Richiesta
da MiaStonk. Spero ti piaccia!
Rimorsi, rimpianti, risoluzioni e
ritorni [1993-1994]
Sirius allargò le braccia e
lasciò che il vento gli schiaffeggiasse il viso, scoppiando a ridere perché
James aveva cominciato a urlare: «TIENIMI! TIENITI A
ME, STUPIDO CANE!»
Lui fu tentato di lasciarsi
andare del tutto smettendo di stringersi alla moto con
le gambe, giusto per far spaventare l’amico un po’ di più.
«COSA È ANDATO STORTO NELLA TUA
TESTA?» protestò James, mai tranquillo quando era alla guida della moto, ma ora
stava ridendo anche lui e Sirius sollevò le braccia verso il cielo.
«TU NON PUOI FARMI QUESTA DOMANDA, MISTER EVANS!» urlò, sovrastando
il rumore del vento.
La faccia di James gli sorrise, o per meglio dire ghignò, dallo specchietto e
lui si svegliò con il viso davvero schiaffeggiato dal vento: quello che tirava
a Hogwarts.
Oh, Prongs
avrebbe adorato il pensiero di lui che spaventava a
morte gli studenti, facendoli temere che sarebbe sbucato da un angolo buio di
qualche corridoio da un momento all’altro; ironia della sorte l’avevano anche
fatto assieme ai loro tempi, anche senza mettere il mantello perché tutti
avevano persino più paura se sapevano che erano loro due quelli di cui si
dovevano preoccupare quando se ne andavano in giro per la scuola, solo che ora
ovviamente era soltanto lui, e, sempre ovviamente, non era più divertente dato
che quei bambini avevano davvero il terrore di essere ammazzati dal già
pluriomicida Sirius Black, l’uomo che aveva causato
la morte dei Potter e Pettigrew.
Magari
fosse stato vero, magari avesse davvero ucciso quel ratto.
Era lì per rimediare ora,
mangiando quello che il brutto gatto rossiccio gli portava, specialmente i topi
perché sarebbero potuti essere Wormtail.
Padfoot abbassò il muso, tentando
di proteggersi dal vento freddo con le zampe; no, non era divertente starsene a
gelare fuori, ormai pelle e ossa, mentre il vero traditore dormiva nella camera
di Harry. Non era divertente essere davvero
la paura che dava forma al molliccio di quegli studenti, il mostro spaventoso
che le mamme usavano per minacciare i bambini se non facevano i bravi… essere l’uomo che Remus chiamava “Black” con lo stesso tono che in passato aveva usato per i
suoi consanguinei.
L’aveva sentito dirlo e, malgrado
non fosse razionalmente una sorpresa per un milione di motivi che lo
giustificavano, un’altra parte di lui era di nuovo morta. In qualche modo era
certo che Remus non avrebbe mai saputo, che sarebbero morti senza che la
trappola in cui era cascato fosse scoperta, lontanissimi e immersi nell’odio e
nel dolore. Anche se fosse riuscito a uccidere Wormtail
dubitava che ci sarebbe stato modo di spiegare tutto al suo vecchio amico.
Anzi, non meritava più di
chiamarlo tale, del resto aveva dubitato di lui per primo, si era bevuto tutto
ciò che Wormtail gli aveva detto perché era più facile così, sapendo chi era il
“nemico”, invece che restare alla cieca.
Forse
sarebbe stato Remus ad ucciderlo.
Lui l’avrebbe fatto, al posto
suo. Diavolo, lui voleva e stava per farlo, uccidendo il vero traditore. E
Remus non gli avrebbe mai dato il tempo di parlare, lo avrebbe eliminato o
consegnato al Ministero senza una parola.
E
non avrebbe mai saputo.
Questo pensiero lo stava
consumando persino più della consapevolezza di essere solo e senza speranza.
Ululò di dolore prima di
poterselo impedire; il pianto del cane pazzo che era.
Quando Remus salì sul treno per Hogwarts qualche mese prima, stringendo la
valigia come se ne andasse della sua vita, si disse che era molto calmo e che
poteva affrontare tutto quello che lo aspettava.
Trovò uno scompartimento vuoto e
sobbalzò quando chiuse la porta un po’ troppo bruscamente, prendendo poi un
respiro profondo per rallentate il battito cardiaco.
Sono
calmo, sono perfettamente calmo,
ribadì mentalmente, tentando di ignorare la tanto
forte quanto spaventosa sensazione di essere di nuovo diretto a Hogwarts come
studente.
Il pensiero che fosse la prima
volta che viaggiava nell’Hogwarts Express da solo non lo
aiutò affatto.
Viaggi
da solo da quando avevi vent’anni, stai calmo. Va tutto bene. Sei un uomo, non
un ragazzino.
La sua voce mentale suonava un
po’ come quella di Frank adesso, rassicurante e adulta, e questo servì davvero
a calmarlo; si sedette accanto al finestrino dopo aver sistemato il bagaglio e
si sentì soddisfatto del risultato ottenuto.
Gli studenti cominciarono a
passare per i corridoi in cerca di scompartimenti liberi e una ragazzina
bionda, apparentemente decisa a sedersi nel suo, cambiò direzione appena lo
vide. Era naturale che non volesse passare il suo viaggio accanto a un
professore e Remus quasi sorrise: non era poi cambiato molto.
Il treno finalmente partì e lui
appoggiò la testa al finestrino, ascoltando distrattamente le voci dei
ragazzini che si allontanavano.
Chiuse gli occhi, stanco
dall’ultima luna piena e pensando di approfittarne per riposare, e
inevitabilmente cominciò a ripetersi mentalmente cosa dire durante la prima
lezione, finché non sentì una voce di ragazzina fuori dalla porta dire: «Questo
è libero!»
«Arriviamo! Harry, dai!»
Harry.
Se c’era una cosa a cui non era preparato era trovarselo davanti già sul
treno; era stupido da parte sua, non aveva accettato il lavoro a cuor leggero:
era il suo desiderio di vedere il piccolo Harry che aveva vinto la sua paura e
sapeva che lo avrebbe visto visto al castello, così
simile ad entrambi i suoi genitori se era rimasto come se lo ricordava.
L’aveva visto molti anni prima,
fingendosi un barbone: il fantasma vivente di James che si dondolava sulla
stessa altalena in cui aveva parlato per l’ultima volta con Alice. Solo e
triste che guardava una madre giocare con un bambino piccolo, finché un gruppo
di altri bambini non aveva cominciato a dargli la caccia e lui li aveva fatti
inciampare con un movimento di bacchetta e aveva capito che non poteva più
vederlo, non senza trattenersi dal parlare con lui e magari anche trascinarlo
via da Privet Drive e tenerlo con sé.
Aveva deciso di salire sul treno per prendere tempo e prepararsi a vederlo,
ripetendosi con calma e razionalità che Harry era solo uno studente come tanti
altri ora e cose simili e confondendo il cuore con la ragione, qualcosa a cui
si era amaramente dovuto abituare.
Non si aspettava certo che per un
orribile scherzo del destino si sedesse nel suo stesso scompartimento. Aveva di
sicuro ereditato il tempismo dei suoi genitori oltre all’aspetto di James.
Finse di dormire. Fu un riflesso
istantaneo; Remus si diede del vigliacco ma non aprì comunque gli occhi.
«Secondo voi chi è?» domandò una
voce maschile, la stessa che aveva chiamato Harry.
«Il professor R. J. Lupin.» sussurrò una voce femminile.
«Come fai a saperlo?»
«C’è scritto sulla valigia.»
Remus si trattenne dallo
stringere i pugni e continuò a mantenere i suoi respiri profondi: la valigia
che gli avevano regalato
James e Lily quando ancora lo mantenevano, perché gli era impossibile trovare
un lavoro essendo un lupo mannaro. Le sue iniziali erano placcate in oro e
ricordava ancora James che diceva che non era poi così diverso da ricevere un
boccino e che poteva anche evitare di cercare
di non accettarla perché altrimenti lo avrebbe lasciato nelle mani di Lily, che
era già pronta a fargli la ramanzina. Ricordava lei, che aveva le mani intorno
ai fianchi e l’aria che lui ormai conosceva benissimo, quella che assumeva
sempre prima di sgridare qualcuno.
“È
il tuo compleanno.”
“Non
è vero.”
“Non
oggi, ma lo sarà. Tu l’accetti, fine del discorso.
Altrimenti poi, quando comincerai a lavorare, non sembrerai una persona seria.
E non disturbarti a dire che non troverai lavoro, okay? Mi stai irritando e sai
cosa succede quando qualcuno lo fa.” Poi aveva sorriso, “Accetta, dai. Con
tutto il nostro amore.”
“Con
tutto il suo amore,” aveva fatto eco James,
sghignazzando quando la moglie gli aveva dato una pacca sul sedere per
scacciarlo. La famigliola felice.
I suoi ricordi furono bruscamente
interrotti quando qualcuno nominò quella
persona.
Il traditore era evaso da Azkaban ed era l’unico motivo per cui
lui era tornato e aveva deciso di chiedere a Dumbledore la cattedra, essendo
l’unico che conosceva gli stessi passaggi segreti e che poteva combatterlo
dall’interno.
L’avrebbe ucciso.
Se mai Black
avesse osato avvicinarsi a Harry, al povero innocente orfano che aveva perso
tutto a causa sua – esattamente come lui, esattamente come la madre di Peter –
Remus sarebbe stato pronto ad accoglierlo.
Certo, una parte
di lui gridava di dolore ogni secondo, ma l’altra era assetata di
sangue.
La voce continuò a parlare e
Remus capì che era Harry e che dopotutto non somigliava così
tanto a James. Non la sua voce, almeno, forse anche
per via del tono serissimo.
Non sapeva cosa si stava
aspettando di sentire, in ogni caso, non era come se Harry fosse il gemello di
James, però…
«Non andare in cerca di guai, Harry…» lo pregò la ragazzina.
«Non vado in cerca di guai. Di solito
sono i guai che trovano me» ribatté lui, irritato.
Questo lo rendeva definitivamente
diverso dai suoi genitori, a meno che non stesse
mentendo. Per un istante Remus ne fu deluso, poi incredibilmente sollevato:
forse non somigliava più tanto a nessuno dei due e questo lo avrebbe salvato da
parecchio dolore.
«Non si sa come
è riuscito a fuggire da Azkaban, nessuno c’era
mai riuscito prima. Ed era anche un sorvegliato speciale»
Che
c’entrasse il suo essere animagus? Remus non poté fare a meno di
pensare, ancora una volta, che se fosse riuscito a fuggire perché in grado di
trasformarsi in cane, allora era stata colpa sua.
Improvvisamente udì un fischio
fastidioso provenire dall’alto e i ragazzi cominciarono ad armeggiare con i
bagagli finché la ragazzina non domandò: «Quello non è uno Spioscopio?»
Se era vero, c’era un qualche
pericolo vicino e Remus combatté con se stesso per non rivelar loro che era sveglio e che li ascoltava.
«Rimettilo nel baule
o lo sveglieremo» disse Harry e poco dopo cominciarono a parlare di Hogsmeade e
Remus si ritrovò a combattere, invece che contro l’istinto di irrigidirsi,
contro il rischio di addormentarsi davvero e di sognare Hogsmeade: non sarebbe
stata la prima volta, un incubo in cui Black era lì e
li uccideva o un sogno, peggiore, in cui erano tutti vivi e felici e che al
risveglio gli faceva desiderare di essere lui quello morto.
«Sì, che bello. Poi mi
racconterete.»
«Che vuoi dire?»
«Non posso venire, i
Dursley non mi hanno firmato il permesso e nemmeno Fudge.»
Petunia.
Era scontato che lei
non gli avesse firmato il permesso, quando mai avrebbe fatto qualcosa per
rendere felice qualcuno con lo stesso sangue di Lily? Ma
era assurdo, orribile il pensiero che non fosse più che gentile e dolce con
Harry, del resto era l’unica madre che lui avrebbe mai potuto ricordare…. Remus cercò di deviare subito i pensieri da lì,
dicendosi che comunque Dumbledore non avrebbe mai permesso che Harry non fosse
trattato con i guanti da quelle persone, per qualunque motivo lo avesse mandato
a vivere con loro, e che ci doveva essere un qualche motivo valido per il
mancato permesso, forse la paura che gli capitasse qualcosa. Del resto, che
Petunia fosse gelosa o meno di Lily, era alquanto ridicolo saltare sull’attenti e pensare che se la fosse presa con un bambino
o che Dumbledore non avesse mai mandato nessuno a controllare che non lo
trattasse come trattava Lily.
«Non hai il permesso
di venire? Ma... insomma... la McGonagall te lo darà, o qualcun altro...»
Ci fu una risatina
cupa e Remus pensò che quello non sarebbe mai successo. Ron, se aveva capito
bene il nome, si stava illudendo.
«...oppure
possiamo chiedere a Fred e George, loro conoscono tutti i passaggi segreti che
portano fuori dal castello...»
«Ron! Non credo che
Harry dovrebbe sgattaiolare fuori dalla scuola con Black
in libertà...»
E, come lui temeva, il discorso cadde di
nuovo su Black. Del resto era colpa sua se Harry non
era libero di andare dove voleva, tra le altre cose, e lui ebbe il tempo di constatare ancora una volta come le voci dei bambini fossero
spaventate nel nominarlo, quasi come se si parlasse di Voldemort o di
Bellatrix. Quello che Black aveva sempre odiato di
più: l’essere paragonato a sua cugina.
Del
resto se lo meritava.
«Non far uscire quella cosa!» esclamò
Ron in tono preoccupato.
Un attimo dopo ci fu del movimento e
delle proteste e lui si mosse, facendo piombare il silenzio e notando
finalmente un miagolio che doveva essere l’origine del caos. Restò fermo ad
aspettare che tutto si calmasse e si perse nei suoi pensieri.
Si addormentò e, ovviamente, sognò
James. James che era seduto accanto a lui sul treno e parlava di cioccorane, con Sirius che invece stava istruendo Peter
sulla sua moto.
A Peter mancava un dito.
«Mi scusi… professore…»
Tenne gli occhi serrati e sentì la voce
della donna che portava i dolci dire che l’avrebbe trovata dal macchinista.
«Ma dorme?» sussurrò Ron. «Voglio dire, non è morto,
vero?»
Si chiese quanto baccano avessero fatto
esattamente e poi si addormentò di nuovo quasi di colpo.
Stavolta sognò Lily
che stava seduta accanto a lui sui gradini di Hogwarts, e la sua valigia era
già tra loro. Lei gli sorrise, sfiorandola con le
dita.
«Ti avevo detto che
ne avresti avuto bisogno.»
«Hai sempre ragione»
convenne lui.
Lily lo guardò con
gli occhi verdi scintillanti: «Prenditene cura, va
bene? Sono felice se so che sei con lui.»
«Con lui?» ripeté
Remus, e poi si svegliò di nuovo.
Stavolta non desiderò
di essere morto per ricongiungersi a James, Lily e il passato, perché non ne
ebbe il tempo; una voce che gli diede istintivamente fastidio portando con sé
qualche ricordo indecifrabile stava parlando con i suoi ragazzi.
«Ho sentito dire che
finalmente tuo padre ha messo le mani su un po' di soldi, Weasley. Tua madre ci
è rimasta secca dalla meraviglia?»
Qualcosa cadde a terra e Remus poté
sentire quasi fisicamente che stava per esserci uno scontro, così grugnì,
fingendo ancora di dormire e sperando che bastasse.
«E quello chi è?»
«Un nuovo insegnante» rispose Harry, il
ragazzo che sarebbe dovuto essere quasi un figlio per lui, e Remus si odiò per
non esserci stato, per non esserci potuto essere. L’avrebbe dovuto chiamare zio
Remus, se tutto fosse andato come doveva.
«Che cosa stavi dicendo,
Malfoy?»
“Malfoy”, questo spiegava
tutto.
«Andiamo» disse Malfoy a qualcuno.
Qualche secondo dopo Ron commentò: «Non ho intenzione di farmi insultare da Malfoy quest'anno.
Nessuna intenzione. Se fa un'altra battuta sulla mia famiglia, gli prendo la
testa e...»
«Ron» sibilò la ragazzina, di cui non
aveva ancora afferrato il nome. «Attento.»
Non riuscì più ad addormentarsi e
ascoltò il tempo peggiorare e il chiacchiericcio dei ragazzi – Remus non voleva
pensare al fatto che li aveva già chiamati mentalmente “suoi ragazzi”, perché
tutto avrebbe preso una brutta piega – finché il treno non rallentò e le luci
si spensero.
Aprì gli occhi di scatto senza poter
ovviamente vedere nulla. Non poteva essere Black, per
il semplice fatto che non era così stupido, quindi doveva
essere i Dissennatori a guardia di Hogwarts che facevano di testa loro.
O Mangiamorte.
Pensò di stare diventando peggio del vecchio Moody, a
pensare ai Mangiamorte al primo rumore.
«C'è qualcosa che si muove laggiù» disse
Ron. «Credo che qualcuno stia salendo...»
La porta dello scompartimento si aprì
all’improvviso e Remus mise mano alla bacchetta, ormai all’erta. Ci fu un po’ di
trambusto, e poi Harry disse: «Ciao Neville.»
E Remus pensò davvero che sarebbe
crollato.
Come aveva potuto non pensare a Neville,
al fatto che avrebbe visto anche lui, e con lui anche i fantasmi di Alice e
Frank, vivi solo per errore? E Harry e Neville si conoscevano ovviamente, ma
dubitava che fossero i fratelli che sarebbero diventati se le cose fossero
andate nel modo giusto.
Si pentì, per l’ennesima volta, di aver
accettato: non voleva vedere un Harry diverso da come
lo immaginava, non voleva vedere lui e Neville essere solo amici, e neanche
tanto stretti se seduti in scompartimenti diversi, non voleva andare a Hogwarts
e non trovarci i Malandrini e Lily, Alice e Frank…
Ma doveva difendere
Harry da Black.
Ricominciò il trambusto proprio quando
Remus si rese conto della presenza di un rumore di fondo
che col suo udito da licantropo aveva potuto udire prima degli altri.
Doveva difendere Harry a costo della sua
vita.
«Silenzio!» ordinò. Tutti smisero di
parlare nello stesso momento e lui evocò delle fiammelle con la sua bacchetta
per illuminarsi la strada ed evitò accuratamente di guardare Harry, puntando
alla porta che però si aprì da sola.
Un Dissennatore.
Non lo fece sentire particolarmente
male, tutta la sua vita era un Dissennatore che
l’aveva ingoiato a vent’anni, ma lo colse il freddo e la voce di Alice: “James, Lily e Peter sono morti!”
E, prevedibilmente, il Dissennatore puntò con precisione a Harry, che era alla sua
sinistra, e un’altra ventata di gelo si impadronì di
lui. Durò solo un istante e poi Harry, il cielo
soltanto sapeva cos’avesse vissuto, cosa ricordasse, svenne di colpo e le
ragazzine strillarono mentre Ron, capelli rossi e aria terrorizzata, si chinava
verso di lui per proteggerlo. Abbassò lo sguardo per non sbattergli contro e lo
scavalcò, cercando di ignorare quella che sembrava essere una somiglianza con
James in grado di spezzargli il cuore e pregando che fosse solo la sua
impressione dovuta alla luce. I pensieri più neri lo stavano già cogliendo,
nonostante tutto.
«No…» mormorò
Neville con un filo di voce, con aggrappata a sé una bambina dai lunghi capelli
rossi che era rimasta rigida come impietrita.
«Tom?» la sentì sussurrare, così piano
che fu certo di essere l’unico. Si chiese che memorie avesse lei e poi alzò la
bacchetta.
«Nessuno di noi tiene
nascosto Sirius Black sotto il mantello. Vai via'» ordinò, e fu strano pronunciare il nome di Black ancora una volta. Gli lasciò l’amaro in bocca e non
poté fare a meno di domandarsi, odiandosi per questo, cosa lui avesse provato
tutti quegli anni ad Azkaban. Non c’era gioia in quel
pensiero e, lungi dal pensare di essere una brava persona per questo, ebbe
disgusto di sé, incapace di odiare completamente l’assassino di James, Lily e
Peter. O meglio, odiava l’assassino, ma ogni tanto nei
suoi sogni faceva capolino il ragazzo spaventato all’idea di essere considerato
un Black, quello che lo guardava timidamente in
attesa del suo perdono dopo lo scherzo della Stamberga a Snape che, con senno
di poi, era solo la prova di quello che era in grado di fare.
Il Dissennatore
lo ignorò e Remus si concentrò sull’immagine di Lily che sorrideva e gli
affidava Harry, anche se solo in un sogno: «Expecto
Patronus.»
Per un attimo pensò che non avrebbe
funzionato, aveva avuto problemi per anni coi Patronus
dopo il trentun’ottobre dell’ottantuno, ma il
familiare lupo argentato, presa in giro da parte della sua stessa anima,
scacciò il patronus.
«È morto?» sussurrò Ron da terra.
Quasi gli scese un colpo mentre si
voltava di scatto verso Harry, che aveva smesso di agitarsi; si rese conto che
il ragazzo parlava del Dissennatore.
«No, Ron, è stato solo scacciato via.»
E finalmente vide anche l’amica di Harry,
una ragazzina con i capelli molto crespi e al momento pallida e spaventata. «Come si sente Harry? È sveglio?»
«No, è ancora svenuto, non lo vedi?»
ribatté seccamente Ron. A Remus sembrò anche lui molto spaventato e ne ebbe
pena, ma non ebbe il tempo di dire nulla perché il ragazzino trasalì: «Ginny?»
Si voltò e vide la bambina dai capelli
rossi che si accasciava contro il sedile, tremando come una foglia. Doveva
esserle capitato qualcosa di oltremodo orribile per una simile reazione alla
sola presenza del Dissennatore, dopo che lui aveva
ignorato tutti per andare verso Harry. Stessa cosa valeva per Neville a
giudicare dalla sua faccia, ma in quel caso sapeva cosa lui stesse ricordando.
«Hermione!» protestò Ron e Remus la vide
già china su Harry, occupata a dargli qualche debole schiaffo.
Le luci si riaccesero, il treno partì, e
il sorriso che offriva a Ron per rassicurarlo morì nel momento in cui notò
quanto davvero somigliasse a James. Neville gli andò accanto ed ebbe modo di
vederlo bene, capelli biondi e viso di Alice, e temette di seguire Harry
nell’incoscienza.
Non era
giusto.
Doveva
essere forte, si disse.
«C-che cosa?» mormorò
Harry, e aprì gli occhi.
Ogni precedente pensiero su Neville, sulla
somiglianza tra Harry e James, sulla loro mancata amicizia e anche la
preoccupazione per Ginny che non si muoveva svanì.
Gli occhi di Lily lo fissarono dopo
tanti anni.
Quando Harry aggiustò gli occhiali sul
suo naso, vide che era il perfetto miscuglio tra i due, persino nella sua
espressione da James appena sveglio.
«Stai bene?» gli chiese Ron
nervosamente.
«Sì. Che cosa è
successo? Dov'è quella... quella cosa? Chi è stato a urlare?»
«Nessuno ha urlato…»
disse Ron, chiaramente preoccupato per la sua salute mentale.
Remus gelò, invece. E poi, per distrarsi
e per aiutarlo, cercò il cioccolato che teneva sempre in tasca.
Cosa aveva ricordato esattamente?
Non poteva essere quello, non dopo tutti
quegli anni, dopotutto lui ne aveva poco più d’uno…
«Ma io ho sentito gridare...»
Tagliò un grosso pezzo di cioccolato per
Harry e glielo offrì. Lui prese il cioccolato e lo fissò, spaventandolo a
morte.
Non poteva ricordare anche lui, era
ridicolo che gli saltasse in mente una cosa simile, ma al tempo stesso cominciò
a offrire il cioccolato a tutti per evitarne gli occhi.
Dopo anni passato a sognare Lily e James
che gli sorridevano, vederli nel loro figlio gli dava l’impressione di esserne
giudicato e accusato.
«Che cos’era quella cosa?»
domandò in tono quasi d’accusa. Gli ricordava Lily, di già,
e pensò di nuovo che sarebbe stato un anno lunghissimo.
«Un Dissennatore. Uno dei Dissennatori di Azkaban.»
Tutti lo guardarono ma non commentarono.
«Mangiate» ripeté
e guardò di nuovo Harry per un momento, la sua espressione corrucciata mentre
registrava le nuove informazioni.
Era come avere James e Lily lì, a dirgli
che avrebbe potuto anche salvarli. Ma era anche il piccolo fagottino che aveva
tenuto in braccio così poche volte, il bambino che stava sempre solo e triste mentre gli altri giocavano, cresciuto in un ragazzino
che sveniva alla vista di un Dissennatore, tanto la
sua vita era stata dura e piena di sofferenza.
Non riusciva più a guardarlo.
«Vi farà bene. Devo andare a parlare col macchinista, scusate...»
Si affrettò ad
uscire e a rifugiarsi nel primo bagno disponibile, come se fosse un ragazzino.
Poggiò una mano al muro per sostenersi e si portò l’altra al petto, dove il
cuore batteva fortissimo.
Non era giusto per nessuno dei due.
Doveva riuscire a vedere Harry come una persona a sé, non come quello che
sarebbe dovuto essere, e doveva trattarlo come un
qualsiasi studente. Doveva ignorare il dolore e lui era bravo in questo.
Tornò indietro e notò che nessuno aveva
ancora mangiato il cioccolato, occupati tutti a
parlare di quello che era appena successo.
Sperò che nessuno notasse che ci aveva
messo troppo poco tempo per essere davvero andato a parlare col macchinista, ma
a parte una lunga occhiata di Hermione nessuno lo guardò storto.
«Non ho messo veleno in quel cioccolato,
sapete…»
Harry lo morse e subito il suo viso si
addolcì mentre gustava la barretta. Anche il cuore di Remus lo fece, e di colpo
il dolore, non solo quello alla vista di Harry ma tutto il bagaglio di dolore che
portava con sé da sempre, si attenuò, e soltanto perché quel ragazzino aveva quasi
sorriso dopo il primo morso, nonostante questo lo avesse fatto somigliare un
po’ di più a entrambi i suoi genitori, occhi meno tristi, viso meno da bambino
adulto.
«Saremo a Hogwarts tra dieci minuti» disse Remus,
notando il panorama. «Stai bene, Harry?»
Harry lo guardò, arrossendo leggermente, «Sì.»
Tutti ricominciarono a chiacchierare, anche se
provati dalla piccola avventura, e Harry gli lanciò ancora qualche occhiata
ancora imbarazzata di tanto in tanto. Alla fine gli donò addirittura un mezzo
sorriso, per pura educazione di sicuro, che gli illuminò gli occhi, e ogni
dubbio di Remus svanì.
Era la prima volta che Harry gli sorrideva da dodici
anni, e si rese conto che di colpo, all’improvviso, anche lui stava bene.
Ovviamente il sentimento non durò a lungo, con Black a spasso per Hogwarts. Remus passò mesi combattuto
tra i sensi di colpa per quello che aveva combinato quando era ancora uno
studente, il conseguente desiderio di dire a Dumbledore tutto a proposito di
passaggi segreti e animagus e quello di tenere tutto
per sé e non deludere l’uomo che gli aveva permesso di avere una vita quasi
normale.
Quella sera si sentiva ancora peggio del solito con
la mappa del Malandrino in mano, il simbolo dei loro misfatti, ma ignorò il
desiderio di lanciarla via per poter tenere d’occhio i
ragazzi, che sapeva sarebbero andati da Hagrid. Era tipico di loro, aveva
imparato a conoscerli abbastanza bene da aspettarsi qualsiasi atto eroico da
parte loro, fosse anche per salvare un Ippogrifo.
E infatti eccoli lì, uscire
dalla capanna di Hagrid…
Remus si sentì gelare e dovette reggersi alla
cattedra con tutte le sue forze per non lasciare che i capogiri lo
trascinassero a terra.
“La mappa non mente
mai, la mappa non mente mai, la mappa non mente mai...”
La voce portatrice di guai di James partì come un
disco rotto nella sua testa e tutta la sua calma e razionalità svanirono come
se non fossero mai esistite. Il cuore gli rimbombava forte nelle orecchie e
tutto tremava, compreso lui.
Peter Pettigrew.
Accanto a Ron Weasley, per la precisione sopra Ron
Weasley mentre loro camminavano.
È morto. Tutto
questo non ha senso.
Ma
la mappa non mente mai.
È morto!
Come può essere
sopra Ron?
C’è un qualche errore
nella mappa! Deve esserci!
L’unica cosa viva
che Ron ha sempre con sé è il suo…
La scritta Sirius Black
entrò a far parte del suo campo visivo e si mosse velocissima verso Ron
Weasley. I nomi si scontrarono e un attimo dopo il nome di Ron fu trascinato
via, seguito da quelli di Harry ed Hermione, verso il
Platano Picchiatore.
Remus scattò un secondo dopo, dimenticando il resto
del mondo. Dimenticando che notte era quella.
Sirius quasi sorrise alla vista di Harry, prima di
disarmarlo. Lo fissò: non lo conosceva, forse non l’avrebbe mai conosciuto, ma già sapeva che doveva essere come suo padre. Gli si riaccese la speranza, perché magari le cose si sarebbero sistemate,
se Harry avesse avuto la presenza di spirito di chiamare qualcuno, sarebbe
andato bene persino Remus, e lui avrebbe potuto mostrare che Wormtail era stato
lì tutto il tempo.
«Ero sicuro che saresti venuto ad aiutare il tuo amico. Tuo padre avrebbe
fatto lo stesso per me. Sei stato coraggioso a non andare a chiamare un
insegnante. Te ne sono grato... questo renderà le cose molto più semplici...»
Harry sembrò
impietrito per un momento e poi quasi scattò avanti, immobilizzato dai suoi
amici, e Sirius si rese conto che le cose non sarebbero state così facili.
Il ragazzo, Ron
Weasley, si mosse nonostante la gamba spezzata e lo guardò con odio, tirandosi
quasi in piedi.
«Se vuoi
uccidere Harry, dovrai uccidere anche noi!»
Oscillò
leggermente e Sirius sentì un fremito: parole che uno qualsiasi dei suoi amici
del passato avrebbe potuto dire, con la stessa fierezza, ma non a tredici anni.
Ron era un po’ come era stato lui, era il Padfoot di
Harry, ma ancora più coraggioso e lui si pentì ancora di più di avergli fatto
del male complicando le cose.
«Stenditi.» disse
piano. «Hai la gamba rotta.»
«Mi hai sentito? Dovrai ucciderci tutti e
tre!»
Qualcosa avvampò
dentro Sirius: uccidere, era quello
il suo scopo. Finalmente, dopo tanti anni…
«Qui morirà una
sola persona questa notte» ghignò lui, ma l’euforia si spense quando Harry
cominciò a urlare e tentare di divincolarsi.
«Perché? L'ultima volta non ci hai badato,
vero? Non ti è importato niente di uccidere tutti quei Babbani per arrivare a Pettigrew... che cosa succede, Azkaban
ti ha rammollito?»
«Harry!» strillò
la ragazza, se non sbagliava il suo nome era Hermione ed
era la proprietaria del gatto. «Stai zitto!»
«HA UCCISO MIA MADRE
E MIO PADRE!» ruggì Harry.
L’aveva fatto
eccome, credendo in Wormtail e non in Remus, convinto
di essere davvero intelligente con quel suo piano di scambiare Custode Segreto,
condannando James e Lily.
Pensò di
meritare la morte e sentì il freddo di Azkaban
tornare ad avvolgerlo, perché era qualcosa che non lasciava mai del tutto, e si
sarebbe lasciato uccidere se non fosse stato per il gesto estremamente
pazzo di Harry di lanciarglisi contro alla babbana.
Un’azione così degna di sua madre, così stupida e meravigliosamente familiare,
che lui si riscosse e realizzò che no, doveva uccidere
Wormtail.
Poi gli arrivò
un colpo in testa e finirono entrambi a terra.
Devo uccidere Wormtail, cantilenò la sua stessa voce nella sua mente, mentre tentava di liberarsi
di Harry senza fargli troppo male. Lo dovette prendere al collo perché lui
diminuisse la presa e pensò a come toglierlo di mezzo e uccidere il ratto senza più essere interrotto, quando fu la ragazza a tirargli
un calcio e lui fu costretto a lasciarlo andare di colpo. Anche Ron gli saltò
addosso per prendergli le bacchette.
Il gatto
rossiccio intervenne in suo aiuto giusto in tempo, regalandogli un altro
attacco di nostalgia al pensiero di Pluffa, il gatto
dei Potter, ma stavolta non fu abbastanza da dargli altre forze, dopo mesi che
quasi non mangiava ed essere stato colpito da tutti e tre.
Harry si avvicinò
lentamente e gli parve di avere di nuovo davanti una
delle allucinazioni di Azkaban, il James immerso
nell’ombra che lo torturava ogni giorno; stavolta però era tutto vero.
«Vuoi uccidermi, Harry?» sussurrò. Non farlo, non rovinarti per me…
«Hai ucciso i
miei genitori» disse Harry con voce appena tremante, ma la mano che reggeva la
bacchetta rimase immobile.
«Non lo nego. Ma se sapessi com'è andata...»
«Com'è andata?»
ripeté Harry, arrossendo di rabbia, «Tu li hai venduti a Voldemort, è tutto
quello che devo sapere!»
La sua mente
tornò di nuovo a Wormtail: «Devi ascoltarmi» lo pregò. «Altrimenti lo
rimpiangerai... non capisci...»
«Capisco molte
più cose di quello che credi tu» ribatté Harry furiosamente. «Non
l'hai mai sentita, vero? Mia madre... che cerca di impedire a Voldemort di
uccidermi... e sei stato tu... sei stato tu...»
Sirius aprì la
bocca ma sapeva che non sarebbe riuscito a parlare: l’immagine di Lily che
implorava pietà per suo figlio gli riempì la mente, la vide davanti a sé, gli
occhi di Harry che erano i suoi, che lo accusava per la sua orribile morte. Non
sapeva come le cose fossero andate quella notte ed aveva
sempre pensato che l’ignoranza fosse ancora peggiore, ma forse non era così,
perché immaginarla in quel modo, sentire suo figlio che…
Un peso gli
precipitò letteralmente sul petto e Sirius abbassò lo sguardo sul gatto, che
ancora si dava da fare per difenderlo. Era riuscito a parlarci, più o meno, nella sua forma canina, e sembrava fosse
coraggioso quanto la padrona.
Harry guardò il
gatto e poi lui e Sirius vide i muscoli della sua
mascella irrigidirsi, gli occhi farsi freddi, e la sua mano sollevare la
bacchetta.
Non lo fece.
Giunse un rumore
dall’esterno ed Hermione cominciò ad urlare e a
chiedere aiuto.
Fa che sia la McGonagall, fa
che sia lei e mi dia tempo di dire qualcosa, qualsiasi cosa…
Era Remus.
Sarebbe stato ucciso da Remus, come temeva. E nessuno avrebbe mai saputo.
«Expelliarmus!»
Tutte le
bacchette saltarono in mano al suo ex amico. Sirius lo guardò e notò
improvvisamente che non era solo furioso, era trepidante.
«Dov’è, Sirius?»
Lui si limitò a
fissarlo per qualche secondo, con la pelle d’oca. Dov’era chi?
Possibile che
lui sapesse? Possibile che per una volta nella sua vita tutto fosse andato
bene, che Remus avesse già capito, che tutto stesse per finire?
Lentamente
indicò Ron.
«Ma allora…
Perché non si è mai rivelato finora? A meno che…», Remus sgranò gli
occhi e Sirius seppe che aveva capito tutto; anche dopo tutti quegli anni
riconosceva ogni suo movimento. «A meno che non fosse lui...
a meno che non vi siate scambiati... senza dirmelo?»
Continuò a
guardarlo negli occhi, aspettandosi quasi un rimprovero per averlo tenuto
all’oscuro di qualcosa, tipico del Remus del passato, e annuì.
«Professore»
intervenne Harry ad alta voce, «che cosa...?»
Remus abbassò la
bacchetta e si precipitò da lui, senza mai smettere di guardarlo occhi negli occhi, e i suoi erano
pieni di un sentimento che Sirius riconobbe dopo tanto; Moony gli afferrò la mano per
aiutarlo e poi lo abbracciò stretto.
Sirius per un
momento si ritrovò alla porta della cucina di casa Potter, appena fuggito di casa, con Remus che lo abbracciava allo stesso modo per
dirgli silenziosamente che c’era, che andava tutto bene, e gli faceva scivolare
del cioccolato nella tasca.
«NON CI CREDO!» gridò Hermione.
Remus lasciò
andare Sirius e la guardò: la ragazzina era fuori di sé e lui si rese conto di come le cose
apparissero ai loro occhi.
Harry sembrava a pezzi e quasi sul punto di crollare
a terra.
«Lei... lei...»
«Hermione...»
«... lei e lui!»
«Hermione,
calmati...»
«Non l'ho detto a nessuno! Le ho parato le
spalle...»
«Hermione,
ascoltami, ti prego!» gridò lui, cercando di capire di cosa stesse parlando.
«Posso spiegare...»
Harry
intervenne, deluso e furioso: «Io le credevo e lei è sempre stato
suo amico!»
Con una fitta al
cuore, Remus lo corresse: «Ti sbagli! Per dodici anni
non sono stato amico di Sirius, ma ora lo sono...
lascia che ti spieghi...»
Sentì un enorme
pena per Sirius e a malapena riuscì a finire la frase, anche se una piccola
parte di lui accusava ancora Sirius per non avergli detto dello scambio. Di
sicuro aveva pensato che fosse un piano furbissimo.
«No!» gridò
Hermione. «Harry, non credergli, ha aiutato Black a
entrare nel castello, anche lui ti vuole morto... è un Lupo Mannaro!»
Remus sentì il
sangue lasciargli il viso. Non riusciva ad avercela con lei, ma percepì che
Sirius veniva scosso da un tremito a quelle ultime
parole. Dopo tutti questi anni…
«Questa volta
non sei all'altezza di te stessa, Hermione» disse. «Ne
hai azzeccata una su tre, temo. Non ho aiutato Sirius a entrare nel castello e
di sicuro non voglio vedere Harry morto...», la sola
idea lo fece star male. «Ma non negherò che sono un Lupo Mannaro.»
Ron tentò di
alzarsi e ricadde con un gemito. Gli si avvicinò istintivamente, del resto
aveva sempre visto un po’ di Sirius nella sua amicizia con Harry e ora
finalmente poteva accettare ciò che il suo cuore gli diceva e ammettere di
essere legato più a lui che ad altri studenti per questo, ma il ragazzo si
ritrasse: «Lontano da me, Lupo Mannaro!»
Cercò di non
lasciare che le parole lo ferissero ancora una volta, ma non ci riuscì. Non poteva difendersi da loro tre.
«Da quanto tempo
lo sai?»
«Da un secolo»
sussurrò Hermione. «Da quando ho fatto il tema per il professor Snape...»
Sirius si irrigidì al suo fianco. Remus gli lanciò un’occhiata,
scoprendo che fissava Ron con espressione spaventosa; non che gli venisse
difficile, il suo viso, che un tempo era bellissimo, sembrava quasi un teschio
ormai, e pareva non aver notato il nome del suo vecchio nemico.
Si sforzò di
rispondere ad Hermione, commentando su quanto Snape ne
sarebbe stato felice e scoppiò in una risatina forzata.
«Per la tua età,
sei la strega più brillante che abbia mai conosciuto,
Hermione.»
Vero, del resto
Lily, Alice e Mary ci erano arrivate per via delle loro orecchie lunghe, più
che per ragionamenti.
«No» sussurrò
lei. «Se fossi stata un po' più sveglia, avrei detto a tutti che cosa è lei!»
«Ma lo sanno già» disse Lupin. «Almeno, i miei colleghi lo
sanno.»
«Silente l'ha assunta anche se sapeva che era un Lupo Mannaro?» esclamò
Ron sbalordito. «Ma è matto?»
«Alcuni colleghi
erano di questo avviso» disse lui. «Ha dovuto faticare
parecchio per convincere certi insegnanti che sono affidabile...»
«E SI SBAGLIAVA! LEI LO HA
SEMPRE AIUTATO!» urlò Harry indicando Sirius; lui andò a gettarsi sul letto,
seguito dal gatto di Hermione, e Remus si chiese cosa gli stesse succedendo. «Non
ho aiutato Sirius. Se me ne date la possibilità, vi spiegherò. Guardate...» e abbandonò le bacchette, rischiando il tutto per tutto
e fidandosi del ragazzo che aveva finalmente imparato a conoscere per quel che
era: Harry e solo Harry, con un gran cuore e un’enorme forza di volontà.
Sirius aveva
retto il più possibile, ascoltando i ragazzi accusare Remus e chiedendosi
quanto l’amico stesse soffrendo sotto l’aria quasi imperturbabile. In qualche
modo era riuscito in cinque minuti a distruggere tutto quello che l’altro aveva
costruito, togliendogli anche l’approvazione di Harry che di certo per lui
contava immensamente.
Lo guardò per un
momento, badando alla faccia invecchiata, le cicatrici che lo segnavano, la sua
espressione ferma, e poi vide la sua faccia di ragazzino, stesso sguardo serio,
meno segni sul suo corpo perché loro erano con lui a ogni luna piena; si rese
conto di essere alla Stamberga, il loro ritrovo, per la prima volta dopo dodici
anni, con Remus accanto a sé e dalla sua parte.
Fu quello il
momento in cui il suo cervello realizzò realmente che
Remus era lì. Era con lui, dalla sua
parte, era suo amico, non l’avrebbe ucciso, lo stava difendendo, la verità stava venendo a galla, avrebbe eliminato Wormtail e avrebbe
avuto una vita, e Remus era lì. Moony era lì…
Sentì le lacrime
farsi strada, senza neppure un accenno di risata
isterica prima, perché quella veniva fuori spontanea per la vergogna di
trovarsi sul punto di mostrarsi così debole, era qualcosa che veniva dalla sua
infanzia, ma stavolta c’erano solo le lacrime di sollievo, gioia e anche di
paura. Si coprì il viso e si buttò sul letto, desiderando di poter ululare
ancora di liberazione e di gratitudine nei confronti di Remus.
Gli altri nel
frattempo cominciarono a parlare della mappa; lui tentò di darsi una calmata e
di concentrarsi sulla sua meta, anche se sentire Remus dire “Moony” mentre raccontava di loro a Hogwarts
minacciò di distruggere di nuovo i suoi tentativi.
«Credi che
potrei dare un'occhiata al tuo topo?»
Sirius riprese
il controllo e sollevò lo sguardo.
«Che cosa
c'entra il mio topo con tutto il resto?»
«Quello non è un
topo!» esclamò lui all’improvviso.
«Che cosa vuol
dire... ma certo che è un topo...»
«No che non lo è»
disse Remus piano. «È un mago.»
«Un Animagus.» concluse lui, e guardò Harry: «che si chiama Peter Pettigrew.»
Una settimana dopo, un pellicano si fermò sul
davanzale della camera d’ostello in cui alloggiava Remus. Il licantropo prese
la pergamena che teneva tra le zampe e l’animale gli diede
un delicato colpo di becco prima di volar via.
“Oi, Moony, tra tre settimane Padfoot
ti farà compagnia. Prepara crocchette per cani per due, perché c’è tanto di cui
parlare.
Un ippogrifo è
meglio di una moto. Lo terrò per sempre. Non posso credere di non averne mai
avuto uno!
Padfoot.”
Remus restò immobile a guardare la pergamena,
chiedendosi se Sirius fosse così stupido da aver scritto veramente una cosa
così frivola nella sua prima lettera dopo dodici anni di lontananza. Poi si
ricordò a chi stava pensando e rise
da solo.
Trasalì, scioccato,
sfiorandosi la bocca con una mano per la sorpresa, e poi si lasciò cadere
seduto sul letto, avendo capito che era proprio quella la sua intenzione,
mostrargli il vecchio Padfoot e lasciarlo senza parole.
Sorrise, scuotendo la testa.
In così poco tempo… Sirius
lo esasperava di nuovo.
La lettera di Sirius suona volutamente infantile –
non è cresciuto e lo sta anche facendo apposta, oltre al fatto che non sa come
rapportarsi al nuovo Remus – e Sirius non è l’unico che fa salti mentali ed
emozionali assurdi durante la storia perché credo che Remus fosse una persona
rotta (e lo sia rimasto in parte) e che sia Harry ad aver dato speranza a lui e
Sirius. Del resto è figlio di Lily, la donna che spingeva tutti a essere migliori, e James, l’uomo che univa tutti, oltre ad essere
solo Harry, che ha appunto un gran cuore, perciò credo che lui abbia salvato
più di una persona da se stessa, oltre a essere la speranza di tutti come
bambino sopravvissuto.
Grazie, grazie per
le recensioni! Sono uno schifo a non poter rispondere ora, lo so, ma è davvero
un periodo no, riesco al massimo a scrivere le storie quando capita! Ma sono
sempre graditissime!