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Autore: Duir    23/03/2006    2 recensioni
...può un uomo costringere un suo simile a fargli da schiavo? Indubbiamente si......ma può un uomo costringere un mutante a fargli da schiavo? Indubbiamente no.....e se si trattasse di una donna? ps. volevo dire che non ho mai letto i fumetti e che mi baso su quanto ho appreso dai due film.....perdonate se ogni tanto faccio di testa mia :P
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La neve scendeva silenziosa e fredda, adagiandosi un po’ dappertutto. Sovente un vento freddo e tagliente spirava, facendo mulinare i candidi fiocchi, che prendevano strane vie, salendo nel cielo notturno e coperto per poi scendere nuovamente sul manto candido che già copriva i tetti delle case, le automobili, i marciapiedi. Nulla si udiva in quella bianca quiete, nemmeno i passi di qualcuno che, approfittando delle tenebre, si addentrava nel viale fiancheggiato da alti platani, spogli e scheletrici. Le nuvole correvano veloci nel cielo invernale, spruzzando la loro bianca polvere magica sull’erba dei giardini ben curati delle piccole ville, sulle colonnine dei cancelli, sulle siepi potate di fresco, coprendo la sua avanzata. Quanto era accaduto solo poche ore prima lo rendeva cieco d’una furia irrefrenabile e le ferite ancora bruciavano, stillando gli ultimi residui di sangue. Quel maledetto! Era riuscito a scamparla! Gliela aveva fatta ed ora avrebbe dovuto sciupare energie preziose per ritrovarlo! Colto da un improvviso scatto d’ira, assegnò un pugno al tronco dell’albero più vicino, mentre la coda fendeva l’aria, in uno spasimo violento. L’idea che quel cialtrone fosse ancora in vita lo devastava nella mente, lo rendeva colmo d’una pazzia incontrollabile, che gli serrava la mascella in una smorfia di disgusto e vendetta. Procedendo in quello stato, non si era reso conto che intanto si era inoltrato nel vialetto e rischiava di essere visto da occhi indiscreti; o meglio se ne era accorto, ma la cosa a quanto pare non lo disturbava più che tanto, poiché avrebbe sfidato chiunque a tenergli testa in quel momento. Un sordo ruggito gli salì dalla gola, mentre s’apprestava ad assestare un destro al muro di fronte a lui: l’impatto provocò uno colpo sordo, che destò un cane probabilmente di guardia dall’altra parte del muro. Profondi latrati echeggiarono amplificati tra le pareti delle case, facendolo inaspettatamente sobbalzare. –Maledizione a te, bestia rognosa!- sibilò, mentre già la sua mente perversa gli suggeriva cosa farne di quella scomoda creatura; lentamente si avvicinò all’alto cancello di rame cesellato, scrutando attraverso il fitto motivo floreale. Di dentro si levò un ringhio sordo e basso, seguito da un ennesimo profondo latrato, mentre il cane correva verso il cancello nell’istinto di difendere il suo territorio. Due sguardi si incrociarono e la notte fu squarciata da un sibilo, seguito da uno schiocco e da un uggiolio pietoso. Un corvo venne a posarsi sulla cancellata di fronte, lanciando il suo lugubre richiamo alla volta del cielo novembrino; riflesso nei suoi occhi scintillanti, l’uccello lo fissava tranquillamente, scevro da qualsiasi presentimento e si limitò a spiccare il volo in risposta ad un suo ennesimo fremito di stizza. Respirò pesantemente, appoggiandosi al tronco umido di un albero; quello che aveva compiuto poco prima lo aveva rinfrancato, ma ancora non riusciva a sopportare l’affronto subito! Come era riuscito quel pivello a difendersi! Come aveva fatto a sopravvivere al suo micidiale veleno! –Dannazione!- ruggì e già s’apprestava ad assestare l’ennesimo pugno al platano più vicino, quando qualcosa attirò la sua attenzione: nel centro di un piccolo patio di fronte a lui, un mandorlo, prima secco e avvizzito, ora risplendeva di una fulgida candida chioma, mentre l’aria attorno era pregna di una nebbia bianca e spessa, che lo avvolgeva in lunghe spire. In quell’istante tutta la sua spavalderia e arroganza crollarono, di fronte alla vastità di quell’apparizione; l’intero giardino, prima incolto e spoglio, ora risplendeva dei colori di mille fiori diversi, del verde di foglie ed erba novella, sprigionava tenere e delicate fragranze di una inverosimile primavera. La nebbia avanzava imperterrita, penetrandogli dentro, nelle ossa, nelle viscere, stringendoglisi attorno, gelando ogni molecola del suo corpo. Ora non vedeva altro che una spessa coltre opalescente attorno a sé, in cui strane luci iniziavano a baluginare di lontano. Spire contorte gli salivano alla volta del torace, gli si avviluppavano intorno al collo e alle caviglie, simili a centinaia di braccia, coperte da biancastri panneggi, stringendo la presa ogni attimo che passava. Improvvisamente fu come se veramente una mano lo prendesse per la gola, la vide distinta e chiara, il braccio posato sul suo petto, le lunghe dita diafane strette attorno al suo collo. –Piantala di fare l’imbecille, maledetta!- riuscì infine a gridare con fare isterico, mettendosi con un balzo fuori dalla portata di quella letale foschia. Detestava ammetterlo, ma tra le cose che realmente lo mettevano a disagio, il sentirsi costretto e braccato era al primo posto e forse era l’unica sua vera paura, soprattutto se a farlo era una donna. Il cuore gli pulsava nelle tempie, mentre con respiro affannato scrutava attraverso la spessa cortina fuligginosa; attorno le ortensie e gli oleandri scintillavano di incredibili colori, ma neanche un’ape e una farfalla vi si posavano, a prova che era tutto un affascinante incubo. I platani si ricoprivano di tenere foglie, ma nemmeno il canto di un uccello ad allietare l’aria. Era sempre inverno, nonostante le note di una inquietante primavera ora risuonassero tutt’attorno. Immerso in quella scena raccapricciante, si sentì improvvisamente mancare. –Allora la smetti?!- riuscì a strillare infine, obbligandosi a non perdere il controllo. Lentamente la gelida bruma si diradò, sciogliendosi in lattiginose volute; contemporaneamente lo splendore dei fiori e delle foglie si spense, come se tutto fosse stato solo una perversa allucinazione. Là, dove prima si stendeva il niveo mare diaccio, ora una giovane alta e sottile rimaneva immobile, le scure iridi fisse dinnanzi a sé. I lunghi capelli corvini fluttuavano nella fredda aria invernale, così come i lembi del suo mantello argenteo. –Allora siamo un po’ nervosi, Himsa? Non è consigliabile farsi prendere dal panico, non ti pare?-. Il tono beffardo di quella voce lo colpì come una rovente stoccata e con un movimento fulmineo mise la nuova arrivata con le spalle al muro. La donna non si scompose, ma si limitò a fissarlo negli occhi: nell’intensità di quello sguardo glaciale egli vide l’irrazionalità dei suoi incubi più spasmodici concretizzarsi, vide le sue paure più inconfessate tramutarsi in concrete apparizioni, mentre ogni sua aspettativa veniva spazzata via come un mucchio di foglie morte: una donna ora correva nell’oscurità di una strada dissestata, guardandosi indietro con occhi sbarrati dal terrore; il volto era straziato da un pianto convulso, le braccia serrate sul giovane petto a stringere un fagotto da cui proveniva un pianto disperato. L’immagine lentamente lasciò il posto al buio e a voci fredde e controllate, impegnate in complicati discorsi e poi ci fu freddo, tanto freddo, gelo e il dolore iniziò a farsi sentire, bruciante come mille tizzoni ardenti a contatto con la pelle. Rumori metallici, odore pungente, penetrante, che annebbia il cervello, ghiaccia lo stomaco, comprimendolo in uno spasimo. La fine del tempo, il blocco totale di ogni funzione vitale, il respiro si attenua, il cuore si ferma, l’anima lotta per restare in quel corpo che è suo dal primo raggio di luce……-Smettila dannata!-. Himsa riscossosi da quelle visioni agghiaccianti cadde bocconi sulle ginocchia, con gli occhi ancora sbarrati a fissare un punto indistinto dinnanzi a sé. Sebbene tentasse disperatamente non gli riusciva di trattenere il fremito che ora si era impossessato del suo corpo come se un filo dell’alta tensione vi si fosse radicato. La donna rise beffarda, notando il rapido cambiamento che si era generato in lui in soli così pochi attimi, poi avanzò di alcuni passi e inginocchiatasi lo sollevò di peso con ambo le mani, costringendolo a rimettersi in piedi. –Avanti moccioso! Non c’è tempo per tergiversare, entrambi abbiamo una missione da compiere e siamo già in svantaggio!- disse con velenosa dolcezza la giovane donna. Nei modi con cui trattava il ragazzo traspariva, attraverso le maniere fredde e scostanti, una nota di strana ed insolita delicatezza e quasi si poteva pensare che un ancestrale ed arcano legame congiungesse le loro esistenze. Le melliflue e venefiche parole lo riportarono alla sua malsana razionalità. –Moccioso?!- sbottò, liberandosi con uno strattone dalla presa – Come ti permetti stupida donna! Tu sei al mio diretto servizio Kala, ricordatelo o devo provvedere a rammentartelo?- sibilò furente, levando alta la coda sopra la testa. Kala fu sul punto di ribattere, ma si limitò ad un profondo sospiro di resa, che parve accomodare momentaneamente le cose. I due rimasero l’uno di fronte all’altro, in un forzato e rancoroso silenzio, squadrandosi a vicenda; infine, il demone stufo di sprecare energie utili tagliò corto: - La prossima volta che ti viene in mente di rammentarmi il passato pensaci su due volte farabutta, perché potrebbe essere l’ultima!-. Kala scostò un ciuffo corvino dal volto eburneo, mentre i suoi occhi color dell’ambra si illuminavano di una luce sinistra. –Ti credi tanto potente Himsa, non è così?- il demone le diede per tutta risposta le spalle, incrociando le braccia; la donna continuò con tono serio: - Forse te lo sei dimenticato nella tua incontenibile smania di potere, ma devi a me la tua esistenza su questo pianeta!-. Il volto di Himsa si storse in una smorfia di scherno – Tu? Tu non sei nulla confronto a me, solo una spina nel fianco!-. Kala non poté sopportare oltre: scattò in avanti afferrandolo per la gola e sollevandolo da terra – Fai attenzione a come mi parli ragazzino! Tua madre mi ha implorato di badare a te in punto di morte e così io ho fatto. Io ho fermato il tempo quando tu e quel peso di tuo fratello siete stati abbandonati, io ti ho cresciuto facendoti assorbire l’energia negativa che ti serviva per svilupparti! Credi che me la spassassi a strappare cuori umani dalle loro cavità, a rubare il passato più crudele e feroce per vederti giorno dopo giorno diventare così…..orrendo! Eri tu la spina nel fianco, viscido ranocchio!-. Silenzio. Il vento ora soffiava più forte e la neve aveva cessato di cadere. Intorno gli spenti occhi delle massicce case li fissavano assenti. La donna lo costrinse a fissarla ancora una volta negli occhi e di nuovo i loro sguardi si fusero assieme, sguardi così diversi e tuttavia uguali a modo loro. Infine, lo posò con malagrazia al suolo e questi si allontanò imprecando e massaggiandosi il collo. Stette a fissarlo a lungo, con profondo rancore e disgusto, ma al contempo con una inesplicabile amorevolezza che sentiva uscire da qualche anfratto del suo logoro cuore. Percorse i suoi tratti grotteschi ma delicati allo stesso tempo, risalì le gambe flessuose, il torace asciutto e slanciato, il profilo stranamente nobile. In sé odiava e amava quella figura, sopportava le maldicenze, le angherie, poiché strani sentimenti percorrevano la sua mente dopotutto ancora giovane ogni qualvolta si soffermava a guardarlo. – Piantala di fissarmi, lo sai che non lo sopporto!- - E chi ti dice che lo sto facendo! Mi stai dando le spalle! Inoltre hai violato una delle regole fondamentali del combattimento: mai dare le spalle all’avversario….anche se questi è una donna!-. A quelle parole Himsa parve nuovamente allarmato e temendo il peggio si voltò verso di lei, non riuscendo a nascondere l’espressione da principiante. Kala lo guardò seria, poi storse la bocca in un sorriso divertito in cui scemò la breve tensione che si era già impadronita del cuore di Himsa. – Ci caschi presto! Lo avevo detto io che sei solo un moccioso vile e viziato!- - Tu mi hai cresciuto! Sei tu che mi hai viziato! Potevi lasciarmi crepare nel punto in cui mi aveva lasciato mia madre!- - Sei un ingrato Himsa! Un moccioso e anche un ingrato!- - La sola gratitudine la devo a chi mi ha generato e non si tratta di mia madre! Allora perché non rispondi, ti ho fatto una domanda!-. Un ennesimo silenzio fu la risposta, poi la sguaiata risata del demone risuonò nell’aria gelida.- Vedi? Tu non puoi fare a meno di me! Sei la mia schiava!- sbottò. – A proposito…è fuggita!- concluse la donna, dandogli per un attimo le spalle, nascondendo lo scintillio di lacrime che balenava nei suoi occhi dorati. Himsa non batté ciglio e si limitò a ringhiarle contro un – Ritrovala!-, poi aggiunse – e procurami anche un esercito, in fondo lo hai detto tu: non c’è tempo da perdere!-. Senza voltarsi Kala avanzò dinanzi a lei e di nuovo la nebbia avvolse ogni cosa, finché della giovane non c’era più traccia. Rimasto solo, Himsa non poté trattenersi dal sospirare di sollievo; conosceva Kala, ma non abbastanza da tenerle ancora testa. Il come ella riuscisse a dominare il tempo gli era cosa oscura e così pareva dovesse rimanere, almeno per il momento. Ora doveva trovare il modo per scoprire dove si nascondeva colui che stava cercando e soprattutto il modo con cui lo avrebbe stanato. Uscendo da viale alberato si ritrovò nuovamente di fronte il vicolo da cui poco prima era uscito; il vento soffiava forte, infilandosi nella stretta apertura, facendo volare i sacchi delle immondizie e i coperchi dei bidoni, investendolo con la sua gelida morsa….ma egli non percepiva alcunché, poiché ora i suoi occhi stavano fissando il muro imbrattato e nero di smog. Tra le macchie di calce scrostata svolazzava l’ultimo brandello di quello che poco tempo prima doveva essere stato il magnifico manifesto pubblicitario di un circo. Sopra, dipinta con cura, c’era una scritta che ora si stentava a leggere, ma che una figura nera, dai grandi occhi luminosi e dalla coda forcuta faceva ben intendere. Poco dopo una risata di dileggio riecheggiava nel vicolo e solo un occhio attento avrebbe notato la nube bluastra che aleggiava nell’aria.
  
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