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Autore: LilithJow    25/08/2011    5 recensioni
Il mio nome è Samantha Finnigan. Sono nata e cresciuta a Rossville, una cittadina con poco più di mille abitanti nell'Illinois, Stati Uniti.
Sto per compiere ottanta anni.
Ho vissuto una vita meravigliosa, ho avuto un marito affettuoso e tre fantastici bambini.
Ma non è di questo che sto per scrivere. Sono convinta che alla gente piacerebbe leggere di una grande storia d'amore, con un bel lieto fine, ma purtroppo io e i lieti fine non siamo mai andati d'accordo.
Ciò che state per leggere, perchè se adesso avete queste righe sotto gli occhi, presumo lo stiate per fare, non ne ha neanche l'ombra, o, per meglio dire, dipende dai punti di vista.
Voglio raccontarvi di un periodo particolare della mia vita, di molti anni fa, cinquantacinque per l'esattezza. Per me è come fosse ieri, forse perchè non ho mai dimenticato quello che successe. Impossibile farlo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Passarono alcuni giorni. Rividi Daniel, più di una volta, ma, quando accadeva, la storia si ripeteva: io parlavo a vanvera, di cose spesso senza senso, e lui stava zitto, annuendo appena. Non riuscivo ad ottenere nemmeno più i suoi monosillabi.
Ci ero andata piano fino a quel momento, mi ero tenuta sul livello 'solo amici', anche perchè ciò sembrava infastidire lo stesso Lucas. Almeno fino a un certo punto. Quando passavo da casa Monroe, le prime volte, Lucas era tentennante, irritato. Poi quei sentimenti svanirono, e prese spazio l'indifferenza.
Fu quello a convincermi a passare al livello successivo.
Daniel andava spronato, ma i mezzi tenui con lui non funzionavano. Doveva essere una specie di fulmine a ciel sereno, breve e inaspettato. Mi decisi ad agire in freddo pomeriggio di novembre. Uscii da lavoro e guidai dritto verso il liceo di Rossvill. La sera prima, nell'unica frase che aveva pronunciato, Daniel mi aveva detto che quel giorno Haley non avrebbe potuto recarsi a prenderlo e che sarebbe tornato a casa a piedi, cosa che amava fare. Colsi la palla al balzo e rimpiazzai la linfobionda (così l'avevo soprannominata), andando a prenderlo a scuola.
Quando uscì, per ultimo, come consueto, dall'edificio, mi guardò storto e perplesso nello stesso tempo, mentre ero appoggiata al cofano della mia auto, a braccia conserte. “Ti piace così tanto andare a lezione che sei sempre l'ultimo ad uscire, eh?” esclamai, con un tono di ironia. Daniel si sistemò lo zaino sulla spalla, ma non disse nulla in replica.
Sospirai: ne avevo abbastanza dei suoi silenzi. “Oggi ho intenzione di farti parlare, di sentire la tua voce, fino a quando non mi faranno male le orecchie. Non ho ancora in mente come, ma lo farò”. Riuscii a strappargli un sorriso: almeno in quello ero brava. “Perchè ti interessa tanto? Stare con me, parlare con me.. Non sono interessante e non ho niente di interessante da dire” esclamò.
Ovviamente, non potevo dirgli la vera ragione: mi toccò improvvisare e sperai che, qualunque cosa io stessi per dire, lo toccasse e iniziasse a sciogliere quell'involucro di ghiaccio che si era autoimposto. “Perchè sei strano” dissi “non in senso cattivo, sei.. Sei misterioso e sono del tutto sicura che dietro quell'aria triste che ti sforzi sempre di tenere, in realtà c'è ancora quel bambino solare e giocoso che ero solita conoscere”.
Le mie parole sembrarono scalfirlo. Daniel abbassò lo sguardo e fissò per qualche secondo l'asfalto sotto i nostri piedi. “Mi manca quel bambino” mormorò. “C'è ancora” ribattei “lì sotto, c'è ancora. Devi solo fare un piccolo sforzo”.
Lui mi guardò. Passò nemmeno un secondo e i suoi occhi, come lame, riuscirono a trafiggermi. Era inutile: ne sarei sempre stata ammaliata.
“Sali in macchina, ti porto in un posto” dissi allora. Non gli diedi il tempo di replicare e dubitai del fatto che lo avrebbe effettivamente fatto. Eseguì quella sorta di ordine che gli avevo dato. Misi in moto e partii. Come sempre, il viaggio si svolse in silenzio. Non misi la musica, sapevo già che non avrebbe funzionato e mi avrebbe alla fine soltanto distratto da quel che stavo facendo.
Dopo almeno mezz'ora, iniziai a scorgere il profilo della nostra meta. Mi era venuto in mente, strada facendo, che di recente avevano riaperto il luna park della città. Ero solita andarci spesso, ai tempi del liceo. Naturalmente, ero pressapoco certa che fosse la prima volta che Daniel lo vedeva. Lo capii dal modo in cui si guardava attorno esterrefatto mentre vi entravamo.
Iniziammo ad andare nella varie attrazioni: il primo passo era farlo svagare. Per cui finimmo sulle auto-scontro, sugli otto-volanti, sul simulatore di realtà.. Lasciai che per ultima restasse la ruota panoramica.
Salendo, non potei fare a meno di pensare alla volta in cui ci ero salita con Lucas, in uno dei nostri primi appuntamenti... Ma dovevo rimuoverlo dalla mia testa, per il momento, se volevo riprendermelo.
La ruota iniziò a girare lentamente. Daniel guardava il profilarsi della città illuminata davanti a noi, con aria serena, felice. Mi fece piacere vederlo così, era meno cupo.
“Ti piace?” chiesi, sperando davvero che quella domanda fosse l'inizio di una concreta conversazione tra noi due. All'inizio, diede l'impressione di non essere così, quando lui si limitò ad annuire, ma poi parlò: “Molto. Non sapevo neanche dell'esistenza di questo posto. Grazie, per avermici portato”.
“Figurati”.
“Lucas non mi porta mai in giro. Mio padre invece lo faceva.. Lo faceva spesso”.
Suo padre. In effetti, non avevo ancora visto il signor e la signora Monroe da quando ero tornata. Sapevo che entrambi lavoravano, per cui non mi ero mai posta il perchè non fossero mai a casa, durante le mie visite.
“Faceva? Perchè ne parli al passato?” osai allora chiedere.
Daniel tenne lo sguardo fisso sulle luci che illuminavano le strade di Rossville. Io non ero attirata da quelle, bensì dal suo profilo perfetto, senza nessuna imperfezione. “Ti sei persa parecchie cose in cinque anni, Sam” disse lui.
“Fin troppe. Ti va di raccontarmele?”.
Tentennò. Probabilmente era qualcosa che gli provocava dolore. Non ero sicura, ma riuscii a percepirlo da alcune piccole e lievi espressioni che il suo viso assunse. “Se non ti va, non importa. Non voglio costringerti” mi affrettai allora a dire. Fu in quel momento che Daniel mi sorprese. Parlò e lo fece in modo così sciolto e così naturale che per un attimo mi sembrò di essere tornata indietro nel tempo.”Se ne è andato di casa. O meglio, mia madre l'ha cacciato. Aveva perso il lavoro e aveva cominciato a buttarsi sull'alcol. Noi eravamo pieni di spese, Lucas al college, le cure di mia madre..”.
“Tua madre? E' malata?”.
“Era.. Era malata. Per questo Lucas ha deciso di iscriversi a medicina, nella sua testa era convinto di trovare una cura per la sua patologia”.
Mi sentii un mostro in quel momento. In tutti quegli anni ce l'avevo avuta a morte con Lucas e con la sua improvvisa decisione a non venire con me all'università, che non mi ero mai soffermata a chiedergli il perchè.
C'era una ragione valida, il problema era che non mi ero mai sforzata di cercarla.
Cercai di comprendere come fosse stato per loro, perdere i loro punti di riferimento all'improvviso, ritrovarsi soli, senza sapere cosa fare. Eppure non riuscivo a escludere il pensiero che Lucas avesse preferito tenermi all'oscuro di tutto, piuttosto che parlarmene. Lo avrei aiutato, io, con la mia famiglia, avremmo potuto facilmente andargli incontro.
Quello era il punto ancora non chiaro.
Iniziai persino a pensare che avesse approfittato della scusa della malattia della madre per lasciarmi.
Mi odiai per tale pensiero, ma non ne potei fare a meno.
“Mi dispiace” riuscii solo a mormorare, abbassando lo sguardo. “Non importa. E' passato ormai” sussurrò lui.
Quando rialzai gli occhi su di lui, Daniel non guardava più la città: guardava me. La cosa strana era che non lo aveva mai fatto. Tendeva sempre ad essere distante, con chiunque, quasi fosse estraneo al mondo.
In quel momento, invece, sembrò essere il protagonista di quella notte.
Cercai di trattenermi, perchè, dopo aver sentito quella storia, l'idea di mandare a monte il mio piano si era già fatta strada nella mia testa. Ma il modo in cui i suoi occhi erano fissi su di me, non lasciavano via di scampo.. E alla fine cedetti. Mi sporsi verso di lui e posai delicatamente le mie labbra sulle sue. Quel bacio non durò a lungo. Dovetti staccarmi poco dopo, costretta dalla ruota che aveva compiuto un intero giro e da due ragazzi che ci incitavano a scendere, per prendere il nostro posto.
Così scesi, seguita da Daniel. Mi aspettavo mi chiedesse perchè lo avessi fatto o domande del genere, invece rimase in silenzio. Avrei dovuto aspettarmi più quello che altro.
In breve tempo, fummo di nuovo in auto. Cercai di aprire un discorso, mentre ero alla guida. Nella mia testa si creavano mille conversazioni logiche, ma dalla mia bocca uscivano solo parole sconnesse e senza senso. Alla fine lasciai perdere. Accompagnai Daniel a casa e andai via, quasi subito, senza neanche aspettare che percorresse tutto il vialetto fino alla porta, per vederlo entrare, come facevo sempre.

  
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