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Autore: LivingTheDream    05/07/2011    3 recensioni
"Lapsus. Terribile ed imperdonabile lapsus.
«Cioè, no, un secondo, che-che le stavo dicendo?» sono patetico. «Lei-lei ha detto che io non ammiro i suoi... Ah, si.» sono orribilmente patetico. «Sa che io la ammiro moltissimo, le sue tecniche di deduzione mi affascinano, non credevo c-ci fosse bisogno di precisare.»
Inizia a fare caldo, molto caldo."
Anche Watson si troverà davanti ad una situazione spiacevole. Il famigerato Lapsus.
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Nda: avevo in testa questa storia da un paio di settimane, e finalmente riesco a scriverla! *loda il cielo*

Preciso già da ora che un lapsus è una situazione nella quale usiamo una parola sbagliata, ma questo errore deriva da una base psicologica, cioè è quello che pensiamo veramente.

Non so se il termine sia anacronistico, nel caso, fa nulla! Buona lettura!
-L'html non è dei miei soliti perché sul pc di emergenza non va Word!-

 

«Si, le dico che mi ha detto proprio così! E poi continua “Signor Holmes, ma quali bufali? Qui sono passati solo gli Yarder!” ed io “Beh, una mandria forse sarebbe stata meno d'intralcio!”» Sherlock conclude il racconto, ed io esplodo in un'ultima risata, quasi con le lacrime agli occhi.

Afferra un altro bicchiere di whisky, buttandolo giù come fosse acqua; quindi, sospirando, torna a sedersi. Sorride ancora, divertito, e mi guarda versare da bere per entrambi.

Da quanto tempo non mi divertivo così? Troppo, a quanto pare.

Finalmente Holmes è tornato a Baker Street, e con lui anche quel pezzo di anima che pensavo di aver perso.

Mrs. Hudson ci ha accolti come figli, con un sorriso ed una cena luculliana, ed una bottiglia di alcol ha fatto il resto.

Ecco come mai sono le due di notte e siamo ancora qui a chiacchierare, da vecchi amici quali siamo.

Mi ha appena raccontato tutto di quei tre anni in cui pensavo fosse all'altro mondo, ed invece era attivo come non mai.

Nella stanza è appena calato il silenzio; io sono sprofondato nella poltrona, mentre lui si è steso sul divano.

Non parliamo, ci fissiamo. È come se ci stessimo conoscendo di nuovo; non c'è bisogno di altre parole, e il camino – immancabile, anche in primavera inoltrata – è la melodia più familiare ed adatta al momento.

Lo osservo come se fosse la prima volta, non è assolutamente cambiato. Il solito, vecchio, meraviglioso Holmes.

«Ho sentito la sua mancanza, sa, Watson?» non rispondo, ma allargo il sorriso. «Soprattutto durante i miei casi. Sono perso senza il mio Boswell.»

Inclino leggermente la testa, divertito e lusingato al tempo stesso, mentre lui volge gli occhi al soffitto.

«Lei ha bisogno di me come io di lei, Holmes, e non è carino fingersi morto per ben tre anni agli occhi del proprio migliore amico.»

«Le ho già spiegato il mio piano, lei si sarebbe tradito. Non ammira più i miei metodi, tutto ad un tratto?» ride mentre lo dice, ed incatena il suo sguardo al mio. Per tutta risposta gli sorrido divertito.

«Sa che io la amo-» che-che ho detto?

Lapsus. Terribile ed imperdonabile lapsus.

«Cioè, no, un secondo, che-che le stavo dicendo?» sono patetico. «Lei-lei ha detto che io non ammiro i suoi... Ah, si.» sono orribilmente patetico. «Sa che io la ammiro moltissimo, le sue tecniche di deduzione mi affascinano, non credevo c-ci fosse bisogno di precisare.»

Inizia a fare caldo, molto caldo.

Mi alzo dalla poltrona, andando verso un punto qualsiasi della stanza, e mi ritrovo nel pressi della finestra, alle spalle di Holmes.

Passa più di qualche minuto durante il quale cerco di non morire dall'imbarazzo.

Insomma, ragioniamo. Un lapsus è un errore; un banale, comprensibile errore. Ma è un errore voluto dal subconscio, il che mi preoccupa, e non poco.

Come posso pensarlo davvero? È un uomo, è il mio migliore amico, è-è Holmes. Non posso provare qualcosa di più.

Oppure-

«Watson?» al solito, interrompe anche i miei pensieri.

Lo vedo voltato, mi osserva sottosopra, con la nuca appoggiata all'estremità dello schienale.

«Hm?» mugugno, senza nemmeno lasciargli terminare il mio nome, e continuo a frugare ovunque senza uno scopo.

«Ha avuto un lapsus?» deglutisco a vuoto. E adesso?

«O-ovviamente.»

Si rannicchia, mani alle ginocchia, mordicchiando la pipa.

«Quindi lo pensa.»

«Assolutamente no!» esclamo, ridacchiando penosamente.

«Se mi deve mentire allora è meglio chiudere qui questa conversazione e ritirarci nelle nostre stanze.» fa per alzarsi.

Ora mi gioco il tutto per tutto. Purtroppo ha già capito.

«Holmes, si fermi. Si, lo ammetto, è stato un lapsus.»

«Ma lo pensa?»

«Io-io... come posso risponderle?»

«Non-non trova le parole?» annuisco. Sono patetico per la seconda volta nel giro di pochi minuti.

Mi si avvicina con uno scatto tipico di Holmes, e quando vedo che le sue mani stanno prendendo la direzione del mio volto, decido di non preoccuparmi più di nulla. Ormai è andata.

Affonda le mani nei miei capelli più dolcemente di quanto mi aspettassi, tirandomi a se, ed io, contemporaneamente, gli cingo i fianchi.

Senza nemmeno rendercene conto ci ritroviamo avvinghiati l'uno all'altro – quasi respirandoci – le palpebre serrate e le lingue confuse.

Mi rendo conto che quel lapsus ne sapeva più di me; io non voglio semplicemente bene a Holmes, lo voglio, lo pretendo, è come se mi appartenesse. Ed io gli appartengo.

Sento le sue dita lunghe e sottili cercare il contatto con la mia pelle, frettolose, quasi estranee al carattere deciso del mio amico. In breve penetrano sotto la camicia – già sistemata in malo modo – e mi fanno salire dei brividi lungo la schiena.

Prende a sbottonarmi i bottoni, uno per uno, senza calma ma godendo della vista di ogni centimetro di pelle che si scopre; seppur più impacciato, cerco di fare lo stesso anche io.

La sua camicia gli scivola lungo le spalle, come la mia d'altronde, bloccandosi sui polsini, e lo vedo porgermi i polsi, quasi come se dovessi ammanettarlo. È uno dei gesti più umili che mi abbia mai concesso.

Dopo esserci liberati delle maglie si appropria del mio collo, baciandolo, passandoci la lingua, mordendolo come se non dovesse lasciarmi nemmeno più una goccia di sangue nel corpo.

Mi lascio sfuggire un gemito – abbastanza, per lui, che prende a slacciarmi la cintura.

Prima di impazzire – perché so che succederà – gli catturo le labbra con le mie, scontrandomi poi con quei suoi occhi d'acciaio.

Ansimiamo entrambi, ma raccogliamo l'aria strettamente necessaria per formulare una frase.

«Le assicuro, Watson, che volevo darle uno schiaffo.»

«Allora anche questo è stato un lapsus?»

«Probabile.» sorride, divertito. «Molto probabile.»

«Quindi in fondo voleva farlo.»

«In fondo? Watson, da quando lei è entrato nella mia vita – le giuro – non aspetto altro


Nda: questa storia – a cui tengo molto – è stata pubblicata da un pc di emergenza. E per questo ringraziate gli animatori!
Per un po' non potrò pubblicare, ma giuro che cercherò di risolvere!

Grazie per aver letto, a presto. Spero.
Alex.

   
 
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