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Autore: Ella_Sella_Lella    27/08/2011    2 recensioni
Perchè non possiamo sempre parlare solo dei buoni.
Le cose brutte nella vita accadono, anche quelle belle, ma scommetteteci tutto quello che avete in tasca, che siano spiccioli, gomme da masticare o l’anello di fidanzamento più costoso del mondo, ai mezzosangue capitano sempre e solamente cose brutte. Prima di tutte e bene che spieghi alle vostre menti, di fragili, ingenui e ciechi, sopratutto ciechi, mortali cosa siano i mezzosangue, sono semplicemente una razza di creature, una spanna più alta degli uomini, una spanna più bassa degli dei, sono il frutto dell’amore proibito tra questi, dei e umani, simili in vizi e pregi, diversi in potere. I mezzosangue sono gli eroi della mitologia Greca, o Romana o Tuscia, alla fine qualunque religione politeista arcaica studierai, comprenderai che esistevano questi fantomatici Eroi, a cui i fumettisti si sono ispirati per descrivere quei divertenti machoman in calza maglia, fico no?
Buona Lettura
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Luke Castellan, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Secondo capitolo di questa storia senza ne capo ne coda. Vorrei ringraziare piccola lettrice ed Aly Chan. Grazie mille. Allora ci tengo a precisare che questo capitolo è davvero orribile, perché era un capitolo Scomodo. Insomma come Mary ha scelto da che lato schierarsi. Quindi fa schifo e me ne rendo conto. Non giudicatemi male.

Buona lettura

EsL







La storia mai detta di Mary Uknow




Facile come vendere del ghiaccio ad un eschimese



Tempo prima.


“Buon giorno Candito!” esordì mio padre, entrando in cucina, con la valigetta dell’ufficio sotto la spalla, dei fiori in mano e la cravatta slacciata, “Buon giorno anche a te palla da boowling” esclamai io, mentre mi riconcentravo sulla mia colazione, che consisteva in qualcosa di ancora poco identificato, mio padre faceva schifo ai fornelli ed io non ero davvero meglio. “Che hai fatto ieri notte?” mi domandò, sedendosi di fronte a me, sul vecchio tavolo scricchiolante che non ci decidevamo a voler cambiare, sorrisi, ecco papà che come ogni sabato mattina cercava di impersonarsi Sherlock Holmes del mio venerdì sera, “I genitori di Fred l’hanno lasciato a casa da solo, quindi siamo andate io, Melina, Juan, Lea e Steve, assieme ad un’altra quindicina di persone” risposi, con sincerità, io e mio padre non ci mentivamo, mai. “Non hai bevuto?” chiese allarmato, “No, non ho bevuto” risposi, riconcentrandomi sulla colazione, poi lo guardai, “Tu?” chiesi parlando di cosa avesse fatto lui quel venerdì sera, “Mi sono presa un aperitivo” rispose con nonchalance, “Con Erik e Ben?” chiesi io, quelli che da sempre erano i colleghi ed amici di mio padre, credo fossero andati a scuola assieme dall’asilo, “No” rispose lui, abbassai la forchetta, “E allora?” domandai con una punta di gelosia, “È una collega. Si chiama Cintya” rispose lui, “Papà non è mica quella che ha le unghia laccate con i brillantini e che per truccarsi si mette tanto di quello stucco in faccia?” chiesi io nauseata, le poche volte che ero andata nell’ufficio di papà avevo visto quella donna, mangiarselo con gli occhi, “Mary, è una donna gentilissima” la difese mio padre, “È volgarissima” finì io, riferendomi agli orecchini da zingara, i vestitini aderenti e scollati, che mettevano in mostra il nauseante reggiseno push-up. “Da quando sei così irrispettosa?” chiese mio padre, “Da sempre” risposi io ridacchiando, prima di ritrovarmi gli occhi nocciola seriosi di mio padre puntati su di me. “Sta per cominciare una di quelle imbarazzatissime conversazioni padre-figlia?” chiesi, guardandola preoccupata, posando le posate, mio padre annui tutt’altro che comprensivo, poi cominciò: “Mary, di recente tu e Steve avete una certa intimità …” si era bloccato, “Non abbiamo fatto niente” risposi io aggiungendo, un più o meno, nelle mia mente. “Lo so, lo sai come la penso” disse lui, avevamo fatto davvero tante volte quella conversazione, che ormai non mi imbarazzavo più, “Mai nella vita, neanche dopo sposata” gli dissi scherzosa, mio padre sorrise bonariamente, poi proferì: “Cosa ti fa pensare che io ti lascerei sposarti?”, non gli risposi. “Cosa fai oggi?” mi chiese, mentre gli facevo il nodo della cravatta, “Vado da Lea a copiarmi il tema di letteratura” risposi tranquillamente, per colpa della mia dislessia da Greco Antico, così la chiamavo almeno io, mio padre sorrisi, “Ti passa a prendere Melina?” mi chiese, “No, vado da sola” risposi. Sapevo che non gli faceva piacere, non perché non volesse che tornassi ai tempi della mia asocialità, costrettami dall’essere diversa, ma perché aveva paura che qualche mostro mi potesse attaccare ed io gli avevo detto sempre detto che i mostri non si facevano problemi ad attaccare anche se c’era qualche umano, anzi per me si complicava perché non solo dovevo proteggere lui e me stessa e non ero un granché, visto che grazie all’unico intervento concreto di mia madre nella mia vita non ero mai andata al campo mezzosangue, il luogo dove si addestravano i piccoli semidei. “Vuoi che io ti dia un passaggio Candito?” mi domandò dolcemente papà, “Tranquillo palla da Boowling” risposi, schioccandoli un bacio sulla fronte, prima di vederlo andare via per lavoro, per l’ultima volta. Se l’avessi saputo, credo gli avrei detto che gli volevo bene, ma penso di certo che lui lo sapesse.


Oltre a dirgli che gli volevo bene, penso che avrei preso un passaggio, perché be, il non averlo fatto mi ha portato al posto dove sono ora, l’Averno, ma questo è l’unico motivo perché cambierei le cose, perché sono morta, ma di tutto il resto non cambierei mai niente, rifarei tutto decisamente d’accapo, tranne morire ovviamente. Però come ho già detto mi fa onore morire sapendo di essere morta per qualcosa, anche se c’è da dire che nell’ideale non c’ho troppo creduto, però sono morta per qualcuno di importante, perché qualcuno che contasse con me, fosse felice. Ho lasciato che la mia vita scorresse vuota tranne in quegli ultimi mesi, non ho mai vissuto per niente, ho lasciato che tutto andasse per il suo corso ed io ero solo in mezzo alla corrente, ma il giorno in cui incontrai lo sfregiato servo di Crono, da allora che la mia vita è cominciata e non importa se ero vissuta come e quanto una farfalla, tutta la vita come bruco, poi ero stata una crisalide ed alla fine ero schiusa, nata di nuovo e librata in alto fino a che la morte non mi aveva colto.


Dunque, quello stesso giorno, con indosso la felpa, visto che era ormai entrato l’inverno, con la borsa a tracolla, camminavo lungo le strade di Roma annoiata e per niente interessata a copiare il saggio di un libro ambiguo di un certo Kafka, avevo anche i pattini di RollerDerby nella borsa, perché avrei avuto uno dei soliti allenamenti massacranti che mi avrebbero fatto rimpiangere che tra tutti i benedetti sport del mondo avessi scelto proprio quello, ma insomma coordinava forza, velocità e resistenza, che come semidea avevo di fatti ero una spanna più brava di tutte le altre. Mi diressi a casa di Lea, ma non ci arrivai mai. Fui braccata da due gemelli, non gli avevo visti e dire che erano enormi, sembravano più orsi che uomini. Mi avevano afferrato di forza e trascinato in un piccolo vicolo, dove ero stata con una certa violenza buttata contro un muro. “Che volete?” urlai, ritrovandomi spalle alla parete con quei due che mi guardavano famelici, quasi volessero mangiarmi, tremavo veramente spaventata. “È lei la mezzosangue che voleva Luke?” chiese l’uno all’altro, che mi scrutò, poi decretò che si, ero io la fantomatica ragazza che cercava Luke, chiunque esso fosse. Avete mai pensato nella vostra vita di star per morire? Che quello che state vedendo sarà l’ultima cosa che vedrete? Che quello che sentite sarà l’ultima cosa che ascoltate sarà l’ultima cosa che sentirete? E così via? Avete mai avuto questa sgradevole sensazione di assoluta convinzione di star per abbandonare il mondo? Io si. Due volte, la seconda è stata quando il mio cuore a veramente smesso di battere, la prima è stata allora. Ero dannatamente certa che sarei morta in quel vicolo, per mano di quei due. “Portiamola da lui!” esclamarono all’unisono, uno dei due mi afferrò per il braccio, intenzionato a trascinarmi da questo Luke, ma io avevo cercato di riprendere il controllo di me stessa, usando l’unica arma a mia disposizione, l’Inganno. Non ho mai frequentato il campo mezzosangue, anzi sono pienamente certa di non averci mai neanche messo piede anche dopo la mia adesione alla causa, dunque non ero in grado di difendermi da sola, a meno che io non creassi l’illusione di un’altra me, era un potere di cui non avevo controllo, solitamente si manifestava quando ero nervosa e spaventata a durava davvero poco o con eccessivo sforzo quando ero calma. Mi divincolai, scappando più veloce che potevo, come quando volevo far tre punti con i pattini a Roller e mi sdoppiai, creando un’altra, sperando davvero tanto che i due gemelli inseguissero lei.


Io non smisi comunque di correre, cosciente che con l’adrenalina a due mila, l’inganno che forgiava gli occhi sarebbe durato davvero poco, ma non la smisi di correre, cercando di trovare il mondo di rendere l’illusione ancora ben visibile, ma dopo metri e metri, si era disfatto tutto e dovevo solo sperare che fossi troppo lontana perché sentissero il mio odore, ma sapevo bene quanto certi esseri fiutassero a distanza gli odori dei mezzosangue, mio padre me l’aveva detto così tante volte, che ormai era un mio automatico pensieri. Mi sfilai la felpa, rimanendo solo con la polo leggera, fui sopraffatta dagli spifferi di freddo, pieno inverno ed io decidevo di denudarmi in mezzo a Roma, meno male che eravamo vicini al Messico ed il clima era meno freddo rispetto a New York o qualunque altra città più a Nord dove non ero mai stata. Legai la felpa ad un palo, sapendo che non l’avrei mai più rivista e scappai nella direzione opposta, spruzzandomi il deodorante che mi ero portata dietro per gli allenamenti di Roller Derby, sperando di confondere il mio odore senza bisogno di dover ricorrere all’Inganno. Mi allontanai quatta, con lo zaino sulla spalla, stavo per voltare l’angolo quando vidi a pochi metri un’orrida bestia, una ragazza mezzo serpente, con i capelli che ricordavano quelli di Medusa, credo non è che io abbia mai visto in volto Medusa, me la ricordava dai film che avevo visto. “Echidna? Dracenae? O che?” mi chiesi, prima di rendermi conto, ero un po’ tonta e lenta a volte, che era meglio scappare prima che la bestia si accorgesse di me, così mi diedi di nuovo alla fuga.


Bestemmiavo, neanche sapevo io in che lingua contro gli Dei. Ate, mia madre, disprezzava gli umani, l’avevo capito, disprezzava mio padre ed anche me, se bene con me si fosse sforzata di non trarmi in inganno, sempre se non l’avesse fatto e non me ne fossi accorta, ero brava a capire gli intrighi, ma lei era più brava di me, ne era la dea, ma nonostante tutto c’era stata, gli altri Dei non si erano mai preoccupati di noi mortali, eravamo solo i loro burattini. Gli odiavo gli dei tutti, mi sforzavo di non odiare Ate, ma sapere che lo fosse, lo rendeva difficile. Ero ben cosciente che Ate come noi terricoli spesso anche lei era vittima di quella tirannia divina. Mi fermai solo quando i piedi mi facevano troppo male per correre ed alzai i miei occhi al cielo, era nuvoloso, evidentemente qualcosa doveva aver irritato Zeus, come ogni dannata volta. “È colpa vostra!” urlai, rivolta al cielo, neanche sapevo di cosa gli stavo accusando, forse dei mostri, forse di tutto il resto, ma non riuscivo a trattenermi, mi stava salendo una rabbia che non riuscivo a controllare. “Si, Mary, è solo colpa loro” mi disse qualcuno, abbassai lo sguardo spaventata per ritrovarmi davanti un ragazzo, o forse un elfo troppo cresciuto, era meraviglioso, credetemi sulla parola, vestito elegante da sembrare un fotomodello, con i capelli biondi come il grano e gli occhi azzurri come il cielo, sorrideva bonariamente ed aveva sul volto una cicatrice biancastra che lo deturpava, ma era bello lo stesso. “Chi sei? Come sai il mio nome?” chiesi, facendo qualche passo indietro, perché ero la semidea con i riflessi più scarsi a questo modo? Perché Ade mia madre non aveva voluto che andassi a quello stupido campo per idioti semidivini(o così li chiamava lei)? “Sono solo un amico Mary, che viene qui a tenderti una mano” rispose lui, malizioso, rimasi a guardarlo, totalmente immobile, chiedendomi se dovessi darmi alla fuga o meno. Alla fine, veramente da brava stupida quale ero, domandai: “Non ti dispiace amico, se evito di fidarmi?” tono rigorosamente ironica, si era il mio stile, beffarda anche in punto di morte, l’ho sempre pensato che prima di morire avrei fatto qualche battuta cretina, grazie a Crono sono riuscita a risparmiarmela. Ma non vi dirò ora cosa dissi. Indietreggiai di qualche passo, ma il ragazzo mi sorrise, era amichevole, inspiegabilmente amichevole. “Fa come vuoi …” disse, “Se hai voglia di continuare a farti opprimere dagli dei e mettere in pericolo tutti i tuoi cari, fai liberamente” mi invitò, suadente, quel ragazzo sapeva parlare, aveva charm, sapeva come convincerti. Sapeva come convincere me, almeno.


“Di cosa stai parlando?” chiesi, invece di darmi alla fuga, perché ero davvero stupida, perché non mi rendevo conto di quanto fosse stupido ascoltare quel ragazzo, insomma era un bel ragazzo, ma farneticava di dei e di rovesciargli e non mi ispirava nessun buon presentimento, eppure la parte più inconscia, ed incosciente, di me, mi aveva bloccato lì ad ascoltare quel ragazzo. “Sto parlando Mary, di rovesciare l’olimpo” mi disse accattivante, era così ammagliante che mi chiesi se fosse mia madre, in una delle sue inaspettate forme, o qualche mio fratello di cui non ero a conoscenza. “Tua madre ha detto che tu avresti capito” aggiunse, con sorriso smagliante sul volto, “Chi ha detto cosa?” chiesi leggermente nervosa, cosa aveva detto mia madre a quella specie di fotomodello dalla voce ipnotica? “Tua madre è certa che tu approveresti perfettamente le mie idee, anzi che le sosteresti” aveva detto lui, sposando appena un ciuffo di capelli biondi dal volto; Non sapevo esattamente in quel momento quali fossero le idee del ragazzo, ora posso dirvi che si le approvavo, ma prima di allora, le rare volte che Ate era venuta a me, avevamo fatto il discorso dell’Olimpo tante volte, lei non amava gli olimpi, non era un mistero, aveva fatto un favore ad Era che era la sua regina e Zeus non contendo aveva deciso di non dire niente alla moglie, ma aveva buttato mia madre giù dall’olimpo, afferrandole le trecce. Mia madre odiava l’olimpo per questo, non aveva voluto che andassi al campo mezzosangue perché non fraternizzarsi con loro, penso che Ate avesse da sempre deciso che la mia parte nella guerra fosse quella di quello strano ragazzo, che sembrava un elfo.


“Si vede che non sei informato sul fatto che io odi mia madre” sibilai solamente alla fine, anche se non era del tutto vero, ero più intenzionata ad andare via che a far altro, “Se tua madre si è comportata così è colpa degli Dei, e tu lo sai bene. Li odi Mary, si legge nei tuoi occhi ” disse e sembrava davvero carico d’odio, quando aveva detto la prima frase, credo di non aver mai visto nessuno tanto infuriato. “Parla …” esclamai, sufficientemente spaventata, in quel momento mi stava facendo paura e per la prima volta la mia paura non mi stava aiutando a creare l’illusione che mi avrebbe messo in salvo, “Ma hai la mia attenzione per poco tempo” aggiunsi, cercando di riprendere freddezza. Giusto per poter creare un inganno in grado di trarmi in salvo. “Voglio riportare alla gloria Crono, rovesciare l’Olimpo e creare una nuova età dell’oro” mi disse secco il biondo, lo guardai un attimo, cercando nelle mie poche e remote conoscenze di mitologia chi fosse Crono, sembrava non voler saltare fuori, ma poi mi ero ricordata di lui perché come Urano, mi avevano disgustato parecchio entrambi.“Quello non è il tizio che si è mangiato i figli? Ed è stato spodestato dal più piccolo, Zeus?” domandai, il biondo elfico annui, “Perché pensi sarà migliore degli Dei?” domandai onesta, “Quando è risaputo che i Titani non sono stati affatto migliori” aggiunsi, portando le mani sulla vita. Stavo riprendendo freddezza e coscienza, ancora pochi minuti e avrei ingannato quel ragazzo e mi sarei messa in salvo. “Perché ci sarò io al suo fianco” rispose solamente il biondo, convinto di se stesso, certo della veridicità delle sue parole. Rimasi in silenzio, mentre il ragazzo continuò a parlare, a lungo. Il nervosismo e la paura mi aiutavano a creare gli Inganni, ma non quando lo ero troppo, ma in quel momento ero calma, e si mi sarei dovuta sforzare parecchio, ma sarei riuscita a creare un ottima illusione, ma la questione era diversa, io non volevo. Ero rimasta stregata dall’arguzia dell’Elfo. Era bravo, era eloquente ed intelligente, avrebbe venduto ghiaccio ad un eschimese, e non sto esagerando, mentre io lo guardavo sempre più ammagliata, forse mi allettava l’idea di potermi finalmente esprimere in tutte le mie capacità, senza limiti, evitare che a mio padre capitassero cose brutte, come essere attaccato da mostri ed essere presente, e partecipe, alla nascita di un nuovo mondo. Per questo parlai, senza riflettere, “Ci sto” bisbigliai e da allora fu l’inizio della mia vera vita.
   
 
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