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Autore: The DogAndWolf    26/08/2011    3 recensioni
La dottoressa Jackleen Simmons viene chiamata da New York per un consulto al Princeton-Plainsboro.
Il suo arrivo sconvolgerà la vita di un membro della squadra di House in particolare: Tredici.
Arrabbiata con il mondo, conquistatrice incallita, geniale giovane chirurgo... riuscirà Jackleen, tra ex irascibili, capi cinici e colleghi diffidenti, a trovare un po' di pace grazie a Remy alla fine di questa long-fic?
Magari proprio a Seattle, dove abita e lavora la sua migliore amica?
Crossover tra House e Grey's Anatomy (fine quinta stagione in poi).
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Remy Hadley/Tredici, Un po' tutti | Coppie: Greg House/Lisa Cuddy
Note: Cross-over, Lemon | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Sesta stagione
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«Scusami…».
Fu più lieve di un soffio, ma Remy riuscì a sentirlo comunque, cercando istantaneamente gli occhi viola della bionda accanto a lei. Li trovò, tristi e sinceramente dispiaciuti, insicuri e vulnerabili come non mai.
Jackleen prese fiato e continuò a parlare, non riuscendo più a reggere il suo sguardo: «Io… mi dispiace di essermi comportata in quel modo con te, non avevo il diritto di dirti quelle cose. In verità sono spaventata da tutto ‒ agitò nervosamente la mano, lasciandosi scappare un amaro sorriso per niente convincente ‒ questo… non so cosa sia, non ho mai provato queste cose per una donna incontrata in un locale da meno di un giorno. Hai ragione, io non ti conosco. E, in tutto questo casino che ho dentro alla mia testa e non capisco, so solo che è la cosa che mi fa star peggio, sai? Non conoscerti. Prima ho pensato di scusarmi portandoti dei fiori… poi mi sono accorta che non so quale siano i tuoi preferiti, non so se ti piacciano di più le rose rosse, quelle bianche o quelle rosa, non so nemmeno se tu sia allergica ai fiori, a dirla tutta.». La dottoressa bionda si arrischiò ad alzare i mesti occhi viola, velati da una leggera minaccia di lacrime, in quelli di Tredici per un solo istante.
Il suo orgoglio le stava rinfacciando brutalmente tutta la stupidità e la debolezza che stava mostrando, ma tutto quello che le importava davvero era la verità che stava finalmente uscendo dalle sue labbra. Verità che, fortunatamente, vinse sul suo orgoglio: «Ed è terribile non saperlo perché sei la prima ragazza a cui mi sia mai venuto in mente di regalare dei fiori e quando ti vedo mi vengono in mente romanticherie che sinceramente non sono da me. Tutto quello che vorrei, per una volta, è fare le cose per bene e con calma… invece riesco solo a pensare a quanto sia difficile non conoscendoti e, terrorizzata, apro la bocca e dico stronzate che non ti meriti. Quindi vorrei che tu mi conosca veramente e, se tu me lo permetti, vorrei davvero conoscerti.».
Il silenzio riempì immediatamente quel piccolo spazio, permettendo a Jackleen di sentire il vago ronzio dell’ascensore e il proprio cuore tuonarle tutta la paura che provava nelle orecchie.
Non accadeva spesso che Jackleen Simmons si aprisse così tanto a una persona, anzi non le accadeva mai. Di solito preferiva tenere fuori dalla propria vita le persone, a dirla tutta, e rimorchiare belle donne per storie da una notte senza alcun significato. Teneva chiunque sufficientemente lontano in modo che non la potesse ferire, perché aveva deciso all’età di quindici anni che non ne poteva più di soffrire per colpa delle persone. L’unico essere umano che faceva avvicinare era la sua Arizona. E come avrebbe potuto essere altrimenti? Dopo una vita passata insieme era l’unica a sapere chi fosse realmente e cosa avesse passato.
Certo, c’erano altre persone, oltre ad Arizona, che aveva fatto avvicinare abbastanza per farsi conoscere, ma aveva perso i contatti con la maggior parte di loro e la lontananza aveva fatto il resto.
Jackleen Simmons aveva smesso di sperare e credere in una sana relazione stabile che comprendesse la sua persona da molto, troppo tempo, o almeno di questo ne era convinta lei.
«Rosse…» mormorò seria Remy, interrompendo bruscamente i suoi pensieri.
La bionda, speranzosa, alzò immediatamente lo sguardo nel suo per accorgersi che la donna accanto a lei le si era fatta molto più vicina. Tredici posò gentilmente una mano sulla sua guancia, accarezzandola brevemente e spiegando, all’espressione sorpresa di Jackleen: «Le rose… le preferisco rosse!».
Quando la dottoressa Simmons comprese le sue parole, una risata raggiante le sorse spontanea mentre anche l’altra donna iniziò a ridere felice ed entrambe abbassarono momentaneamente lo sguardo, arrossendo lievemente.
La verità era che anche Remy aveva una paura folle di quello che stava succedendo tra loro due. Era terrorizzata che qualcun altro potesse lasciarla e che lei ritornasse nuovamente sola. La sua lotta interiore era sempre tra scegliere di morire da sola o odiata da chi amava. Era per questo che si era detta di non riprovarci più dopo Foreman. Se molte persone erano geneticamente infelici, lei si portava anche una condanna a morte nel suo codice genetico.
All’improvviso Remy schiacciò il pulsante d’emergenza, bloccando l’ascensore, si appoggiò alla parete ed esclamò: «Mi è venuta un’idea… tu mi dici qualcosa di te e io ti dico qualcosa di me, tanto per non iniziare brancolando nel buio, ok? Prima di tutto… perché sai picchiare così bene?».
Jackleen rispose al suo sorriso furbo, al settimo cielo, per poi cominciare: «Tutto quello che so me l’ha insegnato un Marines. Colore preferito?».
Continuarono a parlare così a lungo, senza curarsi del tempo che passava. Ridendo e ricordando. Conoscendosi finalmente.
 
House si affrettò nel corridoio, irritato dal mondo, borbottando con se stesso.
«Si può sapere dove diavolo sono finiti quel branco di idioti, dannazione?» ringhiò mentre passava la sala riunioni senza vedervi nessuno.
In effetti era una domanda più che legittima visto che gli erano scomparsi tutti i collaboratori e i sottoposti da sotto il naso in meno di un’ora. Foreman non si trovava. Taub era irreperibile, probabilmente la moglie l’aveva trovato e gli stava facendo il quarto grado sull’infermiera del terzo piano. Tredici e il Piccolo Genio? Ah, manco a parlarne… dissolte nell’aria.
«Spero proprio che, almeno voi, vi stiate divertendo nel vostro cavolo di sgabuzzino del secondo piano. Sì, lo spero proprio. E spero pure che vi venga l’herpes a forza di scopare come conigli in calore!» disse rabbioso al nulla, proprio mentre gli si avvicinava il suo migliore amico.
«Conigli in calore?» gli chiese dubbioso, avendo colto solo l’ultima parte dell’invettiva di House.
Il dottore che si puntellava sul bastone mentre camminava si fermò davanti all’ascensore e, tra i denti digrignati, gli sibilò: «Non è un buon momento Wilson, ti avviso…». Premette il pulsante vicino alle porte grigie e anonime, ma tutto quello che ottenne fu un rumore elettronico che lo avvisava del bloccaggio dell’ascensore. Allora, fuori di sé, gli urlò: «VAFFANCULO!», mollandogli un colpo tale da farsi male alla mano.
James rimase un attimo a fissarlo, perplesso, per poi riprendersi e seguirlo mentre si dirigeva verso le scale e parlargli: «A proposito di cose strane… hai per caso idea di che fine abbiano fatto i miei boxer neri? Sai quelli che erano in lav…».
House inchiodò di colpo, fissò l’oncologo negli occhi, incenerendolo con uno sguardo terribile, e gli abbaiò: «PROCIONE!».
Wilson lo osservò, allibito, temendo seriamente per la sanità mentale del suo migliore amico. Greg riprese a camminare, sempre borbottando maledizioni e minacce a quegli sciagurati che l’avevano abbandonato in pieno orario di lavoro, lasciando indietro un Jim davvero interdetto.
L’oncologo lo raggiunse allungando di poco il passo e si arrischiò a chiedergli: «Che cosa c’entrano i procioni con i miei boxer?».
Spazientito, House lo canzonò, iniziando a scendere le scale: «Hai presente i procioni, vero? Quei piccoli e deliziosi distruttori di giardini e famigliole, quelle tenerissime palle di pelo che possono attaccare la rabbia ai bambini e sgozzare i vecchietti con un semplice morso alla giugulare?».
«Non penso che un procione abbia mai…» cercò invano di obiettare Wilson.
Il suo migliore amico lo interruppe, continuando il suo sproloquio apparentemente senza alcun senso: «Quei schifosi parassiti che si riproducono alla velocità della luce e ti invadono le case e le strade… ehi, forse abbiamo trovato qualcuno che scopa più di Tredici e Piccolo Genio!».
«Come scusa?!» esclamò Jim, avendo ormai perso ogni filo logico della discussione (se mai ce ne fosse stato uno, certo).
House si bloccò di nuovo, spazientito per l’inettitudine dell’oncologo e sbottò: «L’apocalisse! Sto parlando dell’apocalisse per mano di quei fottuti parassiti! I tuoi boxer sono stati sacrificati per il bene superiore, Wilson, gioisci! Se ne sono andati da veri guerrieri impedendo la fine del mondo!».
Il suo migliore amico gli rivolse uno sguardo sconfitto, chiedendogli stancamente: «Che è successo ai miei boxer, House?».
Greg riprese a camminare tranquillo per le scale, rivelandogli, finalmente: «Ieri notte ho sentito dei rumori fuori casa. Così sono uscito e ho scoperto un procione nel nostro bidone della spazzatura che si stava facendo i cavoli propri. Quindi sono rientrato e ho salvato il mondo da un’infestazione di procioni zombie respingendoli con i tuoi boxer come unica arma contro l’apocalisse…».
Wilson si bloccò davanti alle porte del pianoterra, gridando, sconvolto: «Tu… cosa?!».
House alzò le spalle, dicendo: «Non c’è bisogno che tu mi ringrazi, è solo il mio dovere da supereroe sterminatore di procioni zombie!», per poi aprire le porte dell’ospedale. In lontananza vide Jackleen e Remy che uscivano dall’ascensore, ridendo felici. L’urlo irato del capo della squadra di diagnosti squarciò la quiete del Princeton-Plainsboro mentre alzava un dito minaccioso verso le due donne: «VOI!».

 
*****
Vi chiedo umilmente perdono per il ritardo immane e vi do l'ok per iniziare il linciaggio pubblico se volete! >.<
Sono tanto tanto contenta di continuare questa ff, mi era veramente mancata! *-* Spero che sia mancata anche a voi! =D

Hope you liked it! ^^
Dog
   
 
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