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Autore: Opalix    22/03/2006    7 recensioni
“La memoria è la parte più nobile dell’essere umano. Senza memoria non c’è identità e non c’è nemmeno alcuna coscienza di esistere.”
V.M.Manfredi
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da V libro alternativo
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Ebbene, eccomi qui… dopo più di un mese in cui ho finito gli esami, mi sono trasferita all’estero e ho iniziato a lavorare alla tesi, ho anche ricominciato a scrivere! E il vento olandese vi porta il nuovo capitolo. Mi dispiace che abbiate dovuto aspettare così tanto, ma spero che ne valga la pena. Un bacio dal paese del cacio e delle canne, come dice spesso Savannah…

PARTE IV

CAPITOLO 1: SLITHER

La donna tese la mano verso il tavolino di legno intagliato e sfiorò il vetro lucido di una cornice per fotografie; sul ripiano riposavano, assurdamente sorridenti, come i grotteschi personaggi di un pessimo cartone animato, i visi di persone morte da anni. Piccolo e doloroso cimitero, proprio lì, al centro del salotto… immagini dorate e false dei crudeli artigli di un passato nel quale i padroni di casa non riuscivano a smettere di vivere.
Il ragazzo dai capelli rossi sogghignava esasperato dietro il vetro: non amava mettersi in posa.
Le dita bianche della donna percorsero la linea mascolina della mascella, sfiorarono il naso costellato di lentiggini e il ciuffo vermiglio che scendeva a sfiorare gli occhi blu chiaro; una ciocca ondulata di capelli scuri copriva il viso della donna sdraiata sul divano, solo una lacrima solitaria cadde inesorabile sul plaid colorato che le copriva le spalle. Nessun rumore.

Passi strascicati scesero le scale e nella penombra apparve la sagoma di un uomo: spalle larghe, capelli scomposti, più scuri che mai, e il riflesso delle fiamme del camino sulle lenti degli occhiali tondi… non si vedevano gli occhi.
“Sei ancora qui.”
La donna non si preoccupò di nascondere le lacrime che versava per un altro uomo; le onde scure dei capelli scivolavano dal bracciolo del divano fino quasi a sfiorare il pavimento, la mano pallida era abbandonata sul bordo del tavolino, proprio sotto la fotografia del ragazzo dai capelli rossi.
L’uomo si avvicinò, entrando finalmente in piena luce: nei suoi occhi verdi e lontani si avvicendavano ondate di compassione e pietà. E bisogno. Una necessità di conforto umano più dilaniante di ogni altra cosa sulla terra.
“Hai freddo?”
La donna assentì, sollevando su di lui gli occhi scuri e arrossati; l’uomo si fece posto accanto a lei e prese ad accarezzarle i lunghissimi capelli, percorrendo dolcemente la linea della fronte, del collo e delle spalle.
“Mi fa così male vederti in queste condizioni…”
La donna pronunciò le sue prime parole: una voce rotta ed intensa, calda anche in quel gelido dolore rassegnato.
“Non finirà mai.”
“Lo so.”
“Torna a letto, Harry. Arrivo tra un momento.”
“Promettilo.”
“Prometto. Devo parlargli… ancora un po’…”
“Si. Va bene.”
L’uomo si alzò: un accenno di barba scura gli spuntava sulla mascella e, sotto gli occhiali, segni violacei contornavano gli occhi che sarebbero stati tra i più belli ed espressivi.
“Ti aspetto, Hermione.”
Lo sguardo grato e dolce che lei gli rivolse, l’amore intenso che si scambiarono con quel gesto, la consapevolezza di essere, l’uno per l’altra, l’unica –l’ultima- ancora di salvezza prima della pazzia: cos’era il mondo, una volta perduto questo?

Don't go looking for snakes you might find them
Don't send your eyes to the sun you might blind them

Si appoggiano l’uno all’altra come se nient’altro al monto esistesse, come se nient’altro avesse un senso, come se nulla potesse alleviare l’impronta della pazzia che, inesorabile, attende dietro l’angolo per lasciare il suo doloroso marchio sull’anima di entrambi.
Capisco ciò che provano. Capisco ciò che gli sto per fare.
Sto per prendere la loro anima e distruggerla, pezzo per pezzo, senza lasciare loro un barlume di speranza a fungere da anestesia.
A lui, soprattutto… a lui sto per portare via l’unica ragione di esistenza.
Eppure lo farò: gliela porterò via, consapevole di ogni singolo minuto di sofferenza che gli sto arrecando, di ogni cruciatus che mille volte preferirà a quel dolore incredibile che gli procurerò… e che procurerò anche a lei. Perché la fondamentale differenza che c’è tra me e lui, che c’è sempre stata e sempre ci sarà è questa: lui è stato amato, lui è sempre stato amato, ci è sempre riuscito.
Ma soprattutto, anzi esclusivamente, lo farò perché Lui me lo ha ordinato.

“Vide una giovane donna sofferente incatenata in una cella fredda e buia. Un raggio di luna filtrò tra le sbarre e le illuminò il viso. Una lacrima, una sola le cadde lungo la guancia come un diamante liquido.”
Christopher Paolini
“Eragon”

Nella cella freddissima la donna rabbrividiva, col viso nascosto dalla coltre di capelli scuri e ondulati… morbide onde che si arricciavano sulla schiena, quasi a volerla proteggere dall’umidità gelida che le entrava nelle ossa. Lacrime di terrore prima, e di rassegnazione poi, avevano bagnato i polsini della felpa da camera che indossava e vicino a lei si respirava l’odore acre della paura.
Qualcosa si mosse nell’oscurità verdastra che pervadeva il sotterraneo e la donna strinse gli occhi per vedere: tondi occhi dorati si puntarono su di lei nel buio, rilucendo inquietanti, e un morbido corpicino peloso saltò attraverso le sbarre della porta di metallo, avvicinandosi ai suoi piedi nudi.
Lo sguardo assente di Hermione si posò sul pelame vermiglio della bestia, che camminava flessuosa attorno a lei, studiandola attentamente; con mano tremante tentò di carezzare la schiena del gatto, ma questo si scostò con un balzo rapidissimo, scoccandole un’occhiata stizzosa. Con aria altera il gatto si allontanò e saltò di nuovo le sbarre, al di là delle quali sembrò ingrandirsi e cambiare forma… fenomeno che Hermione attribuì alla propria disperazione. E a dire il vero non le importava poi tanto. Sbattè le palpebre più di una volta, ma il gatto continuava ad ingrandirsi ed assumere la forma di una donna… no, non era possibile…
Capelli rossi come il sangue appena versato, appena dorati da sfumature bionde e ramate, raccolti in una treccia stretta sulla nuca e pendente sul petto della donna come una corda infame, pronta a spezzarsi non appena tenti di aggrapparti; occhi chiari, del colore del miele di fiori appena raccolto, eppure non altrettanto dolci. Solo quello risaltava sul candore della figura, bianca vestita di bianco, che era apparsa al di là delle sbarre.
Hermione sentì il proprio strillo come proveniente da una gola che non era la sua e credette di essere impazzita.

Ginny.
Il corpo di Ginny, contenente qualcosa di completamente diverso, qualcosa che non poteva nemmeno essere classificato come umano.
Gli occhi non erano di Ginny. Quello che c’era dietro agli occhi, non era di Ginny. Ma l’involucro, il contenitore, vibrante di magia oscura ed antichissima, era senza alcun dubbio quello di Ginny.
Gli stessi capelli rossi e lunghi, la stessa corporatura delicata e fine, da principessa delle fiabe, la stessa bocca che una volta si piegava in sorrisi tra i più caldi che Hermione avesse mai visto.
Dunque era lei la bambola impazzita al servizio del signore oscuro. Era davvero lei che tutta l’Europa dell’Est temeva come un fantasma affascinante ma letale, era davvero lei lo spauracchio candido e fragile di ogni mago che non desiderava servire Voldemort.
Ogni volta che avevano sperato che le ipotesi fossero errate, ogni volta che avevano sperato che fosse morta, che la sua anima avesse trovato pace dopo quello che era stata costretta a fare… ogni volta era stata un’illusione: era viva. Era lei.
Ginny.

“Ginny…”
Il sussurro suonò stridulo nel silenzio quasi mortale della cripta.
La donna le scoccò un’occhiata che classificare gelida sarebbe stato soltanto un pallido eufemismo e le girò le spalle sparendo, rapida e silenziosa come un serpente, sulla scaletta.
“Ginny!”
Pugni stretti attorno alle sbarre gelide, le ginocchia a sbattere contro la pietra umida del sotterraneo… no, non era possibile.

There ain't no heroes here
No, no more

“Non può capirti, Granger.”
Quella voce. Dannata, maledetta voce.
I capelli biondi di Draco Malfoy emersero dall’ombra della scaletta a chiocciola, la stessa lungo la quale era sparito il fantasma di Ginny; negli occhi freddi del ragazzo l’indifferenza di un predatore che si è gia cibato, mescolati alla pietà schifata per un insignificante animaletto morente.
“Non è più in questo mondo. Non è in nessun mondo… lasciala stare.”

Hermione si alzò faticosamente in piedi; aveva una caviglia gonfia e dolorante, probabilmente storta. Guardò il ragazzo davanti a lei, poggiato al muro muffito, un mantello color ardesia lo riparava dal freddo umido e strisciante del sotterraneo.
“Che le avete fatto?”, mormorò straziata.
Draco scrollò le spalle.
Se pure potessi dirtelo… come potresti mai capire?
“Che le avete fatto! Come l’avete legata, dannazione!” strillò Hermione.
Il mago la fissò per qualche istante, poi scosse la testa.
Come potresti mai capire che l’amore può diventare troppo? Troppo intenso, troppo ossessivo, troppo tradito, troppo doloroso… troppo per lasciarla andare? Come potresti mai capire che preferisco averla così piuttosto che non averla per niente? Come potresti mai capire che non si torna indietro da errori come quello?
“Non chiamarla in quel modo: il suo vero nome sembra turbarla. E comunque sbatteresti contro un muro troppo duro anche per la tua testardaggine, Granger.” disse stancamente.
Mentre parlava si avvicinò alle sbarre e un riflesso dorato della torcia colpì il suo viso: una lunga ruga di preoccupazione solcava la sua fronte, la piega amara delle lunghe ciglia dorate nascondeva occhi di un grigio dello stesso grigio del cielo quando sembra che tutto il mondo debba piangere… un uomo, non un ragazzo, non un assassino, non un mangiamorte. Soltanto un uomo, che la vita aveva straziato dentro, fin troppo nel profondo per poter mai tornare ad essere il ragazzino di un tempo. La sua espressione era al di là della cattiveria, al di là del dolore, al di là di ogni emozione umana…
Hermione lo scrutò e poi ricadde pesantemente sul pavimento.
“Sono l’esca per Harry?” chiese, senza guardarlo, con il tono di chi si aspetta di aver appena formulato una domanda retorica.
“Non spetta a me parlartene. Dovresti saperlo.”
“E allora perché sei qui?” gli chiese lei, alzando il viso.
Per un istante Draco sembrò interdetto, ma l’indecisione passò così rapida sul suo viso che nessuno avrebbe saputo dire se c’era veramente stata.
“Sonja.” disse semplicemente, come se questo dovesse spiegare tutto.
“Sei il suo custode? Se non volevi che la vedessi perché non le hai impedito di venire qui?!” era arrabbiata, ora.
Draco scosse la testa, di nuovo, sempre più stancamente.
“Non è controllabile. Nemmeno da se stessa. Non saprebbe dirti perché è venuta qui, perché si è trasformata, perché…” sospirò “lascia perdere, Granger. Dimentica di aver mai conosciuto ciò che è stata: non esiste più. Preoccupati di te stessa.”
“Sei stato tu a farle questo?”
Il mago biondo lasciò che il dolore che provava trasparisse un istante sul suo viso elegante; nessuno avrebbe mai potuto dire se l’avesse fatto intenzionalmente.
“Si, Granger. Sono stato io.”
E dicendo questo le voltò le spalle, il riflesso bluastro del mantello scintillò alla luce bassa del sotterraneo; con passo lento e misurato Draco si avviò verso la scaletta.
“Malfoy!”
Il ragazzo si fermò, ma decise di non voltarsi.
“Perché non hai ucciso Harry mentre era disarmato nel suo letto?”
Un suono simile ad una risata repressa uscì dalle labbra del mago.
“Analitica come sempre, Granger… perché gli ordini non erano quelli. Io eseguo, non discuto. È questo il mio ruolo nella storia. Un ruolo da codardo, ciò tu hai sempre pensato che fossi.”
Alcuni gradini li separavano già e la testa bionda di Draco già spariva nel buio della scaletta quando lo strillo di Hermione lo raggiunse: “Te ne pentirai! Ti pentirai di tutto, anche di quello che hai fatto a Ginny!”
Un sorriso troppo amaro per essere considerato tale piegò le sue labbra chiare mentre si allontanava con l’eco delle parole di lei ancora nelle orecchie.
Si… pentirsi. Scontare. Pagare gli errori con tanto sangue che ti sembra di non poter più vivere. Cosa sai tu di tutto questo, Granger? Con che diritto parli di pentimento tu, perfetta e coerente, tu che non sai cosa significa?

Have your heroes disappeared?

“Glielo lascerai fare?”

Draco si fermò a metà corridoio, gelato dalla voce sconosciuta che gli aveva sussurrato alle spalle; si voltò e scrutò l’ombra come aspettandosi un animale feroce.
Invece fu una donna ad emergere come un fantasma nella debole luminosità fumosa, una donna minuta ma resa imponente dal passo elegante e dall’alterigia con cui aveva calcato il tacco sulla pietra, producendo un suono stonato in quel luogo pieno di echi. La donna era vestita di scuro, e la pioggia di riccioli bruni si fondeva con il leggero mantello rendendo impossibile, in quella penombra, distinguere dove finivano gli uni e dove iniziava l’altro; il viso pallido e delicato non era che uno sfondo per due occhi scuri e profondi, veri protagonisti di quella bellezza quasi sovrannaturale. Occhi di mille segreti, disillusi e antichi, più antichi di quello che sembravano.
Draco si riscosse, ma stringeva ancora la bacchetta nella mano destra, immobile.
“Melissa, suppongo. Non ho mai avuto l’onore, di persona.” disse freddamente. “Cosa ci fai qui?”
La donna sfoderò un sorsetto quasi impercettibile, senza mostrare di accusare l’ostilità.
“Mi sono invitata per la cerimonia…” spiegò distrattamente, con una certa ironia ostentata che non lasciava trasparire nulla di ciò che la donna pensasse veramente.
“Mi sembrava di capire che non avresti lasciato Venezia per Lui.”
“Non sono qui per Lui” mormorò enigmatica “Allora, Draco… starai davvero a guardare?”
“Che cosa?”
Gli occhi di Melissa si allargarono di divertita curiosità.
“Non voglio credere che un uomo della tua intelligenza non abbia ancora capito cosa vuole fare Voldemort di tuo figlio.”
Draco strinse il pugno attorno alla bacchetta, irrigidendosi completamente.
“Come sai che è mio figlio?”

La risata cristallina dell’italiana percorse il corridoio, pietra per pietra, dando i brividi al ragazzo biondo di fronte a lei.
“Cielo!” esclamò Melissa, in italiano, “perdonami, Draco, ma proprio allora non sai nulla!?!”
Si ricompose e si avvicinò al ragazzo, frusciando nella lunga veste finemente ricamata; quando parlò di nuovo la sua voce era beffarda, ma senza crudeltà.
“Sono una veggente, mio caro. Lo dovresti sapere: credi che l’idea di spingere Sonja tra le tue braccia perchè concepisse un bambino, quella notte, sia nata dal nulla nella mente del caro Voldemort?”
Draco dovette fare forza su se stesso per reprimere l’istinto di ucciderla senza una parola di più.
“Ah si?” chiese, gelido e sferzante come il vento di quel lunghissimo inverno russo.
Melissa fece un gesto con la mano, come a scacciare un ragno da davanti al viso.
“Nicolaj sarebbe nato comunque, Draco. Non maledirmi e non maledire te stesso più di quanto tu non faccia già: io vedo il futuro, non progetto gli avvenimenti. Leggendomi nella mente le visioni, Voldemort può aver progettato come affrettare le cose, ma sarebbe successo, in un modo o nell’altro.”
“Non vedo come” commentò il ragazzo, con un’intensa amarezza che traspariva dalla voce fredda e indifferente.
“Non credi che Sonja ti avrebbe amato anche senza Imperius?” lo provocò la donna, con un sorriso più vecchio della sua età apparente, “sei ben poco consapevole delle tue doti, dunque.”
Draco si scostò, irrigidendosi sempre più.
“Sonja non può amare, non ne è più capace, non sa cosa significhi e non può vivere un sentimento simile. Questo tu dovresti saperlo, se con il tuo potere sei riuscita a vedere cosa sarebbe diventata.”
“Io so perfettamente cosa Sonja è diventata, e so, od ho intuito, molte altre cose che a te sembrano scioccamente sfuggire, mio caro Draco!” ribattè altezzosamente Melissa “Ma questo è iniziato in un momento ben preciso, non lo ricordi? Sonja era in grado di amare prima di quel momento, era capace di amare, soffrire, piangere, ridere… giusto?”
“Ginevra.”
Melissa lo guardò, interrogativa.
“Quella era Ginny, non Sonja.”
Per un attimo la donna rimase come interdetta, poi rise sommessamente.
“Oh, sono due persone diverse dunque! Quali altri giochetti ha partorito la tua mente per legarti sempre di più le mani tra loro, Draco?”
Il ragazzo sollevò il mento.
“Non fa differenza, comunque. Nessuna delle due mi ha amato.”
“Oh, e tu le hai amate entrambe, vero? Amate a tal punto da lasciarlo giocare con la sua anima contro la sua volontà. Amate a tal punto da lasciarla essere madre senza saperlo. Amate a tal punto da stare a guardare mentre Lui cerca di giocare anche con quella di vostro figlio...”

L’urlo secco di Draco rimbombò per il corridoio.
“Taci! Dannazione come sai tutte queste cose, maledetta!”
Melissa sorrise, per nulla spaventata.
“Le so perché le ho viste avverarsi molto prima che succedessero. Così come so che non farai nulla per impedirgli di fare di Nicolaj suo figlio… il suo vero erede.”
Il viso bianco del ragazzo pareva la maschera del dolore stesso, diafano contro la penombra insana del corridoio, contratto dall’ira e dalla sofferenza. La facciata di gelo era crollata, improvvisamente.
“Me l’ha portato via quando è nato, Melissa. Che motivo hai di rigirare il coltello nella ferita in questo modo? Non è un gran sforzo predire quello che è già successo.”
“Ciò che sta per accadere è irreversibile, Draco. Ma, al contrario di te, qualcuno può ancora giocare col proprio destino… qualcuno che sfugge al potere del futuro perché sfugge al potere del tempo stesso. Tu non hai potere sugli eventi, ma sei l’unico ad avere potere su di lei. Lo sai.”

E con questa frase enigmatica Melissa gli voltò le spalle e sparì di nuovo nel corridoio buio.
Draco rimase solo, con le parole che gli rimbombavano nella mente e la consapevolezza di vivere un incubo impressa nell’anima come un macigno infuocato.

Haven't I seen you here before?

Sonja.
Come solo lui l’aveva conosciuta: in piedi nel vento che agitava ciocche di capelli rossi sfuggiti alla treccia, fiamme fini di seta che la rendevano simile ad una furia, fuoco vivo ad incorniciare quel dolce viso da fata delle nevi, quegli occhi ardenti e dorati… ogni cosa di lei brillava crudelmente di una disperazione a cui non avrebbe mai saputo dare un nome.
A volte si era chiesto se fosse la magia che la legava in quel luogo fuori dal tempo a renderla così assurdamente bella… o forse era lui a vederla sempre come attraverso un cristallo di ghiaccio, che sfuoca e rende smaglianti i colori e scintillanti le lacrime che i meravigliosi occhi di lei non potevano versare.
Il bracciale violaceo sfolgorava di una luce malvagia nel riflesso del crepuscolo sulla neve, su quel terrazzo gelato su cui lei stava immobile, in piedi, come a gridare senza voce il dolore che non riusciva a sentire. Tutto attorno a lei non era che paradosso, assurdo dolore e ossessione disumana.

Senza potersi trattenere posò le mani sulle spalle esili della ragazza e la fece appoggiare al proprio petto, con delicatezza, come per riscaldarla, ma senza trattenerla. Lei rimase lì, ferma e quasi rigida, senza dire nulla e, probabilmente, senza capire quel gesto di affetto.
“Se tu tentassi di ricordare chi sei forse non potresti vivere…” le sussurrò.
“Sto vivendo ora? È così che si chiama questa confusione?”
Un mormorio nel vento, come quell’eco di un passato che in certi momenti sembrava voler affiorare dalla nebbia… ma il vento era sempre troppo forte per lasciar udire le parole, e la nebbia troppo fitta per lasciar vedere un viso.
“Non lo so, Sonja.”
Sonja si voltò a guardarlo, gli occhi talmente scuri nella penombra che l’oro che li pervadeva non era che un debole riflesso, o forse un ricordo. Per la prima volta fu lei a distogliere lo sguardo e, come se il gesto le venisse spontaneo, ma non riuscisse a capirne il senso, gli prese una mano e rimase a guardarla, bianca tra le sue, altrettanto bianche; con gentilezza, e senza riuscire a nascondere un lieve tremito, Draco mosse la propria mano, mostrandole come intrecciare le dita e trarne calore.
“Andiamo.”
“Dove?”
“Dove puoi dimenticare anche quel poco che sai.”

“He touched my cheek with one fingertip and came away with a single tear trembling on the end of his finger. He raised it to his lips, the top of his tongue licked it off his skin. –You taste like your heart has broken, ma petite.-“
Laurell K. Hamilton
“The killing dance”

****************

Velocemente ringrazio tantissimo tutti quelli che hanno recensito, anche se è passato tanto tempo! Quelle pazze di Savannah, Euridice e la terza camionista prima di tutto: ragazze vi voglio bene, anche se voi siete arrabbiate con me perché faccio soffrire sti poveri cristi! Non so come avrei fatto i primi giorni qui da sola senza di voi! Ithil (sono sempre molto contenta quando qualcuno commenta la scelta delle citazioni), Serena89 (anche tu come Draco hai separato Sonja e Ginny… la tua recensione è stata divertentissima), Blast (Draco-vegeta-supermichiapower… ma te le sogni di notte!?!?), Saty (prova con Carmina Burana per la parte nel sotterraneo e con “Bang Bang” di Nancy Sinatra per la parte iniziale su Hermione… ci siamo gia sentite e comunque, un bacio!), Sally90 (che recensione ispirata! Mi hai lusingato! Grazie!), Mirai, Maharet, Ramona55 (una delle recensioni più belle che mi sia capitato di ricevere, sei eccezionale! E… complimenti per l’intuizione. Non posso dire altro. Grazie per le tue parole bellissime!) e Ethel. Spero di non aver dimenticato nessuno!
Ringrazio davvero anche chi ha recensito la one-shot si Ron ed Hermione e la mia storia originale (“Exile”). Grazie!

   
 
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