XV Capitolo
Quel mattino mi
svegliai irritata, molto irritata!
Gerard entrò in
camera mia, allegro e pimpante, e quasi mi buttò giù dal letto.
“Sophie? Sophie …
Soph?”
Mugugnai qualche
parolaccia nella sua direzione. In italiano, naturalmente.
Andò verso la
finestra e con vigore ne aprì le tende. Il sole irruppe nella stanza e mi
infastidì gli occhi. Ormai completamente sveglia mi sollevai a sedere.
“Stavi dormendo per
caso?”
Gli lanciai
un’occhiataccia assassina e mi girai a guardare la sveglia sul piccolo
comodino.
Imprecai
mentalmente.
Erano
appena le sette di mattino, accidenti!
Lo freddai con un’altra
occhiataccia “No, ma ti pare. Adoro essere svegliata da un omone gigante che piombando
in camera mia mi butta giù dal letto!”
Lui scoppiò a ridere
“Su coraggio che il
mattino ha l’oro in bocca!”
“Beh, menomale
allora … non sono avida e l’oro non mi interessa. Buonanotte!” mi rintanai
nuovamente sotto le coperte tentando di riaddormentarmi.
Lui però non volle
saperne e si accomodò sul letto, vicinissimo al mio fianco.
Riaprì gli occhi
infastidita e notai che mi stava fissando.
Aveva lo sguardo
frizzante e il viso riposato. Era sicuramente di ottimo umore.
“Che diavolo vuoi di
prima mattina? E perché sei entrato in camera mia, senza nemmeno bussare o
preoccuparti di svegliarmi?” domandai rabbiosa
“Voglio portarti in
un posto. Su, coraggio, alzati e vestiti”
“E non potevi
aspettare un altro paio d’ore? Non ne ho voglia! Lasciami dormire in pace. Ne
riparliamo nel pomeriggio”
Lui non me lo
permise. Andò ad aprire le finestre e mi strappò via le coperte.
“Non voglio sentire
no come risposta!”
“Vattene al diavolo,
Gerard Butler e lasciami dormire!” gli intimai furiosa
Misi la testa sotto
il cuscino e mi rannicchiai in posizione fetale.
“Sophie, alzati
subito da quel dannato letto. Ti do cinque minuti di tempo” concluse uscendo
dalla stanza
Grazie
al cielo! Finalmente se n’è andato.
Ripresi le coperte e
mi ricacciai sotto, chiudendo gli occhi. Mi rilassai e cercai di riprendere
sonno.
Delicate dita mi accarezzavano i fianchi e la schiena.
Erano calde e piacevoli.
Quel
tocco era così delicato che sorrisi…
“Sophie?” un soffio
caldo sull’orecchio
Che
bel sogno … la voce … e le carezze
“Non so se sia il
caso di continuare. Se persisti a sospirare così dolcemente credo che non sarò in
grado di allontanarmi”
Solo in quel momento
la sua voce roca raggiunse la parte conscia e sveglia del mio cervello.
Non
stavo sognando! Per niente!
Spalancai gli occhi
di botto e cercai di riconnettere mentalmente.
Era
lui…
Con una mossa
fulminea, scattai in piedi e mi allontanai da quel suo tocco maledettamente
invitante ed ipnotico.
“Che diavolo stavi
facendo?” ringhiai
“Ti stavo
accarezzando mi sembra ovvio”
Era sdraiato sul
letto, incrociò le braccia dietro la testa e si mise più comodo. Sul volto
un’espressione rilassata e divertita. Sembrava l’innocenza fatta persona.
“Questo l’ho notato.
Volevo saperne il perché”
Ero arrabbiata ma
anche tremendamente imbarazzata.
“Beh, visto che i
normali metodi di risveglio con te non funzionano, ho deciso di provare questo.
E devo dire di aver raggiunto lo scopo” sorrise maliziosamente
“Tu non sei normale,
lo sai vero? Come diavolo ti è saltato in mente di infilarmi le mani sotto …
dove non devi metterle? Eh?”
“Non fare quella
faccia da incazzosa, adesso. Non è stato spiacevole! Dai tuoi sospiri di
apprezzamento oserei dire che ti è piaciuto parecchio. Ed è piaciuto molto
anche a me”
“Smettila di
sorridere come un idiota, Hollywood! Non mi è piaciuto per nulla!”
“Che bugiarda!”
Nel frattempo si era
alzato dal letto e si stava accingendo ad uscire dalla stanza.
“Ora preparati. Qualcosa
di comodo, andiamo in campagna. Ti aspetto fra mezz’ora in salotto” era uscito
dalla porta ma dopo pochi secondi vi rientrò
“E Comunque … hai la
pelle più morbida e setosa che io abbia mai accarezzato”
Mi precipitai in
bagno, sotto la doccia. Non tanto per dargliela vinta quanto piuttosto per
lavarmi via la seducente sensazione delle sue dita sul mio corpo.
Mi lavai con cura ed
uscendo mi avvolsi in un grande telo bianco. M’infilai un paio di jeans chiari,
scarpe da tennis ed una maglietta leggera con maniche a sbuffo di colore rosso.
Legai i capelli in una coda alta. In borsa ficcai occhiali da sole, fazzoletti,
cellulare e burro cacao.
“Era ora!” mi
accolse appena varcai la porta del salotto
Risposi alzando un
sopracciglio e guardandolo accigliata.
“Forza, siamo già in
ritardo. Ho preparato il pranzo al sacco“ chiarì prendendomi per un braccio e
trascinandomi di peso verso la porta.
Eravamo in auto da
parecchio tempo in religioso silenzio. Ero ancora di cattivo umore e non avevo
proprio voglia di fare conversazione.
“Stai benissimo con
i cappelli legati così. Ti valorizzano il viso” proruppe scrutandomi da capo a
piedi, rompendo quell’ostinato silenzio.
“Grazie” risposi senza voltarmi
“Ti ho preso queste.
Tieni” e mi porse un sacchettino di carta
Lo aprì e dentro vi
trovai due brioches al cioccolato. Per la fretta non avevo fatto colazione e
lui aveva provveduto.
“Le ho comprate
stamattina. Spero siano ancora calde”
“Sei uscito a
comprarle per me?” chiesi colpita
“Già, a volte anche
io riesco ad essere gentile”
Il mio malumore era
svanito. “Sono buonissime”
Le mangiai con
gusto.
“Bene, sono contento
che ti siano piaciute” sorrideva allegro
“Allora dove siamo
diretti?” domandai curiosa quando finì di mangiare
“Vicino Glasgow c’è
un piccolo maneggio. Vedrai ti piacerà. Hanno dei cavalli stupendi”
“Un maneggio?
Cavalcherai?” domandai
“No, lo faremo
entrambi”
“Ma Gerard … io non
sono capace … non so andare a cavallo!”
“Beh, vuol dire che
imparerai oggi” rispose allegro “Sarà divertente” aggiunse
Non ne ero così
sicura. Non avevo mai cavalcato in vita mia. In realtà non avevo mai visto un
cavallo da vicino, non sapevo neppure come avrei dovuto comportarmi.
E
se avessi sbagliato qualcosa? E se gli avessi fatto male? E se lui ne avesse
fatto a me?
Gerard sembrò notare
l’espressione del mio viso, si girò verso di me e mi fissò a lungo.
“Non avere paura.
Sono solo cavalli”
Già
come se la cosa potesse tranquillizzarmi.
Maledizione!
Lui e le sue idee strampalate.
Avevo paura e tremavo come una foglia. Sebbene i cavalli siano dei
bellissimi animali, le loro dimensioni incutono timore.
Cercai di spiegarglielo, di fargli capire come mi sentivo ma lui
non se ne curò. Mi obbligò a salire sul cavallo assieme a lui.
Cavalcava con maestria guidando l’animale con scioltezza. Lo
sentivo ridere felice. Io invece non lo ero affatto. Volevo scendere.
Non aprì gli occhi finché non sentì il cavallo diminuire
l’andatura e finalmente fermarsi.
“Dammi la mano così ti aiuto a smontare”
Feci come mi disse e con un balzo fece lo stesso.
Ci trovavamo in un piccolo boschetto. Giganteschi alberi facevano
ombra ad un’enorme distesa d’erba verde. L’aria profumava di pulito e di fiori.
Il posto era bellissimo.
“Stai piangendo?” mi domandò avvicinandosi.
Il cavallo era placidamente impegnato a mangiare qualche filo
d’erba a pochi metri di distanza
Con un gesto stizzito della mano mi asciugai le poche lacrime
cadute.
“Beh, cosa ti aspettavi? Che mi mettessi a ridere?” ribattei acida
“Beh, magari non subito. Ma sicuramente non mi aspettavo ti
mettessi a piangere!”
“Ho avuto paura Gerard. E ne ho ancora adesso. Te l’ho detto ma tu
non ascolti”
“Come pretendi di imparare se nemmeno ci provi? Guardalo Sophie, è
un cavallo non uno squalo!” ribattè adirato
Tsz! Adesso era
lui l’arrabbiato?
Ed io allora? Io
sarei dovuta essere furibonda!
Alzai le mani al cielo in segno di resa. Non volevo continuare a
sprecare fiato. Non avrebbe capito. Mi voltai e m’incamminai verso il cuore di
quella boscaglia.
Cosa c’era di
difficile da capire?
Ho paura. Chiaro
e semplice!
Uno scrosciare d’acqua mi ridestò da quei pensieri. M’incamminai
verso la fonte di quel lieve rumore e un piccolo ruscello mi apparve davanti.
Le sue acque cristalline correvano veloci e scroscianti.
Sorridendo mi avvicinai, tolsi le scarpe e immersi i piedi. Sentivo
il vento che attraversava le fronde degli alberi producendo leggeri fruscii.
Non mi accorsi di lui finché non si avvicinò e rimase a fissarmi.
Alzò una mano e con le nocche mi accarezzò lentamente la guancia. Il suo tocco
era così delicato che istintivamente chiusi gli occhi.
Quando li riaprì lo guardai e andai a coprire la sua mano con la
mia. Mi sorrise e senza dire una parola mi prese per mano. Ritornammo alla
radura dove avevamo lasciato il suo cavallo che non era più solo. Era
affiancato da un altro bellissimo esemplare.
L’ora successiva la passai ascoltando attentamente le sue
istruzioni.
Facevamo teoria
da maneggio. Pazzesco!
Mi spiegò come avvicinarlo senza impaurirlo, come salirgli in
groppa e via dicendo. Per tutto il tempo ero rimasta in silenzio, annuivo
solamente.
Lo ascoltavo prestando attenzione ma continuavo ad aver paura. Non
volevo farlo. Non ero ancora pronta.
Finita la lezione mi scaraventò
di getto nella pratica. Dandomi le spalle s’incamminò verso il recinto.
“Ora sta a te decidere” disse serio
Non mi mossi fino a quando non lo vidi superare la staccionata e
dirigersi verso il cavallo. Era come se non riuscissi a credere che lo avrebbe
fatto davvero.
Mi avrebbe
lasciata li così? Da sola?
Si issò in sella e con un colpo di talloni spronò il cavallo allontanandosi
velocemente senza guardarsi indietro.
Attraversai di corsa il giardino fino al recinto per cercare di
fermarlo ma lui era già lontano.
L’animale, che teoricamente avrei dovuto cavalcare, era bianco con
chiazze marroni. Sul dorso aveva una lucida sella nera. Osservandolo da lontano
sembrava relativamente tranquillo.
Mi avvicinai con lentezza e cercai di accarezzarlo. Subito il
cavallo percepì la mia paura e scuotendo la testa si allontanò.
Dannazione! Sarei
dovuta tornare da sola. E per di più con un cavallo!
Dovevo calmarmi. Respirare a fondo.
Calmarsi e
respirare a fondo.
Tremavo. Avevo paura e a breve sarei scoppiata a piangere.
Quello zoticone
di Gerard trova la situazione divertente!
Ma era matto?
Come pensa che si possa salire su quella montagna di cavallo?
Idiota! Come ha
potuto lasciarmi da sola?
Io non sapevo cavalcare.
La teoria era diversa dalla pratica. Avevo paura di sbagliare.
Avevo paura di farmi male e di farne al cavallo.
Lente e calde, le lacrime scesero fino ad annebbiarmi la vista. Stavo
piangendo.
Guardai ancora il cavallo. Con un gesto nervoso mi asciugai le
lacrime e mi avvicinai.
Alzai con lenta fermezza una mano e con attenzione cominciai ad
accarezzargli il muso.
Niente paura.
Il cavallo non doveva sentire che avevo paura. Dovevo cercare di
controllarmi.
Non so come riuscì a salirgli in groppa ma me ne rallegrai. Con gesti
decisi lo invitai ad andare. Il cavallo si mosse e cominciò a “camminare”.
Tenevo le redini in mano. Le guardai per un momento e poi con un
colpo risoluto le mossi. Il cavallo aumentò subito l’andatura.
Sorrisi.
Pian piano la paura scivolò via; più il cavallo correva più io
ridevo. Lo conducevo decisa, svoltava a destra o a sinistra seguendo le mie
istruzioni.
Mi sentivo felice. Ci ero riuscita. Stavo cavalcando e non avevo
paura. Scoppiai a ridere.
Arrivai a destinazione euforica.
Smontare da cavallo richiese qualche minuto e parecchi tentativi.
Caddi a terra con un piccolo tonfo e battei il sedere sulla terra
dura.
“Ti sei fatta male?” domandò una voce ansiosa, alle mie spalle
Mi voltai e lo vidi.
Veniva verso di me con un’espressione preoccupata sul viso. Mi
aiutò ad alzarmi e mi sfiorò il volto con dita leggere
“Sei caduta. Ti sei fatta male?”
“Si. No. Non lo so…”
No, non mi ero
fatta male.
Lui sorrise ed io di slancio mi fiondai tra le sue braccia. Mi
sentii stringere con forza. Cominciai a ridere e piangere insieme. Ero contenta
e arrabbiata insieme.
“Sapevo che ci saresti riuscita. Ne ero certo” mi sussurrò
all’orecchio
Alzai lo sguardo e lo fissai perplessa.
“Era l’unico modo! Metterti di fronte al problema senza altre vie
d’uscita. E così ho fatto. Sei orgogliosa e sapevo che non avresti gettato la
spugna, soprattutto per darla vinta a me”
Come sapeva come
avrei reagito?
“Il solito arrogante” borbottai
Lui sorrise.
Mi strinse di più e senza preavviso abbassò le sue labbra sulle
mie.
Erano calde e morbide. Smisi di pensare ricambiando il bacio.
Pranzammo seduti sull’erba vicino al ruscello. Gerard aveva portato
succo di frutta, pane, uova strapazzate e pancetta, pomodori fritti, salsicce e
verdure grigliate. C’era cibo sufficiente a sfamare un esercito.
“Serviti pure” disse sedendosi accanto a me
“Grazie” e mi riempì il piatto
Feci lo stesso con il suo ed iniziammo a mangiare. Il cibo era
squisito, degno del suo delizioso aspetto.
Finalmente sazia, poggiai a terra piatto e posate, e mi accorsi
che Gerard mi stava fissando palesemente affascinato.
“Sono contento ti sia piaciuto”
“Scusa … dev’essere sicuramente l’aria di campagna … di solito non
mangio così tanto” mi giustificai imbarazzata
“Guarda che la mia non era una critica” la sua voce era colma di
divertimento ed io non potei fare a meno di arrossire.
“Sai, non sopporto le donne
che mangiucchiano foglie d’insalata, come conigli, per tutto il giorno. Sono
irritanti. E causa il mio lavoro, credimi, ne vedo a dozzine”
Eppure scommetto
quello che vuoi sono proprio splendide ragazze con un fisico da modella,
strepitose con qualunque cosa indossino. Eleganti e raffinate che mangiano
appunto solo foglie di insalata.