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Autore: _Ayame_    29/07/2011    1 recensioni
Non ho davvero molto da dire: sarà una raccolta principalmente Angary.
Chiedo venia se nel titolo ho sbagliato la parte in ungherese, quindi, correzioni, bene accette!
[Personaggi principali: Austria, Ungheria (probabile comparsa di Chibi!Italia, Prussia, Sacro Romano Impero e - forse - Spagna)]
[Pairing: Angary (probabile accenni a: Prungary, TurchiaxUngheria e SerbiaxUngheria e SpAustria)]
I generi non li ho ancora in mente: le fic che ispirerò a quella che mi ha fatto venire in mente la prima saranno malinconiche.
«Quel giorno, (Eliza) aveva sentito l’irreprimibile istinto di raggiungere l’austriaco, e parlare per ore.
Quando era partita in fretta e furia per Vienna senza fare valigie, non sapeva esattamente cosa volesse.
Nemmeno un briciolo di razionalità aveva sfiorato la sua mente: e se Roderich stesse con qualcun altro? E se fosse piovuto?
Sull’aereo aveva pensato anche alla prima possibilità, stringendo convulsamente i braccioli del sedile, rigida come un pezzo di ferro, ma non alla seconda.
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Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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aph das nennt man liebe 4 on a raining day
Autore: _Ayame_
Titolo della fic: Das Nennt man Liebe - Úgy hívják: szerelem
Titolo del capitolo:
Tipologia della fic: Raccolta
Personaggi principali: Austria/Roderich Eldelstein, Ungheria/Elizaveta Héderváry (comparsa di Svizzera/Vash Zwigli, Liechtenstein/Lily Zwigli)
Pairing: AustriaxUngheria (Angary)
Genere: sentimentale, commedia, introspettivo, malinconico (?), slice of life, fluff
Avvertimenti: //
Raiting: Verde
Ambientazione storica: today ~
Introduzione:
Quel giorno, aveva sentito l’irreprimibile istinto di raggiungere l’austriaco, e parlare per ore.
Quando era partita in fretta e furia per Vienna senza fare valigie, non sapeva esattamente cosa volesse.
Nemmeno un briciolo di razionalità aveva sfiorato la sua mente: e se Roderich stesse con qualcun altro? E se fosse piovuto?
Sull’aereo aveva pensato anche alla prima possibilità, stringendo convulsamente i braccioli del sedile, rigida come un pezzo di ferro, ma non alla seconda.
Note: Perdonatemiperdonatemiperdonatemi! So che è da tempo che non aggiorno, ma ho una specie di strano blocco e *tante altre cose*. Comunque, devo riscrivere sul pc un paio di capitoli, ed un altro e semi-finito, quindi torneremo ai normali ritmi. E ci sarà anche qualcosa versione chibi!
Qui è piovuto – LOL – e immaginare questi due in una giornata di pioggia è stato il passo successivo.
Ah, è mieloso, ma forse non troppo: sono quasi come una vecchia coppia, ne~
Come se avessero imparato dalle loro passate esperienze :3
Spero vi piaccia, quindi, buona lettura!
 

On a raining day {Di troppi ‘se’ e cioccolate calde }
 
 
 
 
Eliza respirò contro il vetro della finestra, creando un alone bianco di fiato.
Sorrise, disegnando con l’indice un cuore.
«Elizaveta, sicura di stare bene?», chiese preoccupato l’austriaco entrando nel salotto con in mano un vassoio.
Ungheria adocchiò ciò che Austria aveva portato: the caldo, biscotti e due fette di torta al cioccolato con i lamponi posate su piatti di porcellana bianca e finissima.
L’ungherese annuì, stringendosi nella coperta che Roderich le aveva dato.
Strinse le gambe più vicine al busto, cercando di riscaldarsi.
Era completamente zuppa, ma stranamente ad Austria non importava che bagnasse la stoffa soffice del divano.
Si sedette invece di fronte a lei, poggiando il vassoio di quercia sul basso tavolino in vetro.
Roderich non aveva ben compreso cosa era successo.
All’improvviso aveva visto l’ungherese davanti alla porta di casa sua, grondante acqua dalla punta dei capelli, a quella delle mani.
L’unica dei due a non percepire pesantemente quel silenzio era Ungheria, che fissava allegra ed assorta l’aria torva e cupa del cielo gonfio di nuvole grigie come pietre sporche.
Canticchiava una canzone ungherese, stringendo con le dita bagnate la coperta alla gola.
Quel giorno, aveva sentito l’irreprimibile istinto di raggiungere l’austriaco, e parlare per ore.
Quando era partita in fretta e furia per Vienna senza fare valigie, non sapeva esattamente cosa volesse.
Nemmeno un briciolo di razionalità aveva sfiorato la sua mente: e se Roderich stesse con qualcun altro? E se fosse piovuto?
Sull’aereo aveva pensato anche alla prima possibilità, stringendo convulsamente i braccioli del sedile, rigida come un pezzo di ferro, ma non alla seconda.
Era iniziato a piovere, prima una pioggerella leggera che pizzicava appena la pelle divertendola e solleticandola, poi l’acqua si era lievemente accumulata sulle strade mentre la frequenza con cui le gocce ingigantite cadevano era aumentata.
Poi all’improvviso c’era così tanta acqua che quando una goccia toccava terra scatenava onde visibili anche da lontano, e l’acqua rimbalza in alto.
Aveva iniziato a correre e finalmente era riuscita a trovare la casa di Austria.
Sbuffando, era rimasta a guardare la facciata con i mattoni rossicci in vista e le edere che si arrampicavano su tutta la superficie dell’edificio.
Il suo sguardo era sceso di nuovo, incontrando due occhi violi caldi e spalancati dalla sorpresa.
Il resto l’aveva condotta su quel divano, a fantasticare, anziché parlare.
Ungheria sorrise, bevendo un po’ di the: caldo, zuccherato, scendeva lento e caldo lungo la gola, e giù fino allo stomaco, lasciando una sensazione piacevole e facendola rabbrividire.
«Certo, non si può dire che ti aspettassi. È successo qualcosa?», domandò Roderich, come se stesse continuando un discorso portato avanti mentalmente – o accaduto solo nella sua testa.
«No, no», non avrebbe mai ammesso la verità.
Ruotò gli occhi verdi verso l’austriaco e sorrise: «Ti spiace?».
Austria arrossì: «Questo the è davvero caldo, non trovi?», mormorò appena posando la tazzina sul piatto coordinato.
Eliza rise: «Non sei cambiato affatto, Roderich»
«O forse sì», sospirò Austria.
La risata dell’ungherese si fermò bruscamente: «Se ti può consolare, sei rimasto giovane come allora», sorrise e quando Austria rialzò gli occhi nei suoi, aggiunse punzecchiandolo un «Più o meno».
Riuscì addirittura a strappargli un sorriso, e si sentì soddisfatta.
Forse quello che voleva, era proprio quella pioggia.
 
Nella stanza regnava il buio: «Ehi, ehi!», la voce roca e calda come la cioccolata dello svizzero era burbera, come sempre.
Si diresse nella sala, dove sicuramente l’austriaco si stava godendo un tranquillo the, in una giornata come quella.
Borbottò qualcosa che non si comprendeva bene, e aprì la porta smerigliata.
Si affacciò svogliato e fece qualche passo all’interno, costatando che nemmeno lì la luce era accesa.
Si voltò verso il divano accanto alla finestra, le mani già sui fianchi e i polmoni già pieni d’aria pronta ad essere gutturalmente buttata fuori con violenza in un grido sovraumano, ma tutti i suoi propositi si smontarono, così come la sua posa e i muscoli del volto.
Sul divano c’era Austria.
Austria addormentato.
Abbracciato ad Ungheria.
Ungheria dormiva.
Riassumendo: Austria ed Ungheria dormivano abbracciati sul divano.
Vash sentì il volto arrossire e uscì dalla stanza e dalla casa con passo marziale, richiudendo la porta velocemente.
Aveva iniziato a borbottare di nuovo parole senza senso – maledizioni all’austriaco che prima lo chiamava in preda a chissà quale crisi per chissà quale spreco, e poi si faceva trovare addormentato con l’espressione di un angioletto.
Scese velocemente le scale ed aprì il portone del condominio.
«Allora?», chiese Lily voltandosi verso il frastuono che precedette il fratello; Vash le strinse le spalle in un abbraccio.
Si schiarì la voce, mentre l’acqua creava cascate sull’ombrello cremisi che la sorella teneva tra le mani.
«Ehm, sì, credo che Austria non necessiti più della nostra consulenza»
«Capisco», annuì la ragazza, mentre camminavano sul marciapiede.
«D-davvero?»
«Certo, certo!», annuì Liechtenstein, sorridendo – no, veramente non aveva compreso davvero l’accaduto, aveva solo frainteso.
«C-che ne dici se andiamo a casa e ti preparo una bella cioccolata calda?», cercò di corromperla.
Lily approvò, stringendosi ancora di più contro il fratello.
 
Galeotta fu la sua mente, dannata: Ungheria non sapeva più come muoversi.
L’austriaco non solo la stringeva a sé, ma era crollato di lato su di lei.
«N-non respiro», sospirò e guardò il viso dell’altro: almeno quella vista la ripagava in parte.
Chiuse gli occhi con un sospiro e reclinò la testa fino a poggiarla contro quella di Roderich.
Forse poteva concedersi altri cinque minuti.
   
 
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