentì il suo respiro proprio sotto il pino.
“S-Stefan?
Cosa ci fai qui?” il vampiro fece un balzo così
alto che per poco non cadde dal
suo osservatorio.
“Io?”
domandò incosciente che la sua bocca si fosse mossa.
“Ah, sì. Io”.