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Autore: Biohazard    04/07/2011    4 recensioni
I sette vizi capitali raccontati attraverso gli occhi dei personaggi di Resident Evil.
[10° Classificata al contest “I sette vizi capitali"]
Genere: Azione, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi non sono di mia proprietà e questa storia non ha assolutamente fini di lucro.

 

ACCIDIA

 

 

24 Luglio 1998

Arklay Mountains

Villa Spencer

 

 

Albert Wesker stava seduto di fronte alla scrivania: le gambe distese e i piedi appoggiati lascivamente sulla superficie liscia di mogano. Poco gli importava che gli stivali d’ordinanza imbrattassero di fango la superficie lucida e i documenti sparsi.

“Tanto questa villa non vedrà l’alba di domani…” pensò tra sé e sé.

La testa era reclinata all’indietro, mentre giocherellava con la pistola d’ordinanza, una Beretta 9 mm. L’ufficio, in cui si era rifugiato dagli orrori della villa, era ben nascosto da una libreria piuttosto ampia e, nonostante tutto, da quella postazione, avrebbe potuto udire tranquillamente l’arrivo di Barry con i suoi preziosi medaglioni.

Era stato fin troppo facile convincerlo a collaborare: era bastato dirgli che qualcosa di brutto sarebbe potuto capitare alla sua famiglia e quell’idiota aveva ceduto senza troppe storie. La consapevolezza di non dover affrontare quel gravoso compito era stato un vero sollievo. Non gli rimaneva altro da fare che aspettare: Barry avrebbe affrontato le creature nella villa e recuperato i medaglioni per sbloccare la porta dei laboratori.

Nel frattempo lui si sarebbe rilassato in attesa del suo ritorno.

 

 

 

 

AVARIZIA

 

“My precious G-virus.

No one will ever take you away from me.”

 

William Birkin osservava con orgoglio il frutto delle sue ricerche: il G-virus.

Finalmente tutti avrebbero riconosciuto il suo genio. Quello che aveva tra le mani era il coronamento del suo sogno.

La Umbrella si sbagliava se pensava di poter fare ciò che voleva. L’invenzione era sua e sua soltanto: il suo potere, le sue potenzialità, ogni elemento perfetto di quel campione era legato a lui. Le notti insonni, migliaia di dati che si confondevano, tutti i suoi sforzi erano racchiusi in quella semplice provetta. Quella straordinaria scoperta era solo sua e non l’avrebbe condivisa con nessuno.

Dei passi affrettati, la porta del laboratorio che si apriva di scatto. William afferrò la pistola che teneva nel cassetto della scrivania e la puntò verso gli uomini d’ordinanza della Umbrella.

“Sapevo che sareste venuti”

“Dottore, ci dia il campione” lo intimò uno dei due puntando l’arma.

“Mi dispiace, ma non credo che la cosa sia fattibile”.

Birkin arretrò di qualche passo. Un tonfo, causato da un bicchiere caduto in terra, fece sobbalzare uno dei due agenti che sparò al giovane dottore.

“Fermati!” urlò l’altro “Prendi il campione e andiamocene!”

Presero la valigetta dalla scrivania lasciando William disteso a terra, ferito mortalmente.

Conscio di avere solo qualche minuto di vita, William giurò che nessuno poteva appropriarsi di ciò che era suo e con le ultime forze rimaste, s'iniettò il potente virus.

Si sarebbe ripreso ogni cosa.

 

 

GOLA

 

 

Da quando aveva abbandonato la sua misera natura umana ed era rinato, molti dei bisogni fisiologici che contraddistinguevano quella deplorevole condizione erano scomparsi. Tra questi, anche il bisogno di nutrirsi. Il suo corpo era in grado di produrre autonomamente le sostanze di nutritive di cui aveva bisogno.

Nonostante tutto, Albert Wesker, era sempre stato un amante della buona cucina e questo poteva essere considerato l’unico vizio in suo possesso. Adorava circondarsi di prelibatezze di ogni tipo, il tutto coronato da un ottimo vino.

Frequentava i migliori ristoranti che potessero esistere.

Purtroppo, però, era un lusso che non poteva concedersi spesso, considerando che quell’insopportabile spina nel fianco di Chris Redfield era sempre sulle sue tracce.

Non avrebbe sopportato di veder rovinato un ottimo pasto mentre una squadra d’assalto entrava sfondando finestre e buttando giù porte. A quel punto, probabilmente, se fosse stato di buon umore, si sarebbe limitato a una morte rapida e indolore per ciascuno, lasciando intatto il proprio posto a tavola con le relative pietanze, per poi tornare a consumare il proprio pranzo in totale tranquillità.

 

 

 

Invidia, Ira

 

Un set di provette vuote andò a schiantarsi contro il refrigeratore. I frammenti di vetro si sparsero tutt’intorno, ma in quel momento William Birkin non se ne curò.

“Se solo Miss Alexia fosse qui!”

Le parole degli altri ricercatori gli rimbombavano nel cervello come un martello. Cosa avevano da ammirare, ancora non riusciva a capirlo. I laboratori degli Asford non avevano più fornito risultati utili da decenni e William non riusciva a capacitarsi del perché avessero così tanta ammirazione nei loro confronti.

“Io sono il migliore!” urlò sparpagliando appunti e risultati sul pavimento. Era appena sedicenne quando fu nominato capo-ricercatore e ora quella stupida ragazzina di appena dieci anni aveva già raggiunto la sua posizione.

Com’era possibile? Cercò mentalmente di calmarsi, ma il suo orgoglio ferito glielo impediva. Il trofeo immaginario che si era costruito era caduto dal piedistallo, infrangendosi in mille pezzi proprio come le provette di cui stava calpestando i frammenti.

Con la mente completamente accecata dalla rabbia e dall’invidia, Birkin tornò al suo ufficio, con l’intenzione di dimostrare a quegli esseri patetici che le sue capacità erano ben superiori rispetto a quelle della Dottoressa Ashford.

 

 

 

Lussuria

 

Ada Wong aveva appena fatto rientro dalla sua missione recuperando con successo il campione di “Plagas”. Anche questa volta aveva rischiato di mandare all’aria la missione a causa del suo patetico coinvolgimento sentimentale con Leon Scott Kennedy. Doveva ringraziare le sue incredibili capacità se non era ancora morta. Aveva ancora bisogno di lei e questo era un motivo più che sufficiente per tenerla in vita. Sentì bussare alla porta dell’ufficio e, senza aspettare risposta, colei cui stava pensando si materializzò di fronte a lui. Era bellissima come sempre: corpo sinuoso e slanciato come quello di un gatto, vestito attillato color cremisi, pelle candida e corti capelli neri.

Si sedette lascivamente sul bordo della scrivania accavallando le gambe.  

“Anche questa volta ho fatto bene i compiti…” Sussurrò con voce suadente consegnandoli la fialetta.

Wesker accennò appena un sorriso compiaciuto: era veramente scaltra e sapeva il fatto suo. Poche persone osavano rivolgersi a lui in maniera tanto sfrontata. Lo temeva, certo, ma non si poteva dire che avesse paura di lui. E questo gli piaceva immensamente.

Spesso si ritrovava a pensare quanto sarebbe stato piacevole sentire quel corpo fremere sotto il suo: i gemiti di piacere, le mani sul suo corpo, sentirla inarcarsi sotto le sue spinte. Inoltre l’idea che avrebbe dovuto combattere per averla lo eccitava ancora di più. La conosceva fin troppo bene: non si sarebbe fatta sottomere al suo piacere tanto facilmente, ma sapeva ancora più perfettamente che una volta preso il controllo, sarebbe stata lei a chiedere di più e a quel punto avrebbe perso qualunque attrattiva nei suoi confronti.

Sì, sarebbe stata una sfida molto interessante.

 

 

 

SUPERBIA

 

 

“The right to be a God. Your right is now mine”

Albert Wesker

 

 

Perfetto.

Quello era l’aggettivo che meglio descriveva la sua superiorità rispetto al resto delle misere creature che si ritrovava a osservare costantemente al di là delle lenti scure. Tutte quelle persone che gli sfrecciavano intorno non sapevano che un essere superiore li osservava alla stregua di un ragno che tesse la propria tela intorno alla preda. Si divertiva nel vederli affannarsi, correre, sbrigare le faccende, insomma, nel vederli vivere, costatando la loro fragilità, la loro misera imperfezione. Quella deplorevole condizione era qualcosa che aveva abbandonato ormai da molti anni: del resto, il Dio del nuovo mondo, non poteva permettersi alcun tipo di debolezza.

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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