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Autore: Reghina    20/07/2011    6 recensioni
“Io sono Marco. Un amico di Ace”.
“Che vuoi da me?”.
“Solo una chiacchierata. Niente di più”.

Dopo la Guerra, i funerali, i pianti, le urla disperate, Marco aveva dovuto riorganizzare la ciurma. Ace si era sacrificato per fare in modo che Rufy potesse continuare il suo viaggio e raggiungere il suo sogno, quel sogno che il giovane non aveva avuto scrupoli a gridare davanti tutta la Marina, la Flotta dei Sette e a decine di ciurme rivali. Il ragazzino che Marco voleva conoscere.
MarcoxRufy.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Marco, Monkey D. Rufy
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!
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Andò a trovarlo più volte di quante si aspettasse.
Sarebbero potute sembrare una droga, quelle visite impreviste in cui Rufy accoglieva Marco sempre con un sorriso melanconico, ma non v'era nulla di nocivo nel loro vedersi.
Al Comandante della Prima Divisione quel ragazzetto ricordava molto Ace, con i suoi sorrisi e i gesti d'affetto spontanei che lasciavano senza parole.
L'aria sperduta di un pulcino abbandonato che alle volte prendeva il sopravvento era tale e quale a quella del figlio di Roger le prime volte sulla Moby Dick, così come uguali erano i ghigni decisi e determinati che ora illuminavano il volto di Rufy come prima avevano illuminato quello di Ace.
Così uguali, Marco a stento riusciva a ricordarsi che i due possessori della D non erano davvero fratelli e, infondo, non si sforzava neanche per tenerlo a mente, perché infondo il sangue non era mai stato così importante, per lui come per tutti nella ciurma di Barbabianca.
Forse il motivo che spingeva ogni volta la Fenice a recarsi in quell'isola ove il clima cambiava praticamente una volta alla settimana – passando dal caldo torrido dell'estate al freddo gelido dell'inverno, saltando poi all'umido dell'autunno e ai pollini della primavera, solo per poi tornare ancora una volta alla neve e improvvisamente al sole – era rivedere il ricordo di Ace attraverso Rufy.
Probabilmente allo stesso modo, in Marco il giovane pirata cercava la sicurezza che aveva sempre trovato in suo fratello e in quelle spalle che di volta in volta, man mano che cresceva, si avvicinavano a lui sempre di più, fin tanto da essere raggiunte per poter correre al fianco del figlio di Roger invece che dietro come sempre.
La prima volta in cui le loro labbra si erano incontrate, era stato molto particolare e strano.
Il Comandante non aveva mai baciato un ragazzo, Rufy non aveva mai baciato e basta.
A chiederlo, né l'uno né l'altro avrebbero saputo spiegare come mai quindi fossero arrivati bocca a bocca, sfiorandosi come bambini timidi che non sanno da che parte iniziare – ed infondo era così – solo per poi ancorarsi all'appiglio roseo che veniva loro offerto, quasi uno scoglio nel bel mezzo di un maremoto.
Ed era ben probabile che nell'animo di entrambi vi fosse in atto una vera e propria rivoluzione, con onde che si abbattevano feroci contro isole immaginarie fino a travolgere tutto al loro passaggio, distruggendo anche le abitazioni di cemento più solido, spazzando via ogni certezza come il vento spazza via le foglie ormai cadute dai rami sicuri.
Avevano perso entrambi un fratello, maggiore o minore non aveva importanza, semplicemente perduto in un lutto che pareva destinato a durare in eterno nella confusione di bocche che non hanno idea di come si sono scontrate, ma che non vogliono nemmeno lasciarsi, quasi avessero trovato la metà mancante, ma sbagliata.
Perché infondo, forse, quel bacio era per Ace e per il suo sorriso spontaneo, che fosse un ghigno combattivo o una smorfia imbarazzata.
A lui però non potrà mai più essere dato, per fargli intendere che non aveva bisogno di cercare un motivo per vivere, poiché era speciale e loro lo amavano, abbastanza da mandare all'aria tutto quanto per correre da lui e affrontare chicchessia pur di riaverlo.
Se esistesse un aldilà, né Rufy né Marco esiterebbero un secondo a recarvisi per riprendere l'adorato fratello perso così ingiustamente.
È con ferocia e rabbia che quindi si avventano uno sul corpo dell'altro, mordendo e leccando, forse solo graffiando e gemendo ed urlando maledizioni al mondo intero che gli ha tolto un pezzo d'anima, il più importante di tutti.
Dopo quella volta, il Comandante della Prima Divisione aveva pensato di non tornare più.
I graffi non rimanevano sulla sua pelle, i morsi sparivano come neanche fossero stati fatti, eppure l'odore seducente di quel piccolo corpo di gomma non lo lasciava.
Non si capacitava di ciò che avevano fatto, avvinghiati in una caverna qualsiasi, corpi che bramano distruggersi, indignati dalla loro incapacità per non aver salvato quel pezzo d'anima andato perduto.
Era stato accolto facilmente: nonostante per Rufy fosse la prima volta, il corpo di gomma del ragazzo non aveva faticato ad aprirsi per lui, come un fiore che sboccia lasciando all'ape il permesso di nutrirsene.
Uno schiudersi pudico, mentre molto meno innocente erano stati i suoni dei loro gemiti uniti, avvolti dalla sensazione nuova ed appagante che aveva stretto entrambi i loro corpi, riempiendo per un attimo l'immenso vuoto che era stato lasciato.
Non era stato dolce, né tenero, l'intreccio di arti che si era creato nel mezzo dei vostri fiati caldi e veloci che non si regolarizzavano, come i vostri cuori che battevano veloci ma mai in sincronia.
Scoordinata unione di due bestie a caccia che non sanno come sono finite in quella situazione che però vogliono terminare, in morsi famelici che paiono voler strappare la pelle, come si accusassero a vicenda di non aver fatto abbastanza quel giorno.
Per questo Marco aveva pensato di non tornare più su quella strana isola dalle mille stagioni – come mille erano le sfaccettature di Rufy, tante quante le stelle del cielo e i climi di quel luogo che Ray aveva scelto per allenarlo.
Uno scintillare di fiamme blu e azzurre che si spengono, con residui verdi che paiono richiamare le foglie degli alberi in quel momento spogli e mezzi congelati a causa della neve.
La zampa della fenice ritornò un piede fasciato dalla scarpa aperta e nonostante il gelo del morbido manto bianco si posò senza esitare, seguito dall'altro.
Marco si guardò intorno, cercando la figura minuta di Rufy in quell'immensa distesa.
Trovare un ragazzino in un luogo così grande, anche se non troppo rispetto ad altri, sarebbe potuto risultare difficile se non fosse stato che il giovane dal cappello di paglia sarebbe riuscito a farsi notare anche in una folla infinita di persone.
Un tonfo sordo, poi fumo dal mezzo della foresta, una colonna grigia che pare quasi gridare al Comandante che è lì il giovane che cerca.
Marco spiccò nuovamente il volo, dirigendosi verso quel punto.
Si era promesso di non tornare più in quell'isola.
Eppure, Rufy, era come una calamita che lo attirava irrimediabilmente, quasi possedesse un centro gravitazionale.
Infondo, una promessa non detta anche se verrà infranta, non potrà ferire nessuno.

   
 
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