- Capitolo II -
Le sue mani scivolavano sui tasti bianchi del vecchio
pianoforte a coda, mentre una dolce melodia si diffondeva nella stanza. Aveva
gli occhi chiusi, eppure seguiva perfettamente le note tracciate sul
pentagramma, come se le dita conoscessero a memoria gli accordi da eseguire. Maria
stava seduta sul divano alle sue spalle, la testa appoggiata allo schienale e
gli occhi fissi su di lui. Lo ascoltava come rapita, senza distogliere lo
sguardo... ad ogni nota la sua stretta sul cuscino che aveva fra le braccia
aumentava e il suo respiro si accorciava. Conosceva Ephram da una vita, eppure
era tanto che non lo sentiva suonare in quel modo... Si alzò lentamente,
riappoggiò il cuscino dove l'aveva preso e si avvicinò silenziosamente. Gli
circondò le spalle da dietro, stringendolo appena con le braccia sottili.
- Cosa c'è? - Si interruppe, voltandosi leggermente verso
la ragazza.
- No... non smettere. Continua a suonare... - Maria gli
sorrise dolcemente e fece per allontanarsi, ma lui la trattenne.
- Non mi dai fastidio... suono meglio quando mi stai
vicina. Succedeva anche con mia madre. - Lei si spostò appena e si appoggiò al
pianoforte. Abbastanza distante per permettergli di suonare tranquillamente, ma
abbastanza vicina perchè potesse guardarla negli occhi. Ephram riprese da dove
aveva interrotto, lasciando che fosse la musica stessa a guidare le sue mani...
Maria picchiettava con le dita sulla superficie lucida, tenendo lo sguardo
fisso verso il basso. Aveva gli occhi velati di lacrime e non voleva che lui se
ne accorgesse. Riuscì a nascondersi giusto per qualche secondo, prima che un
singhiozzo traditore sfuggito per sbaglio la facesse scoprire.
- Dimmi che cos'hai. Avanti. - Chiuse lo spartito e il
copritasti del pianoforte, prima di avvicinarsi a lei che nel frattempo si era
allontanata e stava cercando di frenare quelle lacrime involontarie.
- Tu devi dirmi che cos'hai. - Respirò a fondo, cercando
di mascherare i singhiozzi che le incrinavano la voce.
- Andiamo, Maria. Tu stai piangendo e io dovrei avere
qualcosa? - Le appoggiò entrambe le mani sulle spalle, sorridendo nervosamente,
come ogni volta che era agitato.
- Se non ti conoscessi a fondo, potrei pensare che suoni
così soltanto perchè sei straordinariamente bravo... se non sapessi che ti
chiami Ephram Brown. - Ribattè, afferrandogli il collo della felpa e
strattonandolo leggermente. - Quel pezzo non l'hai scelto a caso, vero? Ti ho
sentito suonarlo molte volte... ma dopo ciò che è successo, pensavo che quella
sera sarebbe stata l'ultima. - Era un brano abbastanza lungo ed era deisamente
più complicato di molti altri, ma era anche il preferito di Ephram. E di sua
madre Julia. Per questo, se lei avesse potuto assistere a quel fantomatico
concerto, l'avrebbe ascoltato una volta di più. - Non credevo che te l'avrei
risentito suonare. Meno che mai che l'avresti fatto così. - Lasciò andare la
presa, sospirando pesantemente. - Mi sono accorta fin troppo facilmente che
stai male per qualcosa, Ephram... e sono io ad essere preoccupata. Da morire. -
Abbassò lo sguardo, sentendo di avere nuovamente gli occhi lucidi.
- Ehi, io non ho niente, d'accordo? - Si sedette sul
divano, appoggiandosi con le braccia allo schienale. Maria lo fissò incerta per
un attimo e poi si sistemò in fianco a lui.
- Piuttosto dimmi che non te la senti di parlarne, ma non
cercare di mentirmi. - Fece per alzarsi, ma lei gli circondò le spalle
attirandolo dolcemente all'indietro. Ricambiò immediatamente il gesto,
nascondendo il viso contro la spalla di lei mentre le lunghe ciocche ramate gli
solleticavano una guancia ad ogni minimo movimento che lei compiva. - Io non ti
chiedo niente, ma sappi che per te ci sarò in qualsiasi momento, Ephram. -
Riprese, accarezzandogli teneramente i capelli. - Se deciderai di parlarmene,
ti ascolterò. In qualsiasi momento. -
- Questo discorso assomiglia sempre più al testo-tipo di
uno di quei manga tutti cuoricini e occhioni luccicanti che ti piacciono tanto,
te ne rendi conto? - Si discostò leggermente, appoggiando la fronte a quella di
lei.
- Oh no, quelli possono essere molto peggio, credimi! -
Sorrise divertita.
- Chissà perchè non mi è difficile crederci...
- Non la finirai mai, eh? - Sbuffò lei, fingendo di
offendersi. - Prima o poi ti costringerò a leggerne qualcuno senza che tu ti
accorga di che cosa effettivamente avrai fra le mani. E succederà quando meno
te lo aspetti...
- Ehi! Questa è una minaccia bella e buona! - Continuò
lui, dandole corda. Lei scoppiò a ridere ed Ephram non potè fare a meno di
imitarla.
- Dovresti sorridere più spesso. - La fissò, leggermente
spiazzato. - C'era qualcuno a cui lo ripetevo sempre... - Continuò, osservando
la reazione di lui. - Due anni fa. Quando abitava ancora a New York...
- E questo qualcuno, lo conosco per caso? - Finalmente era
arrivato a capire dove voleva andare a parare.
- No, non credo... - Avrebbero potuto andare avanti a
giocare in quel modo per ore. Era una delle cose che più gli piacevano di
Maria: la sua capacità di fargli dimenticare tutti i problemi quando ne aveva
bisogno e poi, di aiutarlo ad affrontarli al momento giusto. - E' la persona
che amo di più e la più importante per me, in questo momento. Lui... ha gli
occhi più espressivi e il sorriso più dolce che abbia mai visto. Quando
sorride, acquisisce un fascino tutto suo... in quei momenti è così tenero che
me lo mangerei di baci. Letteralmente. - Si sollevò appena e si avvicinò ancora
di più a lui. Ephram affondò senza rendersene conto nel verde mare dei suoi
occhi... sapeva che ciò di cui parlava Maria era qualcosa di assolutamente
platonico, poichè era esattamente quello che provava lui. Non era semplice
amicizia, ma non era nemmeno amore nel senso tradizionale del termine. Nemmeno
loro due erano ancora riusciti a definire ciò che li legava. Avevano risolto
per un 'ti amo' reciproco, ma senza alcuna implicazione di attrazione fisica.
Stava meditando di risponderle con un malizioso ma sincero "Fa'
pure"... prima che il sonoro scatto della porta d'ingresso che si apriva
spezzasse il silenzio che si era creato intorno a loro.
- MARIA!!! - Delia Brown attraversò il corridoio di corsa
e si gettò al collo della ragazza che si era alzata per andarle incontro.
- Ciao Deels! Come sta il mio vecchio cappellino da
baseball? - Prese il cappello dei New York Yankees della ragazzina e se lo
calcò sulla testa.
- E' un miracolo che non si stia decomponendo. Credo che,
se potesse, lo terrebbe anche per dormire e per fare la doccia. - Un uomo sulla
cinquantina entrò nella stanza, sfilandosi la giacca di tweed.
- Salve dottor Brown. Come sta? La trovo in forma! -
Sciolse il suo abbraccio e mosse un passo verso Andy, sistemandosi una ciocca
di capelli dietro l'orecchio con un gesto nervoso.
- Anch'io ti trovo in forma, Maria. Sono passati poco più
di due anni, ma sei... cresciuta, dall'ultima volta che ci siamo visti. -
Osservò, analizzando il corpo non più così infantile della ragazza. - Sei
diventata molto bella. - Le sorrise, prima che il suo sguardo saettasse su
Ephram, ancora seduto sul divano.
- La ringrazio. - Esauriti i convenevoli, sapeva di dover
puntare al vero nocciolo della questione. - Io... avrei bisogno di parlare con
lei.
- Intuendo a cosa si stesse riferendo, Andy la fermò
subito. C'era qualcun'altro con cui doveva scambiare due chiacchiere, prima. -
Aspetta Maria... credo che potremo intavolare questa conversazione più tardi, con
calma. Immagino che adesso Delia muoia dalla voglia di mostrarti la sua camera,
non è vero tesoro? - Sorrise alla figlia che prese per mano la ragazza e la
condusse verso le scale che portavano al piano superiore.
- Ho un sacco di cose da farti vedere! Brittany mi ha
prestato uno smalto bellissimo, sai? Però non sono ancora capace di metterlo
bene. Non sono ancora abituata a fare queste cose...
- Se vuoi ci penso io! Verrà benissimo, vedrai! - Le loro
voci rincorsero rapidamente i passi concitati, sparendo su per gli scalini di
legno.