CAP III : di una
chimera che impara a volare ( 80+27 )
cielo, si finirebbe per avere le ali”
Gustave Flaubert
Gokudera si congedò dall’abbraccio solo dopo essersi assicurato di aver versato il necessario. Molto probabilmente era stato quel ricordo, così vivamente richiamato dal presente, ad aver causato una reazione simile.
Lasciarono la vettura di Yamamoto posteggiata sul marciapiede e varcarono assieme il cancello della scuola media.
Namimori Middle School.
Fu solo una sensazione, ma avvertirono distintamente il trillare del Carillon de Westminster, il vociare degli studenti, la bretella dello zaino svogliatamente passata sulla spalla. Era strano far parte di una scolaresca invisibile, riflessa solo dai ricordi che cozzavano con insistenza contro il silenzio nei corridoi. Nelle aule tutto era uguale, eppure così brutalmente diverso. Tutti i luoghi della loro adolescenza erano stati spogliati dall’incedere del tempo. Passarono in tutte le classi che avevano occupato; si trattennero solamente nella 1-A.
Era bello fingere di essere studenti, come una volta. Gokudera non si fece problemi ad accomodare i piedi sul banco, sorridendo alla risata di Tsuna, e Yamamoto si imboscò in fondo alla classe con un sorrisetto birichino in viso:
“Mi sento più giovane di un bel paio d’anni!”
“Idiota”, lo pizzicò il braccio destro scoccandogli un’occhiata però ironica. “Devi ficcarti nella zucca che prima o poi imboccherai la strada per la vecchiaia.”
Yamamoto rise. Il Decimo fece scivolare gli occhi su di lui e colse la falsità di quella gioia. Takeshi era sempre stato così: rapiva la tristezza degli altri e se la caricava sulle spalle, per poi mascherarla coraggiosamente con quell’atteggiamento spensierato grazie al quale era sempre rimasto il punto di riferimento di tutti. Un po’ come la pioggia, che lava via la sofferenza altrui pur rimanendo essa stessa il simbolo di un’incredibile solitudine. Indovinò un velo di disagio nel suo sguardo.
Come se ci fosse qualcosa, sotto quel sorriso, a sporcare la sua serenità.
* * *
Dodici anni prima....
Mi è sempre piaciuto fare il tragitto scuola-casa con Yamamoto. Lui è
il tipo che ti infonde serenità solo a guardarlo, e so di potermi fidare. La
fedeltà e l’amicizia sono i titoli della sua vita quotidiana. Non vedo come non
ci si possa affezionare alla sua tenerezza.
Eppure oggi è stranamente silenzioso. Di norma ha tante cose da
raccontarmi,
(“Eh, Tsuna? Sei guarito?”)
e invece oggi cammina muto accanto a me, con una mano nella tasca dei
pantaloni e l’altra infilata sotto alla bretella della sacca da baseball.
“Ya-Yamamoto?”
“Uhm?”
Mi pesca con la coda dell’occhio. Ho quasi paura di domandare, ma il
chimerico desiderio di vederlo sorridere è troppo grande.
“Yamamoto, c’è qualcosa che non va?”
“Chi, io?”
Si ferma con gli occhi color nocciola spalancati e le labbra arricciate
in quella sua buffa espressione di stupore. Poi azzarda un sorriso e la sua
voce si fa spaventosamente dolce: “No, Tsuna. Va tutto alla perfezione,
grazie.”
“Se c’è qualcosa che posso fare... che vuoi dirmi....”
“La tua è tutta la Super Intuizione di quel gioco di ruolo?”, mi
domanda, e poi gli sfugge una risata di striscio. Quando si calma, la sua mano
corre dietro al collo. “Si tratta di Gokudera.”
“Go... Gokudera-kun?”
Non pensavo mi rispondesse. Yamamoto è spontaneo con gli altri ma quasi
mai sincero con se stesso. A volte è persino riservato. Non si capisce mai cosa
passi dietro a quei sorrisi e a quel suo apparente buonumore. Ci appartiamo nel
parco, lui a dondolare sul seggiolino dell’altalena e io seduto in cima allo
scivolo. Abbiamo lasciato le borse e le sacche vicino alla giostra.
Mi racconta di quello che è successo con Hayato e quasi mi sorprendo.
Non mi aspettavo che Takeshi provasse un sentimento così forte per quell’autoproclamato
braccio destro. Lo ascolto senza dir nulla, appollaiato sulla cima del mio
nido, e quando capisco che è tutto gli rifilo un sorriso.
“Yamamoto. Lo sai, no?, com’è fatto Gokudera.”
“Sì, hai ragione.”
“Però anche lui è capace di grande tenerezza” riprendo facendo
ciondolare il braccio nel vuoto. “Quando ho avuto la febbre, si è offerto di
trascorrere la notte con me mentre la mamma era fuori.”
“Dici sul serio?”
“Mai stato più sincero di così. È che Gokudera... Gokudera non ama
quando sono gli altri a regalargli affetto. Perché ha paura e non sa come
comportarsi.”
“Tsuna...”
“Andrà tutto bene. Sono sicuro che farai la scelta giusta.”
Le lame del tramonto illuminano il suo nuovo sorriso. Mi sento meglio
anche io.
Sono fiero della nostra amicizia. Takeshi Yamamoto è forte, un genio.
Se veramente fossi il Cielo gli consentirei di volare, e non avrei paura di
cadere perché al mio fianco ci sarebbero lui e Gokudera. Questo mi riempie il
cuore.
Il silenzio che seguì alla risata di Yamamoto fu lo stesso che li accompagnò per gran parte di quel tragitto. Tsuna avvertì una mano adagiarglisi sulla spalla.
“Juudaime.”
“Gokudera-kun.”
“Mi dispiace, ma... credo di dover andare.”
Il Guardiano della Pioggia levò gli occhi verso di loro, mentre il Decimo si alzava e scoccava uno sguardo all’orologio da parete. “Le quattro” disse.
“Tra quaranta minuti devo essere in aeroporto. Il taxi che ho chiamato è già qui sotto”, e fece un cenno verso la finestra. “Ho preferito così, so bene che voi e Yamamoto siete molto impegnati. Non voglio rubarvi tempo... E non posso nemmeno posticipare la partenza. Devo tornare a Pisa il prima possibile.”
Tsuna annuì. Era un gesto riassuntivo in cui si colse l’amara patina della tristezza. Uscirono assieme dopo aver rivolto un’ultima occhiata all’aula. Yamamoto si armò di chiavi e si diede da fare per scaricare il bagaglio dell’italiano. Quando il borsone fu adagiato nel cofano del taxi, Gokudera scivolò nell’abitacolo senza chiudere la portiera.
“Juudaime. Yamamoto. Prometto che non starò più assente così a lungo.”
“Non ci sarebbero problemi” gli rispose il Decimo sorridendo tiepido. Gli porse la mano e il suo fidato braccio destro accettò di buon grado la stretta. “Fa’ buon viaggio, salutaci l’Italia.”
Si scambiarono un sorriso. Fu allora che Yamamoto, atteso che i due si congedassero dal gesto, porse al Guardiano della Tempesta un biglietto piegato in due.
“Questo è un piccolo ricordo, vecchio mio. Mi sembra giusto consegnartelo.”
Gokudera gli sfilò il foglietto dalle dita e sembrò sul punto di dire qualcosa. C’era una luce strana negli occhi di Takeshi, l’indizio di un sorriso sincero. Ma prima che potesse parlare, il taxista montò al posto di guida e gli lanciò un’occhiata dallo specchietto retrovisore:
“Gomenasai, signore, sarebbe meglio andare. Non posso permettermi in eterno la doppia fila.”
“Oh, certo. Mi scusi” borbottò spaesato il passeggero, e chiuse la portiera. Poi guardò fuori dal finestrino: Tsuna e l’idiota avevano alzato le mani per rivolgergli un silenzioso ma accorato arrivederci. Gokudera abbassò gli occhi ed aprì il biglietto. Le sue dita furono percorse da un fremito incondizionato. La calligrafia era quella di Yamamoto.
“Scusami per quel giorno. Hai paura dell’affetto altrui e io non
l’avevo capito. Mi accontento di baciarti con l’anima. Quand’è che riprendiamo
ad allenarci per il torneo di fine anno, allora, testa di spaghetti?
Takeshi.... Yamamoto.”
Non si era nemmeno reso conto d’averlo mormorato. Gli scappò un sorriso e, levando di nuovo lo sguardo, distese le dita sul vetro per abbracciarli da dietro quella barriera invisibile.
Sarebbe tornato.
Sarebbe tornato per stare con loro, per giocare agli studenti, per sentirli ridere. Per soddisfare quelle stupide ma dolci chimere di dodici anni prima.
* * *
_Il Piccolo Ritaglio_
Finalmente un aggiornamento che non mi dà problemi *tira sospiro di sollievo* NVU è stato obbediente u_u
E con questo chiudo il sipario su questa fic. Ho sempre visto Tsu-kun e Yama-senpai come una gran coppia di amici e confidenti intimi, nulla di più. Poi ovviamente sono modi di vedere il mondo.
Spero col cuore che queste tre capitoletti siano stati di vostro gradimento. Vi lascio con un arrivederci, grazie per aver letto *^*