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Autore: Carlos Olivera    31/07/2011    1 recensioni
Giappone. XVI Secolo.
La guerra civile consuma e distrugge tutto ciò che incontra. I signori della guerra si combattono l'un l'altro per il potere assoluto, i contadini soffrono e muoiono nelle campagne, i mercanti si arricchiscono, e le città bruciano.
Oda Nobunaga, presentatosi come il salvatore del Paese, si appresta a riunificare l'intero Giappone sotto il suo comando, e ben presto anche gli ultimi che ancora lo contrastano cadranno come fiori appassiti.
Ma qualcosa, qualcosa di terribile, cova al di sotto del caos che ovunque regna sovrano. Dall'occidente sono arrivate nuove armi, nuove conoscenze e una nuova fede, ma anche un'antica e sanguinosa battaglia segreta che dura da centinaia di anni, e che avrà in questo Paese uno dei suo maggiori teatri di scontro.
Dovere. Onore. Vendetta. Giustizia. Questo è ciò che mi guida, che mi spinge e proseguire lungo la strada che ho scelto, verso quel destino a cui non posso sottrarmi.
E' la mia maledizione.
Io sono Iguro Takemura.
Io sono... un Assassino.
Genere: Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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5

 

 

Tutti i dignitari, i comandanti e i condottieri lasciarono velocemente la stanza senza che Nobunaga dovesse neppure scomodarsi ad ordinarglielo.

L’ultima ad andarsene fu Nohime, che non mancò, subito prima di fare l’inchino al marito e chiudersi la porta alle spalle, di rivolgere alla principessa un’ultima occhiataccia.

Subito fuori della stanza, ai piedi della scalinata di legno che vi consentiva l’accesso, si formò un piccolo assembramento di persone, tutte ugualmente sorprese per l’eccezionalità dell’evento; era da quando si era sposata che lady Oichi non metteva piede al castello.

I più preoccupati sembravano Iayasu e Hideyoshi; Ieyasu, da acuto stratega quale era, intuiva che probabilmente dietro a questa mossa del suo signore vi era l’estremo tentativo di causare l’ennesima guerra e scongiurare la minaccia di un conflitto civile all’interno degli alleati degli Oda.

«Se gli Azai dovessero infrangere l’alleanza, altri potrebbero seguirli.» disse quando gli fu chiesto di esporre la propria opinione «E la rete di alleanze che il nostro signore è riuscito a costruire in anni di fatiche e di intese politiche minaccerebbe di andare in pezzi».

L’intuizione di Ieyasu si rivelò essere corretta.

Rimasti soli nella stanza Nobunaga e Oichi stettero a lungo in silenzio, lui in piedi e di spalle e affacciato dalla finestra che dominava tutta la città lei inginocchiata ai piedi dello scranno con lo sguardo basso e le mani poggiate sulle ginocchia.

Sembravano così diversi, e allo stesso tempo così simili; stessi occhi scuri, stessi capelli neri, ma se Nobunaga trasudava di vigore e di spirito guerriero, Oichi al contrario emanava un’aura come di mistero, un che di mistico che rendeva il suo fascino ancor più magnetico.

Uomini e dignitari dei quattro angoli del Paese avevano offerto mari e monti alla famiglia Oda per averla in sposa, e invece Nobunaga, che in quanto fratello e unico consanguineo aveva su di lei un’autorità quasi assoluta, l’aveva data in moglie a Nagamasa, l’unico che non glielo avesse espressamente chiesto.

A Nobunaga era sempre piaciuto quel ragazzo; un grande guerriero, ma soprattutto un giovane di nobilissimo animo, gentile e cortese, educato secondo le più antiche e nobili tradizioni. Proprio per questo lo aveva voluto al suo fianco, offrendogli la propria sorella in sposa per rendere l’alleanza con lui qualcosa di più profondo rispetto a ciò che lo legava alla maggior parte degli altri daimyo suoi alleati o vassalli.

Proprio per questo voleva evitare che si arrivasse ad una guerra; quel ragazzo gli piaceva troppo, e non sopportava l’idea di vederlo buttare via la sua vita in quel modo, prima di aver fatto quelle cose grandi e memorabili che era destinato a fare.

Ma c’era un’altra ragione, più politica e di convenienza; se proprio Nagamasa, il suo fratello di matrimonio, si fosse schierato contro di lui, molti altri avrebbero potuto imitarlo, gettando le basi per una vera e propria guerra civile interna all’alleanza degli Oda.

Oichi era il collante che teneva Nagamasa legato a lui, e allo stesso tempo era sia il braciere che alimentava la fiamma del suo nobile spirito sia la catena che lo imbrigliava, impedendogli di espandersi più del dovuto così da spingerlo sulla brutta strada o a compiere azioni che potessero ferire la sua amatissima moglie.

O almeno, questo era quello che Nobunaga sperava.

«È passato molto tempo, sorella.»

«Molto, fratello. L’ultima volta è stato al mio matrimonio, alla fortezza di Odani

«Mi mancano molto le verdi pianure di Omi, e l’aria pura di Odani. Mi piacerebbe tornarci uno di questi giorni.

E il mio amato fratello di matrimonio come sta?»

«Abbastanza bene, fratello. Negli ultimi tempi ha molti pensieri.»

«Anche io sono stato molto impegnato».

Seguì una lunga pausa, carica di tensione; Oichi guardò in basso, verso le proprie mani appoggiate sulle ginocchia, Nobunaga invece cercò di seguire con lo sguardo i rapidi movimenti di un passero che volteggiava nel cielo eseguendo maestose acrobazie.

«Tu lo sai perché ti ho mandata a chiamare, vero?».

Oichi abbassò ancora di più gli occhi e non rispose, almeno non a parole. A quel punto Nobunaga si volse verso di lei, si avvicinò e si inginocchiò, così che furono viso a viso.

Lei lo guardò come stranita; probabilmente era l’unica persone con la quale il potente signore degli Oda si abbassava a fare una cosa del genere.

«Nagamasa è un guerriero di valore. Un uomo di sani principi, che dà uguale valore tanto all’onore per sé stesso e il suo clan quanto all’amore per la sua sposa.

Non posso permettere che un uomo di sì fatta grandezza, destinato a compiere imprese memorabili, venga condotto alla rovina per una stupida alleanza sancita dai suoi antenati.» quindi le sfiorò il mento, sollevandolo perché lo guardasse «Tu non lo vuoi, vero? Non vuoi che Nagamasa abbia a pagare per colpa di un vile senza orgoglio come Yoshikage Asakura».

Oichi non replicò, troppo provata e confusa per poterlo fare.

Nonostante il matrimonio con Nagamasa le fosse stato imposto amava sinceramente il suo sposo, e lui amava lei. Ma non era una sciocca; sapeva bene che suo fratello l’aveva fatta sposare solo per cementare un alleanza, e non certo perché tenesse a vederla maritata con l’uomo migliore del Paese.

Tuttavia, questa era una cosa che non le importava; essere al fianco di quell’uomo così gentile e premuroso, esserne la sposa, era un dono per il quale ringraziava ogni giorno gli dèi, e avrebbe dato qualsiasi cosa, compresa la vita, per saperlo al sicuro.

«Lui ti ama più della sua stessa vita, sorella. Non farebbe mai niente che andasse contro il desiderio e le suppliche della sua amatissima moglie.

Tu devi farlo ragionare. Con il tempo e le parole posso fare in modo che la sua alleanza con gli Asakura venga infranta, ma devo essere sicuro che, almeno per ora, non farà niente di stupido.» quindi Nobunaga si alzò, tornando a sedere sul suo scranno e ridiventando così il potere signore di Owari «Proteggilo, Oichi. Fa che la sua giovane vita non sia destinata a spegnersi così presto.»

«Se questo è il vostro desiderio, fratello.» rispose lei prostrandosi leggermente «Io lo esaudirò».

Poco dopo la portantina di lady Oichi lasciò il castello scortata da un manipolo di guardie e dalla fedele dama di compagnia della principessa; Hideyoshi e Ieyasu la osservavano dal torrione che dominava l’ingresso.

«Che ne dici?» domandò Ieyasu

«Dico che per un po’ possiamo smettere di preoccuparci di Nagamasa. Lady Oichi forse non se ne rende conto, ma quell’uomo è come fango nelle sue mani. Lord Nobunaga questo lo sa, e ha dimostrato di saperne trarre vantaggio.»

«Secondo me state sopravvalutando troppo quella ragazzina. Così come state sottovalutando Nagamasa. Un paio di occhietti e un viso da dea in terra non lo tratterranno a lungo dal fare ciò che potrebbe ritenere giusto.»

«Forse. Ma questo in ogni caso non fermerà il nostro signore. Se alla fine Nagamasa dovesse scegliere di impugnare le armi contro di noi, lo farà a proprio rischio e pericolo».

Ieyasu guardò Hideyoshi molto male, quasi con astio. Per un uomo d’onore come lui, pur con tutti i suoi difetti, appariva sconveniente e vergognoso che si manipolasse a proprio piacimento una persona ingenua e buona d’animo come la principessa Oichi in un modo tanto spregiudicato.

D’accordo che questo avrebbe permesso di evitare una guerra, anche se solo per poco, e di questo ne era sicuro, ma anche così non riusciva ad accettarlo.

«Dove vai?» domandò Hideyoshi vedendolo andar via

«Torno a Mikawa. È tanto che manco dalle mie terre. Ho voglia di rivedere la mia famiglia.»

«Come sta tuo figlio Nobuyasu? Quanti anni ha?»

«Nove anni. Sta bene. E un giorno sarà un guerriero valoroso tanto se non più di suo padre.»

«Non ne dubito.» disse tra sé Hideyoshi rimasto solo.

Ieyasu, seguito dalla propria scorta, abbandonò quindi Nagoya dirigendosi a nord, verso i suoi domini, fermandosi per la notte in una radura aperta non lontano da un piccolo villaggio al limitare del dominio degli Oda.

Aveva molti pensieri per la testa. Tentò di scacciarli con un po’ di esercizio, impugnando la spada di suo padre e maneggiandola con incredibile maestria.

Se ripensava alla sua vita, si sentiva un verme.

La sua famiglia, per quanto antica e ricchissima, governava su di un feudo molto piccolo, circondato da potenziali nemici ingordi e ambiziosi. Per proteggere la propria gente, aveva giurato fedeltà a Imagawa Yoshimoto, che a quel tempo sembrava il più potente signore della guerra in circolazione. Ma poi Yoshimoto era stato sconfitto e ucciso ad Okehazama, e a Ieyasu non era rimasta altra scelta che implorare la clemenza di colui che era stato l’artefice della morte del suo signore, un ragazzino sbucato dal nulla: Nobunaga Oda.

A dire la verità, Nobunaga gli era piaciuto fin dall’inizio; un ragazzo sveglio, con una mente acuta e una forte predilezione per la raffinata strategia militare, proprio come lui. Forse anche Nobunaga pensava la stessa cosa, infatti lo risparmiò e lo prese al suo servizio, facendone uno dei suoi più stretti collaboratori.

Ma a Ieyasu questo non bastava.

Non si accontentava di essere un secondo, un servitore, come suo padre e suo nonno.

Lui voleva di più.

Aveva in mente tante cose per portare unità e pace nel Paese, cose grandiose, e sapeva che mai avrebbe potuto compierle fino a che fosse vissuto all’ombra di qualcun altro.

Tuttavia, le sue aspirazioni di gloria e di rivalsa non pregiudicavano il senso di lealtà che lo legava al suo signore; solo, a differenza della maggior parte dei vassalli degli Oda, sentiva che avrebbe potuto fare grandi cose anche da solo. E semmai un giorno il cielo avesse voluto accordargli un’occasione, l’avrebbe colta immediatamente. Di questo era sicuro.

Riposta la spada si preparò per dormire.

«Hanzo.» disse prima di entrare nella tenda

«Sì, mio signore?» rispose Hanzo Hattori sbucando da un angolo buio.

Come tutti gli shinobi, i suoi occhi sembravano vuoti, senza vita, mentre il resto del volto era coperto dalla maschera scura che indossava, e che gli permetteva di aggirarsi nella notte più nera come un fantasma invisibile, oscuro messaggero di morte per i nemici del suo signore.

Eppure, c’era qualcosa di strano, di diverso in lui; per quanto vuoti, i suoi occhi non sembravano completamente spenti, come se sotto quel guscio vi fosse ancora un cuore capace di battere.

«Tieni d’occhio la principessa Oichi e gli Azai.»

«Come desiderate.»

«Nobunaga e Hideyosh credono di aver messo il bavaglio a Nagamasa, ma secondo me sono solo due ingenui. È la tigre in gabbia quella maggiormente imprevedibile».

 

 

Hakuba

Aprile 1569

 

Iguro aveva finalmente cominciato a comprendere il significato di tutti quei massacranti quanto insoliti allenamenti, ma gli ci era voluta una lezione coi fiocchi per riuscirci.

All’inizio non riusciva a capire cosa servisse tutto ciò che veniva costretto a fare con il diventare un vero assassino.

Ogni mattina, spesso anche prima dell’alba, iniziavano le sue giornate, fatte di allenamenti al limite dell’umano, e a volte talmente strani e apparentemente inutili che gli veniva da domandarsi a cosa mai potessero servire.

Oltre alla corsa, gli esercizi che Magoichi gli imponeva comprendevano il correre su e giù per le scale del tempo, guadare fiumi, nuotare avanti e indietro senza mai fermarsi, restare fermo e cercare di schivare i sassi che tutti i bambini del villaggio gli tiravano dietro, trascinare enormi pesi per tutta la foresta servendosi solo della forza delle spalle e passare giorni interi appeso al ramo di un albero a testa in giù.

La corda della sopportazione per quella specie di incubo si era tesa fino al punto da spezzarsi, e un giorno Iguro, distrutto dall’ennesima corsa al limite dello svenimento e provocato dalle parole sprezzanti di Magoichi sulla sua dubbia bravura, nonché discendenza dal sangue del suo eroico padre, quale esso si volesse considerare tale, il ragazzo era infine sbottato.

«Ne ho abbastanza di tutto questo! Ne ho abbastanza dei tuoi ridicoli allenamenti, dei tuoi insulti, delle tue provocazioni, di tutto il resto! Sono stufo di essere bastonato, provocato, insultato! Stufo di svenire sulla strada, di correre tutto il giorno con niente nella pancia, di giocare a fare il bersaglio per i sassi, di trasportare vecchi avanti e indietro dal tempio!

Basta! Basta!».

Di tutta risposta Magoichi gli aveva puntato contro il suo archibugio, con tanto di baionetta innestata sotto.

«Se è così che la pensi, non ha più senso per te rimanere.» e aveva preso a lanciare un affondo dietro l’altro.

Iguro, spiazzato, aveva capito subito che il suo maestro non stava scherzando, ma era talmente scosso che l’unica cosa che gli riuscì di fare tu tentare di schivare i colpi.

E fu a quel punto che se ne accorse; al villaggio, subito dopo che quella foga di uccidere lo aveva abbandonato, era ridiventato un semplice contadino, vulnerabile e indifeso. Ora invece, e senza che la foga ci mettesse del suo, riusciva ad opporsi agli affondi e agli altri colpi di Magoichi con una certa facilità. Non solo riusciva a schivare ogni attacco, ma per confondere l’avversario compiva notevoli acrobazie, come abbassarsi al volo, strisciare sul terreno come sul ghiaccio e compiere salti altissimi servendosi degli alberi come di un trampolino.

Mesi di allenamento apparentemente insensato lo avevano invece temprato fin nel profondo; le gambe e le braccia erano diventate forti, le ossa resistenti, i muscoli elastici e i riflessi allenati.

Accortosi dello sguardo del suo allievo, Magoichi si era alla fine fermato, e poggiatosi l’archibugio sulla spalla era tornato a sfoggiare quel sorriso provocatorio e ammiccante che Iguro aveva visto la prima volta.

«Capisci adesso? Niente di ciò che hai fatto negli ultimi sei mesi è stato inutile.»

«Io… io non me ne rendevo conto.»

«Direi che come inizio non c’è male. Ma c’è da lavorarci ancora su».

Da quel giorno Iguro aveva cominciato a considerare l’allenamento con altri occhi, ma ciò non toglieva che tutti quegli esercizi restavano qualcosa di inumano, capaci di privare di ogni energia anche il più reattivo e perseverante degli uomini.

Un pomeriggio, il ragazzo riuscì a tornare a casa un po’ prima del solito dopo aver corso per otto chilometri, nuotato per tre, camminato nell’acqua per uno e trasportato vecchi semi-paralizzati su e giù dal tempio per quattro o più. Quel giorno, stranamente, Magoichi non lo aveva seguito, delegando l’incarico a uno degli altri maestri del villaggio, se possibile ancor più sadico di lui, e Iguro sentiva di non avere più un solo briciolo di forza in tutto il corpo.

«Non ce la faccio più.» disse crollando letteralmente sul tatami «Se muovo un altro passo, mi romperò come un vaso».

Stava quasi per addormentarsi quando, vanificando sul nascere la sua speranza di trascorrere in tranquillità quanto restava della giornata, un altro discepolo bussò alla porta.

«Magoichi-sama vuole che tu vada alla villa. Deve parlarti con urgenza.»

«Arrivo.» rispose lui sconsolato.

Chissà cosa voleva Magoichi. Forse lamentarsi del suo scarso rendimento e appioppargli del lavoro extra per il giorno dopo; non sarebbe stata la prima volta.

Con l’umore a pezzi Iguro raggiunse la villa, facendo appello a tutte le forze che gli restavano per salire e spalancare il portone; non vi era più tornato da quel giorno, il giorno del suo arrivo, perché il suo basso grado non glielo permetteva. Appena entrato, una delle inservienti lo condusse nella stessa saletta dove lui e Magoichi avevano parlato per la prima volta sei mesi prima: il suo maestro, posato l’archibugio, lo aspettava seduto davanti ad un pregiatissimo goban in legno massiccio e lavorato, sorseggiando la solita tazza di tè.

«Benvenuto.»

«Magoichi.» rispose il ragazzo un po’ allibito «Che cosa…»

«Mi stavo un po’ annoiando. Immagino saprai giocare. Che ne dici di una partita?».

Iguro sapeva giocare a go fin da quando aveva cinque anni; glielo aveva insegnato suo padre, e capitava spesso che durante la sera dopo cena giocassero insieme, a go come a shogi. Certo, non era un campione, ma la sua bella figura sapeva farla.

Sedutosi di fronte a Magoichi, aprì lo scrigno contenente le sue pedine e fece la prima mossa. Magoichi replicò con la propria, e in breve la scacchiera si riempì di pedine bianche e nere che si fronteggiavano le une con le altre descrivendo un intricato disegno strategico.

Anche Magoichi ci sapeva fare con il go, infatti si portò subito in vantaggio mettendo all’angolo uno dei gruppi d’armata di Iguro e riuscendo nel contempo a limitare i movimenti di un altro.

«E questo cosa avrebbe a che fare con l’addestramento?» domandò Iguro posizionando un’altra pedina

«Un assassino non deve essere ferrato solo nell’agilità e nell’omicidio. Deve anche possedere una mente acuta, che possa aiutarlo a toglierlo d’impaccio nelle situazioni più difficili».

La partita continuò; con un paio di buone mosse, e con un certo stupore da parte del suo maestro, Iguro riuscì a rompere l’assedio al suo secondo gruppo e a catturare il gruppo che aveva tentato di accerchiarlo, ma per riuscirci dovette rinunciare alla sua prima armata.

Nonostante tutto però Magoichi alla fine ebbe la meglio, chiudendo la partita con un una vittoria a dir poco schiacciante.

«Anche su questo aspetto ci sarà da lavorare. Ad ogni modo, preparati. Da domani inizierai ad allenarti anche nel combattimento.»

«Dici sul serio!?» esclamò Iguro

«Aspetta a festeggiare. Questo non significa che i miei allenamenti saranno interrotti. Al contrario, da ora in poi la strada rischia di farsi ancor più in salita».

Questo a Iguro non importava.

Finalmente, avrebbe potuto apprendere sul serio i rudimenti del combattimento, e questo gli bastava per farlo sentire al settimo cielo, arrivando quasi a fargli scordare la fatica.

Andò a letto con l’animo molto sollevato, e la mattina dopo si presentò al campo di allenamento anche più presto del solito; là lo attendeva già il suo nuovo insegnante, Keiji Maeda, in piedi e immobile come una statua al centro del quadrato di sabbia.

«Ti vedo euforico.» fu il suo primo commento «Menare le mani ti piace così tanto?»

«È solo che da mesi non facevo che allenarmi negli esercizi fisici. Non nascondo che l’idea di poter finalmente imparare a combattere mi entusiasma.»

«Come vuoi. Ma se pensi che sarà una cosa da niente, ti ricrederai fin troppo presto.» disse Keiji, che a quel punto gli lanciò una delle due bokken che aveva con sé «Avanti, fammi vedere che sai fare».

Senza farselo troppo ripetere Iguro si mise in posa di guardia, mentre al contrario Keiji restò rilassato e disteso come se niente fosse, tenendo la sua arma con una sola mano e con uno sguardo a dir poco disinteressato stampato sulla faccia.

Iguro sapeva che quello davanti a lui era un guerriero formidabile, l’aveva visto combattere con i suoi occhi, ma un simile atteggiamento lo faceva comunque andare su di giri; davvero credeva di avere di fronte un ragazzetto come quelli che lo aveva visto bastonare durante i suoi soliti allenamenti?

Suo padre gli aveva insegnato, e lui stesso aveva praticato l’arte della spada fin da bambino.

Volle prendersi ancora qualche secondo, giusto per essere sicuro di non agire senza riflettere, quindi, lanciando un urlo, partì all’attacco menando un fendente dall’alto in basso. La risposta di Keiji tuttavia fu spiazzante e inesorabile; con due soli attacchi prima disarmò il ragazzo colpendolo ai polsi e poi minacciò di sfondargli lo stomaco affondandogli il filo della spada subito sotto l’ultima costola.

Così, dopo soli due secondi da che aveva iniziato il suo attacco, Iguro si ritrovò inginocchiato a terra con i conati di vomito e un doppio dolore al polso e allo stomaco; non era neppure sicuro di aver capito appieno cosa fosse appena successo, ma quel dolore tremendo gli diceva chiaramente che aveva avuto la peggio.

«Decisamente mediocre.» fu il commento spietato di Keiji.

Punto sul vivo Iguro si rialzò, re impugnò l’arma e si preparò ad un secondo tentativo; di nuovo, Keiji restò impassibile, e di nuovo, all’assalto del ragazzo, rispose con prontezza e inclemenza. Stavolta di colpi gliene servirono tre, uno per deviare, uno per aprirsi un varco e uno per colpire alla spalla, ma il risultato fu esattamente lo stesso di prima.

«Ti manca tutto. Tecnica, precisione, rapidità, resistenza. E i nemici che ti attendono fuori di qui non impugnano spade di legno».

Nonostante il dolore tremendo in tutto il corpo Iguro, facendo appello più al suo orgoglio che alla sua forza, si rimise faticosamente in piedi, assumendo per la terza volta una posa di sfida. Keiji, accortosene, assunse un’espressione come di stizza.

«Non ne hai già prese abbastanza?»

«Affatto!» rispose lui lanciandosi nuovamente all’attacco.

E nuovamente, come era accaduto le prime due volte, Iguro fu sconfitto e abbattuto, ma stavolta la sua perseveranza e ostinazione costrinsero Keiji ad impegnarsi un pelino di più, e ad assestare molti più colpi, per riuscire ad avere finalmente ragione di quel ragazzetto scatenato.

«Per oggi basta così. Ma mi tremano le vene al pensiero di quanto ci sarà da lavorare».

Il ragazzo aveva il morale sotto i piedi.

Anche nel combattimento, dove pure sentiva di potersela cavare, era invece ancora terribilmente immaturo, e nonostante ci avesse messo tutto sé stesso in quella piccola battaglia simulata al suo avversario era bastato davvero poco per metterlo al tappeto.

Ma non volle farsi prendere dallo sconforto; aveva deciso che non sarebbe più accaduto. Se era debole, poteva diventare più forte; se il suo stile era mediocre, poteva migliorarlo.

In un modo o nell’altro, si diceva, sarebbe diventato un guerriero, anche se si fosse trattato di sputare su quella sabbia tutto il sangue che aveva; solo così avrebbe avuto i mezzi per compiere la sua vendetta, quella vendetta che era uno dei pochi pensieri che gli dessero la forza di sopportare tutto ciò che stava passando.

 

 

Nagasaki

Giugno 1569

 

Valignano era davvero un uomo straordinario.

Dopo il suo arrivo, in soli cinque mesi aveva imparato il giapponese quasi alla perfezione, quindi aveva spostato la sua attenzione sulla dottrina shinto e gli insegnamenti del Buddha, questi ultimi già in parte assimilati nel corso del suo recente viaggio in Cina.

Aveva fatto venire all’abazia il padre superiore di un vicino tempio zen e accolto molti altri monaci viandanti ai quali aveva offerto cibo e protezione a patto che, giornalmente, si intrattenessero con lui in lunghe ed appassionate dispute teologiche e filosofiche.

Pur essendo un uomo di fede Valignano aveva una mentalità all’apparenza molto aperta, gli piaceva la filosofia e amava dibattere su qualsiasi materia, e soprattutto sulla fede. I suoi insegnamenti avevano influenzato molti dei dotti coi quali dibatteva, ma anche lui a sua volta era stato influenzato da alcune delle loro dottrine e teorie.

La cosa non piaceva particolarmente ad alcuni dei monaci, soprattutto a quelli esterni all’ordine, come i francescani del monastero vicino che saltuariamente si recavano lì in visita, ma a Valignano questo non importava.

Infine, aveva voluto documentarsi sulla storia del Paese, e su sua disposizione Paolo gli aveva procurato tutti i testi e i trattati di storia che era riuscito a mettere insieme; il resto se lo faceva raccontare da quei religiosi, che come gli antichi cantori si tramandavano la storia del proprio ordine e del Paese in generale di maestro in allievo da secoli.

Una mattina di inizio estate, Paolo raggiunse il suo maestro sotto il solito gazebo; come previsto, lo trovò intento a leggere un vecchio libro regalatogli da un monaco. Era un libro di poesie; ultimamente si era interessato anche a quello.

«Amico mio.» esordì Valignano accortosi di non essere solo «Il cielo non voglia che un giorno qualcuno là fuori intraprenda una guerra con il tuo popolo. Anche se perdeste, fareste pentire ai vostri nemici di averla cominciata.»

«Che intendete dire?»

«Il tuo popolo deve la propria forza non alla potenza delle sue armi o alla vastità dei suoi eserciti, ma dalla grandezza delle proprie virtù. Vivono nel nome della guerra, sono preparati a morire, ma allo stesso tempo anelano e apprezzano la caducità e la bellezza della vita. Un simile connubio può creare una sola cosa: un soldato impossibile da sconfiggere».

Posato il libro Valignano sorseggiò una tazza di tè.

«Qual è la situazione su al nord?» chiese poi

«Per il momento, abbastanza pacifica. Ma ho il sentore che non lo sarà ancora per molto.»

«A cosa ti riferisci?»

«Nobunaga si trova in una brutta posizione. Ultimamente gli atti intimidatori nei suoi confronti da parte degli Asakura si sono fatti sempre più sfrontati. A livello di forze gli Asakura non sono niente; il problema è che Nagamasa Azai, il genero di Nobunaga, è alleato sia degli Oda che degli Asakura. A ragione di ciò, al momento Nobunaga si trova in una brutta situazione; teme che se decidesse di entrare in guerra con gli Asakura Nagamasa potrebbe tradirlo, spingendo altri a fare lo stesso.»

«Suo genero, hai detto?»

«Nagamasa ha sposato la sorella di Nobunaga, Oichi. Si dice che sia talmente bella da poter rivaleggiare con il sole e la luna messi insieme. In questi mesi si vocifera sia riuscita a trattenere Nagamasa dal voltare le spalle agli Oda, ma probabilmente è solo una questione di tempo.»

«Brutta cosa le donne belle.» commentò Valignano tornando a leggere «La loro bellezza finisce spesso per essere la rovina degli uomini, e cambiare il corso della storia.

Basti pensare a Cleopatra, o a Elena di Troia.»

«Mi sono permesso di fare anche qualche ulteriore ricerca, nella speranza di scoprire qualcosa di più circa l’ubicazione della confraternita degli Assassini.»

«E?»

«Nulla di fatto, purtroppo. Come potete facilmente immaginare, di villaggi perduti e nascosti i cui abitanti sembrano possedere capacità sovrumane ce ne sono tanti in questo Paese, e il volto ama esagerare con i suoi racconti. Per condurre una buona ricerca serviranno indagini meticolose e personali.»

«Capisco.

Comunque, per il momento, credo che la cosa migliore da fare sia aspettare.»

«Sono d’accordo con Voi. Anche perché, in ogni caso, anche nell’eventualità in cui Nobunaga riesca ad impedire il tradimento di Nagamasa, le cose per lui non si stanno mettendo comunque bene. I Takeda e gli Uesugi, che da tempo si facevano la guerra tra di loro, hanno stabilito una tregua, e vista la loro natura belligerante non passerà molto tempo prima che decidano di contendere a Nobunaga il controllo su Kyoto e reclamare per sé il titolo di Shogun.»

«Devo dire di essere molto colpito, Paolo. La tua rete di informazione è davvero eccezionale.

Un giorno o l’altro mi dovrai raccontare come fai».

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Chiedo scusa per questo lungo periodo di silenzio. Il fatto è che tre anni di università sono duri da sopportare, soprattutto quando si è trascorso le estati a preparare esami o a fare tirocinio, quindi quest’anno avevo più che mai bisogno di una vacanza. Ho quindi approfittato dell’invito di un mio amico e mi sono concesso due piacevoli (e bagnate) settimane nel Regno Unito, tra Londra e la Scozia.

Questo capitolo avevo iniziato a scriverlo subito prima della partenza, e nel tempo libero laggiù l’ho abbozzato nella sua interezza per poi metterlo insieme una volta tornato.

Essendo un po’ che manco dal sito sono indietro anche nelle recensioni, ma adesso cercherò di rimettermi in pari.

Grazie come sempre a Skydragon e Glaucopis per le loro recensioni, e ad entrambi dico che leggerò quanto prima i loro aggiornamenti.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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