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Autore: LivingTheDream    21/07/2011    3 recensioni
"Se mai uno di loro avesse mai pensato che io fossi all'oscuro di tutto, si sbagliava di grosso. Sono come dei figli per me, come io una madre per loro. Il dottore – a parte noi – è totalmente solo; Holmes, a parte Mycroft, lo stesso.
E ad una madre, per quanto stolta essa sia, non si nasconde un figlio innamorato."
Le donne non sospettano mai. Loro sanno. [cit. Miss Adler]
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nda: La citazione nell'introduzione “Le donne non sospettano mai. Loro sanno.” Appartiene al terzo capitolo della fanfiction “L'amore che non osa pronunciare il suo nome” di Miss Adler. – La mia adorata Miss Adler. –

 

E questo è spam bell'e buono. Infatti, correte a leggere a fic. – dopo questa, ovviamente! –

Come al solito ho anche stavolta una canzone di sottofondo: Last night, Good Night by Kaito e Miku Hatsune.

Buona lettura, Alex.

 

 

Salii lentamente anche la seconda rampa di scale, facendo molta attenzione a non fare troppo rumore.

Dopotutto erano solo le sei del mattino, e Baker Street era ancora immersa in un torpore generale che nessuno si sarebbe sognato di svegliare.

Mi fermai per un secondo – non riuscivo più a salire quei gradini con l'agilità di un tempo. Mi incamminai lungo il primo piano, e, dopo aver sorpassato la porta dello studio abbassai lentamente la maniglia della camera del signor Holmes.

La sera prima era tornato a casa, e con lui anche il dottor Watson. Non sapevo precisamente a che ora si fossero ritirati – avevano avuto così tante cose da dirsi che non osai interromperli.

Era passata un'intera notte ed avevo ancora gli occhi arrossati per il pianto di gioia nel rivedere il mio inquilino dopo quei tre lunghi anni di assenza.

Bussare era inutile, era impossibile che fosse già sveglio. Entrai nella stanza, misurando i passi e tastando l'impiantato per evitare di far scricchiolare qualche asse del pavimento.

Mi diressi verso la finestra, socchiudendo leggermente le tende e lasciando entrare giusto uno spiraglio di luce, che rivelò il turbinio frenetico del leggero strato di polvere che aleggiava nella stanza.

Mi diressi verso una poltrona dove giacevano ammucchiati vari indumenti, e mi soffermai qualche minuto per suddividerli a seconda del loro proprietario.

Poggiai il redingote di Holmes sul bracciolo e i pantaloni del dottore sullo schienale, fermandomi a metà del tappeto per raccogliere una camicia ed un fazzoletto da taschino.

Prima di uscire volsi un'ultima occhiata alla stanza, soffermandomi sul piccolo letto addossato alla parete.

Il dottor Watson giaceva supino, a suo agio in una camera non sua, con il braccio sinistro che pendeva scoperto fuori dalle lenzuola; quello destro, invece, avvolgeva le spalle del signor Holmes, che aveva il capo poggiato sul petto del primo.

Un sorriso mi nacque spontaneo sulle labbra osservando le loro espressioni pacifiche e serene – nulla avrebbe potuto turbare la loro felicità, in quel momento. Mi soffermai sulla mano del signor Holmes ancora immersa nei capelli dell'amico, sull'espressione rilassata del dottore – ben lontana da quella di una persona afflitta da incubi.

Se mai uno di loro avesse mai pensato che io fossi all'oscuro di tutto, si sbagliava di grosso. Sono come dei figli per me, come io una madre per loro. Il dottore – a parte noi – è totalmente solo; Holmes, a parte Mycroft, lo stesso.

E ad una madre, per quanto stolta essa sia, non si nasconde un figlio innamorato.

Il fatto che l'essere entrambi due gentiluomini fosse sbagliato non mi sfiorò la mente nemmeno per un istante; il loro amore mi sembrava molto più puro di quelli di uomini senza scrupoli che fingono assidui corteggiamenti solo per impossessarsi della dote di povere donne.

Sentii la porta della stanza dove alloggiava una cameriera tirocinante aprirsi, e decisi che era meglio non metterla al corrente della situazione per ovvi motivi. Avrebbe potuto scambiare la porta della camera con quella dello studio, e magari era meglio evitare complicazioni.

Mi chiusi la porta alle spalle, girando la chiave nella serratura e facendola poi scivolare sotto l'uscio.

Tornai in cucina a preparare loro la colazione, dato che molto probabilmente si sarebbero svegliati presto.

Poco dopo, infatti, sentii i passi frettolosi del signor Holmes scendere le scale.

«Buongiorno, Mr. Holmes. Desidera il giornale?» chiesi, rivolgendogli il mio solito sorriso materno.

«Oh, grazie, Mrs. Hudson. Ho proprio bisogno di vedere che Londra è rimasta sempre la solita anche senza di me.»

Continuai a cucinare, in attesa del dottor Watson.

«Oggi volte mangiare in cucina?» mi rispose con un grugnito affermativo, ed iniziai ad apparecchiare.

Pochi minuti dopo scese anche l'altro inquilino, ed il suo passo alternato ed incerto era rassicurante. Mi fece sentire come se tutti gli anni in cui Baker Street era vuota non fossero mai esistiti.

«Buongiorno, Holmes. Mrs. Hudson.»

«Buongiorno, dottore.»

«Watson! Dormito bene?» sorrisi senza farmi vedere quando il dottore rispose affermativamente.

Mi diressi per qualche minuto nell'altra stanza, per lasciare loro il tempo si salutarsi come si deve. Quando rientrai stavano bisbigliando qualcosa.

«Non si preoccupi, so benissimo chi è stato.» rispose Holmes ad alta voce «La nostra cara Mrs. Hudson mi conosce, ma non sa ancora come entrare in una stanza senza lasciare impronte ovunque.»

Presi la padella con le uova ed iniziai a servirli.

«Non ho mai detto di voler fare qualcosa di segreto, Mr. Holmes.»

«Buon per lei, di certo la carriera criminale non fa al caso suo!» continuammo a scherzare mentre il dottor Watson rimase immobile, allibito, ed il suo sguardo saltava velocemente da me al suo camerata.

Quando ricollegò le cose sentii l'altro ridere alla vista del suo volto paonazzo.

«M-ma qu-quindi le-le-lei è-è entrata in camera di-di Holmes, stamattina?»

«Se non chiudete a chiave, con Madeleine in giro, rischiate qualche guaio,» mi pulii le mani sul grembiule, poi alzai la testa «o sbaglio?»

Alla vista del mio ampio sorriso e alle mie parole, il dottore percorse quei pochi passi che ci separavano e mi abbracciò, abbassandosi per compensare la differenza di altezza.

«Grazie.» mormorò al mio orecchio, e io ridacchiai, commossa.

Mr. Holmes chiuse il giornale, avvicinandosi a noi due e cingendo i fianchi dell'altro con un braccio.

Per la prima volta lo vidi sorridere con i miei occhi, sollevato e soddisfatto.

Mi allontanai di nuovo dalla stanza, voltandomi sulla soglia per osservare – non vista – il seguente abbraccio.

Ancora oggi non posso fare altro che pregare ed augurare a questi miei figli loro tutta la felicità e l'amore possibili.

Perché loro se lo meritano, ne sono sicura.

Una madre non sbaglia mai.

 

   
 
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