Note: Questa è la "sorpresa" che intendevo l'altro giorno. So perfettamente di avere un'altra long iniziata, ma l'ispirazione è arrivata inprovvisamente e ho cominciato a scrivere anche questa. Vederla rinchiusa nei meandri del mio pc mi faceva soffire *sigh* così ho deciso di pubblicarla. Alternerò questa e l'altra (ovviamente prima If i were a girl. ) sperando che ne esca qualcosa di buono, lol. E' un AU, quindi anche stavolta mi sono gestita come mi tornava meglio *viva me* , ma ci tengo comunque a precisare alcune cose:
Età: Minho 25 anni / Onew 27 anni / Jonghyun 26 anni / Key 23 anni / Taemin 17/18.
Capelli: (si, sono una maniaca per queste cose. ci tengo che l'immagine dei personaggi sia ben chiara, lol.) Minho & Jonghyun // Key // Onew // Taemin
Non mi pronuncio sulle probabili coppie, perchè ancora non ho niente di ben definito, Okay, fine delle mie inutili chiacchere, buona lettura!
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Work It Out, Baby.
1.
Il
caldo estivo
sembrava essere scoppiato senza nessun preavviso e chiunque, compreso
Minho, si
era trovato impreparato. Messi via i vestiti invernali, aveva
sostituito
accuratamente ogni sua camicia per la primavera, con quelle ancora
più leggere
per l’estate. Tutte rigorosamente bianche o, giusto per
esagerare, azzurre
chiare. Le sue giacche eleganti erano tutti riposte accuratamente
nell’armadio,
mentre i pantaloni coordinati di ogni singolo completo si trovavano in
un altro
scomparto. Le scarpe, nere e lucide, erano tutte riposte nella maniera
più
ordinata possibile nelle varie scarpiere. Infine, le cravatte, piegate
senza
una grinza in appositi ripiani, arrotolate. Tutto nel suo armadio era
organizzato con la massima precisione e cura, niente era fuori posto.
Regolarmente,
tutte le settimane, due volte, la donna delle pulizie veniva a pulire
l’appartamento. Minho abitava solo, in un grande palazzo nel
centro di Seoul.
Un palazzo di lusso, di venti piani, moderno, e con appartamenti
spaziosi e
ampi. Forse anche troppo grandi per lui, che viveva solo. Minho aveva
venticinque anni, una carriera ben avviata come manager per una
società
sportiva e soldi a volontà. La sua macchina, una delle
più costose sul mercato,
gli era stata regalata per il suo compleanno dal suo migliore amico,
nonché
fidato azionista della compagnia: Lee Jinki. Insieme, da bravi amici
– e cugini
di terzo grado – avevano preso le redini della compagnia di
famiglia,
portandola al massimo del suo splendore.
Minho
era sigle,
e di ragazze – anche se poteva averne come se piovesse
– non ne voleva. Stava
bene da solo, nel suo attico, ad allenarsi e rilassarsi dopo una
giornata di
duro lavoro. Non aveva tempo – e voglia- per cercarsi
qualcuno con cui passare
i proprio giorni. La compagnia, lo sport, il suo fisico. Ecco
ciò di cui aveva
bisogno. Tante – troppe – volte Jinki lo
rimproverava di non avere ancora una
compagna.
“La
famiglia è
importante quanto l’azienda. E sai bene come un erede,
specialmente se maschio
e figlio tuo, sarà un giorno fondamentale per mandare avanti
la baracca.” Ogni
volta che Jinki diceva questa frase, dava una leggera pacca sulla
spalla a
Minho, sorrideva e poi imbarazzato continuava dicendo “Beh,
forse dovrei essere
l’ultimo a parlare, visto che sono solo quanto te. E ho due
anni in più!”. E
Minho si limitava ad annuire, in silenzio. Non era un tipo di molte
parole,
lui.
-
Si
abbottonò con
cura tutti i tutti i bottoni della camicia, prese una cravatta
– la più
elegante e sobria di tutto il creato – e
l’annodò. Poi piegò il colletto,
allacciò le scarpe con cura, le lucidò sulle
punte e infine si infilò la giacca.
Poi prese la propria borsa, di pelle lucida e nera, contenente il pc
portatile
e tutte le varie scartoffie che aveva dovuto portarsi a casa il giorno
prima,
perché non aveva finito in tempo di firmarle in ufficio. Si
avviò verso la
porta, la aprì, e poi uscendo chiuse
l’appartamento a doppia mandata: aveva il
terrore dei ladri. Scese le scale, un po’ correndo,
perché era leggermente in
ritardo. Si diresse poi verso il garage, dove trovò la sua
auto: perfetta e
pulita come non mai. La aprì, montò e mise in
moto.
Arrivato
al suo
ufficio, parcheggiò la macchina, per poi dirigersi verso il
cancello
d’ingresso. Il palazzo dove lavorava era immenso, grande
almeno il doppio di
dove abitava. Intorno c’erano vari giardini e uno strada lo
collegava con la
zona economica della città. Posizione strategica, proprio
vicino alle altre
grandi compagnie.
Il
portire gli
aprì la porta, inchinandosi. Minho rispose con un semplice
cenno della mano:
era di fretta. Prese l’ascensore e finalmente
arrivò al suo ufficio vero e proprio.
Si sedette sulla poltrona, prendendo fiato un attimo e poi accese il pc
fisso.
La segretaria entrò, bussando, e gli disse che il ragazzo
per il colloqui stava
per arrivare. Minho
rispose con un “Bene, appena ti
chiamo fallo entrare” e
le fece cenno di andarsene. Voleva starsene in pace almeno cinque
minuti, prima
di entrare di nuovo in una giornata di fuoco e fiamme. Era
lunedì in fondo, e
non poteva certo aspettarsi grandi pause né di stare in
panciolle. Per di più
Jinki aveva preso una settimana di ferie, e quindi tutto il lavoro
gravava
sulle sue spalle.
Può
sembrare una
cosa da niente star dietro una scrivania di una compagnia sportiva, ma
non è
così. Essendo una delle principali in Corea, su Choi Minho
gravavano grandi
responsabilità che venivano prese dal sopra citato con
estrema cura e serietà.
Tutto doveva essere perfetto e senza difetti, a partire dal personale
dell’azienda. I dipendenti dovevano, come minimo, avere una
laurea. Venivano
fatte rare eccezioni, e ogni tanto anche i diplomati superiori potevano
entrar
a far parte del personale. Ovviamente il loro avanzare di carriera era
molto
limitato. Tutto era suddiviso in livelli, accuratamente progettati da
Minho. Da
quando aveva preso le redini della società –
cinque anni prima – non solo si
era preoccupato di studiare per la SNU e di passare ogni singolo esame
con la
lode, ma aveva anche cominciato a lavorare come azionista per
l’azienda. Suo
zio e Jinki lo avevano aiutato, dato che suo padre era venuto a mancare
prematuramente. E adesso, cinque anni dopo, erano lui e suo cugino a
dirigere
il tutto.
Bevve
rapidamente
un caffè, poi chiamò la propria segretaria,
dicendole che, se il ragazzo era
arrivato, poteva farlo entrare. La segretaria rispose che
sì, era arrivato, e
che era pronto a farlo entrare.
Aspettò
qualche
minuto, poi qualcuno bussò alla porta.
“Avanti.”
Rispose
deciso Minho.
Un
ragazzo non
troppo alto, coi capelli castani, si fece avanti, inchinandosi il
più
possibile. Bisbigliò un “Buongiorno”,
e Minho con un cenno della mano lo fece accomodare sulla sedia davanti
alla
scrivania. A prima vista il ragazzo sembrava veramente sciatto: aveva
delle
occhiaie enormi, la camicia leggermente spiegazzata, la cravatta storta
e
pantaloni e giacca non erano coordinati.
Minho
storse
lievemente il naso, per non far trasparire il proprio disappunto.
Tossicchiò,
si sistemò la cravatta,
e poi con voce
seria e ferma chiese:
“Nome?”