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Autore: Mork    18/07/2011    1 recensioni
Il viaggio di un Personaggio Letterario alla ricerca del proprio Autore. Si ringrazia S. King per l'ispirazione! :3
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Il Personaggio ruzzolò giù per un declivio erboso, ridendo come un matto. Aveva risalito le colline sabbiose finché il cielo sopra di sé non era diventato di un azzurro pallido, chiazzato da bianche nuvole inconsistenti e sfilacciate, e un vento fresco gli aveva soffiato in faccia. Il rigagnolo fangoso era rinato come un ruscello esile e trasparente, ed aveva abbracciato il fianco di quella collina alta e verde. Il Personaggio si fermò ai piedi di essa, dove cominciava una pianura sconfinata, quasi priva di alberi e baciata dal sole. Era il suo primo incontro con quell’astro incredibilmente luminoso e caldo, e gli piaceva da impazzire, così come la sensazione fresca e pungente dell’erba sotto i piedi nudi, il placido splendore del cielo sereno, l’aria pulita e la luce sfolgorante. Quella terra era immensa, e anche se prima era stato spaventato all’idea di poter essere costretto a percorrerla tutta per trovare il suo Autore, i raggi del sole gli avevano ridato la speranza. Questo è il potere delle stelle.
Sentì il terreno tremargli leggermente sotto i piedi, e guardò confuso in basso. Quasi contemporaneamente gli giunse all’orecchio un frastuono sommesso, il rumore tipico fatto da qualcosa di incommensurabilmente grande che si sta avvicinando velocemente da molto lontano. Il Personaggio si voltò a destra e a sinistra, e mosse qualche passo in mezzo alla pianura. Privo di punti di riferimento, non riusciva a capire da dove provenisse quel fracasso finché non notò una nuvola di polvere color sabbia stagliarsi sull’orizzonte alla sua destra. Man mano che il pulviscolo aumentava, il Personaggio riuscì a isolare i singoli suoni che producevano tutto quel trambusto: grida umane, nitriti, clangore metallico, stridore di spade, calpestio di zoccoli e rovinose cadute al suolo. Non erano rumori amichevoli, e il Personaggio cominciò a chiedersi se, mettendosi a correre nella direzione opposta in quel preciso istante, sarebbe riuscito a sfuggire a quella baraonda. Purtroppo la torma avanzava ad una velocità considerevole, e già era possibile distinguere i contorni dei suoi componenti: uomini con addosso pesanti armature che impugnavano spade, scudi, lance e stendardi e montavano cavalli bardati in modo spaventoso che galoppavano con ferocia. Il Personaggio rabbrividì e cercò un posto dove nascondersi, ma non c’erano né alberi né rocce abbastanza grandi nei paraggi: allora sperò che in tutta quella desolazione non passasse inosservato, pur così piccolo, e che quei guerrieri si fermassero prima di calpestarlo. Al di sopra dello scalpitio degli zoccoli, ormai assordante, si levò lo squillo possente di una tromba, e il Personaggio riuscì ad individuare tra i primi cavalieri l’uomo che la suonava. Con suo enorme sollievo, l’esercito sembrò rallentare l’andatura, pur senza dare l’impressione di volersi fermare del tutto. Mentre il guerriero con la tromba e un paio di altri cavalieri si dirigevano al passo verso il Personaggio, il resto dell’esercito lo oltrepassò, disponendosi alle sue spalle in una schiera ordinata. Tutto quel metallo abbagliante e gli elmi sotto i quali non si riusciva a distinguere il volto erano davvero terrificanti, così come il silenzio solenne e minaccioso interrotto solo dagli sbuffi dei cavalli.
Il cavaliere che sembrava il capo smontò da cavallo e si allacciò alla cintura lo strumento musicale che il Personaggio aveva scambiato per una tromba ma che in realtà era un corno dalla fattura squisita, d’avorio e con incisioni in rilievo; si tolse l’elmo, di gran lunga il più bello di tutto l’esercito, e mostrò un viso segnato dalle cicatrici, nobile e virile, su cui spiccavano occhi di un celeste purissimo e una gran barba bionda. Il Personaggio si sentì ancora più piccolo di fronte ad un uomo tanto imponente.
«Orlando, conte di Chiaromonte, nipote e paladino di Carlo Magno, re dei Franchi e dei Longobardi e imperatore del Sacro Romano Impero», si presentò il cavaliere, tendendo una mano al Personaggio, che la strinse col timore che la sua finisse stritolata dalla morsa di quel guanto d’acciaio. L’uomo, nonostante l’aspetto austero, ispirava grande rispetto e fiducia, perciò il Personaggio trovò il coraggio per rivolgergli la parola: «Ah... mi dispiace, io non ho un nome. Siete per caso Autori?»
«Autori di innumerevoli vittorie», rispose Orlando inarcando un sopracciglio. Uno dei cavalieri alle sue spalle si tolse l’elmo e il Personaggio vide un uomo dagli occhi verdi, la fronte solcata dalle rughe dei saggi, la barba scura appena accennata: «Credo di riferisse ad Autori letterari, vostra signoria». Orlando si voltò a metà verso il cavaliere, che stava scendendo dalla sella, e replicò perplesso: «L’arcivescovo Turpino si dedica alla letteratura, ma mi chiedo cosa possa volere questo ragazzo da lui»
«Dubito, infatti, che stia cercando l’arcivescovo», proseguì il cavaliere, e avvicinandosi al Personaggio gli rivolse queste parole: «Non troverai quello che cerchi presso di noi. L’identità del nostro Autore è andata ormai perduta, e il popolo ci ha accolto. Noi viviamo sulle pagine di svariati Autori. In questa pianura lottano senza fine le epopee, i poemi epici, i cantari, i poemi cavallereschi. Tu non appartieni a questo luogo»
«Oliviero, cugino, si stanno avvicinando», avvertì il cavaliere rimasto in sella, guardandosi alle spalle. Orlando seguì il suo sguardo e si rimise l’elmo: «Oliviero, visto che siete l’unico a capire la situazione del ragazzo, portatelo lontano di qui, il più vicino possibile alla sua meta. Questo pianoro non sarà più sicuro, tra pochi minuti.»
Oliviero obbedì con un inchino e fece un cenno al Personaggio: «Vieni ragazzo. Sali»
Si era riavvicinato al cavallo.
«Non vorrete mica che io salga lì sopra, vero?»
«Posso sempre trascinarti per un piede, se preferisci»
Il Personaggio deglutì e si avvicinò alla bestia con circospezione. Non aveva fatto in tempo a squadrare la sella, intimorito, che si sentì sollevare in aria e depositare sul dorso dell’animale, appena fuori dalla sella. Oliviero montò davanti di lui e afferrò saldamente le redini: «Reggiti forte», gli comandò mentre si aggiustava l’elmo. Il Personaggio cercò disperatamente un punto sicuro su cui aggrapparsi nell’armatura compatta e lucente che gli si ergeva davanti; il cavallo si dimenò sotto di lui, e in un battibaleno corsero via, sfilando a fianco dell’esercito pronto alla battaglia. Il Personaggio cercò di cingere con le braccia i fianchi del cavaliere, e sentì il guanto di quest’ultimo dargli una pacca amichevole sulla mano: «Non aver paura». Un lungo squillo penetrante giunse alle loro spalle, e il Personaggio voltandosi vide quello che doveva essere l’esercito nemico cavalcare verso di loro.
«Non preoccuparti di loro. I paladini di Carlo Magno riescono sempre a vincere, alla fine», disse Oliviero, benché pensieroso.
«Da quanto tempo dura questa guerra?»
«Da sempre», rispose il cavaliere, mentre faceva girare il cavallo a destra, dove in lontananza il Personaggio riuscì a scorgere un boschetto scuro. Un attimo dopo si sentì un boato, e un inquietante cozzare di metallo contro metallo; il Personaggio resistette alla tentazione di guardarsi indietro e si sforzò di rimanere concentrato sulla strada davanti a lui, dove tra l’altro sembrava presentarsi un nuovo ostacolo. A quanto pareva i paladini e i saraceni non erano gli unici ad essere in guerra tra loro. Un manipolo di guerrieri, questa volta di fanteria, combatteva con tanta eleganza e forza da dare l’impressione che danzasse: il Personaggio ebbe una fugace visione di un eroe dallo scudo alto quanto una torre, prima che Oliviero cambiasse di nuovo direzione con uno scarto veloce. Quella variazione li allontanò un po’ dalla destinazione prevista, e il Personaggio sentì l’aria farsi leggermente più pesante man mano che si avvicinavano. Gli alberi si facevano sempre più grandi e i loro colori meno classificabili: oscillavano perennemente tra il verde, il blu e il viola. Uno stormo di passeri invase il cielo mentre cavallo e cavalieri penetravano nella boscaglia. Oliviero smontò da cavallo ed aiutò il Personaggio a scendere: «Non posso portarti più in là di così, mi dispiace.»
Il Personaggio si guardò intorno: gli sembrava di sentire risate e rumori furtivi nella penombra, e i colori sgargianti della foresta non gli trasmettevano nessuna sensazione di gioia.
«Non preoccupatevi», mormorò tuttavia, «Riuscirò a cavarmela da solo»
«Non ne dubito», rispose il paladino con un sorriso, infilando un piede nella staffa.
«Vi ringrazio per esservi preso cura di me, spero che riusciate sconfiggere i vostri nemici», proseguì il Personaggio, abbozzando un timido inchino.
«Dovere», replicò semplicemente Oliviero, mentre si accingeva a ripartire «I miei migliori auguri per il tuo viaggio, ragazzo»
E con queste ultime parole raggiunse al galoppo i suoi compagni. Mentre il rumore degli zoccoli si faceva sempre più debole, il Personaggio si voltò verso la foresta buia e misteriosa. L’aria era intensa e gli faceva prudere il naso, come se fosse allergico. Strinse i pugni, puntò lo sguardo in avanti e con passo deciso attraversò il sottobosco alla ricerca di un sentiero.
  
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