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Autore: Trick    12/08/2011    4 recensioni
«Il mondo non è diviso in brava gente e Mangiamorte».
Raccolta di drabble, flash-fic e one-shot di mediocre pretesa spudoratamente a caso.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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In risposta alla sfida di e m m e che aveva richiesto una AlastorxTonks, rating arancione o rosso. Il prompt era Pozione Ringiovanente e non è stato rispettato per un cavolo ed è stato magistralmente incastrato nella fan fiction. Non sono granché per quanto riguarda i rating alti, lo ammetto, quindi direi che facciamo finta che questa sia tipo rating amaranto e non se ne parli più. Oh, sì, sono schifosamente in ritardo, ma tanto lo sei pure tu, quindi se il mal è comune, il cracker si spezza a metà.


*

Come si ama una farfalla
AlastorxTonks




Diversi anni più tardi, fronteggiando per l'ultima volta il volto serpentino di Lord Voldemort, Alastor Moody avrebbe maledetto ogni singola ora del giorno in cui aveva incontrato la giovane signorina Tonks.
All'epoca lei non aveva che diciotto anni ed era una studentessa troppo fresca di scuola, con la pelle che ancora odorava di ciliegia e le labbra rosa e lucenti come quelle di una tredicenne sulla soglia dell'adolescenza.
Mentre la fissava con entrambi gli occhi (quello magico, santo cielo, aveva già notato che la giovane indossava una paio di mutandine con decine di coniglietti stampati sopra), si chiedeva come diavolo avessero potuto gli standard del Quartier Generale degli Auror abbassarsi fino a quel ridicolo livello e come diavolo avesse potuto lui, il più vigile fra tutti, non rendersi conto di quel vergognoso declino.
Si consolò nella certezza che quella sciocca ragazzina non avrebbe mai superato l'addestramento e non sarebbe mai diventata un'Auror. E quello, a conti fatti, fu il suo primo errore.

*

Moody non le aveva insegnato tutto quello che sapeva. Aveva fatto in modo che apprendesse tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno, quello sì, ma non tutto quello che lui sapeva.
Quello che lui sapeva, in effetti, era una matassa di sapere troppo ingarbugliata e malsana per una mente ancora tanto giovane e frizzante come lo era quella di Tonks. Moody aveva conosciuto il sapore ferroso della guerra e il rombo primitivo di ogni sua battaglia; conosceva il significato dell'orologio, delle monotonia con qui scorrono le lancette e del lento brusio di una mente che attende qualcuno che, chissà, probabilmente non sarebbe più ritornato.
Di tutte queste cose lei non sapeva proprio nulla.
Tonks stava raccogliendo freneticamente una pila di inutili carte che le erano scivolate a terra e il modo in cui sbuffava sembrava proprio quello di una ragazzina capricciosa costretta a riordinare la propria cameretta.
Moody emise un verso sprezzante e lei alzò di colpo la testa verso di lui. Si scosto un ciuffo di capelli vermigli dalla fronte e inclinò il capo con espressione scocciata.
«Oh, finiscila di brontolare. Adesso metto a posto».
«Fra un secondo sarà tutto di nuovo sul pavimento».
Lei socchiuse gli occhi e rimase immobile qualche istante, fissandolo con aria smarrita. Poi si alzò e tornò a sedere al proprio posto, con tutti i fogli e gli appunti ancora sparsi ai suoi piedi come ragnatele.
«E allora le lascio lì» sentenziò con una linguaccia.
Dovette accorgersi che Moody non aveva la minima intenzione di rispondere alla sua provocazione, perché il suo viso si fece d'un tratto più guardingo.
«Che cavolo hai, Malocchio? L'ultima volta mi hai colpito con il bastone».
Moody annuì, distante.
«Mi è stato chiesto di andare in pensione».
Le sopracciglia di Tonks schizzarono verso l'alto: se c'era qualcosa che non si aspettava – qualcosa per cui non sarebbe mai stata preparata – ecco, era quella. Strabuzzò gli occhi diverse volte, scosse la testa e boccheggiò un poco, ma la notizia era arrivata con un impeto tale da spazzare via qualunque cosa ci fosse nel suo cervello.
«Che... chi... che dici?».
«Pensionamento, Ninfadora».
«Quando?».
«La prossima settimana».
«La prossima...? E quando accidenti avevi intenzione di dirmelo, bastardo!?» urlò d'impeto lei, scattando di colpo e rovesciando la sedia a terra con un rumore secco. «No, fa' tranquillo. A chi importa, no? A me? Dovrebbe? Ah, fottiti, Malocchio, non--».
Il bastone di Moody la colpì prima che lei avesse il tempo di accorgersi del colpo che arrivava.
«Cazzo!» imprecò, portando una mano sulla testa.
Moody la colpì una seconda volta.
«Non essere volgare e chiudi la bocca, Ninfadora».
«Non chiamarmi Ninfadora!».
Rimasero in silenzio per parecchio tempo. Tonks tendeva a prendere ogni cosa di petto fin da quando lui l'aveva conosciuta; iniziava a strepitare e imprecare, senza che si riuscisse bene a intendere cosa volesse dire. Talvolta, dava proprio l'impressione di essere una leonessa inferocita rinchiusa in una gabbia. Con il passare del tempo, Moody aveva imparato a stroncare quelle rabbie frenetiche alla loro nascita e le loro discussioni più feroci, ora, avvenivano con una routine straordinariamente regolare. Prima Tonks strillava, poi Moody la interrompeva bruscamente e se ne restavano chiusi in un orgoglioso silenzio per diversi minuti. Moody riprendeva il discorso, Tonks lo mandava al diavolo, Moody la colpiva con il bastone, Tonks imprecava, Moody grugniva e, alla fine, la questione si sbrogliava da sé.
Erano troppo simili per poter sperare di discutere senza generarne un autentico massacro.
«Sul serio, allora?» riprese Tonks con un voce flebile, evitando stoicamente di incrociare gli occhi dell'altro Auror. «Hai davvero intenzione di andare in pensione?».
«Non mi pare di aver detto di voler andar in pensione» ribatté con franchezza lui. «Ho detto che mi ci mandano. Amen».
«È stata la Umbridge, vero?».
Moody fece un gesto eloquente con l'unico sopracciglio rimastogli. Il suo sorriso sghembo parve storcersi in una maschera beffarda.
«Quella puttana» sputò con rabbia Tonks.
«Sei un'Auror, ragazza, non uno strillone della Gazzetta del Profeta».
«Non possono mandarti via. Sei il più grande Auror del Ministero e non--».
«Ho già firmato, Tonks» la interruppe con estrema serietà lui.
Per un attimo, sembrò che Tonks non avesse altro da aggiungere, ma Moody aveva imparato fin troppo bene che il giorno in cui quella ragazza sarebbe stata zitta era ancora lontano. Quando lei parlò di nuovo, c'era un tono di mitigato dolore nella sua voce che gli arrivò del tutto sconosciuto.
«Perché? Avresti potuto rifiutarti».
Moody zoppicò attraverso il proprio ufficio fino alla finestra incantata: quella sera gli addetti della Manutenzione Magica dovevano essere di cattivo umore, perché oltre il vetro non si intraveda oltre una spessa coltre di nebbia bluastra. Si appoggiò con entrambe le mani all'impugnatura del proprio bastone e fece un respiro profondo.
Avrebbe davvero potuto rifiutare? Oh, sì. Sì, avrebbe potuto eccome, ma non lo aveva fatto. E sapeva – e questa sarebbe stata probabilmente la parte più difficile – che Tonks non avrebbe capito. Anche lui era stato un giovane Auror nel pieno delle forze, un tempo; se avesse avuto in quel momento l'età che aveva lei, difficilmente avrebbe capito il perché di quella scelta così umiliante.
«Albus Silente mi ha chiesto di prendere il posto come insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure a Hogwarts».
Tonks fece una smorfia sconcertata.
«Tu che insegni a qualche centinaio di ragazzini? Per le verruche di Tosca Tassorosso, è la cosa più ridicola che abbia mai sentito. Tu detesti i bambini, Malocchio!».
«Ma non vado mica per insegnare, Ninfadora!» latrò di rimando lui. «Albus ha un brutto presentimento. E con il Torneo Tremaghi alle porte, la delegazione di quel Mangiamorte figlio di una cagna di Karkaroff e quel Piton che--».
«Piton è a posto».
«Sì, lo era pure la mia gamba, un tempo» continuò imperterrito Moody. «Sta di fatto, ragazza, che Harry Potter sarà a Hogwarts, e puoi scommetterci le chiappe che qualcuno cercherà di fargli la festa».
Completamente rovesciato all'interno della sua stessa scatola cranica, l'occhio magico di Moody la scorse sorridere con quell'espressione un po' dolce e un po' arrendevole che si concede ai bambini. Non disse nulla, ma si allontanò dalla scrivania e appoggiò i gomiti al davanzale della finestra e il volto ai palmi della mani.
«Stronzate» disse con un sorriso storto. «So benissimo che non vai in pensione per quello. E so pure che ci volevi andare, in un modo o nell'altro, sennò col cavolo di Merlino che ti mandavano a casa, quegli idioti. Non fare il vecchio bastardo con me, Malocchio. So che non sono coincidenze. Harry Potter, il Torneo Tremaghi, Silente che ti vuole come insegnante... e Sirius Black è evaso da Azkaban solo l'anno scorso» si interruppe un secondo e scosse la testa come se volesse scacciare una mosca fastidiosa, ma a Moody non era sfuggito il tono rabbioso con il quale aveva pronunciato il nome del cugino. «Non sono una cretina. So cosa sta succedendo...».
Moody la invitò a continuare con uno sguardo e lei, mordicchiandosi appena il labbro inferiore, annuì con folle risolutezza un paio di volte.
«Lui sta tornando».
Negli occhi scuri di Tonks si era accesa una luce pericolosamente decisa. Moody aveva visto decine di sguardi come quello nel corso della sua vita: i Potter, i Paciock, i Prewett... in ognuno di loro sembrava ardere una fiamma di inumana determinazione. E alla fine, uno dopo l'altro, ognuno di loro se ne era andato. La consapevolezza di non poterle evitare qualunque cosa sarebbe accaduta lo rendeva infinitamente triste; lei era giovane, esattamente come lo erano stati i Potter quindici anni prima ed esattamente come lo era stato lui nella guerra contro Grindelwald. Lord Voldemort e i suoi Mangiamorte le avevano già trasformato l'infanzia in un incubo fatto di filastrocche con mantelli neri e lampi verdi ed ora tutto faceva presagire il peggio.
«Combatterò con te, Malocchio».
Moody trattenne a stento una smorfia addolorata: sapeva che lei avrebbe detto qualcosa del genere. Non si aspetta niente meno che una risposta da stupida ed eroica Tassorosso. Niente di meno di una risposta da Auror, a conti fatti, perché era stato lui ad addestrarla e nessuno – nessuno – addestrato da lui aveva mai smesso di parlare da Auror.
Eppure, sentiva qualcosa di stonato in quella sua decisione: Moody temette fosse a causa della sua età, del suo sorriso scanzonato e del suo fare sboccato. Tonks era fuori posto in una guerra, ma quello, col senno di poi, non si rivelò nient'altro che un altro dannato errore.

*

«Sei giovane per entrare nell'Ordine della Fenice, Ninfadora».
«Non chiamarmi Ninfadora!» gridò irritata lei, sbattendo con foga un pugno sul pavimento del salotto di Moody. «E va' al diavolo».
Moody bevve un altro sorso di Whisky Incendiario dalla sua fiaschetta personale. Tonks parve fremere di rabbia qualche istante ancora, prima di decidere di sedere sulla poltrona davanti al lui. Incrociò le braccia al petto con la risolutezza cocciuta di una bambina e lo scrutò duramente.
«Io combatterò, Malocchio. Tu-Sai-Chi è tornato e io combatterò. Non me ne frega un accidenti che a te vada bene o meno. Io combatterò. Amen».
«Hai idea di che diavolo significhi combattere Voldemort?».
«No, non ne ho idea» confessò semplicemente lei e Moody rimase un po' spiazzato dalla sua risposta. Si aspettava qualunque genere di scusa, qualunque tentativo di raggirare la domanda, ma non una risposta così ingenuamente candida. «Ma mi hai addestrato nella possibilità che avrei dovuto combattere, un giorno, no? È per questo che sono qui. Voglio la mia possibilità, Malocchio. L'hai data a tutti».
Moody socchiuse gli occhi, pensieroso, e fu solo dopo diversi minuti di profondo silenzio che alzò una mano in segno di resa. Sembrava proprio che lei fosse destinata a rappresentare ogni suo errore.

*

«Cosa c'è di sbagliato in quello che facciamo?» chiese con innocente casualità Tonks, abbottonandosi frettolosamente la camicia d'ordinanza del Quartier Generale degli Auror. «Non è mica niente di cattivo. O sì?».
Alastor continuava a tenere gli occhi inchiodati alle macchie di umidità del soffitto di Grimmauld Place. Si domandava incessantemente come diavolo avesse potuto farsi scappare la situazione. Come diavolo aveva potuto permetterle di arrivare fin dove lei l'aveva trascinato? E tutte le volte, Tonks gli domandava dove stessero sbagliando, come se l'errore non fosse evidente: si stava innamorando di lei, maledizione, e Moody non avrebbe mai potuto cadere in un errore tanto grande.
«C'è tutto di sbagliato».
«Beh, mica tutto» ribatté lei con un sorriso birichino.
Si stendette di nuovo accanto a lui, con la camicia abbottonata solo a metà che gli scivolava lungo un braccio magro e la spallina verde del reggiseno che le delineava la clavicola. Era bella, non si poteva negare, ed era giovane, e per quello ci si sarebbe dovuti maledire.
Moody non ne era più in grado. Si ritrovò ad accarezzarle il fianco liscio senza nemmeno rendersene conto.
«Non andrà avanti» le disse in tono burbero. «Non crederci troppo. Io non posso cambiare il tempo. Men che meno potrei cambiare questa guerra».
«E chi se ne fotte» lo liquidò lei, sedendosi a cavalcioni sopra di lui e appoggiandosi con espressione irriverente al suo petto segnato. «Se ti avessi voluto giovane, ti avrei intossicato di Pozione Ringiovanente fin quando non ti saresti beccato l'acne. Ma ti voglio così, vecchio e bastardo».
Moody aveva sempre l'impressione che le labbra di Tonks avessero il sapore di ciliegia, di fragola o di qualunque altra diavoleria da ragazzina. Eppure, sapeva perfettamente che tutto ciò che lei aveva conservato di innocente non era ormai che una reminiscenza ormai lontana nel tempo. L'aveva trascinata con sé in ogni battaglia; l'aveva vista abbattere i propri nemici senza che la più delicata luce della pietà le attraversasse gli occhi; l'aveva trasformata da una diciottenne fremente e irrequieta in un soldato dall'aroma di frutta. E per quanto baciarla gli desse lo stesso effetto di un sedativo, per quanto la sua pelle nuda gli ardesse nei polpastrelli, per quanto i suoi seni e i suoi fianchi lo facessero sentire dannatamente vivo, Moody avvertiva la sensazione di stringere fra le mani qualcosa di troppo fuggevole. Era come amare una farfalla – e le farfalle muoiono sempre troppo presto.

*

Fronteggiando per l'ultima volta il volto serpentino di Lord Voldemort, Alastor Moody maledì ogni singola ora del giorno in cui aveva incontrato la giovane signorina Tonks, e di ogni giorno successivo trascorso in sua compagnia. Ne maledì l'irruenza, ne maledì la sfacciataggine, ne maledì ogni momento fra le sue labbra e i suoi lombi. Maledì la stoltezza che lo aveva trascinato in quell'abisso di idee sbagliate, maledettamente sbagliate, costruite su altre idee ancora più sbagliate.
Non maledisse mai lei, poiché sarebbe stato ben peggiore che maledire se stesso, ma maledisse a lungo la sua irraggiungibile giovinezza – o la propria inarrestabile vecchiaia, magari. Se solo lui avesse avuto un mezzo secolo di meno o lei un mezzo secolo di più, ecco, allora forse ad entrambi sarebbe rimasto qualcosa di meno malaugurato di quell'amore in declino.
Maledì il tempo fino a quando ne conservò per maledirlo, e quando alla fine raggiunse terra, non gli rimase altro da pensare se non che non avrebbe mai potuto diventare giovane per lei; sperava soltanto che lei, con più fortuna di quanta lui non avesse dimostrato in vita, potesse diventare anziana per lui.
Ma lei era come una farfalla e fu proprio questo che Moody, per triste ironia, alla fine dimenticò di maledire.








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