Solutidine isn’t your destiny
“Accidenti,
quanto picchia oggi!”
Fernando
aveva ragione: oggi era davvero una giornata caldissima, e neanche
eravamo a giugno!
Sentivo
l’urlo straziante della vegetazione intorno a me ed il suo
insaziabile desiderio di acqua, che però non poteva essere
mai soddisfatto appieno: in fondo l’innaffiatoio era quel che
era!
Io
stavo aiutando il nostro “giardiniere” a prendersi
cura delle piante e mi dispiaceva moltissimo che la natura si piegasse
all’afa in modo così spaventoso.
Di
solito ci sono delle piante che vivono bene al sole ed altre che invece
necessitano di molta acqua: il nostro giardino era uno strano miscuglio
di piante desertiche e delicati fiori occidentali, che si tenevano
appena nei loro esili steli, come bambini malati, stremati dalla
sofferenza.
Ma
bastava un po’ d’acqua perché il loro
splendore potesse tornare.
Stavo
giusto innaffiando delle rose fuori stagione quando sentii qualcuno che
mi chiamava. Non era Fernando, e neanche la nonna.
Alzai
il volto e intravidi, nascosta dalle guglie appuntite del cancello di
ferro, una figura famigliare.
Lasciai
l’innaffiatoio vicino ai fiori per andare ad aprire alla
misteriosa presenza ed avvicinandomi ancora di più scoprii
la sua identità: era Sandy, la migliore amica della mamma.
“Ciao
Sandy! Da quanto tempo che non ci vediamo!” le dissi mentre
aprivo il cancello e la lasciavo entrare.
“Oh
ciao Mike! Cavolo, come sei cresciuta! L’ultima volta che ti
ho visto eri una bambina”
“Ma
non sono passati neanche due mesi…”
“Lo
so, ma voi ragazzette di oggi crescete molto velocemente. Guarda un
po’, hai già le tette!”
“Ehm,
veramente…” Ciò che in
realtà Sandy chiamava “tette” non
esisteva: al suo posto vi era un rigonfiamento appena accennato sotto
la maglietta che neanche poteva chiamarsi seno!
Feci
per nascondere le rotondità minuscole, e lei
scoppiò in una sonora risata.
“Ma
dai, scherzo! Io alla tua età le avevo anche più
piccole!”
Mi
rivolse uno dei suoi splendidi sorrisi e mi sentii più
sollevata; anche se stava scherzando, avevo dei seri problemi di
autostima.
Mi
vedevo talmente brutta da non guardarmi neanche allo specchio, e gli
altri insistevano che ero bellissima e priva di imperfezioni.
Si
vedeva che non stavano passando ciò che in realtà
stavo passando io. Trattavano l’adolescenza come un periodo
di crescita qualsiasi, e questo mi irritava davvero tanto.
Giusto
Sandy sembrava provare quel che provavo io, forse perché era
stata anche lei una ragazzina emarginata e sin troppo viziata per i
suoi gusti.
Alcune
volte avrei voluto avere la sua stessa età per lavorare con
lei ed essere sua amica. Mi sarebbe piaciuto davvero tanto.
“Comunque,
cara…Come sta la mamma?”
Oh
giusto, la mamma! Mi ero completamente dimenticata!
E’
impossibile che la sua migliore amica venga a trovarla senza un motivo,
no?
“Oh
sta meglio adesso, anche se non vuole ancora uscire di casa.
E’ un bel problema…”
“Se
non se la sente è inutile forzarla; quando sarà
un po’ più forte sono sicura che ce la
farà!”
Sandy,
mia cara, è da cinque mesi che continui a sperare!
“Io
non ne sarei tanto sicura..Comunque se vuoi salutarla, ti accompagno in
camera sua. Tanto non la disturbi!”
“Va
bene, ma rimarrò per poco tempo: non voglio
stancarla”
“Prego,
allora, seguimi. Sarà molto contenta di vederti!”
Desiderosa
di rientrare in casa e vederla senza quell’enorme cappello
che la proteggeva dal sole, la condussi lungo il selciato, tra il prato
arso dal sole e le foglie ingiallite: quello spettacolo, pensai,
accentuava ancora di più la malinconia di fine estate.
Il
mio compleanno era passato da circa due mesi ed ancora mi sentivo una
bambina, senza tette e con la disinvoltura di un elefante.
Eppure
avevo dodici anni.
Dodici
anni passati in solitudine, spesso in quel giardino ora in decadenza. E
quando pensai che fosse arrivato un po’ di refrigerio nella
mia vita, una goccia di felicità…Quella
è scivolata imprudentemente via per poi non fare
più ritorno.
Ogni
estate speravo di essere bagnata ancora da quella goccia, sentire il
suo potere rigenerativo in me e ridere felice insieme a lei, ma ormai
era inutile aspettare.
Sapevo
che non sarebbe tornata prima dell’inizio
dell’autunno.
Anche
la mamma aveva la sua goccia di felicità personale: si stava
togliendo il cappello-parabola proprio ora.
“Oh
in casa si sta proprio bene! Oggi è una giornata
particolarmente afosa, non trovi?”
“Già,
ma ormai sono abituata. E poi a me il sole non brucia, per
fortuna”
“Certo,
tu hai la carnagione molto più scura della mia! Come
Katie…Mi ricordo che mi prendeva sempre in giro
perché al mare non mi spogliavo mai, mentre lei poteva
rimanere un giorno intero sotto il sole e non si scottava neanche il
collo! Che pessimi ricordi…”
La
vidi arricciare il labbro e risi anch’io pensando alla
situazione: ascoltare da altre persone episodi di vita quotidiana
riguardanti mia madre era sempre esilarante! Lei mi aveva ormai
raccontato tutto quello che c’era da sapere sulla sua
gioventù, e spesso falsava le vicende per farle sembrare
più eroiche possibili.
I
suoi amici, invece, non avevano alcun gusto nel mentirmi, ed esponevano
i fatti nudi e crudi, non solo per sottolineare
l’umanità della mamma ma anche per dimostrare che
tenevano a lei; riconoscevano i suoi sbagli, le sue paure, cose che lei
non avrebbe mai ammesso in pubblico.
Preferiva
apparire forte e coraggiosa piuttosto che mostrare le sue debolezze e
farsi aiutare da qualcuno.
È
proprio quel che capita quando si ammala e tutti cerchiamo di
accudirla, ma lei rifiuta qualsiasi aiuto e si rimette in sesto da sola.
Quella
volta, però, non ebbe neanche il coraggio di alzare la mano
e protestare.
Non
riusciva neanche ad alzarsi dal letto, le era faticoso addirittura
respirare…
Non
guardava neanche fuori dalla finestra, aperta solo per lei; esisteva
solo il soffitto.
Io
non entravo spesso nella sua stanza, nonostante sapessi quanto le
avrebbe fatto piacere, ma quella volta non potei evitarlo: dovevo
accompagnare Sandy e sicuramente la sua debolezza non le avrebbe
permesso di stare da sola assieme alla mamma.
Una
volta aperta la porta, feci molta attenzione a non disturbare la mamma:
agitata come era si sarebbe spaventata con tutto quel rumore.
Ultimamente
i suoi sensi si erano acuiti, trasformando il fruscio delle lenzuola in
un rombo infernale, ed il lieve peso di una piuma in cento incudini. In
quanto alla vista, non la usava più: per lei la
realtà era un ammasso di impercettibili e frenetiche ombre
grigie.
Nel
chiamarla per sottolineare la mia presenza, perciò, non
dovetti avvicinarmi al suo letto, poiché riconosceva la mia
voce perfettamente.
Dal
tono con il quale mi rispose era molto felice di vedere me e Sandy, e
ne fui particolarmente sollevata: era da tanto tempo che non la vedevo
così contenta!
Nonostante
ormai il suo viso non esprimesse più sentimenti, si
voltò verso di noi e si alzò a sedere sul letto:
anche muoversi le era diventato difficile.
Trascinò
tutto il peso sui morbidi cuscini e si appoggiò esausta allo
schienale del letto, per poi ansimare e chiudere ancora gli occhi.
Quei
semplici movimenti le erano costati una fatica immane; avrebbe anche
potuto evitarli, ma lei non si riposava mai del tutto, e cercava di
apparire molto sollevata.
“Come
va, mamma?” le chiesi mentre mi mettevo seduta sul letto
assieme a Sandy.
“E
me lo chiedi pure? Sono nelle esatte condizioni in cui ero ieri, anche
se mi fanno meno male le ossa. E poi ho sete…”
Come
al solito, la mamma non si smentiva mai: non era mai abbastanza debole
per sdrammatizzare.
“Se
vuoi ti porto subito un bicchiere d’acqua, mentre parli con
Sandy. Cavolo, da quanto tempo dovete vedervi? Avrete un sacco di cose
da raccontarvi!”
“Sì.
Tantissime”
E
dopo aver sentito l’ennesima battutina ne ebbi davvero
abbastanza: un malato non doveva comportarsi così!
Chiesi
a Sandy di attendere per qualche minuto e scesi in cucina non solo per
prendere l’acqua alla mamma ma anche per lasciare sole le due
amiche.
Magari
parlando con Sandy la mamma avrebbe smesso di sputare battutine
tristemente ironiche sulla sua condizione e si sarebbe un po’
calmata. Quella ragazza dagli occhi vivaci come fronde mosse dal vento
aveva un potere così grande che neanche si accorgeva di
possedere, e questo mi preoccupava parecchio, ma allo stesso tempo mi
confortava.
La
mamma era davvero fortunata ad avere una persona come lei al suo fianco.
Dopo
che Mike uscì dalla stanza, se ne stettero in silenzio per
un bel po’: sinceramente, non sapevano di cosa parlare.
Era
da molto che non si vedevano, e nessuna delle due aveva subito dei
cambiamenti visibili: Katie possedeva ancora quell’aria
scomposta che si addiceva ai malati, i capelli appiccicati sulla fronte
che formavano piccole onde e si andavano ad incontrare con il sudore,
gli occhi socchiusi, le labbra secche come il deserto.
Nell’insieme, uno spettacolo abbastanza deprimente.
Sandy
invece trasudava salute da tutti i pori: era sempre la stessa ragazza
timida e intelligente, con le sopracciglia sottili e le mani sempre
curate. L’unico cambiamento radicale verificatosi nel suo
aspetto riguardava i capelli, che un tempo ricadevano lunghi e morbidi
fino alla vita, ed ora le coprivano appena le orecchie.
Nonostante
il dispiacere causato da questa follia, il nuovo taglio le dava
un’aria più malinconica, che non le dispiaceva.
Sandy,
nonostante le varie fortune che aveva ricevuto dalla vita, era una
persona molto pessimista, ma ciò non le pesava affatto:
aveva sempre desiderato che nella sua vita ci fosse un po’ di
ansia a guastarle i piani.
Odiava
le cose facili e ricche di suggerimenti; non aveva mai chiesto aiuto a
nessuno e più andava avanti con le sue stesse forze,
più si sentiva felice.
Ora
come ora, aveva studiato per cinque anni lontana da casa ed era
ritornata solo per stare vicina a quella sciagurata della sua migliore
amica, che come al solito riempiva di insulti anche il cuscino e non la
riconosceva più.
Tuttavia,
le voleva ancora più bene di prima. E sapeva che per Katie
era lo stesso.
Quella
ragazza che stava pian piano sprofondando nel buio più
assoluto le voleva ancora bene.
Non
poté fermare un sorriso al sol pensiero: allungò
la mano verso la fronte della sua amica e le scostò
delicatamente i capelli umidi fin dietro le orecchie.
Si
fermò un attimo a guardarla: era ancora la stessa Katie, la
stessa ragazzina che aveva conosciuto quell’autunno di
quattordici anni fa.
La
stessa ragazzina che l’aveva conquistata sin dal primo
istante in cui il suo viso imbronciato si era voltato verso di lei,
rossa come un peperone, per pura curiosità ma anche per lo
stupore di aver vicino una figura tanto strana, mentre le foglie
vorticavano sulle loro teste, intrise di malinconia, e si andavano a
posare sulle piastrelle venate di nero.
Ricordava
ancora la loro danza nel cielo prima di accasciarsi al suolo, tra i
loro piedi.
Ricordava
ogni singola piega della sua gonna che le ricadeva delicatamente sulle
gambe magre, scomponendosi fino a formare un piccolo sole blu.
Ricordava
anche le sue mani bianche tinte di rosso dall’autunno, e la
cartella appoggiata alla panchina di legno scorticato, vicino a quella
di Katie.
Ora
non erano più sedute una di fianco all’altra.
Non
si stavano più riposando sotto gli alberi dopo una dura
giornata di scuola.
Non
avevano più quei visi rotondi da bambina, gli occhi sin
troppo grandi.
Ma
Sandy sentiva che quel grande sentimento non era cambiato.
Improvvisamente
le sue labbra iniziarono a tremare, desiderose per qualcosa di
irraggiungibile. Eppure così vicino.
Come
aveva potuto nascondere ciò per tutto questo tempo?
Era
stata brava, ma non poteva resistere oltre.
Ormai
non era più tempo di fingere.
Si
chinò lentamente verso l’angosciante figura
sdraiata sul letto, non curandosi minimamente di poter essere scoperta,
ma proseguendo semplicemente per il cammino che le indicava
l’istinto.
Si
fermò a pochi centimetri dal naso di Katie: poteva sentirne
il respiro affannoso inondarle le orecchie ed il cuore.
Si
ritrasse improvvisamente e scosse la testa: la sua amica stava
soffrendo terribilmente, non poteva approfittarsi di lei.
Osservò
per poco il suo volto sconvolto ed alla fine, vinta dal desiderio, le
diede un innocente bacio sulla fronte. Sembrava stare meglio dopo quel
piccolo gesto, e Sandy se ne compiacque.
Sorrise
dolcemente all’amica, e si sarebbe chinata ancora su di lei
se Mike non fosse entrata improvvisamente nella stanza, portando in
mano una caraffa piena d’acqua e dei bicchieri.
“Scusate
se vi ho fatto attendere, ma…Ho avuto da fare! Ecco
l’acqua, mamma”
Posò
un bicchiere sul comodino e versò l’acqua, per poi
riempirne uno anche a Sandy, che però rifiutò
educatamente l’offerta.
“Non
c’è problema, allora, la bevo io” le
rispose Mike, un pochino offesa.
Tuttavia
sorrise a Sandy, ed aiutò la madre a mettersi seduta sul
letto per bere più comodamente.
Trascorse
un po’ di tempo con le due donne, prima di scappare di sopra,
con la scusa che doveva aiutare Fernando a stendere il bucato;
purtroppo per lei Fernando ora era in cucina
a chiacchierare amabilmente con Fiordaliso mentre stava sistemando le
stoviglie nei cassetti.
Katie
non ci fece minimamente caso, troppo occupata a guardare il soffitto.
Sandy, invece, seguì Mike con lo sguardo, fin quando la
porta della camera non si chiuse dietro di lei.
E
proprio in quel momento Fiordaliso scoppiò a ridere al piano
inferiore, e Fernando la seguì.
Per
la fretta stavo quasi per inciampare sulle piastrelle del pavimento,
nonostante portassi ai piedi delle solidissime ciabatte antiscivolo, e
non mi resi neanche conto di essere arrivata davanti alla porta della
mia stanza, per quanta foga ci misi nel rialzarmi e nel ripartire,
manco fossi Carl Lewis!
Perciò,
la mia seconda caduta fu inevitabile. Il caldo mi dava veramente alla
testa!
Mi
appoggiai alla maniglia della porta e la aprii, per poi strisciare
cautamente dentro la mia stanza.
Mi
richiusi la porta dietro, e lanciai un sospiro di sollievo: finalmente
ero al sicuro!
Né
occhi né orecchie indiscrete avrebbero spiato le mie azioni.
Mi
alzai ed andai verso il letto, sul quale avevo lasciato la preziosa
reliquia, il motivo per cui mi ero praticamente rotta una gamba ed un
piede, e la presi trepidante in mano.
Ero
davvero emozionata, nonostante si trattasse di un banalissimo pezzo di
carta. Okay, non esageriamo…Quel banalissimo pezzo di carta
era una lettera dalla mia cara e preziosa (nonché unica) amica Isabel.
Da
molto tempo ormai non mi scriveva più, e soprattutto non
avevo ricevuto nuove notizie sull’angelo caduto.
Chissà
se la mia geniale amica aveva scoperto qualcosa di interessante!
Presi
la lettera in mano, e prima di aprirla notai se ci fossero gli strani
disegni che comparivano sempre sulle altre buste: motivi geometrici,
spirali, volteggianti cerchi magici, che invadevano la carta da cima a
fondo.
Avvertii
una fitta al cuore: Isabel era così premurosa che spendeva
il suo tempo già scarso per decorare l’intera
busta con i suoi disegni, il tutto per far sentire la sua presenza
accanto a me.
Sapeva
quanto amavo la sua arte, quanto avrei voluto celebrarla…
Strinsi
gli occhi nel tentativo di non perdermi in stupidi pianti, e tastai la
carta fin quando non trovai l’apertura.
Iniziai
a strappare saggiamente la carta ai bordi, facendo attenzione a non
rompere il foglio all’interno.
Arrivata
nel mezzo, però, mi aiutai con una forcina per capelli,
poiché le mie mani erano troppo goffe per continuare quel
lavoro di assoluta precisione.
La
mia fida compagna riuscì nel suo intento: sfilai la lettera
dalla busta martoriata, e la aprii.
Ero
così eccitata che per un attimo ebbi la sensazione di non
riuscire a leggere la grafia minuta e chiara di Isabel, ma dopo un
po’ i miei occhi si abituarono allo spiccato contrasto tra
carta e inchiostro, ed iniziai a leggere speditamente.
“Cara
Mike,
come
stai? So della tua infelicità per la mia mancanza, ma non
dovrai soffrire ancora per molto: infatti ritornerò a Los
Angeles tra qualche settimana, il tempo per riordinare le mie ricerche
e dare un’ultima occhiata ai miei scarsi risultati.
Non
sono riuscita a scoprire nulla di nuovo riguardo l’angelo
ribelle.
Neanche
il mio protettore, Michael, e gli altri angeli non sanno dove si trovi,
né cosa stia facendo in questo momento.
È
come se fosse lontano dal nostro mondo.
Spero
che, quando ritornerò, in tua compagnia riusciremo a trovare
nuovi indizi; ormai sei grande, sono sicura che i tuoi famigliari ti
lasceranno venire con me!
Inoltre
devo parlarti assolutamente di un avvenimento molto importante: devi
fidarti, ho scrutato nel futuro attraverso le lingue di fuoco
sprigionate da una piuma di avvoltoio rovente.
È
sconveniente anticipare ciò che ti dirò, quindi
armati di pazienza e stai calma.
Questa
lettera arriverà sicuramente prima di me, ma le distanze che
ci separano non sono enormi: ritornerò tra qualche
settimana, te lo prometto.
Adesso
ti lascio, devo continuare i preparativi per la partenza.
Ci
vedremo non appena ritornerò.
Isabel”
Rilessi
le ultime righe per almeno cinque volte prima di alzare gli occhi dal
foglio e rimanere accecata dal celeste intenso delle pareti, che si
mescolava al bianco del pavimento di marmo.
Per
un momento mi girò la testa: non riuscivo a capire,
però, se era per ciò che avevo appena letto o
semplicemente per aver alzato la testa troppo velocemente.
Il
mio cervello insisteva per la seconda, ma sapevo che la prima opzione
era la più plausibile.
Non
osavo credere a ciò che avevo appena letto.
Isabel,
la mia amica, la mia migliore amica, era riuscita… A predire
il futuro?
Da
sempre mi ribadiva che i suoi poteri le permettevano di leggere nella
mente di chiunque, di manipolarne i pensieri e di condurre la
realtà a proprio piacimento, ma non poteva predire il futuro.
Aveva
conosciuto chi era in grado di farlo, ma non era mai riuscita ad
imitare le loro azioni, né tantomeno a scorgere qualche
frammento di futuro.
Sicuramente
la sua scoperta era sensazionale!
Rimasi
per qualche minuto a rimuginare sulle misteriose parole della mia
amica, fin quando non decisi di ritornare dalla mamma e Sandy per
assicurarmi che fosse tutto a posto.
Pensarci
mi avrebbe fatto soltanto male, mi avrebbe bruciato le energie e non mi
avrebbe permesso di vivere.
Ma
nonostante i miei continui lavaggi del cervello, una spiacevole
sensazione si riproponeva alla sommità del cuore,
costringendomi a fermarmi e a pensare: davvero sarei dovuta essere
felice di ciò che aveva scoperto Isabel?
E
se fosse stato un avvenimento doloroso?
Quel
giorno non era poi così bello come lo erano stati gli altri:
avevo visto la prima foglia gialla della stagione.
L’estate
iniziava a fare le valigie per andarsi a riposare, e ritornare fresca e
profumata l’anno successivo.
Io
me ne stavo seduta sugli scalini della veranda, con niente di meglio da
fare che guardare il cielo.
Nubi
bianche come cotone si rincorrevano, scivolavano sul vento,
inciampavano e poi continuavano il loro cammino, su uno sfondo azzurro
come il mare.
Apparivano
così felicemente imperturbabili che mi facevano quasi rabbia!
Sicuramente
non sapevano quanto gli abitanti della Terra desiderassero ardentemente
la loro felicità; anzi, non gliene importava praticamente
nulla.
Erano
passate diverse settimane dall’apertura delle scuole: ormai
eravamo ai primi di ottobre.
Erano
diverse settimane che aspettavo il ritorno della mia amica. Ma non
avevo più ricevuto sue notizie, e cominciavo seriamente a
preoccuparmi.
Dove
era finita? Perché ritardava così tanto? E la sua
scoperta sensazionale? Che quella sia stata così
sconvolgente da non permetterle di tornare in tempo?
Mi
ponevo mille domande, ma non riuscivo a trovare una risposta ad alcuna.
Tutto
quel che potevo fare era osservare il cielo, ed aspettare: la mia amica
non era una stupida, sicuramente se la sarebbe cavata.
Stavo
pensando a quanto fossero dure le assi di legno sotto il mio sedere
quando la buffa testa della nonna si affacciò alla finestra
del soggiorno e per poco non mi perforò i timpani con una
richiesta che poteva tranquillamente dirmi senza alzare la voce.
Voleva
che badassi un pochino alla mamma, visto che lei doveva uscire insieme
a Fernando per alcune commissioni, e lasciarla sola le sembrava poco
umano.
Dopotutto,
era mia madre, anche se da molto tempo non la riconoscevo
più; dopo la misteriosa malattia, durata sì e no
due anni e mezzo, si era un pochino ripresa: si era alzata dal letto,
aveva iniziato a vagare per la stanza senza motivo, non la disturbava
più alcun dolore e non trovava fastidioso parlare o
sorridere.
Tutti
quegli improvvisi cambiamenti mi resero molto felice, ma sicuramente la
salute ritrovata mutò mia madre in una persona completamente
diversa da quella che ero abituata a frequentare: innanzitutto, non
voleva uscire di casa, perché aveva paura ad attraversare la
strada ed i rombi provocati dai motori la infastidivano; poi, esigeva
la compagnia mia e della nonna, in qualsiasi momento della giornata,
anche quando doveva andare in bagno; aveva il terrore del buio, e di
notte dormiva con la lampada del comodino accesa; le pupille degli
occhi, un tempo grandi, erano diventate piccolissime, tanto che non
riuscivo più a scorgerle nel marrone profondo
dell’iride.
Il
suo viso solare e dai tratti morbidi si indurì fino ad
incupirsi.
Spesso
aveva un’espressione inquieta che addirittura mi intimoriva.
Sembra
brutto a dirsi, ma iniziavo ad aver paura di mia madre.
Ogni
volta che andavo a farle visita ed i suoi occhi vuoti si posavano su di
me, avvertivo un tremendo disagio, che si attenuava soltanto quando
chiudevo la porta della sua stanza e la lasciavo sola.
È
quel che successe quando quel giorno andai a farle compagnia: stava
seduta sul letto a sorseggiare lentamente il the che la nonna le aveva
portato poco prima, in pigiama e con i capelli arruffati.
Sicuramente
non si era accorta della mia presenza, perché non
alzò neanche lo sguardo, continuando a bere meccanicamente
la bevanda calda, gli occhi fissi sul pavimento.
Mi
avvicinai un po’ preoccupata, e le stampai goffamente un
bacio sulla fronte sudata.
“Buongiorno
mamma” le dissi.
Lei
si mosse intimorita, e le sue pupille mi investirono con tutto il loro
gelido calore: aveva gli occhi gonfi di ansia.
Abbassai
velocemente lo sguardo, per non far capire quanto in realtà
fossi tesa, e buttai lì qualche domandina premurosa.
“Allora,
mamma, come stai? Hai freddo? Stai tremando. O forse sei troppo stanca?
Cos’è, perché non mi
rispondi?”
In
effetti, era come parlare ad una statua. Mia mamma era di nuovo
scivolata nelle sue ignote riflessioni, ed ogni tanto si ricordava di
avere una tazza di the in mano.
Si
muoveva così silenziosamente da sembrare un fantasma.
Insistei
ancora un po’, fin quando non venni alla conclusione che
aveva bisogno di riposarsi e stare da sola.
La
nonna mi avrebbe di certo perdonato.
“Ora
vado via, mamma. Ci vediamo stasera a cena, va bene?”
La
mia domanda si perse nel vuoto, mentre mi alzavo dal letto e
raggiungevo la porta.
Stavo
per chiuderla quando lanciai un ultimo sguardo alla spettrale figura di
fronte a me che un tempo era stata mia madre.
Stavo
iniziando seriamente a preoccuparmi.
Mia
madre non poteva continuare a vivere in quelle condizioni,
né rifiutarsi di andare dal medico.
In
tutti gli anni che le sono stata accanto come figlia, non
l’avevo mai vista con una medicina in mano, anche se aveva
l’influenza o il mal di testa, e non l’avevo mai
sentita parlare dei dottori e degli ospedali.
Lei
odiava gli ospedali sin da quando era piccola, per un motivo altamente
sconosciuto sia a me che alla nonna.
Era
triste, però, non poterla aiutare a superare il suo
malessere, qualunque esso sia stato.
Tutto
quel che potevamo fare era aspettare che lei guarisse, da sola; ma non
sempre il tempo portava via con sé la malattia.
Me
ne iniziavo a rendere conto in quei giorni: ormai la mamma sopravviveva
grazie a noi, alle nostre cure, ed i suoi movimenti erano
più simili a quelli di un robot che di un essere umano.
Ero
davvero inquieta.
Ma
non potevo sfogare la mia ansia con niente o nessuno, non serviva a
niente.
A
niente.
Anche
piangere mi sembrava inutile: più inondavo la casa di
lacrime più le onde del malessere si infrangevano sul mio
cuore, e lentamente lo corrodevano.
Non
avevo più punti di riferimento.
Mi
sentivo sola, ancora una volta.
Ola
gente! Eheh stavolta vi
ho fregato: sono riuscita ad aggiornare prima dei sei mesi u.u
spero che siate contenti della mia ricomparsa!
Allora,
come procedono le vostre vacanze? Le mie male ç__ç
non ho praticamente smesso di studiare dal 30 di giugno!
Cioè, ma è possibile? Io, che ero così
brava a scuola..ç^ç
Vabbè,
lasciamo perdere e parliamo della mia storia.
Ultimamente
ho scritto soltanto capitoli di passaggio, saltando nel tempo a
più non posso, ma sappiate che dal prossimo capitolo la
narrazione diverrà più rapida e non vi
annoierò più con Michael, Fiordaliso e Fernando
che bisticciano e giocano a chiapparella;
le indiscusse protagoniste saranno Mike e le sue amiche, ovvero Isabel
e gli altri due angeli che non ancora conoscono.
Cercherò
in tutti i modi di rendere avvincente la narrazione, trattandosi di
argomenti che riguardano bene o male delle ragazzine adolescenti, ma
non vi prometto nulla di buono xD
Bene,
ed ora passiamo ai ringraziamenti!
Ringrazio
con tutto il cuore Rò,
ovvero GioTanner,
per il titolo ^^; e poi ringrazio natalia, per essere una
lettrice così fedele della mia storia: non immaginavo che
potessero essercene ancora!xD
Con
questo vi saluto, signori, alla prossima!
Looney*