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Autore: Kiary92    25/07/2011    1 recensioni
La storia di una ragazza: Angelica, che cerca di avere una vita tranquilla benché abbia compito davvero strano; diverso, più che altro. Questa ragazza fa parte di una misteriosa Agenzia, la quale la ingaggia per missioni, a volte pericolose, contro strane “entità” corporee e non; anche se la gente comune li chiama fantasmi e demoni. Il suo compito, e quello degli altri agenti chiamati anche Demons Hunter, è quello di sterminare ogni demone, e convincere i fantasmi con aure maligne di altri a “passare oltre” a trovare la pace in un altro posto. Benchè compia questo insolito mestiere, anche Angelica ha una vita normale: va a scuola come una semplice diciottenne, viene trascinata in strane feste dai suoi amici, nonché compagni di classe, litigi e risse con la più odiosa delle compagne e, chi può dirlo, magari troverà anche l’amore, chi lo sa? Magari sotto forma di un bellissimo ragazzo dagli occhi blu? Tra un insolito incontro in biblioteca, varie vicende sui banchi di scuola e, diciamolo chiaro e tondo, momenti di vera sf...ortuna, ecco a voi, la storia di una Demons Hunter. Una cacciatrice di demoni.
Genere: Romantico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Giovedì, 20 agosto 2009 - ore 18.55
Erano trascorsi venti giorni da quanto Angelica era scappata da Verona per nascondersi chissà dove per “proteggerli” dalla spia all’Agenzia. Da quel giorno, sia lui sia Elisabeth si sentivano osservati e ovunque andavano una Mercedes nera sembrava seguirli; la stessa cosa valeva per Beatrice, anche lei tenuta sotto controllo ventiquattrore su ventiquattro, che stava lavorando con il massimo impegno per trovare Angelica: sapevano solo che aveva preso un aereo, ma non sapevano dove fosse scesa.
Si mise a sedere sul letto, prendendo il cellulare che si era illuminato all’improvviso e lesse immediatamente il messaggio di Elisabeth.

Sono qui fuori. Scendi immediatamente.

Scese di corsa le scale ed aprì il cancelletto ad Elisabeth, che lo raggiunse immediatamente, abbracciandolo con forza - Promettimi che farai attenzione -
- Tornerò con Angelica il prima possibile -
La rossa fece scivolare qualcosa nella tasca posteriore dei suoi jeans - Stai attento, ci stanno tenendo d’occhio. Non fare niente di stupido...ho un piano - gli sussurrò l’amica all’orecchio.
Si staccarono dall’abbraccio e le sorrise - Grazie -
Elisabeth gli diede un bacio sulla guancia e si voltò, tornando nella sua Lancia Y e partendo a tutta velocità. Dietro di lei, un’altra auto uscì dalla via: una Mercedes nera.
Rientrò in casa ed estrasse il biglietto piegato in quattro dalla tasca dei jeans. Lo aprì e lesse a mente il biglietto.

Atlas City Hotel
Paul-Heyse-StraBe 18
Monaco, Germania


“Fantastico. Non so nemmeno il tedesco” pensò, prendendo il cellulare dalla tasca, sentendolo vibrare e lesse immediatamente il messaggio di Elisabeth: vai in camera.
Salì le scale ed aprì la porta della sua stanza, spaventandosi a morte quando vide Beatrice, seduta sul letto, che lo aspettava.
- So di non essere bella come Angelica, ma non pensavo di essere così brutta da far paura - disse la ragazza, ridendo.
- È solo che...come hai fatto ad entrare? -
- Dalla finestra del bagno - rispose lei.
- Cosa ci fai qui? -
- Sono riuscita a seminare gli Agenti che mi controllavano - raccontò la ragazza torturandosi le dita - Dobbiamo riuscire a farti prendere quel maledetto aereo in tempo. Elisabeth ha avuto un gran bel piano, ma non ti piacerà...credo -
- Cosa devo fare? -
Beatrice si alzò in piedi, mettendogli in mano un biglietto aereo per il Munich International Airport e diverse banconote da cento euro - Mi servono i tuoi vestiti -
- Perché? -
- Non fare domande e dammi tutte le magliette che hai -
Non discusse e prese una pila di t-shirt sistemate ordinatamente nell’armadio e le gettò sul letto con noncuranza.
- Allora, in pratica...io divento te. Siamo più o meno alti uguali, devo solo mettermi quattro o cinque magliette una sopra l’altra per sembrare grossa come te e mi metto un cappello in testa - disse lei, infilando una maglia sopra alla t-shirt che già indossava - Elisabeth si fermerà di nuovo davanti a casa tua fra 2 minuti. Io correrò fuori, facendo ben attenzione a farmi notare e ci dirigiamo verso l’autostrada. Tu, non appena vedi due Mercedes correre dietro a noi due, prendi la macchina e vai all’aeroporto. Non chiamarci, potrebbero rintracciare il numero e trovarti, torna a casa con Angelica il più presto possibile - disse la bionda, infilando la quinta maglietta e mettendosi un cappello in testa, nascondendo la folta chioma bionda.
- Non so davvero come ringraziarti -
- Nessun problema, non ce n’è bisogno. Mi sto gasando a buso con sta storia! -
- Ma come hai fatto a seminare gli Agneti che ti tenevano d’occhio? -
- Quegli imbecilli pensano che stia dormendo, invece ho messo dei cuscini sotto alle lenzuola e una bella parrucca bionda. Funziona sempre nei film - disse lei, sussultando nel sentire qualcuno suonare il clacson diverse volte. Beatrice gli diede una pacca sulla schina ed uscì di corsa dalla sua stanza, sentendola poi uscire dalla porta d’entrata. L’auto di Elisabeth partì sgommando.
Si affacciò alla finestra, attento a nascondersi dietro le tende e vide due Mercedes seguire la Lancia Y che era appena uscita a tutta velocità dalla via; dopodiché scese di corsa le scale, andando in garage e prendendo l’Audi di sua madre. Partì a tutta velocità: l’aereo sarebbe decollato tra trenta minuti.
***
Monaco di Baviera, Germania
Ore 21.13

Come ogni sera si fermò davanti alla statua di Giulietta accanto alla torre del vecchio municipio. La statua, con il braccio destro lungo i fianchi, teneva sollevato un lembo del vestito, la mano sinistra, chiusa a pungo, portata al petto e aveva delle rose incastrate tra il braccio e il busto. Il seno destro era stranamente più lucido rispetto a tutto il resto.
Sorrise, sperando un giorno di tornare a Verona, e prese un respiro profondo, riprendendo a camminare verso Marienplatz.
- Come mai questo cambio di zona? -
Si voltò, sentendo la voce di una donna, rivolta probabilmente a lei e osservò la sconosciuta: era una donna bellissima, con un abito da sera, blu notte, che le lasciava le spalle e la schiena scoperte, mostrando la pelle bianca come la neve. I lunghi capelli erano talmente chiari da sembrare quasi bianchi e gli occhi verdi, nascosti da lunghe ciglia scure, brillavano di una strana luce. La guardò con attenzione, stupendosi di sentire qualcuno parlare italiano - Chi è lei? -
- Non ha importanza - rispose la donna - Allora, Angelica? Perché sei andata via da Verona? -
Le diede le spalle - Non sono affari che ti riguardano, demone -
- Se permetti sono un Elementale. L’Elementale dell’acqua oltretutto -
- Non cambia molto - disse, fermandosi, lanciandole un’occhiata - Sei pur sempre un demone -
- Non faccio del male a nessuno - disse la donna, avvicinandosi a lei - Ti va una passeggiata? Non ti mangio, lo prometto -
Alzò le spalle, fidandosi dell’Elementale: era l’unica che non faceva del male agli uomini, anzi, conviveva tranquillamente con loro. Iniziarono a camminare lentamente, in silenzio e mentre passavano, la gente non faceva caso a quella donna bellissima al suo fianco.
- Mi dici cosa vuoi? - domandò, senza guardarla.
- Volevo solo sapere come mai sei qui a Monaco - disse il demone - Comunque ho un nome -
- Ah, sì? -
- Beh, tecnicamente non ho un nome ma tutti mi chiamano Jane -
- Nome insolito per un Elementale -
- Duemila anni senza un nome. Sai com’è...mi sono accontentata -
- E si può sapere perché mi parli in italiano? -
- Così i crucchi non capiscono - disse Jane - Sanno solo dire spaghetti, pizza, ciao e vaffanculo -
- Capisco -
- A proposito, tu sai cosa vuol dire? -
- Cosa? -
- Vaffanculo -
Si passò una mano nei capelli - Non è una bella parola -
- In che contesto viene usata? -
- Al giorno d’oggi...in qualunque contesto -
- Oh, vaffanculo! -
Un gruppetto di giovani tedeschi si voltarono verso di loro quando Jane urlò ai quattro venti. L’Elementale li salutò con una mano - Ciao, vaffanculo! -
- Non lo devi usare sempre -
- Ah no? -
- No, devi trovare il momento giusto -
- Ma vaffanculo -
Si lasciò sfuggire un sorriso - Ora puoi anche smettere -
- Perché? È una parola così...non lo so. V A F F A N C U L O...suona bene -
- Ora basta, hai rotto le scatole -
Jane si fermò, confusa, guardando a terra e intorno a lei.
- Che stai facendo? -
- Ma di che scatole stai parlando? Qui non c’è niente -
Si diede una sberla in fronte - Lascia perdere -
Ripresero a camminare, fermandosi davanti al Neues Rathaus in Marienplatz. Il nuovo municipio era talmente bello ed imponente da togliere il fiato.
- Non mi hai ancora dato una risposta -
Guardò il demone - Non sono affari tuoi -
- C’entra qualcuno che ami? -
Divenne improvvisamente seria - Come fai a saperlo? -
- Credo sia facile da capire - rispose sinceramente il demone - Hai l’aria così triste, malinconica. Sembra che ti manchi una parte di anima. E, dato che ogni sera ti fermi davanti alla statua di Giulietta, direi che l’altra parte è a Verona -
Abbassò lo sguardo, ricominciando a camminare, affiancata da Jane - Ti sei data la risposta da sola -
- Riesco a sentire i sentimenti che provi per questa persona -
- Ho dovuto lasciarlo ed andarmene per tenerlo al sicuro -
- Da cosa? -
- Da una persona che mi vuole morta -
- Un umano? -
Annuì - Un Agente, oltretutto -
- E lui? Come ha reagito? -
- Me ne sono andata prima che si svegliasse - disse - Gli ho lasciato una lettera -
- Che codarda -
- Non potevo fare altro. Non voglio che gli succeda qualcosa -
Jane si passò una mano nei capelli - Non è una buona scusa, Angelica. Pensi che la persona che ti voglia uccidere sia stupida? Se non ti trova userà lui come esca -
- No -
- Cosa te lo fa credere? -
- Mi aveva proposto di andarmene da Verona -
- Se stai parlando della spia all’Agenzia, pensi che ti lasci andare? A volte gli uomini possono essere peggiori dei demoni -
- Non ne sarei così sicura -
Jane le lanciò un’occhiataccia - Ho più di duemila anni. Ho vissuto in Russia, in Grecia, in Spagna, in Italia, in Messico, in Giamaica, in Alaska e in molti altri posti. Ho avuto il piacere di conoscere così tanti miei simili che convivono in armonia con voi uomini, ho vissuto le due guerre mondiali, sono andata ai concerti dei Beatles e...ok, lo ammetto, ho fumato erba - raccontò l’Elementale - Vuoi credere a me, che ho vissuto più cose di quante tu possa immaginare, o vuoi seguire il tuo istinto da Demons Hunter? -
- Il mio istinto ha fallito poche volte - ammise - Quasi mai -
- Il tuo istinto è ottimo per le faccende che riguardano i demoni, ma come la metti se il tuo nemico è un umano? Un imprevedibile umano che, oltretutto è un Agente, proprio come te -
Ci pensò un attimo - Perché uccidermi? Ho fatto quello che voleva -
- Conosco bene le persone come l’uomo che ti vuole uccidere - disse il demone - Ti ha fatto allontanare dalle persone che ami per renderti più vulnerabile -
- Tu dici? -
- È facile uccidere un cervo quando è zoppo -
Le lanciò un’occhiata, fermandosi - È meglio se torno all’hotel - disse, incamminandosi, mentre Jane rimase immobile, ferma in mezzo alla Kaufingerstraße.
- Ho una proposta da farti cacciatrice - disse l’Elementale.
Si bloccò, senza voltarsi per guardarla.
- Ci vedremo presto -


Pochi minuti ed era arrivata all’hotel dove alloggiava. Si fermò all’entrata, sentendosi una strana sensazione addosso, ma la ignorò, entrando nell’Atlas City Hotel, avvicinandosi al bancone in legno della reception dove una donna, dietro di esso, le rivolse un gran sorriso.
- Buonasera - le disse in tedesco, prendendo la chiave della stanza 307, porgendogliele - Passato una buona serata? -
Sorrise in modo forzato - Sì, grazie - rispose, voltandosi verso le scale e l’ascensore alla sua sinistra - Buonanotte -
- Buonanotte -
Lasciala reception e salì lentamente le scale, fino all’ultimo piano, poi svoltò a sinistra per un lungo corridoio, raggiungendo l’ultima stanza a destra. Infilò la chiave nella serratura ed entrò nella stanza, chiudendo a chiave la porta.
La camera non era un granché: era piccola, il letto matrimoniale ci stava appena lasciando il posto ad un piccolo armadio, poi c’era un’unica finestra, che dava sulla Paul- Heyse-Straße, appena sopra alle scale antincendio esterne. Una parete divisoria separava la camera dal bagno, altrettanto piccolo e senza alcuna finestra.
Lanciò la chiave sul letto ed entrò nel bagno, aprendo il getto d’acqua fredda della doccia, entrando subito dopo essersi spogliata. Sperò con tutto il cuore che l’acqua ghiacciata le togliesse dalla testa quei pensieri che l’Elementale le aveva messo in testa, ma sembrava non funzionare.
“E se Jane avesse ragione?”
***
Non appena aveva visto Angelica si era nascosto dietro un angolo, aspettando che la ragazza entrasse nell’hotel e che il suo cuore ricominciasse a battere.
Si era avvicinato all’entrata e, prima di entrare, aveva aspettato che la mora se ne andasse dalla reception. La donna mora dietro al bancone gli sorrise, dicendo qualcosa in tedesco, che non riuscì a capire.
“Io faccio schifo in tedesco!” pensò, iniziando a parlare in inglese - Buonasera, una mia amica alloggia qui, sapreste dirmi la sua camera? -
- Certo, qual è il nome della sua amica? -
- Angelica Vetra -
La donna gli sorrise di nuovo - La stanza è la numero 307. All’ultimo piano prenda il corridoio a sinistra, la camera è l’ultima a destra. Vuole che la avvisi del suo arrivo? -
- No, grazie - disse, salutando la donna con un lieve cenno del capo e salendo le scale di corsa, con il cuore che batteva all'impazzata all'idea di rivederla.
"E già che ci sono le dico quattro parolacce per aver combinato tutto questo casino" pensò, arrivando all'ultimo piano dell'hotel, svoltando a sinistra per un lungo corridoio tenendo lo sguardo fisso sull'ultima porta e, quando si fermò proprio davanti, lesse più e più volte il numero 307.
Bussò e restò in silenzio.
Qualcuno parlò in tedesco, ma riconobbe subito la voce, e restò in silenzio. La serratura scattò e la porta si aprì, mostrandogli la ragazza che desiderava stringere di nuovo tra le braccia, avvolta in un candido asciugamano. Angelica sgranò gli occhi ed impallidì ancora di più - Matteo...cosa...-
La spinse in camera ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle, voltandosi poi verso la ragazza - Angelica. Devi tornare immediatamente -
- Co…cosa ci fai qui? -
- Ti ho cercato da quanto te ne sei andata, cosa pensi che ci faccia qui? -
Lei fece dei profondi respiri - Devo chiederti di andartene -
- Dopo tutta la strada che ho fatto mi chiedi di andarmene? -
- Esatto -
- E se non lo faccio? Scappi di nuovo? -
- Ti butto fuori con la forza - rispose Angelica in tono freddo - Ora vattene -
- No -
- Non costringermi ad usare la forza -
- La forza? Non so se hai notato ma sono due volte più grosso di te, sono un uomo e tu una donna piccola e magrolina -
La mora non si scompose ed incrociò le braccia al petto - Io sono un Agente -
- Oh certo - disse in tono ironico - E scommetto che sotto l’asciugamano nascondi un fucile -
- Non ho bisogno del fucile per mandarti via -
Fece un passo avanti, fronteggiandola - Ah no? -
- Le mie mani fanno ancora più male -
- Non penso -
Angelica gli tirò un forte schiaffo, restando impassibile. Si portò una mano alla guancia colpita e guardò la ragazza, confuso.
- Vattene -
- Non ci penso proprio - rispose - Adesso torni a Verona con me di tua spontanea volontà oppure ti riporto a casa con la forza -
- Non hai il coraggio di farmi del male -
Era troppo. La spinse contro il muro, bloccandole le braccia, cercando però di non farle male - Adesso tu torni con me a Verona immediatamente -
- No -
- Sei testarda come un mulo! -
- E tu non dovevi cercarmi! -
- Sono venuto a cercarti perché sei una stupida! -
- E tu sei un asino! -
- Testona! -
- Brutto scemo! -
L’afferrò senza sforzo, facendole di nuovo battere la schiena contro il muro - Sto cominciando ad arrabbiarmi! -
- Non me ne frega niente! -
- Sono arrabbiato perché sei scappata, sono arrabbiato perché mi hai lasciato da solo, sono arrabbiato perché hai smesso di lottare! -
Angelica gli diede uno spintone, facendolo arretrare, afferrandogli il collo - Io non ho smesso di lottare! -
- Sì invece! - disse, liberandosi in fretta ed allontanando la fidanzata con uno spintone, facendole sbattere la schiena contro il muro - Hai assecondato i piani della spia -
- Volevo proteggervi! -
- Non ci hai protetto Angelica. Non hai fatto proprio niente! -
La ragazza partì all’attacco, tirandogli un altro schiaffo: sentì immediatamente il sapore del sangue sulle labbra. Angelica fece per colpirlo di nuovo, ma le afferrò entrambi i polsi, facendola prima inginocchiare e poi sdraiare a terra.
- La spia ha tenuto sotto controllo sia me, sia Elisabeth e anche Beatrice! - le urlò ad un soffio dal suo viso - Cosa volevano secondo te?! Usarci per attirarti di nuovo a Verona e per costringerti ad allearti con la spia! -
Angelica sembrò calmarsi un attimo, facendo dei respiri profondi per rilassarsi. Le liberò i polsi, ma non si fidò a liberarla: gli aveva fatto male con quello schiaffo!
La mora gli appoggiò la mano fredda sulla guancia, lanciando un sospiro - Scusami, non dovevo colpirti -
- Ti sei calmata adesso? - domandò, spostandosi ed aiutandola a mettersi a sedere.
Lei annuì, sistemandosi l’asciugamano - Hai ragione tu. Non dovevo... -
Non le diede nemmeno il tempo di concludere la frase: si avvicinò ed appoggiò le labbra sulle sue.
***
Rimase immobile per qualche secondo, ma poi si lasciò andare: gli strinse forte la maglia, facendolo avvicinare ancora di più. Proprio quando stava per cedere, il ragazzo si fermò, alzandosi in piedi ed aiutandola a fare lo stesso, ma solo per farla sedere di nuovo sul letto.
- Come hai fatto a trovarmi? - domandò, prevedendo già la risposta - Anzi, non dirmelo. Scommetto che dietro a tutto questo ci sono Elisabeth e Beatrice -
- Se non fosse stato per loro non sarei mai riuscito a seminare gli Agenti che ci pedinavano -
- Sai con esattezza perché vi seguivano? -
- No, ma di sicuro volevano scoprire dove sei - disse lui - Ma per fortuna sono arrivato all’aeroporto senza farmi scoprire -
- Elisabeth e Beatrice? Che fine hanno fatto? -
- Non lo so. Mi hanno detto di non chiamare -
Chiuse gli occhi, lanciando un sospiro - Speriamo che non sia successo niente -
- Se vuoi scoprirlo basta tornare a casa -
- Non so se c’è un aereo che va a Verona. Forse domani mattina - disse, senza ricevere risposta, lanciando un’occhiata a Matteo - Ti senti bene? -
Il ragazzo le mise una mano nei capelli ancora bagnati e l’attirò a sé, baciandola con disperazione, accarezzandole quel poco di schiena lasciata scoperta dall’asciugamano.
Si staccò appena, prendendo fiato - Non credo sia una buona idea -
- Cosa vuoi fare fino a domani mattina? -
- Dormire? Tu hai le borse sotto agli occhi -
- Ho fatto il pieno di zuccheri in aereo -
Scosse la testa sorridendo - Non ci credo, hai preso l’aereo anche se hai paura di volare? -
- Non ho paura di volare è che quel coso poteva cadere per...un guasto, un temporale, magari la vecchia seduta vicino a me era una terrorista, come fai a dirlo? -
Rise piano, portandosi le mani al viso - Matteo Dall’Angelo, non ti facevo così pessimista -
- Poteva staccarsi il motore da un momento all’altro -
- Se mi dici che hai visto un Gremlins... -
- Non ho visto nessun Gremlins -
- Sicuro? Perché a loro piace rosicchiare le parti dei motori degli aerei -
- Non sei spiritosa -
Scoppiò a ridere, sdraiandosi sul letto a pancia in su. Matteo non disse niente: restò con la sua solita espressione imbronciata finché non smise di ridere. Si mise di nuovo a sedere, togliendosi una lacrima che le rigava la guancia per il troppo ridere - Sai, stare da sola mi ha fatto pensare a come sarebbe la mia vita senza demoni, senza essere chiamata ogni giorno dall’Agenzia, senza correre pericoli. Dirò alla Direttrice che mi ritiro. Per sempre -
Il moro le sorrise, ma lei abbassò lo sguardo.
- Ti dispiace lasciare l'Agenzia?- 
Scrollò la testa - No, é solo che non mi lasceranno andare via tanto facilmente. Ma parlerò civilmente con la Direttrice, cercando di trovare un accordo -
Matteo si avvicinò al suo viso - Lo spero davvero, sarebbe bello non avere più demoni che non ti ronzano intorno pronti ad ucciderti -
Annuì - Sì, sarebbe bello - sussurrò, chiudendo gli occhi ed eliminando la distanza che li divideva, mentre lui alzò piano una mano, accarezzandole la nuca. Fremette a quel tocco così dolce e schiuse appena le labbra per approfondire il contatto, gettandogli poi le braccia al collo, con le mani perse in quei capelli castani che amava stringere tra le dita. Quando si staccarono, entrambi avevano il respiro affannato.
- Tornerai a Verona, allora? Non dovrò usare la forza per costringerti a prendere l’aereo, vero? -
Scosse la testa - Non serve usare la forza. Non posso lasciarti prendere l’aereo con la paura folle che ti ritrovi -
Il moro le sorrise, togliendole completamente l'asciugamano di dosso, facendola sdraiare sul letto - Quando la smetterai di prendermi in giro? - domandò lui, mettendosi sopra di lei.
- Mai -
- Beh, allora io dirò ospedale, ospedale, ospedale, luogo chiuso, luogo chiuso, luogo chiuso, ospedale, ospedale e ospedale -
Inarcò un sopracciglio, mettendo il broncio - Scemo -
Matteo rise, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio - Sei tremendamente eccitante quando fai quella faccia -
Aggrottò la fronte, non capendo - Io non faccio nessuna faccia -
Il fidanzato non le rispose, ma iniziò ad accarezzarle la schiena nuda, scossa da strani brividi, e a baciarla con disperazione, come se lei fosse acqua e lui un assetato nel bel mezzo del deserto.
***
Si staccò appena, osservando la ragazza e per un attimo si sentì male nel vedere una cicatrice sulla spalla destra, la stessa spalla dove l’Incubo l’aveva ferita settimane prima; ma poi le sorrise, accarezzandole i capelli bagnati - Mi sei mancata così tanto -
- Anche tu mi sei mancato -
- Promettimi che non te ne andrai più -
- Non scapperò più, te lo prometto. Solo ora mi sono resa conto dell’errore che ho commesso, ma adesso... - iniziò la ragazza, invertendo le posizioni e mettendosi a cavalcioni sopra di lui - Basta parlare -                                
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Venerdì, 21 agosto 2009 - ore 03.41
Quando socchiuse gli occhi osservò il posto vuoto sul letto accanto a lui e sperò di non aver sognato tutto.
Mise subito a fuoco la stanza dell'Atlas City Hotel immersa nell'oscurità e voltò immediatamente lo sguardo verso la finestra socchiusa, dove filtrava quel poco di luce che gli bastava per intravedere un'ombra fuori dalla finestra. Si alzò, sbadigliando, infilò boxer e pantaloncini ed aprì la finestra - Cosa fai qui fuori? -
Angelica gli lanciò un'occhiata fugace, aspirando dalla sigaretta che teneva tra le labbra - Fumo -
- Non dovresti farlo -
- Lo so, ma sono nervosa -
Scavalcò la finestra per sedersi accanto alla fidanzata sulla scala antincendio esterna - E perché sei nervosa? -
La ragazza soffiò fuori il fumo schiudendo appena le labbra rosee - Non lo so. Sento che c'è qualcosa che non va -
- Cosa dovrebbe esserci? Siamo solo io e te, a chilometri da Verona e nessuno sa che siamo qui. A parte Elisabeth e Beatrice, ovvio -
- Lo so, ma ho un brutto presentimento -
Si spaventò a morte sentendo uno schiocco secco e una voce vicino a loro. Angelica prese la sigaretta, ormai finita, tra le dita e la gettò sulla strada - Jane, cosa ti porta qui? -
- Volevo parlarti - rispose la voce a lui sconosciuta - É lui il tuo fidanzato da Verona? -
Si alzò in piedi e si voltò verso una donna, bellissima, con addosso un abito da sera, che saliva le scale antincendio per raggiungerli.
- Sì, lui é Matteo. Matteo ti presento Jane -
Rimase immobile, osservando la donna dai capelli talmente chiari da sembrare bianchi - Sei un demone -
- Sono un Elementale, se permetti - rispose Jane con un sorriso - Tranquillo, non voglio né ucciderti né squartati per usare le tue ossa come decorazioni nel mio giardino -
- Questo mi rassicura -
L'Elementale gli sorrise nuovamente, avvicinandosi ed appoggiandogli una mano sulla spalla - Dovrei parlare da sola con Angelica per qualche minuto, poi ti prometto che tornerà a letto sana come un pesce -
Guardò prima il demone, poi Angelica e poi di nuovo la donna - D'accordo - sussurrò, ritornando in camera e sdraiandosi sul letto, dove poteva sentire ogni parola.
Chissà cosa voleva quella donna da Angelica.
***
Prese un'altra sigaretta dal pacchetto che teneva accanto a lei, portandola poi alle labbra ed accendendola - Allora, cosa vuoi? - domandò, soffiando fuori il fumo.
- Sei una persona interessante, Angelica. Ti ho tenuta d’occhio da quando hai ucciso Kyra -
- Perché? -
- Volevo vedere se eri all’altezza di quello che sto per offrirti -
Lanciò un’occhiata a Jane, ancora in piedi, aspettando che parlasse, ma il demone rimase in silenzio per alcuni ed interminabili secondi, studiandola con lo sguardo.
- Sto cercando una sostituta - le spiegò l’Elementale - E penso che potresti essere tu -
Per un attimo non sapeva se restare seria o scoppiare a ridere. Aspirò dalla sigaretta voltando lo sguardo e ridendo piano - Non voglio diventare la cosa a cui ho dato la caccia per anni. Perché, invece di stare qui a parlare con me, non vai a cercarne qualcuno che voglia diventare il prossimo Elementale? -
- Perché io voglio te - rispose la donna - Sento che tu sei la persona giusta e che non useresti i miei poteri per fare del male -
- Ho detto che non li voglio -
- Non sei costretta a diventare un demone. Potrei trasmetterti soltanto la mia forza, il controllo sull’acqua, l’autoguarigione e l’immortalità -
- Non voglio essere immortale ed ora vattene prima che ti uccida -
- Potresti pensarci almeno? - le domandò l’Elementale - Posso evitare di trasmetterti l’immortalità -
- Ho detto no -
- Perché? -
Chiuse gli occhi, soffiando fuori il fumo della sigaretta - Sono 19 anni che convivo con il mio dono di vedere i fantasmi e sono stati gli anni più terribili della mia vita, una vita che forse non potrò mai vivere felice - disse - Non sono in grado di reggere un altro peso, soprattutto se si tratta dei poteri di un Elementale, mi dispiace -
Jane, dopo averla fissata intensamente per alcuni interminabili secondi, lanciò un sospiro, osservando la Paul-Heyse-Straße tre piani sotto di loro - D’accordo, se è questo ciò che vuoi, non te lo chiederò più -  
Le fece un piccolo cenno di ringraziamento - Grazie Jane -
- Vedrai che tutto si risolverà -
Sorrise appena, distogliendo lo sguardo dai magnetici occhi verdi del demone - Lo spero -
- No, Angelica. Tutto si risolverà. Io lo so -
- Come puoi saperlo? - domandò, lanciando il mozzicone di sigaretta oltre le scale antincendio.
- Un’anima forte risiede in un corpo forte e in una mente forte, Angelica. Sei più in gamba di quello che pensi -
Si alzò in piedi, aprendo la finestra e dando le spalle all’Elementale - Molti continuano a ripetermelo, ma ormai non ne sono più tanto sicura - disse, congedandosi, rientrando nella stanza 307 ed osservando Matteo, seduto sul letto, che la guardava a sua volta. Sapeva che aveva sentito tutto il discorso tra lei e Jane, ma non disse nulla, sdraiandosi sul letto e girandosi dall’altra parte, cercando di dormire.


La sveglia impostata sul suo cellulare prese a suonare, ma la spense subito. Non aveva chiuso occhio per tutta la notte.
Si girò nel letto guardando il ragazzo ancora addormentato - Matteo? Matteo devi alzarti - sussurrò, ma lui si girò dall’altra parte, russando piano. Gli sfiorò la spalla, provando nuovamente a svegliarlo, ma ancora niente: Matteo borbottò qualcosa nel sonno e tornò a russare.
Lanciò un sospiro e, non avendo altra scelta, diede un lieve calcio al ragazzo che imprecò sottovoce, voltandosi verso di lei. Chiuse gli occhi, fingendo di dormire per sembrare innocente.
Lo sentì imprecare di nuovo per l’ora ed iniziò a chiamarla sottovoce. Socchiuse gli occhi - Che c’è? -
- Dobbiamo andare - rispose lui - Se non mi avessi colpito la gamba mentre dormivi, col cavolo che tornavamo a Verona -
Ghignò sotto i baffi - Ti ho colpito? Scusami...-
- Non fa niente - disse Matteo, alzandosi dal letto - Vado a fare una doccia -
- Sbrigati che devo farla anch’io - disse alzandosi a sua volta, iniziando a raccogliere le proprie cose e sistemarle nella valigia che si era portata appresso, poi prese il telefono e chiamò la reception, chiedendo cortesemente di far arrivare un taxi davanti all’hotel tra mezz’ora. Quando Matteo uscì dal bagno, fu il suo turno, facendo una doccia a tempo di record e quando uscì, trovò il fidanzato già vestito (con gli stessi abiti della sera prima, visto che non si era portato nulla) e seduto sul letto, in attesa che fosse pronta.
- Il taxi dovrebbe arrivare da un momento all’altro - disse, iniziando a vestirsi velocemente, mentre Matteo, dopo essersi alzato, osservò fuori dalla finestra.
- Ehm...Angelica? Abbiamo un problema -
- Che problema? - domandò, infilando un paio di pantaloncini.
- In realtà sono sei i problemi, e sono arrivati su tre Mercedes -
Infilò una t-shirt e si affacciò alla finestra, osservando i sei Agenti che entravano nell’hotel. Imprecò a denti stretti: come avevano fatto a trovarli?
Si voltò verso Matteo, preoccupata - Mi avevi detto che non ti aveva seguito nessuno -
- Infatti! Non riesco a capire come...-
- Ormai è fatta, saranno qui tra pochi secondi - disse, aprendo il comodino per impugnare l’ultima cosa che non aveva riposto in valigia: una Revolver già carica e pronta per l’uso.
Partì l’allarme antincendio e sentì le persone del suo stesso piano uscire dalle proprie stanze per raggiungere l’uscita. Afferrò il fidanzato per la maglia e lo nascose dietro al letto - Non muoverti - disse, puntando la pistola verso la porta della camera 307, che fu sfondata pochi secondi dopo.
Sperò che quegli Agenti fossero dalla sua parte, ma non fu così: i sei uomini iniziarono a spararle addosso e si nascose immediatamente dietro al letto, accanto a Matteo.
Non appena li sentì entrare, uscì allo scoperto, sparando ed uccidendone due, prima di tornare a ripararsi dietro al letto, sentendo una scarica di pallottole sibilare sopra la sua testa.
Sbirciò appena i quattro Agenti rimasti, nascosti nel corridoio, poi guardò Matteo, immobile - Vai fuori dalla finestra, ti copro io -
Lui annuì, ma la loro attenzione fu catturata da altri spari che, stranamente, non erano rivolti nella loro direzione. Uscì dal nascondiglio uccidendo un Agente che sparava a qualcuno nel corridoio, poi, un lampo accecante, gli spari cessarono.
Si avvicinò cauta all’entrata, curiosa di vedere a chi stavano sparando e non si sorprese di vedere Jane, sorridente come non mai, che teneva sollevato l’ultimo Agente per il collo come se fosse una bambola - Ho sentito gli spari -
Inarcò un sopracciglio - E come hai fatto a sentirli? -
- Ero sul tetto - rispose l’Elementale, formando nella mano libera una sfera d’energia, pronta a dare il colpo di grazie al sopravvissuto.
- No, fermati -
Il demone obbedì, facendo scomparire il globo stringendo semplicemente il pugno.
- Puoi incantarlo? -
- Mi sembra ovvio -
- Chiedigli come hanno fatto a trovarci -
L’Elementale annuì, puntando lo sguardo in quello dell’Agente: gli occhi del demone diventarono rossi e per la prima volta minacciosi - Rispondi, verme di un traditore -
- Abbiamo messo una microspia al ragazzo -
Si voltò verso Matteo, in piedi nella stanza, lanciandogli un’occhiata.
- Non ne sapevo niente -
- L’ho inserita personalmente quando si uscita dalla stanza del ragazzo per lasciare Verona -
- Dove? -
- Dietro l’orecchio -
- Perché tenere d’occhio i miei amici? -
- Il capo voleva rintracciarti -
Si voltò verso Jane - È costretto a rispondere, vero? - domandò e lei annuì. Prese un respiro profondo - Chi è il tuo capo? -
- Non lo so, non l’ho mai visto -
Imprecò a mente - Perché voleva rintracciarmi? -
- Non lo so -
- C’è altro? -
- No, 33. Non so nient’altro -
Si voltò verso il fidanzato, prima di vedere Jane spezzare il collo all’Agente, e lo fece sedere sul letto, piegandogli la testa e scostandogli i capelli per osservare una piccola cicatrice dietro l’orecchio destro - Devo togliertelo -
- Farà male? -
- Ti direi di no, ma ti direi una bugia - disse, alzandosi in piedi ed afferrando uno stiletto riposto nella cintura di uno degli Agenti morti, tornando poi da lui - Jane? Riusciresti a far sparire i corpi? -
- Ovvio -
Fece scattare lo stiletto, avvicinando la punta alla cicatrice - Resta immobile -
Matteo annuì e chiuse gli occhi, mentre lei recise appena la pelle, attenta a non fargli troppo male, tastandola con le dita nel tentativo di estrarre il microchip che, fortunatamente, era appena sottopelle.
Riuscì ad estrarlo e lo osservò nel suo palmo. La tentazione di stringere il pugno e di sbriciolare quell’oggetto era forte, ma una lampadina si accese sopra la sua testa e con essa un’idea nella sua mente - Jane? Tu poi spostarti velocemente da un posto all’altro, giusto? - domandò voltandosi, stupendosi di trovare la stanza in perfetto ordine, i cadaveri erano spariti e tutto sembra rimesso a nuovo: i fori di proiettile nel muro erano scomparsi proprio come le macchie di sangue per terra.
Il demone, sulla porta della stanza, sorrise - Che domande, sono un Elementale -
Si alzò in piedi, lanciandole il chip - Perché non lo porti in un bel posticino, tipo Berlino? -
Il demone, dopo aver afferrato al volo il chip, lo osservò per qualche istante, tornando poi a guardarla - Tu vuoi farmi correre fino a Berlino per fargli credere che non li hai scoperti ed attirarli a Berlino per tenerli impegnati? -
- Esatto -
- Ok, no problem -
Le fece un piccolo cenno di ringraziamento - Sono in debito con te, Jane -
- Quando ci rivedremo a Verona, mi offrirai un mojito -
Sorrise - D’accordo -
La donna le diede le spalle, camminando sinuosamente verso il corridoio - Vi conviene muovervi - disse lei, prima di sparire in un battito di ciglia.
Si voltò verso Matteo, ancora seduto sul letto, con la mano premuta contro il piccolo taglietto dietro l’orecchio - Andiamo. Si torna a Verona -
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Ore 10.34
Quando Matteo fermò l'automobile, si diede un pizzicotto, sperando di non sognare, ed osservò la sua casa, la stessa casa che temeva di non rivedere più. Lanciò un'occhiata al ragazzo, che sembrò cogliere immediatamente la voglia che aveva di riabbracciare i suoi genitori, le fece un cenno senza aggiungere altro.
- Torno presto - disse, dandogli un bacio sulla guancia e tirando la maniglia della portiera, scendendo a capofitto dall'Audi, correndo verso la cancellata che circondava una parte della proprietà di casa Vetra, la scavalcò con facilità e raggiunse la porta della cucina, tentando di entrare, ma dato qualcuno aveva chiuso a chiave, iniziò a tirare pugni al vetro della porta. Non appena vide sua madre fermarsi sulla porta, a cavallo della cucina e dell'ingresso, si fermò.
Sua madre corse verso la porta, fece scattare la serratura con uno schiocco secco ed aprì la porta, abbracciandola con vigore.
- Pensavo che non saresti più tornata - le sussurrò lei, accarezzandole i capelli.
Respirò l'intenso profumo di ammorbidente alla lavanda che la maglia della donna emanava e sorrise - Scusami se me ne sono andata così. Non dovevo -
- Non ti preoccupare, tesoro. Adesso é tutto a posto -
Annuì, staccandosi di malavoglia da quell'abbraccio così dolce che sembrava farla stare bene e farle dimenticare l'Agenzia, la spia, il fatto di essere un mostro, i demoni e i fantasmi. Per un attimo si sentì normale, ma fu sbalzata di nuovo alla realtà pensando a due nomi: Elisabeth e Beatrice.
- Mamma, ora devo fare una cosa, ma ti prometto che ti spiegherò tutto - disse, partendo di nuovo dopo averla salutata e raggiungendo Matteo, che la aspettava accanto all'auto - La mia katana? - domandò immediatamente.
- L'ho nascosta in camera mia, dietro l'armadio - le rispose il ragazzo, osservandola suonare il campanello di casa Dall'Angelo un paio di volte - Angelica, cos'hai intenzione di fare? -
- Se Elisabeth e Beatrice ti hanno aiutato a prendere quell'aereo per raggiungermi sono nei guai - disse, salutando con la mano la madre di Matteo, che la fece immediatamente entrare, rivolgendole subito diverse domande.
- Le spiegherò dopo - si limitò a dire, correndo su per la rampa di scale per raggiungere la stanza del fidanzato. Avvicinandosi all'armadio, tastò immediatamente nella piccola fessura tra il legno e il muro e, dopo essersi scorticata un po' le nocche e piantata delle schegge sulla mano, riuscì a recuperare la sua katana. Appoggiando la mano sull'intreccio di pelle nera attorno al manico di mogano e al menuki dorato della tigre, si sentì di nuovo viva e pronta a combattere con le unghie e con i denti.
Tornò di sotto, salutando la donna dai capelli castani, ancora sulla porta leggermente scossa per la sua improvvisa e veloce entrata, e raggiunse nuovamente Matteo - Guida come non hai mai guidato in vita tua. Portami all'Agenzia -
- Ci vorranno cinque minuti -
- Te ne concedo soltanto due - disse in tono freddo, saltando in macchina ed allacciandosi le cinture, seguita subito dal ragazzo - Prima arriviamo e più possibilità hanno Elisabeth e Beatrice di vivere -


Quando la pesante porta all’ingresso dell’Agenzia si aprì con diversi sibili, entrò a passo di marcia, con lo sguardo fisso davanti a lei, in attesa di incontrare un povero malcapitato, capitato accidentalmente sulla sua strada.
Non appena vide un Agente, estrasse la katana dal fodero allacciato dietro la schiena, lo raggiunse e, prima che potesse ribellarsi in qualche modo, lo afferrò per la gola, facendogli sbattere la schiena contro il muro immacolato del corridoio, puntandogli la spada in mezzo agli occhi. L’Agente sembrò pietrificarsi dopo averla osservata negli occhi.
- Dimmi dove hanno portato Beatrice o giuro che ti ammazzo all’istante -
Il ragazzo, un po’ più grande di lei, alto e mingherlino, deglutì - Ho visto che l’hanno portata di sotto con un’altra ragazza -
Gli mostrò i denti, appoggiando la punta della katana sulla pelle - In quale stanza? -
- 7 -
Lo lasciò andare e continuò la sua marcia verso la scala a chiocciola che conduceva al piano inferiore. Le persone che incontrava sul suo cammino si facevano da parte, osservandola increduli di vederla di nuovo lì tra loro.
Raggiunse la stanza numero 7 e spalancò la porta con un calcio: si sentì sollevata nel vedere le due amiche, sedute l’una accanto all’altra ad un tavolo di metallo, proprio davanti ad un Agente, un uomo dai capelli scuri sulla trentina, che si alzò immediatamente in piedi, portando una mano alla pistola riposta nella cintura dei pantaloni, pronto a spararle a sangue freddo. Sollevò la katana appoggiando la punta affilata nell’incavo del collo dell’uomo - Provaci e scopriremo chi di noi due è più veloce - disse, lanciando un’occhiata alle due amiche, facendo cenno di uscire.
Elisabeth e Beatrice si alzarono, uscendo dalla stanza, mentre lei indietreggiò piano, tenendo sempre sotto controllo l’Agente. Quando uscì, afferrò le due per un braccio ed iniziò a correre.
- Si può sapere dov’eri finita? - le domandò Elisabeth, faticando a starle dietro. Aveva un brutto taglio sulla fronte dal quale colava un rivolo di sangue.
- Dopo Elisabeth, ora dobbiamo andarcene -
Corsero fuori dall’Agenzia il più in fretta possibile e raggiunsero l’auto dove c’era Matteo, seduto al posto di guida, pronto a partire. Salirono sull’Audi e il ragazzo, dopo un’inversione a U nel parcheggio davanti alla casa stregata, partì a tutta velocità.
Seduta sul sedile del passeggero, voltò la testa verso le due ragazze, sedute dietro - Siete per caso impazzite voi due? -
Elisabeth e Beatrice si guardarono a vicenda, tornando poi a guardare lei - Avrebbero seguito Matteo - rispose la rossa - Dovevamo fare qualcosa -
- Farsi inseguire da degli Agenti non mi sembra una buona idea! - esclamò - E poi lo hanno trovato lo stesso -
- Cosa? Come hanno fatto? - domandò Beatrice, agitata, curando in pochi secondi la ferita alla fronte della rossa - Vi hanno trovato? -
- Avevano piantato un chip a Matteo quando me ne sono andata -
- Non me ne sono accorta -
- Come potevi? Non me ne sarei accorta nemmeno io l’Agente che ho interrogato non me l’avesse detto -
- E adesso? - domandò la rossa, leggermente spaventata per la situazione - Cos’hai intenzione di fare? -
- Ho intenzione di trovarlo e finirla una volta per tutte -
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Dopo aver accompagnato Beatrice al suo appartamento, lei, Matteo ed Elisabeth tornarono immediatamente a casa sua.
Alla vista di un’auto familiare, nascose immediatamente la katana sotto al sedile appena in tempo per vedere Alice e Vittoria ferme davanti al cancelletto di casa sua. Il ragazzo fermò la macchina e scesero.
- Angi! Che fine avevi fatto? - le domandò la mora entusiasta nel rivederla, correndole incontro e saltandole al collo, abbracciandola con vigore - Elisabeth ci aveva detto che eri in vacanza, ma perché non rispondevi al telefono? - 
Lanciò un sospiro, staccandosi dall’amica, abbracciando poi Vittoria - Beh, avevo molto da fare -
- Potevi rispondere alla sera -
- Lo so, scusatemi -
- Eravamo venute per chiedere una cosa a Matteo, ma non era in casa, e stavamo chiedendo a tua madre se poteva farci avere un incontro ravvicinato del terzo tipo con te - disse Alice.
Si passò una mano nei capelli, confusa - Possiamo parlarne in casa? Sto morendo di caldo -
Dopo che sua madre aprì loro in cancelletto, entrarono tutti in casa dove, grazie al condizionatore si poteva ignorare la calura estiva all’esterno e, con qualche altro grado in meno, poteva vedere i pinguini che giravano per casa. Si sedettero a tavola, in cucina, davanti ad un bel bicchiere di tè freddo al limone. 
- Allora? - domandò, sorseggiando il suo tè - Cosa volevate chiedermi? -
- Beh, io ed Alice pensavamo...-
- Se domani avevi voglia di accogliere la combriccola a casa - disse la mora, arrivando diritta al punto - Così possiamo attaccarti con i gavettoni -
Lanciò un sospiro. Temeva l’attacco di qualche demone inviato dalla spia, ma non riuscì a dire di no alla vista degli occhioni dolci di Vittoria e di Alice - D’accordo -
- Io sono esclusa? - domandò Elisabeth, finendo il suo tè.
- Assolutamente no! Tu e la tua mente malata mi servite per gli agguati ad Angelica - sussurrò la mora, scoppiando a ridere da sola.
- Basta che non vi fate del male - s’intromise sua madre, seduta sul divano che leggeva una rivista - Io e tuo padre andiamo in montagna, volevo chiederti se venivi, ma ti saresti annoiata a morte - aggiunse la donna senza alzare lo sguardo, rivolta a lei.
- Così ordiniamo la pizza e ci guardiamo un bel film horror -
- Stavolta lo scelgo io - sussurrò, bevendo l’ultimo sorso di tè.
- E cosa vorresti guardare, Angelica-mi-piacciono-tanto-gli-horror-e-non-mi-spavento-mai-Vetra? -
- Un film di Wes Craven sicuramente, ma sono indecisa tra uno dei film di Nightmare e Scream 3 -
Alice ed Elisabeth si lanciarono un’occhiata, restando in silenzio.
- Che c’è? Non fanno paura -
- Scream mi fa urlare come una marmocchia solo perché l’assassino sbuca sempre all’improvviso - ammise la mora, incrociando le braccia al petto ed annuendo con la testa.
- È quello il bello -
- Ok, allora ci guardiamo Scary movie 3 - decise Elisabeth - Lo porto io -
Alice scoppiò nuovamente a ridere da sola - C’è una festa di mezzo, conti anche le feste? -
Lanciò un’occhiata a Matteo, alzando le spalle: a volte non capiva cosa prendeva ad Alice, ma Elisabeth sembrava seguirla a ruota.
- Beh, dipende. Che festa è? - domandò la rossa, trattenendosi dal scoppiare a ridere.
- Quella di Martin Luther King -
- Allora no -
- Perché no? In ufficio fanno tutti vacanza! -


Dopo cena, lei ed Elisabeth si rifugiarono nella stanza degli ospiti e si fece raccontare per filo e per segno quello che le era accaduto da quando era segretamente partita per Monaco. L’amica le disse che, dopo alcuni giorni, si era accorta della Mercedes perennemente appostata nell’ombra di fronte alla sua casa e che la seguiva ovunque andasse, le raccontò degli incontri con Beatrice nella speranza di sentire buone notizie su di lei e dei pomeriggi passati a casa di Matteo per tentare di calmarlo e rassicurarlo.
- Tu invece? - domandò la rossa alla fine del suo breve racconto - Cos’hai fatto a Monaco? -
- Praticamente nulla - ammise - Non c’erano né demoni da uccidere né persone che mi davano la caccia. Passavo i pomeriggi a camminare per il centro, ripensando più e più volte se avevo fatto la cosa giusta a lasciarvi qui -
- Davvero nessun demone? -
- No - rispose - Nessuno che volesse staccarmi la testa. Ho incontrato un Elementale, poco prima dell’arrivo di Matteo, e mi è sembrata una a posto, inoltre sono in debito con lei -
- Questa mattina mi avevi detto che vi hanno trovati con un chip, che cos’è successo? -
- Niente di che, degli Agenti hanno fatto irruzione nella mia camera e ci hanno sparato addosso -
- Stai bene, vero? -
- Sì, certo -
Elisabeth, dopo averla osservata negli occhi per diversi secondi, assicurandosi forse che non stesse mentendo, puntò lo sguardo davanti a lei, fissando nel vuoto, e si portò una mano al mento. Sapeva che l’amica stava riflettendo sugli avvenimenti appena accaduti, nella speranza di capire qualcosa di più in questa storia dove nemmeno lei ci capiva molto, e preferì non disturbarla.
- Non riesco a capire a che gioco sta giocando - sussurrò la ragazza senza smettere di fissare nel vuoto - Perché chiamarti e proporti di andartene per poi pedinare noi? -
- Forse pensa che, lontana dalle persone che mi aiutano, sia un bersaglio più facile -
- E se le persone che ci pedinavano non erano dalla parte della spia? -
- Ma vi hanno fatto del male. Tu avevi un taglio sulla fronte, l’ho visto con i miei occhi - le ricordò.
- Quella non è stata colpa loro, è stata colpa mia - rispose l’amica, lanciandole un’occhiata come se volesse scusarsi in anticipo - Gli sono andata addosso con la macchina -
Aggrottò la fronte, sperando di aver capito male - Tu cosa? -
- Mi avevano tagliato la strada dopo cinque minuti...dovevo pur farmi spazio -
- Elisabeth -
- Non potevo sapere se erano buoni o cattivi! Nemmeno tu riesci a capire chi è dalla tua parte -
Sospirò, dandole ragione. Non poteva praticamente fidarsi di nessuno, ma forse c’era una sola persona nell’Agenzia, oltre a Beatrice, che era certamente dalla sua parte: la Direttrice.
- Domani mattina chiamo la Direttrice per farle qualche domanda -
- Sarebbe meglio e poi, se quegli uomini erano con la spia, perché scomodarsi di tenerci d’occhio quando avevano impiantato quel chip a Matteo e potevano benissimo controllarlo da un GPS? -
- Già, non ci avevo pensato -
- Poi c’è un altro problema -
- Quale? -
- Domani -
Annuì - Ero un po’ diffidente dall’accettare ma...ho ceduto -
- Credi che la spia possa mandare dei demoni anche in presenza di civili che non sanno nemmeno della loro esistenza? -
- Probabile -
- Ed infine il terzo dilemma: non hai alcolici in casa -
Lanciò un lungo sospiro, scuotendo la testa. L’ultima cosa che voleva erano i suoi amici ubriachi fradici che le giravano per casa mentre delle entità a loro sconosciute potevano attaccare in qualsiasi momento - Compra dei Bacardi -
- Perché dei Bacardi? Con quelli non parti nemmeno se li correggi -
- Appunto. Li voglio lucidi per mandarli via il prima possibile -
- Che guastafeste - disse l’amica che, dopo aver sospirato, si alzò in piedi, stiracchiando le braccia verso l’alto - È meglio che vada, mi accompagni? Sai...non ho la macchina -
Annuì, alzandosi in piedi, senza guardarla negli occhi.
- Non preoccuparti, starò attenta - le disse Elisabeth, percependo la sua preoccupazione.
- Ti prometto che presto sarà finita -
- Lo spero, Angelica -
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