Non ci
credo, ragazze, il piccì mi ha appena cancellato l’introduzione
più fantastica del mondo *piange*
Ok,
allora. Facciamola breve.
Un ringraziamento
generale, perdonate se non sto qui a
ringraziarvi ad una ad una ma SAPPIATE –nonostante questo computer vuole impedirmi
di comunicarvelo- che vi ringrazio di cuore e considero questo nono capitolo un
traguardo, e che vi devo molto, senza il
vostro incoraggiamento probabilmente non sarei qui ora.
Stavolta
mi scuso per il ritardo con un capitolo più lungo –e con un po’ di novità!- e
un collage coi volti dei personaggi, sperando che vi aiuti a distinguerli più
facilmente, visto che sono davvero davvero tanti. ^^”
Ah, Josh
non è Joe. E’ un altro Joseph, a cui ho scelto di dare un soprannome diverso
apposta per non farvi confondere. (;
(Ecco gli
ammori -> http://i53.tinypic.com/281vqmp.png
Da
sinistra verso destra: Joseph N, Rachel, Nicholas, Joseph, Kevin, Adrienne,
Malice, Bridget, Michael, Diana, Keith, Hera, Gwen, Charlotte, Sophie, Andrew,
Athena, Demeter.)
Perdonate
me e il mio PC rimbambito e godetevi il capitolo!
Vi voglio
bene. ♥
Sheep
Questo capitolo è per
Lorenzo
che non lo sa
perché non sa leggere,
perché mi ha fatto quella domanda
che mi ha messo in moto la fantasia.
Grazie cuginetto.
Capitolo 9
Charlie e Drew erano di nuovo amici. Almeno, così
pareva alla piccola Sophie che, più che contrariata, ne era entusiasta. Sophie
adorava Charlotte; avrebbe detestato qualsiasi altra ragazza che si fosse
permessa di sottrarle del tempo da passare con suo fratello, ma lei mai, perché
era una vera principessa. Sophie ne era convinta: Charlie ascoltava la musica
delle principesse –una volta, in camera sua, aveva intravisto un poster dei ‘Beatles’- e, l’anno successivo, avrebbe
frequentato l’università di Cambridge, dove studiavano tutti i rampolli di
sangue blu. Gliel’aveva detto Drew, una volta, mentre andavano al parco.
Anche oggi stavano andando al parco, ma non erano
soli: il signor Nick, infatti, si era unito all’allegra combriccola. Charlie, a
differenza di quanto la piccola Sophia si era aspettata, non si era dimostrata
gelosa dell’amicizia che riempiva la solitudine di Nicholas ed Andrew, piuttosto
aveva accolto Nick a braccia aperte, divertita dal naturale contrasto che il
ragazzo creava col suo migliore amico. Aveva raccontato anche a lui della sua
vita a Glasgow, delle cheerleader della nuova scuola che, dopo il suo rifiuto
di affrontare un provino per unirsi a loro, l’avevano declassata a ‘sfigata
londinese’; Charlie spiegò che conduceva sostanzialmente una vita solitaria,
dal momento che non era abbastanza secchiona per unirsi al tavolo dei nerd e
troppo poco alternativa per stare coi punk. Raccontò di come il suo unico svago
fossero la biblioteca, dove aveva cominciato a lavorare, e la cucina. Aveva
imparato a fare molti dolci ed anche qualche piatto italiano.
«Papà adora la cucina italiana.» Spiegò, svoltando
all’entrata del parco, dove Sophie prese a correre verso le altalene. Nick
finse di non notare il luccichio rancoroso negli occhi della ragazza mentre
nominava il padre. «E anche la sua nuova fidanzata.»
«Fidanzata?» Fece Drew, sgranando gli occhi a
mandorla.
«Già, Jacqueline. Un amore di matrigna.» Charlie si
lasciò sfuggire una risata amara. «Bella, se ti piace la plastica. Ha
trasformato papà in un farfallone e il suo appartamento nella casa di Barbie.
E’ tutta saltelli e risatine e “Oh, tesoro, dì a tua figlia di darsi una
sistemata, è così sciatta”»
«Bleah. Dille di andare a farsi fottere.» Sbottò il
rosso.
Charlie sospirò. «Vorrei, ma è molto più complicata
di quanto credi. Ho bisogno di papà per i suoi contatti dell’università. Non potrei
entrare altrimenti in un posto come Cambridge.»
«Stronzate! Hai una media altissima e ti
prenderebbero anche senza nessuna stupida raccomandazione. Gli spaccheresti il
culo, ai test.»
Nicholas si domandò come sarebbe stato frequentare
un college; poi, preoccupato che l’idea potesse piacergli più del dovuto,
decise di non pensarci.
Charlie si sedette sull’altalena accanto a Sophie, che
chiese a Drew di spingerla, e forte, perché Mr. Carrot voleva volare. Fissò qualche minuto i suoi
stivali, in silenzio, dondolando lentamente. Poi si rivolse a Nick e gli
sorrise.
«E tu parli poco, eh?» Il ragazzo sobbalzò e
riemerse dalla sua sciarpa di cachemire. «Andrew sarà pure ignorante e
piuttosto retrogrado in fatto di musica, ma io ho sentito parlare di te. Penso
che tu abbia del talento.»
Nick arrossì lievemente, come se avesse ricevuto per
la prima volta un complimento del genere. «Grazie.» Borbottò, imbarazzato dalla
spontaneità di quella ragazzina che, in fondo, già iniziava a stimare.
Forse, pensò, il suo stato d’animo era dovuto alla veste in cui aveva vissuto quei mesi
passati a Londra.Non poteva negarlo a sé stesso: si era sentito molto più
Nicholas – il ragazzino del New Jersey che era stato prima della celebrità e di tutto il resto- che ‘Nick Jonas’. Un po’, constatò, gli
mancava quella vita; le sale di registrazione, le interviste, le live chat, i
fan. Eppure ... eppure quel calore che sentiva dentro ogni volta che si trovava
lì, con quelle persone –normalissimi ragazzi della sua età, con vite banali e
incasinate, il coinvolgimento emotivo rispetto alle loro vicende, le cose che
nonostante tutto continuava a imparare: Al solo pensiero di abbandonare tutto
ciò gli mancava il fiato.
Alzò lo sguardo e si accorse di essere rimasto solo assieme
a Sophie, che lo fissava con una certa curiosità. «Quanti pensieri, signor
Nick. Sembra che ti escono dalle orecchie.» Piegò la testa da un lato. Nick
intravide, dietro di lei, Drew e Charlie che si allontanavano lungo un
vialetto, mano nella mano.
Nicholas rise di cuore. «E’ vero, piccola. Dovrei
darmi una calmata.»
Sophie si azzittì per qualche secondo. «Nick, signore» Disse poi, stringendo le catene
dell’altalena tra le manine pallide. «Posso farti una domanda?»
Lui si avvicinò. «Certo, dimmi.»
«Che cos’è il diavolo?»
Nick rimase interdetto per qualche attimo. Poco dopo
si sedette nel posto che Charlie aveva lasciato vuoto. « Diciamo … un signore molto
cattivo. Uno che vuole che noi facciamo cose sbagliate.»
«Ed è brutto?»
Nick sorrise.« Molto brutto, sì. Con le corna e
tutto il resto.»
«E sta laggiù.» Concluse Sophie, puntando il dito
verso terra.
«Esatto.»
«E Dio?»
«E Dio ...» Nick posò la testa contro il metallo
freddo della giostra. «Dio è il padre di tutti noi. E’ misericordioso, che significa che ci vuole bene e ci perdona ogni
volta che glielo chiediamo, anche quando facciamo cose brutte che lo fanno
piangere.»
Sophie spalancò la bocca, incredula. « Dio piange?»
«Forse.»
«Una volta Keith mi ha detto che le gocce di pioggia
sono le lacrime degli angeli, ma Drew si è arrabbiato perché secondo lui non è
vero.»
«E tu a chi credi?»
La bambina rimase zitta. «Signor Nick, esistono gli
angeli?»
«Certo che esistono. Sono belli e molto maestosi,
sai. E hanno delle ali grandissime, ci stanno sempre vicino. C’è chi dice che ce
n’è uno per ogni persona sulla terra.»
Sophie s’illuminò. «Ho capito!» Urlò, gioiosa. «Forse
tu sei l’angelo mio e di Drew!»
Nicholas esitò. «Cosa?»
«Sì, tu!» Spiegò Sophie con impazienza. «Sei bello, mastoso e ci stai
vicino. Sei tu, signor Nick, sì! Ma forse … »
Abbassò incredibilmente il tono di voce, tanto che Nicholas dovette
sforzarsi per sentirla. «Forse non lo puoi dire? Forse è un segreto?»
Nick incontrò gli occhioni azzurri pieni di
aspettativa e si convinse di non poterla deludere. Avvicinò, ammiccando, l’indice
al naso. «Forse.»
«Non preoccuparti, prometto di mantenere il segreto.»
Saltò giù dall’altalena e l’abbracciò –o meglio gli circondò con le braccia le gambe,
rischiando di farlo cadere. « Nessuno lo scoprirà. Ma tu un giorno mi mostrerai
le ali, vero?»
Da quando aveva rivisto Charlotte, la notte di
Natale, Drew non era riuscito più a essere lo stesso, in sua presenza. Non
perché non l’avesse ancora perdonata o non le volesse bene, anzi. Ma Charlie
era così diversa da quando era
partita: le sue labbra erano più rosse e carnose di come se le ricordasse, i
capelli più lunghi e soffici e, sempre più spesso, evitava di mettersi gli
occhiali. Andrew non riusciva a impedirsi di pensare che fosse piuttosto
carina.
No, in verità, Drew pensava che la sua migliore
amica fosse bella, il profumo della sua pelle estremamente invitante e tutti
quei difetti di cui lei spesso si lamentava, anche quelli gli pareva
contribuissero a renderla più attraente.
Tenere le dita allacciate alle sue gli dava
sicurezza: s’illudeva che non potesse più sfuggirgli, che sarebbe rimasta con
lui a Londra per sempre, che la sua presenza l’avrebbe aiutato ad andare
avanti. Il suo cuore accelerava ogni volta che lei si faceva troppo vicina; in
quei momenti Drew s’irrigidiva, sperando che l’altra non se ne accorgesse.
Anche Charlie, dal canto suo, si sentiva confusa
dalla presenza dell’altro. Forse erano i suoi capelli, ora più lunghi sulla
fronte e rasati ai lati del capo, o i tratti improvvisamente più maturi, ma non
riusciva a staccare gli occhi da lui. Andrew, in realtà, le era sempre
piaciuto, e adesso che stava crescendo Charlotte sentiva che avrebbe fatto
sempre più fatica a reprimere i suoi sentimenti.
«Piacerebbe anche a me trasferirmi.» Disse il
ragazzo accanto a lei, infrangendo il corso dei suoi pensieri. «Più che altro
per Sophie, sai. Casa mia è invivibile. Mia madre manca da settimane.»
Charlie gli strinse la mano, percependo contro il
palmo i segni di innumerevoli cicatrici. «Oh D, mi dispiace.»
«Già, anche a me. Me ne farò una ragione.»
Rimasero in silenzio per qualche minuto, finché
Charlotte decise che era meglio cercare di distrarlo. «Quel ragazzo … Nick, voglio dire, sembra simpatico. »
«E’ un tipo.»
Charlie alzò un sopracciglio. «”Un tipo” che, fino
ad un mese fa, avresti deriso senza pietà. O forse, fammi pensare, avresti
cercato di fargli un occhio nero?»
«Che ne sai? Tu non c’eri un mese fa.» Drew ci mise
più rabbia di quanto avrebbe voluto.
L’altra
abbassò lo sguardo, punta nel vivo. «Non ricominciare.»
«Scusa.» Soffocò l’impulso di baciarla voltandosi a
osservare il prato innevato. «Bah. Certe volte mi sembra di vivere in Russia.»
*
Sull’insegna c’era scritto ‘Lidia’s’, dal millenovecentocinquantasei. Era un piccolo, antico
negozio di musica incastrato in un angolo nel cuore di Camden Town e, sulla
porta a vetri, il cartello diceva “Cercasi personale”. L’interno era ben
ordinato, fornito di tutto il necessario, dagli oggetti più comuni a quelli più
incredibili da collezione –come dischi di vinile firmati dagli stessi Beatles o
da Elvis – a cui qualsiasi appassionato di musica non avrebbe saputo
rinunciare.
La signora Bennet, Regina, aveva ereditato l’attività
dopo la morte del padre, sei anni prima, e l’aveva sempre gestita con passione
e senza difficoltà. Regina amava il suo lavoro e quando qualcuno le chiedeva
come facesse a mantenere sempre un aspetto così giovanile, lei scherzava
attribuendo il merito della sua bellezza senza tempo alle proprietà magiche del
banjo e dei Rolling Stones.
Nessuna delle sue figlie, invece, dimostrava per la
musica un interesse grande quanto il suo: Athena aveva abbandonato da un po’ le
lezioni di viola e Hera non aveva mai voluto nemmeno avvicinarsi ad una scuola
di musica. Demeter –la minore- era l’unica che tenesse ancora alle sue chitarre
ma, quando suonava, lo faceva in privato.
Era forse per questo che quella mattina, quando le
aveva convinte a sostituirla in negozio fino ad ora di pranzo (c’era l’asta di
alcuni articoli davvero interessanti non troppo lontano da lì) avevano fatto
tante storie. Specialmente la maggiore.
Hera aveva sempre avuto un atteggiamento alquanto ribelle
e sprezzante. Regina e suo marito avevano creduto in un primo momento che si
trattasse di una fase, qualcosa che avesse a che fare con l’adolescenza, ma
oramai la ragazzina che faceva tatuaggi di nascosto da suo padre aveva lasciato
il posto ad una meravigliosa giovane donna di ventitré anni e il suo modo di
fare non era cambiato.
In quel momento se ne stava accovacciata su una
sedia di fronte al bancone, i capelli corvini stretti in una coda alta e
addosso abiti sportivi che non stonavano con la sua estrema sensualità. Si
limava le unghie con le sopracciglia aggrottate, contrariata perché le sorelle
non l’avevano lasciata andare in palestra. Il borsone stava buttato lì ai suoi
piedi.
«E allora, il tizio carino che ti ha accompagnato a
casa l’altro giorno?» Domandò con nonchalance alla sorella più piccola.
Demi alzò gli occhi dal quaderno su cui stava
appuntando una bozza di relazione. «Chi, Jason? E’ solo un mio compagno di
classe, tutto qui.»
«Beh, i miei compagni di classe –e specialmente
quelli carini- non mi accompagnavano a casa, ai miei tempi.»
La minore alzò un sopracciglio. «Sì, ti pedinavano
direttamente.» Il suo viso s’illuminò di un sorriso dolce, spontaneo. « E
comunque ora come ora non mi interessa.»
«Appunto!» Sbottò Athena, arrampicata su di uno
scaletto a pulire una vetrina. «Sta crescendo bene, non vedo perché traviarla con le tue manie sugli uomini.»
«Sei tu l’anormale, tra noi!» Fece Hera, agitando in
aria la lima per unghie. «Tutte hanno bisogno di un uomo, Thea.»
«Tutte hanno bisogno di un cane, vorrai dire! Almeno Fido non ti mollerà per un paio di tette
migliori.» Replicò l’altra con un certo astio. «Amore, amore ... la gente ne è
ossessionata. E a cosa serve poi? Assolutamente a niente.*»
«Chi ha mai parlato dell’amore? Io ho detto ‘maschi’.»
Furono interrotte dal tintinnio del campanello sulla
porta che annunciò l’entrata di un nuovo cliente. Si voltarono istintivamente
verso due uomini, uno dei quali risultò ad Athena piuttosto familiare.
«L’ho
trovata! Cazzo non ci credo.» Joe sbirciò attraverso la vetrina con troppo
entusiasmo. «Guarda, guarda Kev!»
«Cosa?»
Chiese Kevin, aspettandosi di vedere una chitarra dall’inestimabile valore o
qualcosa del genere.
«La
ragazza! E’ Lei!» Rispose invece Joe, picchiando il dito contro il vetro. «Non
ci credo, che gran culo!»
Il
maggiore gli posò una mano sulla spalla.«Joe, calma.»
Ma
l’altro non lo stava ascoltando: era troppo preso a sistemarsi il cappello, gli
occhiali ,la giacca … aveva già visto l’avviso sulla porta.
«Andiamo.» Gli ordinò, sicuro di sé.
«Buongiorno.» Disse Joe Jonas, ghignando in
direzione delle tre ragazze. «Sono qui per il posto di assistente.»