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Autore: SidRevo    27/07/2011    14 recensioni
Trecentosettanta miglia e un anno e mezzo a dividerli...
Quando il tempo – per quanto sia “solo tempo” – riesce solo a ferire, invece che rimettere le cose al loro posto; quando due persone, in quel loro ostinarsi a complicare le cose, nascondono l’innata capacità di ritrovarsi sempre e comunque, e la facilità con cui sanno rincontrarsi senza smettere mai di amarsi; quando si tratta di Brian e Justin.
Tratto dal capitolo: “«Se ci muoviamo, per le…nove di questa sera saremo lì!»
«Jace, sono stanco.» ribadì, ma l'altro non si arrese.
«D’accordo, allora domani!»
«Quale parte del ‘non verrò a Pittsburgh’ non ti è chiara?» domandò, e mai come allora ebbe l’impressione di sentirsi parlare esattamente come Brian.
«Oh, tu verrai. Verrai eccome!» sorrise sornione, come se avesse già vinto; e Justin non poteva neanche lontanamente immaginare quanto fosse vicino alla realtà dei fatti.”

So che è l'ennesima “sesta stagione” che viene pubblicata, ma ho voluto provare a dare una mia versione, visto che non ho altro modo per esorcizzare la mancanza di questo superbo telefilm! Spero vi piaccia!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Brian Kinney, Justin Taylor, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Some things never change.

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6x06 – Some things never change.
[capitolo betato da Trappy]


“You look so fine” - Garbage


Inspirò profondamente, con gli occhi socchiusi per via del fumo e lintento di godersi pienamente la sensazione raschiante nella gola, mentre perdeva lo sguardo oltre lo spesso vetro, tra le luci della città che rischiaravano appena il loft e la sua figura.
Con solo un paio di Jeans chiari addosso, Brian fumava quella che era la seconda canna della serata, da quando era rientrato a casa di umore più che nero.
Non bastava ogni sua conoscenza a girare il dito nella piaga e limprovvisa ricomparsa di Justin a riaprire ogni ferita. Ci si metteva anche Brandon a spargere sale e attentare alla salute dei suoi nervi, e peggio, del suo cuore già abbastanza martoriato.
Non lo conosceva abbastanza bene da prevedere cosa potesse architettare dentro quella sua testa ossigenata, ma qualunque cosa fosse, era ben conscio dal sapere che non gli sarebbe piaciuta neanche un po; specie se pensava che era coinvolta proprio lultima delle persone a cui lavrebbe lasciato avvicinare.
Si appoggiò con lavambraccio al vetro e portò nuovamente il filtro alle labbra per riempire ancora i polmoni di fumo, fino a saturarli, quasi volesse affogare in quella nuvola grigia.
Liberò la scia fumosa attraverso le labbra socchiuse e osservò il suo riflesso sinuoso nel vetro, immaginando di veder quei girigogoli prendere la forma del volto di Justin. Li vide mutare e disegnare i suoi lineamenti e quelle iridi cerulee che lo fissavano.
Fu impossibile desistere dal ricordare le notti trascorse insieme.
Fantasticare sul suono dei suoi passi che si avvicinavano alle spalle quando si svegliava e non lo trovava nel letto. Le sue dita che andavano a massaggiargli le spalle per farlo rilassare. La sua bocca che rubava un tiro dalla canna sorretta dalle sue dita, e quelle labbra che poi correvano a congiungersi alle sue, prima che il mozzicone venisse abbandonato e che lui stesso si lasciasse andare alle attenzioni di quel ragazzino biondo che gli aveva sconvolto la vita, e che lo guidava, senza la minima traccia del timore che gli aveva visto al loro primo incontro, fino al divano, che si bagnava del loro sudore e simpregnava dei loro gemiti e di quellamore che li legava.
Chiuse gli occhi con sofferenza e prese lultimo tiro.
Ricordare quei momenti, era la peggiore delle torture che potessero imprimergli.
Cerano giorni in cui quel dolore si faceva così assordante e insistente, che la nausea per la radioterapia gli sembrava solo uno scherzo. Cerano giorni in cui avrebbe voluto rifugiarsi nel ricordo della sua lotta contro il cancro, per schiacciare il dolore della lontananza di Justin, con ciò che ricordava di quei momenti terribili, quando la sensazione fredda e rassicurante della ceramica del cesso sotto le dita, era una delle poche cose che riuscivano a farlo sentire meglio.
Sarebbe ricorso anche a quello, e avrebbe costretto la sua mente a rivivere quegli attimi, se solo in mezzo a quellinferno, non fosse stato presente quel raggio di sole a sostenergli la testa e scostargli i capelli. Se solo non ci fossero state quelle mani ad accarezzargli la schiena o quelle labbra a baciargli la fronte, le guance, il collo...ogni centimetro della sua pelle, pur di rendere più facile e piacevole quel calvario.
In mezzo a quellinferno, cera sempre stata la dolcezza di Justin, ciò che laveva spinto a stringere i denti e andare avanti. Perché se anche non glielaveva mai detto; e spesso si era ritrovato a pensare che, forse, alla fine dei conti sarebbe davvero morto giovane come aveva sempre detto di volere; se non si era lasciato andare, era soprattutto per quella testolina bionda e impertinente.
Era stato per le volte in cui si era svegliato di soprassalto la notte, e aveva trovato Justin addormentato con la testa sul suo petto e le braccia a circondarlo come se volesse proteggerlo da qualunque cosa e impedire a chiunque di portarlo via. Era stato per le volte in cui aveva visto quegli occhi blu opacizzati e segnati dal pianto. Era stato per le volte in cui, quando non riusciva a dormire, aveva sentito Justin chiamare il suo nome, mentre si agitava nel sonno e le lacrime scendevano oziose a solcargli il viso.
Era stato sì, anche per se stesso, ma soprattutto per Justin; per non lasciarlo solo, per non farlo soffrire più di quanto non avesse già fatto.
Aveva sopportato fin troppo, nonostante la sua giovane età, e non si meritava di patire anche quello. Non lui che con devozione gli preparava quello stramaledetto brodo di pollo – che non avrebbe mai più toccato per il resto della sua vita – o qualche intruglio miracoloso di sua nonna. Non lui che non si lamentava mai del fatto che dal fare sesso almeno quattro volte al giorno, erano passati a trascorrere la sera a sonnecchiare sul letto, o inginocchiati sulle mattonelle del bagno, perché doveva vomitare per la trecentesima volta nel giro di una giornata. Non lui che aveva continuato ad amarlo nonostante il suo caratteraccio, o le volte in cui laveva ferito.
Brian era sopravvissuto per Justin e perché, per quanto gli costasse ammetterlo, dentro di sé aveva chiaro come il sole che non era affatto disposto a separarsi definitivamente da lui. Non era disposto ad andarsene in un posto dove Justin non cera.

Fanculo, piccolo stronzo. Guarda come cazzo mi sono ridotto...
Spense il mozzicone nel posacenere e si avviò verso il letto, ciondolando stancamente. Si lasciò ricadere e inevitabilmente il suo sguardo si posò su quel cassetto che, da quando Justin se nera andato, non aveva più riaperto, se non per nasconderci le uniche tre cose che gli restavano di lui.
Avrebbe dovuto sbarazzarsene tempo prima, invece che lasciarle ad impolverare là dentro, perché sembravano poter urlare la loro presenza ogni minuto che trascorreva in quel posto, ma non ci era mai riuscito.
Un po perché aprire quel cassetto, significava ritrovarsele davanti agli occhi, insieme ai ricordi dei momenti passati con Justin – alcuni splendidi, altri terribili, ma pur sempre insieme – e un po perché, da qualche parte in fondo al suo cuore, la speranza di poter riaprirlo e riempirlo ancora delle sue cose; la speranza di vederlo tornare, non si era mai spenta.
Sì tolse i Jeans e li lanciò in un punto a caso del pavimento, prima di abbandonarsi sul letto e affondare la testa nel cuscino. Sospirò a fondo e fece per infilarsi sotto il copriletto, quando qualcuno prese a bussare insistentemente alla porta.
Mugugnò contrariato, finché nella sua testa balenò la possibilità che a battere il pugno fosse Justin; così, col cuore che gli pulsava in gola, si alzò di scatto e si affrettò a raggiungere la porta. «Jus...» pronunciò, dopo averla fatta scorrere con foga; e per un attimo gli parve davvero di vedere quel sorriso, ma lincantò svanì nel giro di un secondo, lasciando il posto al ghigno divertito di unaltra persona. «...Brandon?!» esclamò sorpreso, deluso e scocciato. «Ma che cazzo sei? Uno stalker?»
Laltro scrollò le spalle e sorrise. «Mi annoiavo al Babylon.»
«E che cazzo ci fai qui?!» sputò rabbioso, aggrottando la fronte.
«Sei impegnato con qualcuno?» chiese e cercò di sbirciare verso il letto, alzandosi sulle punte.
«No...»
«E allora dovè il problema?» cercò di entrare, ma Brian gli si parò davanti, assumendo un sorrisetto che poco celava il fastidio nato da quella visita.
«Il problema, Barbie, è che qui non cè nessun cazzo di Ken disposto a scoparti e, se non ti dispiace, io vorrei dormire. Quindi, fammi il grosso favore di evaporare
Brandon prese a ridacchiare. «Lasciatelo dire, non sei per niente ospitale.»
«Non ho mai voluto esserlo.»
«Non è questo che si diceva da te fino a un po di tempo fa...»
Brian scosse la testa e si passò la lingua sui denti. «Le cose cambiano.» abbozzò un sorriso fulmineo e concluse, prima di chiudergli la porta in faccia. «Perciò, buonanotte riccioli d'oro, e sta attento ai tre orsi mentre torni a casa.»


*'*'*



Portò la mano allo stereo e girò la manopola per alzare il volume, prima di prendere laccendisigari già caldo e accendersi una sigaretta. Abbassò il finestrino e lasciò che il fumo fluisse via attraverso lo spiffero. «Hai intenzione di fumarne ancora molte?» borbottò Jace contrariato.
Justin sbuffò. «Chi cazzo sei, mia madre?!»
«No, ma tu soffri decisamente di attacchi dira.» commentò in risposta laltro, con aria stranita.
«Scusa.» mormorò seriamente dispiaciuto. Prese lultimo tiro e lasciò cadere il resto fuori dal finestrino. «È solo che...»
«Senti, non è perché non voglio aiutarti ma...non credo che restare piantati in macchina sotto casa del tuo bello ti servirà a qualcosa!»
Justin prese a ridacchiare. Erano arrivati da almeno dieci minuti, con tutta lintenzione di smuovere la situazione, ma nonostante le minacce di Jace, non era ancora riuscito a scendere e suonare il campanello. Se poi pensava a quanto era stato sfacciato in passato e a quante volte si era presentato alla porta di Brian senza prima avvertirlo, quella situazione prendeva una piega anche più assurda.
Inspirò profondamente, scostandosi dalla faccia una fastidiosa ciocca di capelli biondi e sorridendo allamico, fece per aprire la portiera, quando il portone del numero sei di 
Fuller Street, venne improvvisamente spalancato.
Trattenere la sorpresa fu impossibile, nel momento in cui in strada fece la sua comparsa Brandon, e sentì qualcosa rompersi dentro.
Aveva sempre provato una particolare gelosia per quelluomo, non solo perché era bello, ma anche per quella strana intesa che si era creata tra lui e quello di cui era innamorato, data lincredibile compatibilità del loro modo di essere e di fare. Per certi versi, Brandon era praticamente un Brian Kinney con i capelli biondi e gli occhi azzurri.
Gli aveva visti insieme a Babylon, e aveva cercato di non sorprendersi della loro breve chiacchierata, ma vedere proprio Brandon uscire dal palazzo in cui viveva laltro...quello no, non se lo sarebbe mai aspettato, né mai avrebbe voluto vederlo.
In qualche modo si era sempre sentito minacciato da lui, e in quel momento ogni paura sembrò materializzarglisi davanti e divenire reale. In fondo, perché mai Brian avrebbe dovuto aspettarlo quando poteva avere chi voleva, anche uno come Brandon?
Con rabbia cieca portò la mano a girare la chiave e mise in moto, ignorando i borbottii di Jace – che in vano cercava di farlo ragionare, nonostante fosse altrettanto visibilmente sorpreso – e partì, schiacciando fino in fondo il pedale dellacceleratore.
Sorpassò due macchine e svoltò bruscamente a destra, in uno stridio acuto di freni e gomme, e gli strilli di Jace. «Ok, ok.» balbettò spaventato, stringendosi con entrambe le mani al sedile. «Jus, rallenta. Ti prego, rallenta!» lo fissò allarmato e aggiunse: «Non ti ho mai detto quanti anni ho, ma questo non vuol dire che io sia abbastanza vecchio per crepare!»
Justin però non sentiva neanche le sue parole. Davanti ai suoi occhi vedeva a malapena la strada, coperta dalle immagini di lui e Brian insieme, confuse a quelli che credeva potessero essere i momenti che, quello che era stato il suo uomo, poteva aver trascorso con Brandon.
Immaginare laltro al suo posto, nei ricordi del loro amore, gli occludeva la gola impedendogli di respirare; e si sentiva bruciare dentro come mai gli era successo prima.
Era sempre stato molto geloso di Brian, fin dallinizio, e per quanto avesse spesso criticato laltro per i suoi stani scatti di rabbia e gelosia, guidati da un probabile “mostro dagli occhi verdi” – come lo chiamava Debbie – in quellistante, fu certo di avere un mostro decisamente peggiore a divorargli il fegato, lo stomaco e qualsiasi altro organo commestibile; cuore compreso.
Inchiodò davanti al loro albergo e parcheggiò alla meno peggio, prima di correre nella loro stanza, come un pazzo, e afferrare con rabbia il proprio trolley.
«Che cazzo stai combinando?» esclamò Jace, dopo averlo raggiunto, osservandolo stranito mentre afferrava le sue cose e le scaraventava malamente nel proprio bagaglio.
«Non lo vedi?!» sbottò, senza neanche guardarlo. «Torno a New York!»
«Oddio, ecco che ci risiamo con un altro dei melodrammi di Justin Taylor. Tesoro, lasciatelo dire, tu hai davvero un problema con i tuoi nervi.»
«Che cazzo ci faccio qui?!» gridò ancora, lanciando a terra una cintura. «Perché cazzo mi sono lasciato convincere a tornare qua, se si è già dimenticato di me?! Perché mi hai permesso d
illudermi così?»
«Justin!» lo chiamò, posandogli una mano sulla spalla per spingerlo a sedersi sul letto e calmarsi. «Non sai se ti ha dimenticato...»
«Ah no? E allora che cazzo ci faceva quello a casa sua?»
«Da quello che mi hai raccontato, scopare a destra e a manca, è sempre stato il suo modo per affrontare la vita. Cè da sorprendersi?»
«Non lo so.» sospirò, distendendosi con la schiena sul letto. «Io non...»
«Jus, ascoltami. Non sai se quello era davvero lì per scop...» iniziò, ma locchiata ricolma dira che gli rivolse laltro, lo convinse a cambiare le proprie parole: «Daccordo, magari è come pensi, ma lhai sempre accettato così, e prima di tornartene a New York su ipotesi interamente create dal tuo cervellino, almeno parlagli e accertati di come stanno le cose.» si distese al suo fianco e prese a fissare il soffitto. «E poi, hai una promessa da mantenere a un bambino...e le promesse ai bambini si mantengono, sempre
La mente di Justin corse a Gus, e al sorriso che si era disegnato su quel faccino dolce. Non poteva andarsene e deluderlo; non poteva fare del male a quel bambino stupendo che aveva visto realmente nascere e a cui aveva dato un nome.
Sospirò profondamente e si girò su un fianco, strisciando sul letto fino a raggiungere Jace e posare la testa sul suo petto. Si lasciò abbracciare e chiuse gli occhi, trattenendo a stento le lacrime. «Daccordo. Restiamo.»



*'*'*



Erano scoccate appena le sette del mattino, quando Gus zampettò giù dal letto e corse fino alla camera in cui dormivano le sue mamme.
Si aggrappò alla maniglia per abbassarla ed entrò, sgattaiolando immediatamente da Linz, per riscuoterla e svegliarla dal sonno. «Mamma, mamma!» la chiamò, e continuò a farlo finché la donna non prese a stropicciarsi gli occhi. «Mamma, quando viene papà? E Justin? Mi devi vestire!»
«Amore, ma che ore sono?» biascicò stordita, finché non si accorse della posizione delle lancette. «Gus, sono appena le sette.»
«Voglio andare da papà! Me lhai promesso!»
«Che succede?» mugolò Mel rigirandosi tra le lenzuola, svegliata dalla voce lamentosa del bambino.
«Voglio andare da papà e Justin.» batté i piedi deciso.
«Tesoro, tuo padre verrà e anche Justin, ma questo pomeriggio.» gli rispose Mel. «Adesso torna a dormire.»
«Non voglio andare a dormire, voglio andare dal mio papà!» strillò più forte, mentre le lacrime iniziarono a riempirgli gli occhioni verdi.
«Gus...» iniziò Melanie, con tono di rimprovero, ma fu fermata da Linz.
«Gus, lo so che vuoi stare con tuo padre, ma lui ha da fare e anche Justin. Ti hanno promesso di passare il pomeriggio con te e lo faranno, ma non se farai i capricci.»
«Ieri papà mi ha detto che posso andare da lui quando voglio!» replicò intestardito. «E io voglio stare con lui. Non lo vedo mai! Io voglio vivere qui con lui, con nonna Deb, Justin e gli zii!»
Sia Mel che Linz sussultarono a quella confessione dettata dallesasperazione. Probabilmente il loro bambino si stava tenendo da un po certi pensieri nascosti dentro, e dal momento in cui era tornato a Pittsburgh, trattenergli era stato impossibile.
Fermare i soliti sensi di colpa dettati dalla loro scelta di essersi trasferite a Toronto e aver allontanato i propri figli dal resto della loro famiglia, fu impossibile, perciò, con un tacito assenso dato da una semplice occhiata, Linz afferrò il cellulare e compose il numero del loft, aspettandosi una lunga serie di imprecazioni da parte di Brian.
«Vivi in un posto dove hai un altro orario, o ti rendi conto che sono le sette del mattino?» sbottò lui infatti, allaltro capo del telefono, dopo innumerevoli squilli.
«Fatti una doccia, e renditi presentabile. Porto tuo figlio da te, altrimenti mi farà diventare matta.»
«E bravo il mio bimbo.»
«A dopo.» mormorò e riattaccò, ignorando il tono soddisfatto di Brian, per poi rivolgersi al bambino. «Fatti bello tesoro, ti porto da tuo padre.»

Quando arrivarono davanti al portone, Gus non stava più nella pelle.
Si alzò sulle punte e premette con forza lindice sul bottone del citofono, impaziente di sentire la voce di suo padre. «Salite.» lo sentì comunicare, attraverso il microfono, a cui seguì lo scatto secco del portone.
Decise di non aver tempo, né voglia, di aspettare il montacarichi, così costrinse Linz a seguirlo di corsa per le scale. Le percorse tutte con un
enorme sorriso sulle labbra, fino al pianerottolo, dove Brian lo stava aspettando a braccia conserte, appoggiato al muro. Vide suo padre accoccolarsi per accoglierlo, e quando si gettò nel suo abbraccio, si sentì sollevare e stampare un rumoroso bacio sulla fronte. Per Gus, non esisteva niente al mondo che potesse renderlo più felice. «Papà!» strillò, e allacciò le braccia intorno al suo collo, respirandone il profumo che sapeva essere quello di un uomo.
«Ciao, campione.» gli sorrise. «Ma...dove l
hai lasciata la mamma?» chiese, e non ebbe bisogno di risposte, perché vide spuntare una Linz piuttosto provata dalle scale.
«Tuo figlio mi vuole morta.» annaspò, salendo gli ultimi scalini.
«Di piuttosto che sei vecchia.» la canzonò lui e schivò appena in tempo il pugno con cui la donna tentò di colpirlo.
Entrarono nel loft, e Brian posò il bambino a terra, così che potesse correre a sedersi sul divano e godersi un film di James Dean che, nonostante la giovanissima età, sembrava già amare.
Brian prese una bottiglia di birra dal frigo e ne offrì una a Linz. «Allora...» esordì poi. «
È tutto ok?»
«Suppongo di sì.» rispose lei, trangugiando una grossa sorsata per riprendersi. «
È solo che non riuscivamo più a tenerlo buono. Gus non riesce a stare lontano da te e...»
«E...» la incoraggiò, sollevando un sopracciglio.
«Ci ha detto che vuole restare qua a Pittsburgh, con tutti voi.» sospirò la donna e lanciò un
occhiata amorevole al figlio, intento a osservare le immagini che si susseguivano sullo schermo al plasma. «Mi chiedo se vivere a Toronto sia davvero la cosa migliore. Gus sembra soffrirne troppo.»
«Non sentirti in colpa. L
hai fatto per il suo bene. Per tenerlo al sicuro dallo schifo che non lo accetta per quello che è.»
«Lo so, ma se questo vuol dire vederlo soffrire perché ha bisogno di te...»
Brian voltò lo sguardo verso il bambino e le sue labbra s
incresparono involontariamente in un sorriso. Ogni volta che i suoi occhi incrociavano la figura del figlio, era come se sentisse allargarsi il cuore, ed era una sensazione che aveva sempre provato fin dal primo istante in cui laveva visto. Forse era quello che tutti chiamavano “istinto paterno”. Un giorno non cera, e poi, come quel frugoletto era entrato nella sua vita, era comparso allimprovviso.«Cercherò di venire a Toronto più spesso. Non solo nel fine settimana.»
«E se tornassimo noi?» azzardò e vide il suo migliore amico voltarsi di scatto. Non avrebbe potuto giurarci, perché Brian era un maestro nel nascondere le emozioni, ma per un misero istante, le era parso di veder accendersi una luce di speranza in quegli occhi scuri. «Se tornassimo a vivere qui...»
«Tuo marito che ne pensa?» domandò in risposta, con tono piatto, sforzandosi di trattenere la gioia che gli era divampata dentro nel momento in cui aveva sentito anche solo accennare a quella possibilità.
«Non ne abbiamo mai parlato bene, ma so che anche lei si è accorta di come sta reagendo Gus e si sente in colpa quanto me.» sospirò e sorrise appena. «Suppongo poi che le tue parole le brucino ancora.»
Brian sollevò le sopracciglia. «Non potevate certo aspettarvi che reagissi con gioia nel sapere che mio figlio si sarebbe trasferito in un altro paese.»
Linz gli si avvicinò e lo baciò sulla guancia. «Devi amarlo proprio tanto, eh?» si lasciò abbracciare e appoggiò la testa sulla spalla di lui. «Attento Brian, di questo passo verrai nominato anche padre dell'anno.»
«Pensavo di esserlo già.» replicò ridendo, e lei gli stampò un bacio sulle labbra.
«Va tutto bene?» ebbe il coraggio di chiedergli.
«Perché questa domanda?» replicò, sciogliendo l'abbraccio. Quando qualcuno – a prescindere da chi fosse – faceva il minimo riferimento all'argomento “Justin”, sentiva l'impellente bisogno di doversi allontanare da tutti.
«Be
, hai promesso a tuo figlio un pomeriggio con Justin.»
«Rettifica.» Brian sorrise sprezzante. «Se ben ricordo,
tu hai promesso a mio figlio un pomeriggio con Justin.» la fissò in silenzio per qualche istante e prese un sorso di birra. «Comunque sia, non cè alcun problema.»
«Sei spaventato?» gli chiese e lui roteò gli occhi scocciato, emettendo un mugugno di fastidio.
«Da cosa?»
«Dal fatto che lui sia qui.»
«Perché dovrei?!» esclamò, con un
espressione stranita.
Linz arricciò le labbra e rispose, con un tono di ovvietà. «Per come sono andate le cose, e perché lo ami.»
«Chi ti dice che lo amo ancora?» replicò saccente. «Perché tutti lo date per scontato?»
«Perché è così, anche se ti ostini a non volerlo ammettere, ami Justin più di qualsiasi altra cosa.» gli si fece nuovamente vicina e lo costrinse a guardarla negli occhi. «Non l
avresti lasciato libero, se non lo amassi così tanto.»
«Stiamo parlando di un anno e mezzo fa. Chi ti dice che non siano cambiate le cose?»
«Il fatto, ad esempio, che sai esattamente quanto tempo è passato da quando se n
è andato...» ammiccò, picchiettando con lindice sul suo petto. «...quando non ricordi neanche il compleanno di tua madre.»
«Non vedo perché dovrei ricordarmelo.» ribatté prontamente, tentando invano di metterla a tacere.
«Oppure da come lo guardavi quando vi siete incontrati. Ti sei pietrificato.» continuò lei, ignorando e mandando in fumo i suoi tentativi di fuga.
«Ero solo sorpreso nel vederlo lì.» scrollò le spalle e inarcò le sopracciglia. «Niente di più.»
«Bugiardo.» lo canzonò Linz. «Comunque sia, libero di continuare a negare la realtà dei fatti a tutti noi, ma non farlo con lui. Digli che lo ami ancora.»
Brian restò in silenzio per un attimo, a sostenere lo sguardo di lei, per poi sospirare e guardare oltre la finestra. «Perché dovrei farlo?» borbottò e si sentì immediatamente avvolgere da un abbraccio.
«Perché ne ha bisogno. Ne ha bisogno lui di sentirlo, quanto tu hai bisogno di toglierti questo peso dallo stomaco.»
L
uomo però non rispose, si limitò a inspirare profondamente e a trattenere laria dentro di sé per qualche secondo, prima di espirare, come se in quel modo potesse gettar fuori ogni preoccupazione. Si allontanò di un poco da Linz e le sfiorò le labbra con le sue, prima di prendere a osservarla intensamente. «Parla con Mel.» mormorò poi. «Tornate a casa.»



*'*'*



«Il bluastro cadavere non ti dona molto tesoro, quindi che ne dici di riprendere a respirare prima di morire per asfissia?» esordì ironico Jace, tra i risolini di Daphne, picchiettando sulla sua spalla.
Justin gli rivolse un
occhiata scocciata e fece una smorfia. «Devo ridere?»
«Non era una battuta. Non scherzo quando dico che non hai una bella cera.» sollevò un lato del labbro e lo scrutò attentamente. «Mia nonna aveva il tuo stesso colorito quando ha tirato il calzino. Santa Lilian, che Dio l'abbia in gloria! Aveva dei foulard di seta favolosi.»
«Grazie, Jace.» commentò l'altro acido. «Ora sì che mi sento meglio. Tu sì che sai come tirare su il morale delle persone!»
«Coraggio Justin! Smettila di fare la checca melodrammatica!» gli disse Daphne, punzecchiandolo sulla spalla.
«Ricordatemi di non portarvi mai più in giro insieme.» replicò, passando gli occhi blu tra i suoi amici. «Piuttosto pranzo a cianuro e cicuta!»
«Che ti dicevo, Daphne?» Jace incrociò le braccia e prese a scrutare l
artista con fare esperto. «Questa è la tipica RDCS
«La che?» domandarono gli altri due all
unisono.
«Reazione da chiappa stretta.» puntualizzò annuendo. «In poche parole ti stai cagando addosso e stringi le chiappe per evitarlo, il che ha come conseguenza sudorazione e sbiancamento della faccia. Il fatto che poi trattieni il fiato, contribuisce a donarti quella tonalità bluastra tipica di un cadavere.»
«Grazie per la diagnosi, Doctor House.» gli rivolse un sorriso tirato e si scostò un ciuffo biondo dalla faccia con fare nervoso. «Pensi di aver finito?»
«Avanti Taylor, rilassati! Non devi mica tenere un discorso per il Golden Globe!»
«No, infatti. Forse sarei meno agitato.» deglutì forzatamente e si stropicciò le mani sudate. «Che ore sono?» chiese poi rivolto a Daphne e la vide roteare gli occhi scuri, prima di ammiccare verso Jace.
«Neanche cinque minuti in più di prima.» replicò saccente. «Justin, datti una calmata. È solo Brian!»
«È proprio il significato di quel solo che stona nella frase.» rettificò lui, sempre più nervoso. Erano arrivati da poco più di cinque minuti al Diner, dopo che Linz l
aveva chiamato per concordare l'appuntamento, e già non ne poteva più di aspettare. I secondi parevano ore. «È proprio perché è lui che mi sento così. Lhai visto come ha reagito quando mi ha visto?»
«Sì, era nervoso e sorpreso esattamente quanto te.»
«Era scocciato, quasi infastidito.»
«Dio, Justin. Possibile che dopo tutti questi anni ancora non hai imparato a decifrare le espressioni di Brian?» gli si fece più vicina e gli sorrise. «Credimi quando ti dico che devi stare tranquillo e che non ti ha dimenticato. Tu non c
eri a Pittsburgh, ma io sì...e so quello che ho visto! Devi solo dargli il tempo di digerire lidea. Non è facile per lui.»
«Non è facile per lui.» ripeté sarcastico. «E a me e ai miei nervi chi ci pensa?»
«Valium e Prozac?» propose Jace, ma dall
occhiata che ricevette capì che non era una buona idea. «Comunque sia, fossi in te comincerei ad asciugarmi quelle mani umidicce e mi darei una sistemata.»
«Perché?» domandò Justin incuriosito.
«Quante Corvette verde bottiglia con la cappotta bianca ci sono a Pittsbugh?»
«Suppongo una. Quella di Brian.»
«Perfetto, allora ti comunico che Brian è appena arrivato.» sorrise furbescamente e fece schioccare la lingua. «Ha appena parcheggiato.»
Se gli avessero tirato un macigno sullo stomaco, probabilmente sarebbe stato molto meglio. Il vuoto che aveva sentito improvvisamente scavargli dentro, non era niente paragonato a quello che aveva provato quando l
aveva rivisto dopo più di un anno.
Era certo che sarebbe svenuto da un momento all
altro, se solo non avesse costretto il suo cuore a regolare i battiti e i suoi polmoni a riaccogliere laria e funzionare correttamente; ed era altrettanto certo di non essere mai stato tanto spaventato in vita sua.
In fondo si trattava di un semplice pomeriggio in compagnia di Gus, e vista la presenza del bambino, forse non avrebbero potuto neanche parlare liberamente. Eppure il solo pensiero di dover trascorrere anche solo qualche minuto con lui, lontano dagli occhi indiscreti di quei pettegoli – perché per quanto gli volesse bene, era quello che erano – dei suoi amici, lo mandava letteralmente in tilt. «Ok, adesso sono davvero agitato.»
«Respira Jus. Respira.» gli prese le mani e le strinse appena. «Respira e inspira. Respira e poi inspira.»
«Jace, non devo partorire!»
«Dalla faccia che ti ritrovi sarei quasi disposto a scommettere il contrario.»
«Sempre più incoraggiante.» sibilò minaccioso.
«Datti un contegno, sorgi e splendi raggio di sole. Il tuo principe è arrivato.» e a conferma delle sue parole, il trillo del campanellino si disperse nell
aria, seguito dal quello della porta che si apriva e si richiudeva.
«Justin!» si sentì chiamare da una vocina cristallina e portando lo sguardo verso quella direzione, vide quel piccolo e bellissimo uragano che rispondeva al nome di Gus, corrergli incontro.
Seppur con un sorriso lievemente tirato per l
agitazione, Justin riuscì ad alzarsi e accogliere il bambino, sollevandolo per abbracciarlo. Lo fece sistemare con le gambe ben salde al suo fianco, così come erano sempre stati abituati a fare e lo riempì di baci sulla fronte e sulle guance morbide. «Ciao Gus! Sei sempre più bello e grande.»
Il bambino sorrise e si voltò un poco verso il padre che era rimasto in disparte a godersi la scena con una punta di malinconia. «Hai visto papà? Justin è venuto davvero!»
Brian sollevò appena uno degli angoli della bocca. «Ho visto.» annuì e si strinse nelle spalle. «Allora...andiamo?»
Justin restò a fissarlo in silenzio ancora per qualche istante.
A occhi esterni, Brian poteva apparire come la persona più tranquilla del mondo, ma dalla linea della mascella squadrata leggermente indurita, dal modo in cui teneva inarcate le sopracciglia e da come i suoi occhi si muovevano, riuscì a capire quanto in realtà fosse nervoso; forse anche più di lui e altro non gli restava che comprenderne il perché.
Non era pronto a giurare che fosse per amore, specie dopo aver visto quel Brandon uscire dal suo palazzo, ma non poteva neanche rimandare ancora per molto. Doveva sapere la verità e se solo le sue paure si fossero avverate, avrebbe “semplicemente” dovuto imparare a sopravvivere senza avere più un cuore.
Si voltò per fare un cenno si saluto a Jace e Daphne e fece qualche passo incerto verso Brian. Riposò il bambino a terra e accolse con un sorriso quella manina piccola e morbida nella sua, quanto Gus gliela porse silenziosamente, concedendo l
altra a suo padre.
Justin lanciò un
occhiata imbarazzata a Brian, ma vedendo gli occhioni brillanti di speranza del bambino, non riuscì a trattenersi dal sorridere apertamente: «Andiamo.»

“Special needs” - Placebo

Nonostante il vento continuasse a sferzare la faccia di entrambi, il sole splendente riusciva comunque a scaldarli.
Continuando a tenere Gus per mano, Brian e Justin passeggiavano fingendo disinvoltura e tentando di distrarsi e allontanarsi dai pensieri che si arrovellavano e avvicendavano nella testa di entrambi, insieme alle preoccupazioni, ascoltando le storie che il bambino si premurava di raccontare con entusiasmo sulla sua vita a Toronto: «Papà, lo sai che la maestra ha detto alla mamma che sono bravissimo e faccio i conti come i bambini più grandi?»
«Lo so, lo so.» gli sorrise lui. «E sono fiero di te.»
«E poi ci hanno portato al museo e ho visto un sacco di cose. E ho fatto tanti disegni, sai?» si voltò verso Justin e saltellò sorretto dalle mani dei due adulti. «Justin, quando vieni a Toronto te li faccio vedere!»
«Non vedo l
ora. Diventerai sicuramente unartista migliore di me.»
«E poi allora anch
io sarò come te e papà? E andremo nei posti tutti e tre insieme?»
«Ah...sì.» balbettò incerto. «Sarai sicuramente bravo come tuo padre.»
«Anche meglio.» continuò Brian, incoraggiandolo.
«E avrò una macchina bella bella, come quella di papà e un castello con i cavalli!»
«Io non ho i cavalli. Solo le scuderie.» rise l
uomo, accarezzando la testa con la mano libera, senza accorgersi di come Justin lo stava fissando stupito dopo le parole del bambino.
C
era solo un castello a cui Gus poteva riferirsi. «Britin...» mormorò allora, facendo sì che quegli occhi verdi si posassero a incontrare i suoi blu. «Non...non lhai venduta?»
Brian scrollò le spalle. «Mi avanzavano abbastanza soldi per poterla tenere senza problemi.»
Justin annuì, come per fargli intendere che aveva compreso e arricciò le labbra. «Ma...non ci vai mai? Cioè, vivi ancora al loft?» si sforzò di chiedergli, lasciando che nel suo cuore nascesse la speranza che Brian si fosse trasferito a Britin, così da potersi augurare che Brandon non fosse in quel palazzo per lui. La gelosia lo stava letteralmente divorando senza pietà.
«No. Vivo ancora al loft.» replicò invece e a Justin parve di sentire il suo cuore tremare. «Non ho toccato niente là. È rimasto tutto come quando l
ho comprata.»
«Capisco.» borbottò, abbassando lo sguardo deluso senza più proferire parola, limitandosi ad ascoltare i racconti del bambino e a sorridergli di tanto in tanto finché non raggiunsero il parco, dove Gus, dopo aver chiesto il permesso al padre, corse a giocare in compagnia di altri bambini, eliminando l
unica flebile barriera che ancora lo teneva lontano dal confronto diretto con Brian.
Si sedettero su una panchina di legno, entrambi con le labbra serrate dal nervosismo e tennero gli occhi puntati sul bambino, fino a quando non fu proprio Brian a rompere il ghiaccio: «Allora, Taylor. Come procede a New York?»
Justin gli lanciò un
occhiata furtiva e si protese in avanti, appoggiando gli avambracci sulla cosce e unendo le mani per torturarsele. «Abbastanza bene. Vorrei solo avere più tempo per me.»
«Il prezzo della fama.»
«Sì, suppongo sia così.» mormorò, fissando un punto a caso davanti a sé. «Forse però ci sono riuscito a ritagliarmi un po di tempo libero.»
«Deb ti ha minacciato di morte?» commentò sarcastico, prima di tirar fuori dalla tasca del cappotto elegante il pacchetto di sigarette per prenderne una e offrirne una seconda a Justin.
«Una cosa del genere.» replicò, afferrando il filtro con due dita e portandoselo alle labbra. «Ma è stato il mio agente ad accorgersi finalmente che ero in procinto di una crisi di nervi. Debbie ha solo contribuito con le sue telefonate per farmi sentire in colpa.»
«Avresti dovuto chiamarla più spesso.» accese la sua sigaretta con lo zippo e lo passò all
altro, fingendo una tranquillità che in realtà non gli apparteneva affatto. Dentro di sé sentiva ribollire la frustrante sensazione di avere al suo fianco la persona che amava, unita al bisogno martellante di baciarlo, che si scontrava con la paura di lasciarsi andare. Era una vera esplosione di sentimenti contrastanti e coincidenti; e non aveva la più pallida idea di come gestirla. «Anche tua madre, Daphne e tua sorella erano piuttosto arrabbiate.»
«Lo so, mi hanno fatto una bella lavata di capo.» si sforzò di sorridere e prese una profonda boccata di fumo, cercando di nascondere i fremiti che lo attraversavano continuamente. «Avrei voluto chiamarle, ma ero sempre di corsa tra una mostra e laltra e...» si mordicchiò le labbra e si sistemò una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio. «...non era così facile.»
«Lo so.» replicò Brian semplicemente; e lo sapeva davvero. Sapeva benissimo cosa significava passare minuti a fissare il telefono, tra la speranza di sentirlo squillare e vederci il nome di Justin impresso sul display, e la voglia di comporlo di propria intenzione quello stesso numero per poter sentire anche solo per un
istante quella voce che gli mancava da morire. Non era stato facile desistere dal chiamare, ma allo stesso tempo era stato ancora più difficile trovare il coraggio di farlo.
«Alla Kinnetik?» chiese, per non lasciar cadere nel vuoto la conversazione.
«Tutto nella norma. Siamo sempre i migliori.»
«Sì, lo immaginavo.» sorrise e l
osservò con la coda dellocchio. «Anche al Babylon sembra che gli affari vadano bene.»
«E tu che ne sai?» domandò sorpreso, con la fronte aggrottata, finché non gli balenarono le parole di Michael nella testa. «Mickey caveva visto giusto allora...»
«Eh già.»
Brian continuò a fissarlo in silenzio, per poi sospirare e costringersi a tirar fuori quelle parole che gli si erano incagliate nella gola fin dal primo momento in cui i suoi occhi avevano incrociato quelli dell
altro. «Per quanto ti fermerai?»
«Ancora non lo so.» ribatté, un po
confuso da quella inaspettata domanda. «Gary, il mio agente, ha detto che proverà a lasciarmi libero almeno fino a Natale.»
«È un bel po di tempo.» mormorò, mentre uno squarcio andava ad aprirglisi improvvisamente nel petto; uno squarcio liberatorio, da cui poté lasciar uscire il suo dolore e le sue paure, per rilassarsi almeno un po
dopo più di un anno passato a torturarsi nel ricordo di qualcosa che temeva di non poter più riafferrare. Un mese. Trenta giorni in cui poter ancora respirare e godere ancora della sua presenza. Aveva paura perfino a crederci.
«Poco meno di un mese, ma mi ha detto di non potermelo garantire. Potrei dover tornare a New York da un momento allaltro.»
«Da come lo dici, sembra quasi una chiamata alle armi.» cercò di suonare ironico, ma quel suo “potrei dover tornare a New York da un momento all'altro”, era stata un
inevitabile pugnalata.
New York. Comincio seriamente ad odiarla quella cazzo di città.
«Non è poi così diverso da una guerra.» sorrise Justin e si sciolse un po
, tornando a respirare regolarmente. «Ancora non ho capito se tutto questo fa per me.»
«Era il tuo sogno.» commentò Brian, posando per la prima volta il suo sguardo sull
altro.
«Le cose non sono sempre come le immagini.» replicò con una scrollata di spalle e vide l
uomo increspare le labbra in un sorriso appena accennato, che pareva avere una punta di amarezza dentro.
«No, non lo sono.» convenne, arricciando la bocca, per poi ridistenderla e percorrerla interamente con la punta della lingua. «Non lo sono quasi mai.»
Justin si perse nei suoi pensieri, mentre con lo sguardo percorreva ogni millimetro dello splendido volto che gli si mostrava davanti. Ancora non riusciva realmente a credere di esser riuscito a incontrarlo ancora; di aver sentito ancora quella voce profonda che era stata capace di fargli provare ogni sorta di emozione.
Guardò a quelle labbra piene, ricordando il momento in cui avevano pronunciato quelle due parole che aveva agognato per cinque lunghi anni. Lo poteva sentire distintamente il loro suono perfetto rimbombare nella sua testa come una cantilena da cui prescindeva la sua felicità.
Ti amo. Ti amo.
Erano ancora lì. Perfettamente intatte come se le avesse appena pronunciate e ancora costringevano il suo cuore a una corsa a rotta di collo, fino allo stremo.
Non riusciva neanche a immaginare cosa avrebbe detto, dato o fatto per sentirgliele ripronunciare anche una sola volta, ed era inutile dire che, il solo pensiero che potesse rivolgerle a qualcun altro, o che qualcun altro si fosse appropriato di quel posto che una volta era suo e che mai avrebbe voluto abbandonare, lo spaccava a metà e lo svuotava completamente.
Non ci volle molto perché quei pensieri si collegassero automaticamente alla notte precedente e alla scena che aveva visto e che l
aveva spinto a decidere di tornare immediatamente a New York; e ci volle ancora meno – che quasi non se ne accorse – perché le sue labbra si muovessero per pronunciare una frase: «Stai con Brandon adesso?»
Brian si voltò interdetto e insicuro su ciò che aveva sentito. «Come?»
«Hai capito.» deglutì e strinse i pugni. «È il tuo compagno, il tuo amante o la tua nuova scopata abitudinaria?»
L
altro non rispose immediatamente. Lo fisso sorpreso, prima di sollevare una delle sopracciglia e lasciarsi sfuggire una risata. «Di che cazzo stai parlando?»
«Rispondi.» pronunciò quasi con rabbia, per poi costringersi alla calma, chiudendo gli occhi per un
istante. «Rispondimi. Per favore.»
«No.» replicò e non gli sfuggì il guizzo di sollievo che andò a illuminare quelle iridi blu chiaro. «Non è la mia scopata abitudinaria, non è il mio amante e...» rise ancora e concluse, decisamente incredulo e divertito. «Cazzo no, non è neanche il mio fottuto compagno. Da dove ti spuntano queste idee, raggio di sole? Non starai esagerando con qualche droga come ogni artista che si rispetti?»
«No, no.» si affrettò a rispondere e non poté non muovere le labbra in uno dei suoi sorrisi luminosi e perfetti, dopo aver sentito quel buffo soprannome pronunciato proprio da lui. Gli era mancato così tanto sentirlo. «È solo che vi ho visti insieme.»
«Io vado al Babylon, lui anche.» scrollò le spalle e aggiunse: «Capita di trovarsi lì.»
«L
ho visto uscire dal tuo palazzo. Ieri notte.»
«Che fai? Mi spii adesso?» rise, dopo averlo squadrato con la fronte aggrottata. «Pensavo ti fosse passata da un po
la fase di stalker adolescenziale
«Avevo solo bisogno di parlarti.» ammise sincero, quasi vergognandosene. «Ma quando l
ho visto, ho abbandonato i miei propositi. Ho pensato davvero che ci fosse qualcosa tra voi.»
«Capisco.» borbottò Brian, annuendo con la testa. «E...cosa volevi dirmi?» chiese, fingendo di non essere troppo interessato, quando in realtà stava scalpitando per saperne di più.
Justin deglutì a fatica e tornò a fissare il selciato, incapace di rispondere.
Avrebbe voluto semplicemente urlare che lo amava ancora e che aveva un disperato bisogno di lui. Che gli era mancato, che non voleva più fare a meno della sua presenza. Avrebbe voluto gettarglisi al collo e baciarlo; respirare il suo odore e stringerlo forte per piangere sul suo petto e sfogare tutta la rabbia e la tristezza per non averlo avuto accanto in tutto quel tempo. Avrebbe voluto fare e dire tante cose, ma come al solito, scelse una sola e chiara frase per riassumere tutto: «Che sei ancora l
unico che voglio.»
Brian nascose dietro un lieve sorriso la sorda esplosione che era gli avvenuta esattamente al centro del petto, quando con estrema semplicità aveva sentito le parole che ogni giorno aveva sperato di udire. L
aveva desiderato così tanto da non crederci quasi più, e invece Justin era lì, davanti a lui che lo guardava con occhi speranzosi e un sorriso timido, opacizzato dalla preoccupazione per la sua reazione. Aveva pregato ogni santo secondo della sua vita perché quel momento arrivasse e finalmente era stato esaudito. «E tu sei ancora il solito patetico ragazzino romantico.»
«Per fortuna certe cose non cambiano mai.» rispose Justin spavaldo, conscio che il sorriso dell
altro e quella sua frase sarcasticamente acida stavano solo a dimostrargli quanto in realtà era felice.
Restarono a fissarsi. Entrambi con un sorrisetto impertinente, quasi di sfida, a increspargli le labbra; e quelle stesse labbra avrebbero voluto unirle in quel preciso istante, per staccarle solo quando non avessero avuto più fiato, se solo il cellulare di Justin non gli avesse strappati e riscossi da quel momento perfetto che erano riusciti faticosamente a creare. «Scusa.» borbottò l'artista e rispose dopo aver sbuffato. «Ciao Gary. Dimmi.»
«Ehi, è morto qualcuno?» rispose l
altro interdetto.
«No, no. Tutto ok. Dimmi.»
«Dal modo telegrafico in cui mi stai rispondendo devo forse dedurre di aver scelto un momento sbagliato?»
Justin lanciò un
occhiata furtiva a Brian e lo vide visibilmente scocciato. «Non preoccuparti. Hai qualche novità?»
«Effettivamente sì. Sembra ci sia qualche riscontro positivo anche per allestire qualche altra tua mostra in Canada, a Ottawa.»
«Ah, fantastico.» commentò atono e privo di entusiasmo.
«Immagino. Dalla voce con cui l
hai detto. Comunque sia, per adesso non dovrebbe essere prevista la tua presenza, quindi la tua vacanza non è rovinata.»
«Ok.» sorrise e riprese a respirare. Aveva trattenuto il fiato temendo di sentirsi dire di dover già rientrare. L
avrebbe ucciso, se solo ci avesse provato. «Questo sì che è davvero fantastico.»
«Molto divertente, Taylor. Arriverà il giorno in cui prenderai sul serio tutte queste persone che ti venerano come un dio?»
«Nah, non credo.» rise e osservò con la coda dell
occhio luomo sedutogli accanto, trovandolo anche più infastidito di prima, a braccia conserte mentre passava lo sguardo in ogni dove e in modo frenetico. «Ti devo lasciare adesso. Ci sentiamo presto, ok?»
«Ok. Ma ricordati i tuoi impegni.»
«Lo farò. Stai tranquillo.» cercò di rassicurarlo e dopo aver attaccato tornò a rivolgersi a Brian. «Scusami. Notizie da New York.»
«Buone o cattive?» si sforzò di chiedergli, anche se non aveva nessuna voglia di sentir parlare di quella città.
«Buone, credo. Il mio agente ha parlato di una personale a Ottawa, o qualcosa del genere.» farfugliò, e quando vide lo sguardo lievemente allarmato di Brian posarsi su di lui, si affrettò a rispondere: «Ma non devo andare. Posso restare qua.»
«Ok.» mormorò semplicemente, mentre dentro di sé aveva sentito distintamente la paura assalirlo ancora. Non poteva vivere così; non poteva vivere con il costante terrore di vederselo portare via in ogni fottutissimo momento. Non riusciva a pensare di poter andare avanti con il timore di poter essere abbandonato ogni volta che provava a concedersi di essere felice con la persona di cui era innamorato. Era meglio troncare la cosa sul nascere...farsi del male subito, quando la ferita che ne sarebbe conseguita, forse non lo avrebbe squarciato del tutto. Forse era ancora in tempo a riabituarsi al malinconico limbo in cui si era rifugiato e rinchiuso quando Justin se n
era andato. Poteva ancora tornare a fingere di vivere e arrancare facendo a meno di lui? «Già, ma adesso appartieni a New York.» si sforzò di dire, anche se ogni parola gli bruciava la gola. «Il tuo posto è là, a conquistare il mondo.» deglutì a fatica, senza avere il coraggio di guardare in faccia il ragazzo al suo fianco e richiamò suo figlio: «Gus andiamo, papà deve controllare un paio di cose alla Kinnetik.»
«Di già?» borbottò il bambino.
«Sì campione, ma ci vediamo più tardi.» gli sorrise appena e fece per alzarsi e andarsene.
«Aspetta.» lo fermò Justin, senza nascondere la delusione nella sua voce. «Che...che significa?»
«Significa che tu hai la tua vita a New York e che io ho la mia qua.»
«Lo so che hai la tua vita qua, ma non vuol dire che...»
«Justin.» lo interruppe, cercando di apparire freddo. «Devo andare. Ci si vede.»
Non avrebbe voluto arrendersi così, né lasciarlo andare...ma lo sguardo freddo che gli aveva rivolto, lo aveva semplicemente lasciato senza forze.
Se c
era una cosa che aveva imparato negli ormai quasi ventiquattro anni della sua vita, è che spesso non si può tornare indietro dopo aver fatto una scelta; che le cose che ti lasci alle spalle non restano immutate ad aspettare un tuo eventuale ritorno, ma vanno avanti, esattamente come tutto il resto.
Non c'è niente di dovuto, né di garantito. Di quello che lasci, resta certo solo il ricordo...e osservando Brian allontanarsi per la mano con suo figlio, capì che probabilmente, non avrebbe ricevuto altro da lui. 


*** 

Note Finali: 
Ok...penso di poter scappare velocemente dal lancio dei pomodori marci! XD 
Forse questo Brian mi sta uscendo anche più ottuso di quanto non sia già...ma prometto di farlo rinsavire al più presto, anche perché, mica posso far impazzire solo i cari "Britin"... è ovvio che io debba riservare qualche sorpresa anche per gli altri! XD 
Scommetto che ci sarà qualcuno che detesterà Brandon anche più di prima, io invece - non chiedetemi perché - mi sto divertendo a scrivere di lui...non ha molto senso, ma mi fa ridere l'idea di veder Brian e "riccioli d'oro" confrontarsi ancora. XD Insomma, tanto per intendersi, per quel che mi riguarda, il caro Brandon non si guadagna lo scettro di "essere più odioso del telefilm"! 
Diciamo che nella mia testolina, Michael e Blake si contendono il secondo posto, mentre al primo...be', al primo non poteva esserci che lui: Ethan Gold
Mi sta talmente sulle balls, che non so neanche se riuscirò a scrivere di lui senza renderlo un perfetto cretino! Quindi è probabile che forse eviterò la sua presenza...o forse no, la utilizzerò per sfogarmi - tipo pungiball telematico - ma una cosa è certa...se mai dovesse esserci,
aspettatevi un Brian Kinney in versione Mike Tyson perché, QUI LO GIURO, se mai quel "cespuglio col violino" dovesse entrare a far parte dell'allegra combriccola di questa sesta serie, riceverà quel tanto desiderato pugno in faccia che ho agognato per tutto il telefilm
C'ho sperato fino alla fine che, oltre che per Michael, ne riservasse uno anche per Ethan...ma nulla, speranze vane... :( e va be'! Ci penserò io, se mai dovesse spuntare la sua chioma ricciolosa e unticcia. 
Ma sorvolando ed evitando di divagare ancora con i miei sproloqui senza senso, so di aver scritto un altro capitolo prettamente "Britin", ma vi prego di avere pazienza, e presto torneranno anche gli altri personaggi - adorati e non - con tutti i loro problemi da affrontare... XD 
Spero comunque vi sia piaciuto anche questo capitolo, nonostante i pomodori che vorrete lanciarmi per il finale! 
Vi comunico che il prossimo capitolo dovrebbe essere previsto per venerdì 5 Agosto [non Luglio come avevo scritto prima XD scusate, sono fusa], dopo di che passerà qualche giorno in più per la pubblicazione, dato che - finalmente - parto per la Grecia! :) 
Ok, direi che posso passare alla cosa più importante: Ringraziamenti
Un grazie a tutti coloro che hanno letto, a chi ha messo la storia tra le seguite, le ricordate o le preferite, ma soprattutto a: 
electra23Katie88Katniss88ThiliolOferliaCuorDiGhiacciosusyjamesmindyxxHel Warlockoo00carlie00ooFREDDY335giacaleasterix_cClara_88 e EmmaAlicia79 per aver recensito l'ultimo capitoloGRAZIE DAVVERO. 

Un bacio e a presto. 
Veronica.


   
 
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