Buongiorno!
Eccomi di nuovo qui con un nuovissimo capitolo^^
Spero che vi possa piacere….
Grazie infinite a tutti coloro che hanno letto e commentato….in particolare a Chria ( la solita esagerata -____-)
Per tiger eyes: ti ringrazio
davvero molto per i tuoi commenti sempre gentili ed utili….spero solo che le…emhhh…uscite di Chria non ti abbiano offeso….conto di poter leggere anche questa volta un tuo
commento.
In caso contrario, va beh, non fa niente^^
Ciao!
La sala del
banchetto era gremita di ospiti.
L’odore
squisito del cibo proveniente dalle cucine faceva brontolare lo stomaco di inservienti e camerieri mentre le note della dolce
melodia di un flauto sembravano vibrare leggere fra le splendenti sale del
bianco castello di Zaccar.
Un mezzo
demone percorreva imbronciato una vertiginosa scala a chiocciola.
I suoi passi
leggeri parevano vibrare nel silenzio intorno a lui.
Completamente
costituita dalla madreperla più pregiata che mai artigiano avesse
avuto la fortuna di lavorare, quella scalinata sembrava un niveo
serpente dai riflessi arcobaleno attorcigliato alla struttura centrale della
torre che, per la sua imponenza e posizione, costituiva il corpo centrale del
palazzo di Zaccar.
Le finestre
erano le sue spire, e le immense sale che davano su queste la sua magnifica
struttura.
Il mezzo
demone non sapeva chi avesse progettato quella costruzione, ma di sicuro
avrebbe dovuto trattarsi di un genio con un senso
dell’ego altamente sviluppato: la torre era così alta e slanciata da parere lo
stelo di un immenso fiore donato dalla terra stessa agli dei immortali la cui
smisurata corolla, invisibile allo sguardo, dava l’idea di ergersi al di sopra
delle nubi, oltre la volta celeste.
C’era da chiedersi come facesse a rimanere in piedi senza crollare al
primo alito di vento…
L’intenso
odore di fiori che costantemente impregnava ogni angolo di quella torre,
mischiato all’intenso sentore di cibi e bevande, ai raffinati profumi di dame e
a quelli un po’ più grezzi delle cameriere, investì il
finissimo olfatto del mezzo demone riuscendo, con la sua dolce intensità, a
stordirlo per qualche istante.
Si portò una
mano al volto, come a difendere i suoi sensi, forse un po’ troppo
sviluppati per quell’accozzaglia di fragranze,da quella odorosa aggressione.
Morbide
ombre color ambra, ultimi raggi di un sole ormai
morente nel cielo, filtravano silenziose dalle sottili pareti di madreperla,
proiettando le loro sfuggenti sagome celesti sui perlacei pavimenti delle
sterminate sale, sui gradini di quelle scale che, figlie minori della gradinata
centrale, si arrampicavano su questo o quell’altro piano, si snodavano attorno
ad una colonna portante o costeggiavano un arco riccamente inciso.
Pareva di
trovarsi in un mondo a parte, un mondo sospeso al di la del tempo e dello
spazio, i cui soli rumori sembravano essere il dolce stormire del vento
attraverso le ampie volte, specchi di una realtà
relegata oltre la loro eterna sorveglianza, e il morbido fruscio delle vesti
del mezzo demone.
Un’imprecazione
rimbombò per le vaste sale, infrangendo la sonnolenta atmosfera crepuscolare.
Dannati
fiori.
E dannati
quelli a cui piacevano e che, per coronare il loro folle e rivoltante gusto
dell’orrido, avevano deciso di trasformare un’opera di ingegneria
e di architettura senza precedenti come lo era il palazzo di Zaccar in una
sottospecie di foresta a più piani.
Le sue dita ora strettamente premute sul naso demoniaco
rafforzarono la loro spasmodica presa, quasi temessero che il dolce olezzo
potesse entrare in contatto con l’olfatto anche solo per osmosi.
Schioccò
stizzito la lingua sul palato.
Per ordine
degli antichi sovrani del passato, l’intera struttura era stata quasi
completamente tappezzata di giardini artificiali, contenenti le più
incredibili, meravigliose e, dulcis in fundo, rare specie di piante mai esistite sulla faccia di Yarda, rendendo, a parere di tutti,
quello splendido edificio, una delle più famose e ineguagliabili
meraviglie mai esistite sulla faccia della terra.
Un’opera
senza tempo.
A Inuyasha
sembrava solo un inutile spreco di spazio.
Al posto che
usare tutte quelle immense sale per addobbarle di inutili
piante che, prima o poi, sarebbero miseramente appassite, quei geni del passato
avrebbero potuto costruire biblioteche, osservatori, laboratori di astronomia e
alchimia ora come ora relegati ad una misera quanto esigua parte della torre…
E invece no.
Fiori.
Fiori.
E ancora
fiori.
Inuyasha
sbuffò: odiava quella torre.
La odiava
con tutto e stesso, e il fatto di essere costretto ad
abitarvi, gliela faceva odiare ancora di più.
Già.
Costretto,
perché, a parer del generale supremo, nonché padre di
Sesshoumaru e Inuyasha, quale esaltazione maggiore della vittoria sulle terre
libere se non l’abitare nella città in assoluto più potente e prestigiosa, loro
stesso simbolo?
Nessuna,
appunto.
Peccato che
il semplice chiedere se i due adorati figli in questione desiderassero o meno risiedervi non era stato nemmeno preso in
considerazione…
E ora si trovavano lì.
In quella
città e soprattutto in quella torre che, a suo parere, avrebbe potuto essere
definita con un solo aggettivo: troppo.
Troppo lucente, troppo splendida…troppo luminosa.
Troppo.
Lui amava la notte, l’oscurità, il cupo mondo delle grotte e degli
antri…
Non gli
fronzoli, i dolci effluvi, le pianticelle appena sbocciate….
Lui era una
creatura delle tenebre, Dannazione!
Un demone!
Sbuffò di
nuovo.
Ma
ultimamente sembrava essere l’unico a considerarsi come tale.
Sesshoumaru,
infatti, a discapito della sua fama, si era adattato
perfettamente quanto inaspettatamente a quel nuovo palazzo: passava le ore a
passeggiare per le vaste sale, percorrendo senza fretta alcuna la nivea
scalinata in lungo e in largo.
La sola idea
di imitarlo, fece rabbrividire Inuyasha.
Lui nella
torre non entrava mai.
Benché fosse aperta solo alla famiglia reale e ai suoi custodi, non
ci metteva mai piede.
Mai.
A parte che
di notte.
Di notte,
quando gli ultimi bagliori del sole morente
proiettavano nelle sterminate sale una tenue luce rossastra che man mano si
affievoliva tendendo sempre di più al viola, all’indaco ed infine al nero.
Il nero
delle tenebre.
Il nero del
silenzio e della solitudine.
Era allora
che la torre diveniva veramente il luogo di meraviglie e magie di cui tutti
parlavano.
Ed era solo
allora che Inuyasha vi metteva piede, quando ormai le
stanze erano avvolte nel vellutato abbraccio del silenzio, quando ormai la dea
della notte vagava leggera per il castello, i suoi vaghi passi accompagnati dal
quieto sospirare dei dormienti.
Saliva come
un’ombra fino all’ultimo piano e, stendendosi sull’ampio tetto, osservava il
mondo avvolto nell’oscurità, coperto da un pesante mantello nero che lasciava
intravedere solo qualche debole bagliore di lanterna o falò.
Osservava
tutto ciò che un giorno sarebbe stato suo.
E tutto ciò
che non avrebbe mai potuto avere.
Era un
pensiero strano il suo, visto che praticamente aveva
tutto.
Veniva lassù
appena l’infinità di impegni che ogni giorno lo
assillavano gli concedevano una tregua e solo, poiché nessuno oltre lui vi
saliva.
Troppo
rischioso, dicevano.
Lui ci
andava proprio per quello.
Perché
sapeva che nessuno l’avrebbe mai seguito.
Era passato
un anno da che lui e suo fratello Sesshoumaru avevano
conquistato Zaccar, la potente città delle meraviglie,come la chiamavano ora i
soldati, ma ancora quest’ultima creava loro problemi.
I lavori di
ricostruzione degli edifici che durante la battaglia erano stati rasi al solo non erano ancora terminati, il subentrare di un nuovo
regime di governo stava creando non poche difficoltà e, cosa più grave, i
cittadini, scontenti della loro nuova condizione(subordinata ai demoni
invasori),davano vita a continue e snervanti rivolte che per la maggioranza dei
casi si concludevano in inutili carneficine.
Gruppi di
rivoltosi si nascondevano in ogni casa pronti ad insorgere contro il loro
operato come se, nel loro governare, non avessero
fatto altro che infierire contro di loro, poveri esseri umani sconfitti.
Finalmente
Inuyasha raggiunse l’ampio salone della festa.
Preziose
sete e tendaggi pendevano sfarzosi dal soffitto mentre
ovunque tavoli riccamente forniti delle più ghiotte leccornie offrivano agli
ospiti ogni genere di prelibatezze che il loro delicato stomaco avesse potuto
contenere.
Demoni di ogni genere e specie affollavano l’ampio salone che
riecheggiava ora di un costante brusio misto alla dolce musica dell’orchestra.
Sbuffò.
Se c’era una
cosa che odiava erano le feste e i balli in maschera,
ed in quella sala, per sua sfortuna, si concentravano entrambe le cose: Ricconi
pieni di soldi che si divertivano a coprirsi di ridicolo indossando costumi
degni del più fantasioso buffone di corte e ballando come degli idioti su una
pista da ballo.
Per non
parlare degli abiti che esibivano con tanto orgoglio:stupide
esaltazioni della loro ricchezza che la dicevano ben lunga sulla loro
intelligenza.
Lui
indossava cupi abiti di un anonimo colore nero
nascosti da una ampio mantello dello stesso colore, i lunghi capelli argentati
portati sciolti lungo la schiena.
Sul viso,
come imponeva la regola, una preziosa maschera bianca
raffigurante il muso di un lupo con due preziosi rubini ai lati degli occhi e
raffinate incisioni disegnate con l’oro e con l’inchiostro sulle orecchie,
nascondeva il suo volto ora piegato in una smorfia tesa.
La luce soffusa delle candele rischiarava la sala diffondendo
nell’aria un leggero profumo di cera fuso armoniosamente al delicato aroma di
fiori e di rugiada portata dalla notte.
Dalle ampie volte che davano verso l’esterno della torre filtrava la pallida luce della
luna che, curiosa, sembrava scrutare le
strane creature che affollavano quel salone.
Creature
che, pensò Inuyasha, avevano molto del…caramelloso.
Sospirò
mentre, silenzioso, iniziava a farsi strada fra la folla simile in tutto e per
tutto ad un unico scintillante mare di perle, zaffiri, diamanti e sete
preziose.
Una
mescolanza di opulenza e ricchezza così ostinatamente
esibiti da stimolare nell’osservatore un senso di nausea.
Perché era
ovvio, evidente, lampante che quelli non erano dei semplici ed innocui
travestimenti.
La
principessa del deserto, che con i suoi veli color
della luna e i suoi trillanti campanellini d’oro intorno alla vita, leggera, si
lasciava trasportare da un imponente cavaliere elfico in un turbinio di
giravolte, non sembrava rammentarsi di essere la moglie di un conte di recente
andato in rovina per la sua avventatezza nelle campagne militari.
E il grasso
domatore di draghi in divisa ufficiale, seduto comodamente su una morbida
poltrona indaco, pareva non rendersi conto che la sua consorte da che erano
iniziate le danze non aveva fatto altro che conversare
con un aitante nano dalla barba rosso acceso,la giovane età malcelata da un
paio di fulvi baffoni.
Quello non
era travestirsi.
Quello era
la voglia di essere, almeno per un ballo, per una notte, per un solo, unico
istante, qualcun altro.
Qualcos’altro.
E fuggire da
se stessi.
Come se il
travestirsi avesse veramente potuto nascondere ciò che in realtà si celava
dietro quegli orletti pregiati e quelle sete finissime.
Il nano sussurrò qualcosa all’orecchio della fata del bosco, e questa,
trillando un risolino divertito gli indicò con un leggero cenno del capo
l’uscita della sala.
E
dimenticare.
Inuyasha
continuò ad avanzare, sfiorando per un istante con lo sguardo le brune
sfumature vermiglie del suo abito, i freddi riflessi lunari che pallidi si insinuavano fra le morbide pieghe del mantello: lui era
l’unico ad indossare il cupo colore della notte.
Almeno era stato onesto, evitando, per decenza, l’acidognolo
verde muffa suggeritogli dal fratello in un eccesso di simpatia.
Nero.
Discreto e
allo stesso tempo singolare: era l’unico ad indossarlo.
In quella
folla, in effetti, staccava come un cadavere in un campo fiorito, pensò,
osservando un goffo demone che, fra una giravolta e l’altra infilava un grasso
dito al di sotto del parrucchino color neve, grattando
con stoica noncuranza la sua sudaticcia cute bianca, nido di pidocchi e pulci.
Finalmente,
nel turbinio di volti sconosciuti, una maschera rappresentante
un ricco commerciante dagli abiti tempestati di pietre preziose gli si
avvicinò silenzioso e, subito dopo, allontanando con una mano artigliata la
maschera dal viso si rivelò essere suo fratello Sesshoumaru.
Una strana
espressione di rimprovero era stampata sul suo volto.
Inuyasha si
tolse la maschera, arrestandosi propri davanti a lui.
“Fratello…”
biascicò Sesshoumaru “ Possibile che il tuo concetto di festa sia ciò che di più ricordi un funerale?”
Il mezzo
demone inarcò un sopracciglio.
“ Dio mio,
stiamo festeggiando l’anniversario della conquista di Zaccar! Non la morte di
nostro padre!” continuò il fratello alzando gli occhi al cielo, in un’enfatica
espressione di disappunto.
Inuyasha si trattenne dall’informarlo che solo in quel caso si sarebbe
vestito dei più sgargianti colori dell’arcobaleno. “Perché diavolo ti sei vestito a
quel modo?Sembri uno spirito dell’oltretomba!”insistette
il fratello.
“Meglio
sembrare uno spirito dell’oltretomba che una meringa vestita a festa”
puntualizzò acido Inuyasha.
Sesshoumaru
scosse la testa sconsolato e fece per rispondere, ma
una sensuale Youkai vestita da fata si intromise fra i due “ Buonasera
Inuyasha!” cinguettò mentre si sfilava dal volto la maschera raffigurante una
farfalla, rivelando così un viso giovane e provocante.
Inuyasha le
sorrise malizioso notando l’abbondante scollatura che lasciava ben poco all’immaginazione del vestito
“ Buonasera
Cordelia” disse chinandosi per baciarle la mano “ quale onore avervi qui…”.
Lei scoppiò
in una risata argentina notando lo sguardo per niente pudico che lui le rivolse
mentre con le labbra le sfiorava la pelle di porcellana.
“Credevo vi
trovaste nei vostri possedimenti nelle terre a sud” continuò Inuyasha senza
staccarle gli occhi di dosso.
Lei sorrise mostrando una fila di denti bianchissimi “ Lo ero…” trillò
con la sua voce sottile e acuta” ma quando mi è giunto l’invito per questa
festa in onore della conquista di Zaccar non ho proprio saputo resistere e…come
vede sono qui”
Il mezzo
spettro le rivolse uno sguardo sornione e, con un
movimento fluido, avvicinò le labbra al suo orecchio appuntito “ Mi piace
quando sei impulsiva…soprattutto in altri frangenti” le sussurrò appena.
La ragazza
divenne improvvisamente rosso fuoco, tossicchiando subito dopo uno sdentato
“non capisco a cosa lei si riferisca…”.
Al mezzo
demone le sue parole ricordarono lo stonato spezzarsi di una
corda di violino.
Le sorrise,
aiutandola a ritrovare quel poco di grazia così miseramente smarrita “ Vuole
concedermi l’onore di questo ballo?” le chiese.
Lei annuì,
gli occhi che brillavano al tenue bagliore delle candele“ Ne sarei entusiasta”
cinguettò, la voce tremante di una sfumatura di
agitazione.
Subito
Inuyasha le circondò con una mano la vita rinforzando
con l’altra la presa del suo palmo nel suo e, seguendo la morbida marea di
gonne a sbuffo e mantelli ricamati, la guidò sicuro al centro della sala da
ballo.
Sentì la
schiena della giovane fremere sotto le sue dita.
I battiti del
suo cuore vibrare nella fragile cassa toracica.
Sorrise
nella penombra.
La lenta
melodia della musica accompagnò i movimenti dei loro corpi ora strettamente
vicini l’uno all’altro.
Ad ogni
giravolta, I serici capelli della donna sfioravano il petto del demone in una
morbida carezza al profumo di narciso.
Inuyasha
sorrise.
Erano così
vicini da far si che i loro respiri si sfiorassero,
che i loro sguardi, incontrandosi, si tingessero l’uno delle sfumature
dell’altro…
Il morbido
braccio di Cordelia circondò in un sensuale abbraccio le spalle del mezzo
demone.
Aveva la
pelle tiepida.
Inuyasha alzò
gli occhi al cielo ora scuro e limpido.
Già si
potevano vedere le prime stelle comparire timide nel firmamento.
Senza
abbassare lo sguardo, Inuyasha strinse con maggior intensità la sottile vita di
Cordelia cercando invano calore attraverso la morbida seta del bustino.
Aveva
freddo…
Respirò il
dolce profumo della ragazza che ora aveva abbandonato la testa sul suo petto,
sospirando all’unisono con i battiti del suo cuore.
Battiti
lenti e tranquilli.
Continuarono
a volteggiare, come petali mossi dal vento per la sala sempre più fiocamente
illuminata.
La musica,
morbido sussurro del vento, volteggiava leggera intorno a loro mentre delicate
come candidi fiocchi di neve le sue note sembravano lasciarsi trascinare e
trascinare a loro volta coloro che, come spighe al vento, si abbandonavano a
quella dolce melodia.
Il pallido
chiarore lunare filtrava attraverso le pareti di madreperla in un brillante e
candido disegno di ombre fluide e sinuose come seta trasportata dal vento.
Inuyasha
sentì la sensuale Cordelia abbandonarsi ancor più contro il suo petto, i suoi
passi incerti che parevano seguire non più la musica ma il solo volere del
mezzo demone.
Un nuovo
sorriso deformò il suo volto invisibile.
Sapeva che
era pazza di lui.
Lo era lei
come lo erano molte altre ragazze che gremivano la
sala ballando con i più svariati compagni ma desiderando segretamente di stare
fra le sue braccia.
Lo vedeva
nei loro sguardi quella muta richiesta, quel tacito desiderio.
Ma questa
volta aveva avuto la meglio Cordelia.
E anche lui
aveva avuto il meglio.
Già…il
meglio…
Guardò
distrattamente la folla: sete danzanti e visi obliati si stringevano l’un
l’altro dimentichi di ciò che li circondava.
Sospesi in
una magica illusione creata dalla musica e dall’oscurità che lentamente si insinuava nella sala affievolendo il fatuo chiarore delle
candele.
Il brusio era cessato, lasciando il posto al fruscio degli abiti, al
volteggiare della musica.
Alla tiepida morbidezza della seta sotto i polpastrelli, della pelle
sulle labbra.
Improvvisamente
due occhi catturarono lo sguardo di Inuyasha.
Il mezzo
demone si bloccò stordito, la magica illusione a cui si
era abbandonato pochi istanti prima svanita per sempre, svegliando così Cordelia dal suo dolce sogno
d’amore.
Scomparsi.
“Perché ti
sei fermato?” gli bisbigliò lei all’orecchio.
Senza sapere
nemmeno che cosa cercare, Inuyasha fece vagare lo sguardo sulla folla.
Poi guardò
Cordelia.
Sorrise.
“scusa” le
disse nell’orecchio stringendo nuovamente a se quel corpo morbido e provocante.
I suoi occhi
però continuarono ad indugiare sulla folla.
Quegli
occhi.
Sapeva di averli già visti da qualche parte.
Quegli
occhi….
Improvvisamente
la sensazione di essere osservato lo fece voltare
verso sinistra e li, nuovamente, li trovò fissi ad osservarlo.
Un secondo dopo erano già spariti.
Si bloccò e
senza nemmeno soffermarsi a pensare su quello che faceva lasciò andare Cordelia
e si immerse nella folla.
Camminando a passo spedito iniziò a vagare senza meta per la sala,
incespicando nei lunghi mantelli e strascichi, continuando a guardarsi intorno con febbrile attenzione.
Niente.
Non riusciva
a trovarli.
Dannazione!
Per poco non
fece cadere a terra una dama vestita da ninfa della pioggia.
Senza
nemmeno scusarsi procedette in avanti scandagliando con lo sguardo ogni
centimetro della sala ed ogni volto degli occupanti.
Quegli
occhi.
Dannazione.
Probabilmente
si sbagliava.
Non poteva
essere….
Improvvisamente
si sentì toccare dolcemente la spalla.
Si voltò con uno scatto stizzito pronto a mandare al diavolo Cordelia
e le sue assidue quanto assillanti pretendenti.
Ma non lo
fece.
Lei era li.
Avvolta in
un lungo vestito nero che lasciava scoperte le fragili spalle dal niveo colore
della porcellana.
Un tessuto
trasparente punteggiato da lacrime di diamante
ricopriva come un velo la nera stoffa dell’abito mentre i lunghi capelli
corvini ricadevano in fluide onde lungo la schiena che Inuyasha immaginò essere
scoperta.
Il viso era coperto da una anonima maschera da gatto.
La ragazza
gli si avvicinò.
Lentamente.
I suoi passi
che, soli, riecheggiavano nell’oscurità della sala ormai silente all’udito del
mezzo demone.
Si fermò
solo quando gli fu così vicino da far si che i loro
corpi si sfiorassero.
Si alzò
sulle punte avvicinando così le sue labbra
all’orecchio canino del mezzo demone.
“Inuyasha…”sussurrò
piano.
Come
rispondendo ad un ordine lui la strinse a se, perdendosi nella morbidezza dei
suoi fianchi.
“ Non mi
piace che le persone che uccido ritornino in vita”disse piano nel suo orecchio.
La sentì
ridere appena.
“ Ma io non
sono morta…”
Poi tutto
accadde in una frazione di secondo.
Improvvisamente
la sala si riempì di grida di terrore e la folla che
un secondo prima seguiva fluida, simile ad una lenta marea, la musica
dell’orchestra sembrò prima immobilizzarsi e poi aggrovigliarsi su se stessa.
In un
istante i preziosi abiti e le suntuose acconciature si sfaldarono, i bianchi
pizzi si stracciarono, le collane di perle vennero
strappate, lasciando che le preziose gocce marine si spargessero sul pavimento
sotto l’urto di spintoni, cazzotti, scontri inconsulti.
Inuyasha
alzò lo sguardo verso il soffitto.
Dalle ampie volte che fungevano da finestre, stavano accucciate centinaia di figure in
nero che immobili scagliavano contro la folla urlante miriadi di frecce che,
seminando il panico fra gli invitati, avevano già iniziato a mietere le prime
vittime.
Riabbassò
stordito lo sguardo sulla donna che con un gesto fluido si tolse la maschera.
Dannazione!
Non era
lei!
Era la
ragazza del boomerang!
Era convinto
di averla uccisa!
Quest’ultima,
con maestria infilò la mano nella veste e ne estrasse
un lungo pugnale che immediatamente puntò contro di lui.
Il mezzo
demone lo fermò stringendo il polso di lei, evitando così che questa potesse
aprirgli uno squarcio nel ventre.
Vide la
rabbia divampare nei suoi occhi.
Sorrise,
anche se, si accorse, c’era veramente poco da ridere.
Spiacente
carina.
Oggi proprio
non aveva tempo per giocare.
Con un
movimento fluido glielo sfilò di mano, preparandosi subito dopo a colpirla.
Qualcuno fu
più veloce di lui.
Qualcosa trafisse la schiena del mezzo demone con così tanta forza da
farlo barcollare.
Dannate
frecce!
Fu un
attimo.
In un
secondo la folla impazzita lo travolse calpestandolo.
Si sentì
schiacciare da una marea infinita di piedi, tacchi e suole che lo fecero urlare
di dolore.
Nessuno lo
sentì.
Non era l’unico.
Lottando
contro la furia del panico rotolò di lato e, trovando
un punto in cui nessun piede lo calpestasse, si alzò in piedi.
Un dolore
lancinante lo fece cadere in ginocchio.
Aveva
qualche costola rotta.
Si portò una
mano ormai segnata dai lividi alla schiena e, trovando la sottile asta di una freccia conficcata proprio all’altezza delle scapole,
ne circondò il flessibile corpo ligneo.
Un grido di
dolore si aggiunse allo sciame di strida terrorizzate.
Si tirò nuovamente in piedi.
Doveva
fermare la pioggia di frecce.
Subito.
Quella era
la festa in onore della conquista di Zaccar, non l’avvento della resistenza
ribelle!