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Autore: sehunssi_    22/07/2011    3 recensioni
Minho aveva venticinque anni, una carriera ben avviata come manager per una società sportiva e soldi a volontà. La sua macchina, una delle più costose sul mercato, gli era stata regalata per il suo compleanno dal suo migliore amico, nonché fidato azionista della compagnia: Lee Jinki.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Note: Questa è la "sorpresa" che intendevo l'altro giorno. So perfettamente di avere un'altra long iniziata, ma l'ispirazione è arrivata inprovvisamente e ho cominciato a scrivere anche questa. Vederla rinchiusa nei meandri del mio pc mi faceva soffire *sigh* così ho deciso di pubblicarla. Alternerò questa e l'altra (ovviamente prima If i were a girl. ) sperando che ne esca qualcosa di buono, lol. E' un AU, quindi anche stavolta mi sono gestita come mi tornava meglio *viva me* , ma ci tengo comunque a precisare alcune cose:

Età: Minho 25 anni / Onew 27 anni / Jonghyun 26 anni / Key 23 anni / Taemin 17/18. 

Capelli: (si, sono una maniaca per queste cose. ci tengo che l'immagine dei personaggi sia ben chiara, lol.) Minho & Jonghyun //  Key  // Onew // Taemin

Non mi pronuncio sulle probabili coppie, perchè ancora non ho niente di ben definito, Okay, fine delle mie inutili chiacchere, buona lettura!

- - -

 Work It Out, Baby.

1.

Il caldo estivo sembrava essere scoppiato senza nessun preavviso e chiunque, compreso Minho, si era trovato impreparato. Messi via i vestiti invernali, aveva sostituito accuratamente ogni sua camicia per la primavera, con quelle ancora più leggere per l’estate. Tutte rigorosamente bianche o, giusto per esagerare, azzurre chiare. Le sue giacche eleganti erano tutti riposte accuratamente nell’armadio, mentre i pantaloni coordinati di ogni singolo completo si trovavano in un altro scomparto. Le scarpe, nere e lucide, erano tutte riposte nella maniera più ordinata possibile nelle varie scarpiere. Infine, le cravatte, piegate senza una grinza in appositi ripiani, arrotolate. Tutto nel suo armadio era organizzato con la massima precisione e cura, niente era fuori posto.

Regolarmente, tutte le settimane, due volte, la donna delle pulizie veniva a pulire l’appartamento. Minho abitava solo, in un grande palazzo nel centro di Seoul. Un palazzo di lusso, di venti piani, moderno, e con appartamenti spaziosi e ampi. Forse anche troppo grandi per lui, che viveva solo. Minho aveva venticinque anni, una carriera ben avviata come manager per una società sportiva e soldi a volontà. La sua macchina, una delle più costose sul mercato, gli era stata regalata per il suo compleanno dal suo migliore amico, nonché fidato azionista della compagnia: Lee Jinki. Insieme, da bravi amici – e cugini di terzo grado – avevano preso le redini della compagnia di famiglia, portandola al massimo del suo splendore.

Minho era sigle, e di ragazze – anche se poteva averne come se piovesse – non ne voleva. Stava bene da solo, nel suo attico, ad allenarsi e rilassarsi dopo una giornata di duro lavoro. Non aveva tempo – e voglia- per cercarsi qualcuno con cui passare i proprio giorni. La compagnia, lo sport, il suo fisico. Ecco ciò di cui aveva bisogno. Tante – troppe – volte Jinki lo rimproverava di non avere ancora una compagna.

“La famiglia è importante quanto l’azienda. E sai bene come un erede, specialmente se maschio e figlio tuo, sarà un giorno fondamentale per mandare avanti la baracca.” Ogni volta che Jinki diceva questa frase, dava una leggera pacca sulla spalla a Minho, sorrideva e poi imbarazzato continuava dicendo “Beh, forse dovrei essere l’ultimo a parlare, visto che sono solo quanto te. E ho due anni in più!”. E Minho si limitava ad annuire, in silenzio. Non era un tipo di molte parole, lui.

-

Si abbottonò con cura tutti i tutti i bottoni della camicia, prese una cravatta – la più elegante e sobria di tutto il creato – e l’annodò. Poi piegò il colletto, allacciò le scarpe con cura, le lucidò sulle punte e infine si infilò la giacca. Poi prese la propria borsa, di pelle lucida e nera, contenente il pc portatile e tutte le varie scartoffie che aveva dovuto portarsi a casa il giorno prima, perché non aveva finito in tempo di firmarle in ufficio. Si avviò verso la porta, la aprì, e poi uscendo chiuse l’appartamento a doppia mandata: aveva il terrore dei ladri. Scese le scale, un po’ correndo, perché era leggermente in ritardo. Si diresse poi verso il garage, dove trovò la sua auto: perfetta e pulita come non mai. La aprì, montò e mise in moto.

Arrivato al suo ufficio, parcheggiò la macchina, per poi dirigersi verso il cancello d’ingresso. Il palazzo dove lavorava era immenso, grande almeno il doppio di dove abitava. Intorno c’erano vari giardini e uno strada lo collegava con la zona economica della città. Posizione strategica, proprio vicino alle altre grandi compagnie. 

Il portire gli aprì la porta, inchinandosi. Minho rispose con un semplice cenno della mano: era di fretta. Prese l’ascensore e finalmente arrivò al suo ufficio vero e proprio. Si sedette sulla poltrona, prendendo fiato un attimo e poi accese il pc fisso. La segretaria entrò, bussando, e gli disse che il ragazzo per il colloqui stava per arrivare.  Minho rispose con un “Bene, appena ti chiamo fallo entrare” e le fece cenno di andarsene. Voleva starsene in pace almeno cinque minuti, prima di entrare di nuovo in una giornata di fuoco e fiamme. Era lunedì in fondo, e non poteva certo aspettarsi grandi pause né di stare in panciolle. Per di più Jinki aveva preso una settimana di ferie, e quindi tutto il lavoro gravava sulle sue spalle.

Può sembrare una cosa da niente star dietro una scrivania di una compagnia sportiva, ma non è così. Essendo una delle principali in Corea, su Choi Minho gravavano grandi responsabilità che venivano prese dal sopra citato con estrema cura e serietà. Tutto doveva essere perfetto e senza difetti, a partire dal personale dell’azienda. I dipendenti dovevano, come minimo, avere una laurea. Venivano fatte rare eccezioni, e ogni tanto anche i diplomati superiori potevano entrar a far parte del personale. Ovviamente il loro avanzare di carriera era molto limitato. Tutto era suddiviso in livelli, accuratamente progettati da Minho. Da quando aveva preso le redini della società – cinque anni prima – non solo si era preoccupato di studiare per la SNU e di passare ogni singolo esame con la lode, ma aveva anche cominciato a lavorare come azionista per l’azienda. Suo zio e Jinki lo avevano aiutato, dato che suo padre era venuto a mancare prematuramente. E adesso, cinque anni dopo, erano lui e suo cugino a dirigere il tutto.

Bevve rapidamente un caffè, poi chiamò la propria segretaria, dicendole che, se il ragazzo era arrivato, poteva farlo entrare. La segretaria rispose che sì, era arrivato, e che era pronto a farlo entrare.

Aspettò qualche minuto, poi qualcuno bussò alla porta.

“Avanti.” Rispose deciso Minho.

Un ragazzo non troppo alto, coi capelli castani, si fece avanti, inchinandosi il più possibile. Bisbigliò un “Buongiorno”, e Minho con un cenno della mano lo fece accomodare sulla sedia davanti alla scrivania. A prima vista il ragazzo sembrava veramente sciatto: aveva delle occhiaie enormi, la camicia leggermente spiegazzata, la cravatta storta e pantaloni e giacca non erano coordinati.

Minho storse lievemente il naso, per non far trasparire il proprio disappunto. Tossicchiò, si sistemò la cravatta,  e poi con voce seria e ferma chiese:

“Nome?”

  
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