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Autore: Duir    09/05/2006    1 recensioni
...può un uomo costringere un suo simile a fargli da schiavo? Indubbiamente si......ma può un uomo costringere un mutante a fargli da schiavo? Indubbiamente no.....e se si trattasse di una donna? ps. volevo dire che non ho mai letto i fumetti e che mi baso su quanto ho appreso dai due film.....perdonate se ogni tanto faccio di testa mia :P
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Cos’è una tempesta, se non l’estremo tentativo di un angelo per rivelarti il suo dolore per non poterti aiutare a cambiare il mondo? Cosa sono quei lampi scarlatti se non silenti e penetranti spasimi d’un cuore puro, che si sfalda di fronte alla crudeltà umana? E poi il tuono ti porta la rabbia di una voce che vuol gridarti cosa fare, ma le cui parole non sono date a comprendere ad orecchio mortale. Giunge il vento a sigillare in te il terrore di un abbraccio tanto sublime quanto fatale e in quella pioggia ritrovi tutte le lacrime che hai perduto nella tua vita” Ororo alzò lo sguardo dalle pagine scolorite del piccolo libro. L’intensità di quelle parole l’aveva stranamente stordita: la storia narrata possedeva una tale enfasi da lasciarla completamente senza fiato. Improvvisamente la ragazza trasalì: un tuono aveva appena lacerato il silenzio e ancora trovava eco tra le colonne del patio e sotto le grondaie, quando un secondo tuono, ancora più forte scosse i vetri dell’intero edificio, facendole cadere il libro di mano. La ragazza chiuse gli occhi, ricordando per un attimo le ultime righe che aveva letto, quasi intendendo in quei tuoni una misteriosa affinità con le mistiche parole. Prese un profondo respiro, chiudendo gli occhi per far fronte all’inquietudine che si stava impossessando di lei. “…il tuono ti porta la rabbia di una voce che vuol gridarti cosa fare, ma le cui parole non sono date a comprendere ad orecchio mortale”… -Suvvia Ororo è solo un racconto…- pensò cercando di convincersi che fosse solo il frutto del caso. Fuori, gli alberi erano scossi da raffiche gelide e violente e la pioggia di già iniziava a cadere copiosamente dal cielo denso di nubi. “Giunge il vento a sigillare in te il terrore di un abbraccio tanto sublime quanto fatale e in quella pioggia ritrovi tutte le lacrime che hai perduto nella tua vita”. Le terribili parole risuonarono ancora nella sua mente, quasi qualcuno le stesse pronunciando per obbligarla ad ascoltare. Ancora una volta un tuono abbatté la sua rabbia sul mondo, ramificandola in una saetta scarlatta. “Cosa sono quei lampi scarlatti se non silenti e penetranti spasimi d’un cuore puro, che si sfalda di fronte alla crudeltà umana?”. Nuovamente le parole si fecero udire e questa volta fu davvero come se qualcuno gliele avesse sussurrate all’orecchio. Ororo si portò le mani alla fronte, scuotendo la testa, confusa, spaventata, inorridita da quel susseguirsi di tuoni e lampi; ormai le era chiaro che quella tempesta non era il semplice frutto di una perturbazione. Il rintocco del grande orologio a pendolo la costrinse a tornare alla realtà: attorno a lei c’era solo il piccolo salotto, con la massiccia libreria di mogano, la madia ingentilita dal centrino di pizzo leggermente ingiallito, che aveva comprato a Boston qualche anno prima, le due poltrone di elegante velluto rosso. Alla fioca luce della piccola abatjour vide che erano già le nove e mezzo di sera e con inquieto stupore constatò che era rimasta la dentro per almeno due ore. Fu allora che come chiamata da qualcosa decise di lasciare la stanzetta; prendendo lo scialle, dette un ultimo sguardo fuori dell’ampia finestra, dove le fronde degli alti sicomori stormivano scosse dalla pioggia battente. Senza dar retta al brivido che le solleticava la schiena, uscì nell’ampio e scuro corridoio, dirigendosi verso lo studio del professor Xavier. La sala rimase avvolta nel buio di una silenziosa e fredda serata autunnale. A terra, solo un libro giaceva a prova della venuta di qualcuno: nessuno infatti, a parte gli occhi sgranati dei cherubini stilizzati sul bordo della pagina, poteva vedere il demone dalle ali artigliate e dalla coda a lancia combattere con una lucente figura dalle maestose ali piumate. Sotto la figura c’era una scritta in contorti caratteri gotici e solo un occhio attento avrebbe distinto che si trattava di due nomi: “Himsa et Harin” e che la figura angelica possedeva anch’essa una coda forcuta. In un luogo lontano, al di fuori del mortale pensiero, subdoli piani si stavano intessendo di crudele realtà. Dalle caligini più profonde degli inferi, due creature, risvegliatisi grazie alla malvagità ed alla paura umana, scrutavano il mondo intero attraverso la traslucida superficie di uno specchio nero. “È giunta l’ora padre, il momento atteso finalmente è arrivato” “Si, devo convenire con te, figliolo, è giunto il momento. Mettili a tacere, dimostra a quelle mezze creature di cosa siamo capaci…”. Silenzio. Buio. Poi un battito d’ali e un sordo crepitio in lontananza…unica fonte di luce lo scintillio di un paio d’occhi vermigli spalancati nelle tenebre. Più in alto, nell’opaco riverbero dello stretto passaggio, una densa nebbia bianca avvolgeva ogni cosa, si stringeva attorno ad entità e spiriti, nascondendo le inconsistenti membra di Kala. Sempre più velocemente ella slittava nel cunicolo fatto di tempo e di spazio, travolgendo fuochi fatui, presenze che non riuscivano a scansarsi in tempo; ad ogni metro guadagnato sentiva la rabbia crescere, ad ogni minuto trascorso, più tenace si faceva il desiderio di giungere alla meta e più intensa saliva la bruma colma di crudeli energie. Nei suoi occhi diafani brillava la fiamma di vendetta sopita per eterni istanti, il desiderio di scontro giaceva concentrato nel suo cuore trasparente. Ora nulla importava più di quel pensiero di rivalsa su colei che aveva sin dalle origini, forse inconsapevolmente o forse no, mandato a monte i suoi piani. Il passaggio si fece via via più ampio, mentre una luce blu molto più intensa di quella che regnava incontrastata in quel luogo, iniziava a farsi percepire in lontananza. Kala rallentò l’incedere, portandosi in posizione verticale. Il suo corpo ora pareva ancora più inconsistente di quanto non lo fosse mai stato, i capelli avevano perduto il normale color ebano e fluttuavano come tentacoli trasparenti dietro le sue spalle. Improvvisamente, dinanzi a lei si palesò un’enorme arcata, che pareva intagliata in un massiccio blocco di cristallo color ametista. Dentro vi era incastonato uno specchio argenteo, cui riflessi si scioglievano nella cupa luce turchese, attraversando il corpo inconsistente della donna. -Eccoti qui finalmente- sibilò e un malvagio sorriso le storse le sottili labbra. Come se avesse percepito le sue intenzioni, lo specchio le rimandò in un acuto bagliore argenteo la silenziosa preghiera di fermarsi. Impassibile, Kala restituì alla superficie uno sguardo gelido e vuoto, poi alzò lentamente il braccio destro, puntando l’indice alla volta dello specchio. Al procedere di quel gesto la luce divenne sempre più forte, come se qualcosa o qualcuno dall’altra parte volesse contrastarla. La donna portò il braccio teso di fronte e sé, poi, stringendo la mano a pugno, lo ritrasse verso il petto: ci fu uno scoppio, mentre lo specchio andava in frantumi, scoprendo il varco verso la Sfera Lucente. Quando Ororo giunse allo studio, trovò il professor Xavier impegnato in una seria conversazione con Jean. Entrando, provò quasi imbarazzo nel sentirsi il loro sguardo addosso, sebbene sapesse che la sua presenza era attesa e desiderata. Silenziosamente entrò nell’accogliente stanza, accomodandosi ad un cenno della mano di Xavier su una delle poltrone di pelle scura. L’uomo la fissò con un’espressione grave dipinta sul volto e i suoi occhi azzurri divennero ancora più glaciali. Non riuscendo a sostenere il suo sguardo, la ragazza abbassò gli occhi, perdendosi nel fitto mosaico del tappeto persiano. Fuori, incessanti e sempre più vicini i tuoni si facevano sentire, come l’inarrestabile battito di un cuore….o forse erano veramente i battiti dei loro cuori, ansiosi di una qualche risposta. Lo scatto della porta li fece trasalire, sciogliendosi quindi in una debole risata di sollievo alla vista di Scott. –Buona sera- pronunciò quindi il ragazzo ed il tono serio lasciò trasparire le cattive notizie che portava. –Buona serata a te Scott, accomodati- si ripeté il garbato invito. Tutti gli occhi erano puntati ora sul nuovo giunto e sguardi fugaci saettavano dalla sua figura a quella degli altri presenti, in una specie di danza colma di esasperante tensione. Ancora nessun contatto?- sussurrò pacata Ororo, non riuscendo più a trattenersi; da dietro gli occhiali scuri il ragazzo la fissò con apparente calma, poi scosse la testa e un ciuffo di capelli castani andò a posarsi su una delle lenti squadrate. Ororo abbassò lo sguardo, preoccupata, sul punto ormai di cedere alle lacrime che sempre più le stringevano il petto. Dalla poltrona di fronte Jean aggrottò la fronte, portandosi la destra alla tempia, massaggiandola per cancellare i pensieri che percepiva nella sua amica. In quelle situazioni la cosa peggiore era lasciarsi andare alla tristezza, specialmente se già la si percepiva forte e chiara nelle menti degli altri. Preso un sospiro disse infine nel tentativo di tranquillizzare Ororo e forse anche gli altri: -Con tempeste come queste i contatti radio sono molto difficili da stabilire, anche apparecchiature sofisticate come quelle che possediamo non riescono a far fronte alle interferenze-. Ci fu un ennesimo silenzio, poi la ragazza fece per riprendere il discorso, anche se non le serviva la telepatia per capire che quanto stava per dire sarebbe servito a poco. Tuttavia fu Xavier a continuare per lei: -Se abbiamo perduto i contatti radio, ciò non significa che siano morti. Scott ha fatto il possibile e l’impossibile per accedere alla radio di bordo, dunque non possiamo dire di non averci provato e guai a chi pensa….- qui gli occhi si volsero verso Ororo che rimaneva con gli occhi bassi, strofinandosi di tanto in tanto gli occhi con il dorso della mano -…che tutto è perduto. Sicuramente i nostri calcoli erano sbagliati in merito all’arrivo di questo uragano. Un errore non da poco, ma non per ciò irrimediabile-. Le parole dell’uomo si susseguivano lente e pacate, scandite dalla sua voce profonda e presto una lieve sensazione di tranquillità e sicurezza ritornò a pulsare nei loro cuori provati. Xavier continuò, scrutando ognuno di loro con i suoi occhi di ghiaccio: -Ho intenzione di servirmi di Cerebro per localizzare Logan, Bobby e Rogue, dato che le nostre risorse sono oramai esaurite. Tuttavia prima sento la necessità di chiedervi una cosa-. Allora l’ansia del fornire una risposta corretta s’insinuò nelle loro menti, mentre cercavano già le parole più adatte alla risposta. I pensieri volarono dalla mattinata in cui avevano salutato i ragazzi a quando li avevano visti scomparire, carichi di bagagli e provviste tra le nuvole sull’ X- Jet, pilotato dalle abili mani di Logan, al primo pomeriggio in cui, più o meno verso le due, qualcosa di strano era accaduto: nel cielo azzurro e terso si era addensata una grande e spessa nube, in cui pulsavano ad un ritmo serrato e regolare dei bagliori azzurri e rossastri. Poi, solamente qualche ora più tardi, il cielo da azzurro e cristallino era diventato una spessa coltre di nubi nere, screziate di venature violacee. Quindi i primi tuoni, le saette scarlatte, la pioggia scrosciante. A Xavier non servivano risposte: tutto ciò di cui aveva bisogno lo aveva già percepito da questi fugaci e schietti ricordi. –La tempesta!- esclamò improvvisamente Ororo, fissando negli occhi Xavier con lo sguardo eccitato di chi ha appena scoperto qualcosa di terrificante. –È inspiegabilmente forte! Ero nella biblioteca e stavo finendo di leggere un libro, quando sono stata interrotta da quelle saette…- Queste parole generarono negli altri interesse e sconvolgimento, che fu abilmente domato dalla tranquillità perseverante del professore. –Continua Ororo- la incitò l’uomo con un dolce sorriso. Gli occhi di Ororo saettarono dal volto di Jean a quello di Scott, per poi fissare un punto oltre le spalle di Xavier, in direzione dell’ampia finestra; fuori, l’oscurità avvolgeva ogni cosa, facendo delle ombre inquietanti e sinistri giochi di forme affusolate come serpenti. Saette scarlatte si susseguivano, pulsanti di un furore indescrivibile, quasi esso aumentasse ad ogni parola detta. Con lo sguardo fisso nel punto in cui lo aveva lasciato, Ororo riprese a parlare, come ipnotizzata: -….c’era qualcosa, qualcosa d’inspiegabile, di strano nel….in come si manifestavano nel cielo…- e qui il suo sguardo spaventato tornò ai presenti -…quasi avessero un ritmo…e i tuoni…erano così incredibilmente….- -…vivi- concluse Jean. Per un attimo le due ragazze rimasero a fissarsi negli occhi, spaventate e inquiete. Fuori, la tempesta imperversava, dando mostra delle sue energie, scuotendo e piegando le chiome degli alberi, spazzando il suolo con raffiche glaciali, sferzando i vetri con la pioggia. Ci fu un tuono, la cui potenza fece tintinnare le gocce di cristallo del grande lampadario. Le giovani portarono allora nuovamente l’attenzione su Xavier, aspettando la sua decisione finale; L’uomo seguitò ad osservarle come di consueto, calmo e perfettamente consapevole al contempo della gravità della cosa. La sua attenzione si spostò quindi verso Scott, il quale per tutto il tempo non era riuscito a parlare, troppo sconvolto da quanto aveva raccontato Ororo. Sentendosi indirettamente interpellato, ebbe come un sussulto e mascherando la sua totale impreparazione dietro ad una specie di sorriso, aprì la bocca per rispondere. Tuttavia, le parole gli rimasero come bloccate dentro, serrate nel petto, in cui il suo cuore batteva forte per la tensione. Profondamente imbarazzato per non essere stato capace di reagire, tossicchiò nervosamente e poi, preso un respiro, finalmente disse: -….anch’io ho notato molte cose strane e inspiegabili. Prima, mentre mi accingevo a contattare l’ X- Jet via radio, improvvisamente ho percepito un’interferenza del tutto insolita-. Quest’affermazione generò un tale interesse che per un attimo il ragazzo si sentì come inspiegabilmente seccato da tutti quegli occhi. Non gli piaceva che troppe persone lo osservassero nello stesso istante e fu ancor più sorpreso dal fatto che quella era la stessa sensazione che provava spesso quando si recava assieme a Jean tra la gente comune. -…ecco, ho udito qualcosa, Ho pensato si trattasse di un rumore di fondo, succede a volte, ma poi…- Scott riportò una mano al colletto della camicia -…ho chiaramente percepito che si trattava di un grido, ma assolutamente al di fuori di ogni normalità-. Silenzio. Il rumore dei tuoni riempiva il vuoto che si era improvvisamente creato nella stanza. La pioggia batteva stizzosa sui vetri spessi. Sovente il sinistro mugolio del vento s’insinuava in qualche fessura, facendo sollevare le leggere tende di seta. Scott guardò Jean, che ricambiò sbattendo più volte le palpebre, mentre Ororo, sconvolta ancor più si premeva le mani sulla bocca. Infine Xavier concluse –Proverò a mettermi in contatto con loro attraverso Cerebro, mi pare sia l’unico modo al momento-. Tutti annuirono. Lentamente e con religioso silenzio i giovani mutanti lo seguirono verso la porta dello studio. Una volta fuori, il professore dette loro istruzione di non far nulla nel caso in cui egli non fosse riuscito nel suo scopo. Poi, adagio si diresse verso la sala ove era custodita la preziosa macchina. Mentre lo guardavano allontanarsi, Scott, Jean e Ororo non poterono far a meno di pensare a cosa fosse accaduto ai loro amici. –Cosa accadrà adesso?- chiese atona Ororo, mentre la voce si colmava del tremore d’un pianto trattenuto troppo a lungo. Un lungo silenzio le venne in risposta, poi la mano forte e sicura di Scott le si posò sulla spalla, mentre la sinistra andava a cingere i fianchi di Jean. –Non lo so- fu infine la risposta.
  
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