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Autore: eleanor89    14/09/2011    13 recensioni
Questa storia racconta dei Malandrini e di tutte le persone venute a contatto con loro a Hogwarts e negli anni successivi; tanti pezzi di vita che possono avere un significato importante nelle loro esistenze o essere episodi di normale quotidianità.
Avanti e indietro nel tempo, momenti di gioia e di dolore: ecco a voi una lunatica e pessimista Lily Evans, Un Frank Longbottom calmo e che non si lascia influenzare dai suoi pazzi amici, una Alice sportiva e dura, una Mary McDonald civettuola e allegra, e naturalmente Severus Snape, Regulus Black, i Lovegood, tutto l'Ordine della Fenice, compresi i magnifici Prewett, la spaventosa Dorcas, e tanti altri ancora.
Ultimo capitolo: Come Alice soprannominò James "Capitano": "James individua Alice da sola il giorno dopo Natale e pensa che avrebbe preferito non aver stampato sulla fronte il segno di una delle pantofole pelose di Remus, che Sirius gli ha lanciato quando ha ripreso a cantare. Le pantofole sono state trasfigurate da lui – ed è abbastanza sicuro che Remus le preferisca così – ed è ingiusto che siano state usate per tentare di stroncare la sua futura carriera."
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '70's students.'
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Rimorsi, rimpianti, risoluzioni e ritorni [1993-1994]

 

 

 

Sirius allargò le braccia e lasciò che il vento gli schiaffeggiasse il viso, scoppiando a ridere perché James aveva cominciato a urlare: «TIENIMI! TIENITI A ME, STUPIDO CANE!»

Lui fu tentato di lasciarsi andare del tutto smettendo di stringersi alla moto con le gambe, giusto per far spaventare l’amico un po’ di più.

«COSA È ANDATO STORTO NELLA TUA TESTA?» protestò James, mai tranquillo quando era alla guida della moto, ma ora stava ridendo anche lui e Sirius sollevò le braccia verso il cielo.

«TU NON PUOI FARMI QUESTA DOMANDA, MISTER EVANS!» urlò, sovrastando il rumore del vento.

La faccia di James gli sorrise, o per meglio dire ghignò, dallo specchietto e lui si svegliò con il viso davvero schiaffeggiato dal vento: quello che tirava a Hogwarts.

Oh, Prongs avrebbe adorato il pensiero di lui che spaventava a morte gli studenti, facendoli temere che sarebbe sbucato da un angolo buio di qualche corridoio da un momento all’altro; ironia della sorte l’avevano anche fatto assieme ai loro tempi, anche senza mettere il mantello perché tutti avevano persino più paura se sapevano che erano loro due quelli di cui si dovevano preoccupare quando se ne andavano in giro per la scuola, solo che ora ovviamente era soltanto lui, e, sempre ovviamente, non era più divertente dato che quei bambini avevano davvero il terrore di essere ammazzati dal già pluriomicida Sirius Black, l’uomo che aveva causato la morte dei Potter e Pettigrew.

Magari fosse stato vero, magari avesse davvero ucciso quel ratto.

Era lì per rimediare ora, mangiando quello che il brutto gatto rossiccio gli portava, specialmente i topi perché sarebbero potuti essere Wormtail. 

Padfoot abbassò il muso, tentando di proteggersi dal vento freddo con le zampe; no, non era divertente starsene a gelare fuori, ormai pelle e ossa, mentre il vero traditore dormiva nella camera di Harry. Non era divertente essere davvero la paura che dava forma al molliccio di quegli studenti, il mostro spaventoso che le mamme usavano per minacciare i bambini se non facevano i bravi essere l’uomo che Remus chiamava “Black” con lo stesso tono che in passato aveva usato per i suoi consanguinei.

L’aveva sentito dirlo e, malgrado non fosse razionalmente una sorpresa per un milione di motivi che lo giustificavano, un’altra parte di lui era di nuovo morta. In qualche modo era certo che Remus non avrebbe mai saputo, che sarebbero morti senza che la trappola in cui era cascato fosse scoperta, lontanissimi e immersi nell’odio e nel dolore. Anche se fosse riuscito a uccidere Wormtail dubitava che ci sarebbe stato modo di spiegare tutto al suo vecchio amico.

Anzi, non meritava più di chiamarlo tale, del resto aveva dubitato di lui per primo, si era bevuto tutto ciò che Wormtail gli aveva detto perché era più facile così, sapendo chi era il “nemico”, invece che restare alla cieca.

Forse sarebbe stato Remus ad ucciderlo.

Lui l’avrebbe fatto, al posto suo. Diavolo, lui voleva e stava per farlo, uccidendo il vero traditore. E Remus non gli avrebbe mai dato il tempo di parlare, lo avrebbe eliminato o consegnato al Ministero senza una parola.

E non avrebbe mai saputo.

Questo pensiero lo stava consumando persino più della consapevolezza di essere solo e senza speranza.

Ululò di dolore prima di poterselo impedire; il pianto del cane pazzo che era.

 

Quando Remus salì sul treno per Hogwarts qualche mese prima, stringendo la valigia come se ne andasse della sua vita, si disse che era molto calmo e che poteva affrontare tutto quello che lo aspettava.

Trovò uno scompartimento vuoto e sobbalzò quando chiuse la porta un po’ troppo bruscamente, prendendo poi un respiro profondo per rallentate il battito cardiaco.

Sono calmo, sono perfettamente calmo, ribadì mentalmente, tentando di ignorare la tanto forte quanto spaventosa sensazione di essere di nuovo diretto a Hogwarts come studente.

Il pensiero che fosse la prima volta che viaggiava nell’Hogwarts Express da solo non lo aiutò affatto.

Viaggi da solo da quando avevi vent’anni, stai calmo. Va tutto bene. Sei un uomo, non un ragazzino.

La sua voce mentale suonava un po’ come quella di Frank adesso, rassicurante e adulta, e questo servì davvero a calmarlo; si sedette accanto al finestrino dopo aver sistemato il bagaglio e si sentì soddisfatto del risultato ottenuto.

Gli studenti cominciarono a passare per i corridoi in cerca di scompartimenti liberi e una ragazzina bionda, apparentemente decisa a sedersi nel suo, cambiò direzione appena lo vide. Era naturale che non volesse passare il suo viaggio accanto a un professore e Remus quasi sorrise: non era poi cambiato molto.

Il treno finalmente partì e lui appoggiò la testa al finestrino, ascoltando distrattamente le voci dei ragazzini che si allontanavano.

Chiuse gli occhi, stanco dall’ultima luna piena e pensando di approfittarne per riposare, e inevitabilmente cominciò a ripetersi mentalmente cosa dire durante la prima lezione, finché non sentì una voce di ragazzina fuori dalla porta dire: «Questo è libero!»

«Arriviamo! Harry, dai!»

Harry.

Se c’era una cosa a cui non era preparato era trovarselo davanti già sul treno; era stupido da parte sua, non aveva accettato il lavoro a cuor leggero: era il suo desiderio di vedere il piccolo Harry che aveva vinto la sua paura e sapeva che lo avrebbe visto visto al castello, così simile ad entrambi i suoi genitori se era rimasto come se lo ricordava.

L’aveva visto molti anni prima, fingendosi un barbone: il fantasma vivente di James che si dondolava sulla stessa altalena in cui aveva parlato per l’ultima volta con Alice. Solo e triste che guardava una madre giocare con un bambino piccolo, finché un gruppo di altri bambini non aveva cominciato a dargli la caccia e lui li aveva fatti inciampare con un movimento di bacchetta e aveva capito che non poteva più vederlo, non senza trattenersi dal parlare con lui e magari anche trascinarlo via da Privet Drive e tenerlo con sé.

Aveva deciso di salire sul treno per prendere tempo e prepararsi a vederlo, ripetendosi con calma e razionalità che Harry era solo uno studente come tanti altri ora e cose simili e confondendo il cuore con la ragione, qualcosa a cui si era amaramente dovuto abituare.

Non si aspettava certo che per un orribile scherzo del destino si sedesse nel suo stesso scompartimento. Aveva di sicuro ereditato il tempismo dei suoi genitori oltre all’aspetto di James.

Finse di dormire. Fu un riflesso istantaneo; Remus si diede del vigliacco ma non aprì comunque gli occhi.

«Secondo voi chi è?» domandò una voce maschile, la stessa che aveva chiamato Harry.

«Il professor R. J. Lupin.» sussurrò una voce femminile.

«Come fai a saperlo?»

«C’è scritto sulla valigia.»

Remus si trattenne dallo stringere i pugni e continuò a mantenere i suoi respiri profondi: la valigia che gli avevano regalato James e Lily quando ancora lo mantenevano, perché gli era impossibile trovare un lavoro essendo un lupo mannaro. Le sue iniziali erano placcate in oro e ricordava ancora James che diceva che non era poi così diverso da ricevere un boccino e che poteva anche evitare di cercare di non accettarla perché altrimenti lo avrebbe lasciato nelle mani di Lily, che era già pronta a fargli la ramanzina. Ricordava lei, che aveva le mani intorno ai fianchi e l’aria che lui ormai conosceva benissimo, quella che assumeva sempre prima di sgridare qualcuno.

“È il tuo compleanno.”

“Non è vero.”

“Non oggi, ma lo sarà. Tu l’accetti, fine del discorso. Altrimenti poi, quando comincerai a lavorare, non sembrerai una persona seria. E non disturbarti a dire che non troverai lavoro, okay? Mi stai irritando e sai cosa succede quando qualcuno lo fa. Poi aveva sorriso, “Accetta, dai. Con tutto il nostro amore.”

“Con tutto il suo amore,” aveva fatto eco James, sghignazzando quando la moglie gli aveva dato una pacca sul sedere per scacciarlo. La famigliola felice.

I suoi ricordi furono bruscamente interrotti quando qualcuno nominò quella persona.

Il traditore era evaso da Azkaban ed era l’unico motivo per cui lui era tornato e aveva deciso di chiedere a Dumbledore la cattedra, essendo l’unico che conosceva gli stessi passaggi segreti e che poteva combatterlo dall’interno.

L’avrebbe ucciso.

Se mai Black avesse osato avvicinarsi a Harry, al povero innocente orfano che aveva perso tutto a causa sua – esattamente come lui, esattamente come la madre di Peter – Remus sarebbe stato pronto ad accoglierlo.

Certo, una parte di lui gridava di dolore ogni secondo, ma l’altra era assetata di sangue.

La voce continuò a parlare e Remus capì che era Harry e che dopotutto non somigliava così tanto a James. Non la sua voce, almeno, forse anche per via del tono serissimo.

Non sapeva cosa si stava aspettando di sentire, in ogni caso, non era come se Harry fosse il gemello di James, però

«Non andare in cerca di guai, Harry…» lo pregò la ragazzina.

«Non vado in cerca di guai. Di solito sono i guai che trovano me» ribatté lui, irritato.

Questo lo rendeva definitivamente diverso dai suoi genitori, a meno che non stesse mentendo. Per un istante Remus ne fu deluso, poi incredibilmente sollevato: forse non somigliava più tanto a nessuno dei due e questo lo avrebbe salvato da parecchio dolore.

«Non si sa come è riuscito a fuggire da Azkaban, nessuno c’era mai riuscito prima. Ed era anche un sorvegliato speciale»

Che c’entrasse il suo essere animagus? Remus non poté fare a meno di pensare, ancora una volta, che se fosse riuscito a fuggire perché in grado di trasformarsi in cane, allora era stata colpa sua.

Improvvisamente udì un fischio fastidioso provenire dall’alto e i ragazzi cominciarono ad armeggiare con i bagagli finché la ragazzina non domandò: «Quello non è uno Spioscopio?»

Se era vero, c’era un qualche pericolo vicino e Remus combatté con se stesso per non rivelar loro che era sveglio e che li ascoltava.

«Rimettilo nel baule o lo sveglieremo» disse Harry e poco dopo cominciarono a parlare di Hogsmeade e Remus si ritrovò a combattere, invece che contro l’istinto di irrigidirsi, contro il rischio di addormentarsi davvero e di sognare Hogsmeade: non sarebbe stata la prima volta, un incubo in cui Black era lì e li uccideva o un sogno, peggiore, in cui erano tutti vivi e felici e che al risveglio gli faceva desiderare di essere lui quello morto.

«Sì, che bello. Poi mi racconterete.»

«Che vuoi dire?»

«Non posso venire, i Dursley non mi hanno firmato il permesso e nemmeno Fudge.»

Petunia.

Era scontato che lei non gli avesse firmato il permesso, quando mai avrebbe fatto qualcosa per rendere felice qualcuno con lo stesso sangue di Lily? Ma era assurdo, orribile il pensiero che non fosse più che gentile e dolce con Harry, del resto era l’unica madre che lui avrebbe mai potuto ricordare…. Remus cercò di deviare subito i pensieri da lì, dicendosi che comunque Dumbledore non avrebbe mai permesso che Harry non fosse trattato con i guanti da quelle persone, per qualunque motivo lo avesse mandato a vivere con loro, e che ci doveva essere un qualche motivo valido per il mancato permesso, forse la paura che gli capitasse qualcosa. Del resto, che Petunia fosse gelosa o meno di Lily, era alquanto ridicolo saltare sull’attenti e pensare che se la fosse presa con un bambino o che Dumbledore non avesse mai mandato nessuno a controllare che non lo trattasse come trattava Lily.

«Non hai il permesso di venire? Ma... insomma... la McGonagall te lo darà, o qualcun altro...»

Ci fu una risatina cupa e Remus pensò che quello non sarebbe mai successo. Ron, se aveva capito bene il nome, si stava illudendo.

«...oppure possiamo chiedere a Fred e George, loro conoscono tutti i passaggi segreti che portano fuori dal castello...»

«Ron! Non credo che Harry dovrebbe sgattaiolare fuori dalla scuola con Black in libertà...»

E, come lui temeva, il discorso cadde di nuovo su Black. Del resto era colpa sua se Harry non era libero di andare dove voleva, tra le altre cose, e lui ebbe il tempo di constatare ancora una volta come le voci dei bambini fossero spaventate nel nominarlo, quasi come se si parlasse di Voldemort o di Bellatrix. Quello che Black aveva sempre odiato di più: l’essere paragonato a sua cugina.

Del resto se lo meritava.

«Non far uscire quella cosa!» esclamò Ron in tono preoccupato.

Un attimo dopo ci fu del movimento e delle proteste e lui si mosse, facendo piombare il silenzio e notando finalmente un miagolio che doveva essere l’origine del caos. Restò fermo ad aspettare che tutto si calmasse e si perse nei suoi pensieri.

Si addormentò e, ovviamente, sognò James. James che era seduto accanto a lui sul treno e parlava di cioccorane, con Sirius che invece stava istruendo Peter sulla sua moto.

A Peter mancava un dito.

«Mi scusi… professore…»

Tenne gli occhi serrati e sentì la voce della donna che portava i dolci dire che l’avrebbe trovata dal macchinista.
«Ma dorme?» sussurrò Ron. «Voglio dire, non è morto, vero?»

Si chiese quanto baccano avessero fatto esattamente e poi si addormentò di nuovo quasi di colpo.

Stavolta sognò Lily che stava seduta accanto a lui sui gradini di Hogwarts, e la sua valigia era già tra loro. Lei gli sorrise, sfiorandola con le dita.

«Ti avevo detto che ne avresti avuto bisogno.»

«Hai sempre ragione» convenne lui.

Lily lo guardò con gli occhi verdi scintillanti: «Prenditene cura, va bene? Sono felice se so che sei con lui.»

«Con lui?» ripeté Remus, e poi si svegliò di nuovo.

Stavolta non desiderò di essere morto per ricongiungersi a James, Lily e il passato, perché non ne ebbe il tempo; una voce che gli diede istintivamente fastidio portando con sé qualche ricordo indecifrabile stava parlando con i suoi ragazzi.

«Ho sentito dire che finalmente tuo padre ha messo le mani su un po' di soldi, Weasley. Tua madre ci è rimasta secca dalla meraviglia?»

Qualcosa cadde a terra e Remus poté sentire quasi fisicamente che stava per esserci uno scontro, così grugnì, fingendo ancora di dormire e sperando che bastasse.

«E quello chi è?»

«Un nuovo insegnante» rispose Harry, il ragazzo che sarebbe dovuto essere quasi un figlio per lui, e Remus si odiò per non esserci stato, per non esserci potuto essere. L’avrebbe dovuto chiamare zio Remus, se tutto fosse andato come doveva.

«Che cosa stavi dicendo, Malfoy?»

“Malfoy”, questo spiegava tutto.

«Andiamo» disse Malfoy a qualcuno.

Qualche secondo dopo Ron commentò: «Non ho intenzione di farmi insultare da Malfoy quest'anno. Nessuna intenzione. Se fa un'altra battuta sulla mia famiglia, gli prendo la testa e...»

«Ron» sibilò la ragazzina, di cui non aveva ancora afferrato il nome. «Attento

Non riuscì più ad addormentarsi e ascoltò il tempo peggiorare e il chiacchiericcio dei ragazzi – Remus non voleva pensare al fatto che li aveva già chiamati mentalmente “suoi ragazzi”, perché tutto avrebbe preso una brutta piega – finché il treno non rallentò e le luci si spensero.

Aprì gli occhi di scatto senza poter ovviamente vedere nulla. Non poteva essere Black, per il semplice fatto che non era così stupido, quindi doveva essere i Dissennatori a guardia di Hogwarts che facevano di testa loro.

O Mangiamorte.

Pensò di stare diventando peggio del vecchio Moody, a pensare ai Mangiamorte al primo rumore.

«C'è qualcosa che si muove laggiù» disse Ron. «Credo che qualcuno stia salendo...»

La porta dello scompartimento si aprì all’improvviso e Remus mise mano alla bacchetta, ormai all’erta. Ci fu un po’ di trambusto, e poi Harry disse: «Ciao Neville.»

E Remus pensò davvero che sarebbe crollato.

Come aveva potuto non pensare a Neville, al fatto che avrebbe visto anche lui, e con lui anche i fantasmi di Alice e Frank, vivi solo per errore? E Harry e Neville si conoscevano ovviamente, ma dubitava che fossero i fratelli che sarebbero diventati se le cose fossero andate nel modo giusto.

Si pentì, per l’ennesima volta, di aver accettato: non voleva vedere un Harry diverso da come lo immaginava, non voleva vedere lui e Neville essere solo amici, e neanche tanto stretti se seduti in scompartimenti diversi, non voleva andare a Hogwarts e non trovarci i Malandrini e Lily, Alice e Frank…

Ma doveva difendere Harry da Black.

Ricominciò il trambusto proprio quando Remus si rese conto della presenza di un rumore di fondo che col suo udito da licantropo aveva potuto udire prima degli altri.

Doveva difendere Harry a costo della sua vita.

«Silenzio!» ordinò. Tutti smisero di parlare nello stesso momento e lui evocò delle fiammelle con la sua bacchetta per illuminarsi la strada ed evitò accuratamente di guardare Harry, puntando alla porta che però si aprì da sola.

Un Dissennatore.

Non lo fece sentire particolarmente male, tutta la sua vita era un Dissennatore che l’aveva ingoiato a vent’anni, ma lo colse il freddo e la voce di Alice: “James, Lily e Peter sono morti!”

E, prevedibilmente, il Dissennatore puntò con precisione a Harry, che era alla sua sinistra, e un’altra ventata di gelo si impadronì di lui. Durò solo un istante e poi Harry, il cielo soltanto sapeva cos’avesse vissuto, cosa ricordasse, svenne di colpo e le ragazzine strillarono mentre Ron, capelli rossi e aria terrorizzata, si chinava verso di lui per proteggerlo. Abbassò lo sguardo per non sbattergli contro e lo scavalcò, cercando di ignorare quella che sembrava essere una somiglianza con James in grado di spezzargli il cuore e pregando che fosse solo la sua impressione dovuta alla luce. I pensieri più neri lo stavano già cogliendo, nonostante tutto.

«No…» mormorò Neville con un filo di voce, con aggrappata a sé una bambina dai lunghi capelli rossi che era rimasta rigida come impietrita.

«Tom?» la sentì sussurrare, così piano che fu certo di essere l’unico. Si chiese che memorie avesse lei e poi alzò la bacchetta.

«Nessuno di noi tiene nascosto Sirius Black sotto il mantello. Vai via'» ordinò, e fu strano pronunciare il nome di Black ancora una volta. Gli lasciò l’amaro in bocca e non poté fare a meno di domandarsi, odiandosi per questo, cosa lui avesse provato tutti quegli anni ad Azkaban. Non c’era gioia in quel pensiero e, lungi dal pensare di essere una brava persona per questo, ebbe disgusto di sé, incapace di odiare completamente l’assassino di James, Lily e Peter. O meglio, odiava l’assassino, ma ogni tanto nei suoi sogni faceva capolino il ragazzo spaventato all’idea di essere considerato un Black, quello che lo guardava timidamente in attesa del suo perdono dopo lo scherzo della Stamberga a Snape che, con senno di poi, era solo la prova di quello che era in grado di fare.

Il Dissennatore lo ignorò e Remus si concentrò sull’immagine di Lily che sorrideva e gli affidava Harry, anche se solo in un sogno: «Expecto Patronus.»

Per un attimo pensò che non avrebbe funzionato, aveva avuto problemi per anni coi Patronus dopo il trentun’ottobre dell’ottantuno, ma il familiare lupo argentato, presa in giro da parte della sua stessa anima, scacciò il patronus.

«È morto?» sussurrò Ron da terra.

Quasi gli scese un colpo mentre si voltava di scatto verso Harry, che aveva smesso di agitarsi; si rese conto che il ragazzo parlava del Dissennatore.

«No, Ron, è stato solo scacciato via.»

E finalmente vide anche l’amica di Harry, una ragazzina con i capelli molto crespi e al momento pallida e spaventata. «Come si sente Harry? È sveglio?»

«No, è ancora svenuto, non lo vedi?» ribatté seccamente Ron. A Remus sembrò anche lui molto spaventato e ne ebbe pena, ma non ebbe il tempo di dire nulla perché il ragazzino trasalì: «Ginny?»

Si voltò e vide la bambina dai capelli rossi che si accasciava contro il sedile, tremando come una foglia. Doveva esserle capitato qualcosa di oltremodo orribile per una simile reazione alla sola presenza del Dissennatore, dopo che lui aveva ignorato tutti per andare verso Harry. Stessa cosa valeva per Neville a giudicare dalla sua faccia, ma in quel caso sapeva cosa lui stesse ricordando.

«Hermione!» protestò Ron e Remus la vide già china su Harry, occupata a dargli qualche debole schiaffo.

Le luci si riaccesero, il treno partì, e il sorriso che offriva a Ron per rassicurarlo morì nel momento in cui notò quanto davvero somigliasse a James. Neville gli andò accanto ed ebbe modo di vederlo bene, capelli biondi e viso di Alice, e temette di seguire Harry nell’incoscienza.

Non era giusto. 

Doveva essere forte, si disse.

«C-che cosa?» mormorò Harry, e aprì gli occhi.

Ogni precedente pensiero su Neville, sulla somiglianza tra Harry e James, sulla loro mancata amicizia e anche la preoccupazione per Ginny che non si muoveva svanì.

Gli occhi di Lily lo fissarono dopo tanti anni.

Quando Harry aggiustò gli occhiali sul suo naso, vide che era il perfetto miscuglio tra i due, persino nella sua espressione da James appena sveglio.

«Stai bene?» gli chiese Ron nervosamente.

«Sì. Che cosa è successo? Dov'è quella... quella cosa? Chi è stato a urlare?»

«Nessuno ha urlato…» disse Ron, chiaramente preoccupato per la sua salute mentale.

Remus gelò, invece. E poi, per distrarsi e per aiutarlo, cercò il cioccolato che teneva sempre in tasca.

Cosa aveva ricordato esattamente?

Non poteva essere quello, non dopo tutti quegli anni, dopotutto lui ne aveva poco più d’uno…  

«Ma io ho sentito gridare...»

Tagliò un grosso pezzo di cioccolato per Harry e glielo offrì. Lui prese il cioccolato e lo fissò, spaventandolo a morte.

Non poteva ricordare anche lui, era ridicolo che gli saltasse in mente una cosa simile, ma al tempo stesso cominciò a offrire il cioccolato a tutti per evitarne gli occhi.

Dopo anni passato a sognare Lily e James che gli sorridevano, vederli nel loro figlio gli dava l’impressione di esserne giudicato e accusato.

«Che cos’era quella cosa?» domandò in tono quasi d’accusa. Gli ricordava Lily, di già, e pensò di nuovo che sarebbe stato un anno lunghissimo.

«Un Dissennatore. Uno dei Dissennatori di Azkaban.»

Tutti lo guardarono ma non commentarono.

«Mangiate» ripeté e guardò di nuovo Harry per un momento, la sua espressione corrucciata mentre registrava le nuove informazioni.

Era come avere James e Lily lì, a dirgli che avrebbe potuto anche salvarli. Ma era anche il piccolo fagottino che aveva tenuto in braccio così poche volte, il bambino che stava sempre solo e triste mentre gli altri giocavano, cresciuto in un ragazzino che sveniva alla vista di un Dissennatore, tanto la sua vita era stata dura e piena di sofferenza.

Non riusciva più a guardarlo.

 «Vi farà bene. Devo andare a parlare col macchinista, scusate...»

Si affrettò ad uscire e a rifugiarsi nel primo bagno disponibile, come se fosse un ragazzino. Poggiò una mano al muro per sostenersi e si portò l’altra al petto, dove il cuore batteva fortissimo.

Non era giusto per nessuno dei due. Doveva riuscire a vedere Harry come una persona a sé, non come quello che sarebbe dovuto essere, e doveva trattarlo come un qualsiasi studente. Doveva ignorare il dolore e lui era bravo in questo.

Tornò indietro e notò che nessuno aveva ancora mangiato il cioccolato, occupati tutti a parlare di quello che era appena successo.

Sperò che nessuno notasse che ci aveva messo troppo poco tempo per essere davvero andato a parlare col macchinista, ma a parte una lunga occhiata di Hermione nessuno lo guardò storto.

«Non ho messo veleno in quel cioccolato, sapete…»

Harry lo morse e subito il suo viso si addolcì mentre gustava la barretta. Anche il cuore di Remus lo fece, e di colpo il dolore, non solo quello alla vista di Harry ma tutto il bagaglio di dolore che portava con sé da sempre, si attenuò, e soltanto perché quel ragazzino aveva quasi sorriso dopo il primo morso, nonostante questo lo avesse fatto somigliare un po’ di più a entrambi i suoi genitori, occhi meno tristi, viso meno da bambino adulto.

«Saremo a Hogwarts tra dieci minuti» disse Remus, notando il panorama. «Stai bene, Harry?»

Harry lo guardò, arrossendo leggermente, «Sì.»

Tutti ricominciarono a chiacchierare, anche se provati dalla piccola avventura, e Harry gli lanciò ancora qualche occhiata ancora imbarazzata di tanto in tanto. Alla fine gli donò addirittura un mezzo sorriso, per pura educazione di sicuro, che gli illuminò gli occhi, e ogni dubbio di Remus svanì.

Era la prima volta che Harry gli sorrideva da dodici anni, e si rese conto che di colpo, all’improvviso, anche lui stava bene.

 

Ovviamente il sentimento non durò a lungo, con Black a spasso per Hogwarts. Remus passò mesi combattuto tra i sensi di colpa per quello che aveva combinato quando era ancora uno studente, il conseguente desiderio di dire a Dumbledore tutto a proposito di passaggi segreti e animagus e quello di tenere tutto per sé e non deludere l’uomo che gli aveva permesso di avere una vita quasi normale.

Quella sera si sentiva ancora peggio del solito con la mappa del Malandrino in mano, il simbolo dei loro misfatti, ma ignorò il desiderio di lanciarla via per poter tenere d’occhio i ragazzi, che sapeva sarebbero andati da Hagrid. Era tipico di loro, aveva imparato a conoscerli abbastanza bene da aspettarsi qualsiasi atto eroico da parte loro, fosse anche per salvare un Ippogrifo.

E infatti eccoli lì, uscire dalla capanna di Hagrid…

Remus si sentì gelare e dovette reggersi alla cattedra con tutte le sue forze per non lasciare che i capogiri lo trascinassero a terra.

“La mappa non mente mai, la mappa non mente mai, la mappa non mente mai...

La voce portatrice di guai di James partì come un disco rotto nella sua testa e tutta la sua calma e razionalità svanirono come se non fossero mai esistite. Il cuore gli rimbombava forte nelle orecchie e tutto tremava, compreso lui.

Peter Pettigrew.

Accanto a Ron Weasley, per la precisione sopra Ron Weasley mentre loro camminavano.

È morto. Tutto questo non ha senso.

Ma la mappa non mente mai.

È morto!

Come può essere sopra Ron?

C’è un qualche errore nella mappa! Deve esserci!

L’unica cosa viva che Ron ha sempre con sé è il suo

La scritta Sirius Black entrò a far parte del suo campo visivo e si mosse velocissima verso Ron Weasley. I nomi si scontrarono e un attimo dopo il nome di Ron fu trascinato via, seguito da quelli di Harry ed Hermione, verso il Platano Picchiatore.

Remus scattò un secondo dopo, dimenticando il resto del mondo. Dimenticando che notte era quella.

 

Sirius quasi sorrise alla vista di Harry, prima di disarmarlo. Lo fissò: non lo conosceva, forse non l’avrebbe mai conosciuto, ma già sapeva che doveva essere come suo padre. Gli si riaccese la speranza, perché magari le cose si sarebbero sistemate, se Harry avesse avuto la presenza di spirito di chiamare qualcuno, sarebbe andato bene persino Remus, e lui avrebbe potuto mostrare che Wormtail era stato lì tutto il tempo.

«Ero sicuro che saresti venuto ad aiutare il tuo amico. Tuo padre avrebbe fatto lo stesso per me. Sei stato coraggioso a non andare a chiamare un insegnante. Te ne sono grato... questo renderà le cose molto più semplici...»

Harry sembrò impietrito per un momento e poi quasi scattò avanti, immobilizzato dai suoi amici, e Sirius si rese conto che le cose non sarebbero state così facili.

Il ragazzo, Ron Weasley, si mosse nonostante la gamba spezzata e lo guardò con odio, tirandosi quasi in piedi.

«Se vuoi uccidere Harry, dovrai uccidere anche noi!»

Oscillò leggermente e Sirius sentì un fremito: parole che uno qualsiasi dei suoi amici del passato avrebbe potuto dire, con la stessa fierezza, ma non a tredici anni. Ron era un po’ come era stato lui, era il Padfoot di Harry, ma ancora più coraggioso e lui si pentì ancora di più di avergli fatto del male complicando le cose.

«Stenditi.» disse piano. «Hai la gamba rotta.»

«Mi hai sentito? Dovrai ucciderci tutti e tre!»

Qualcosa avvampò dentro Sirius: uccidere, era quello il suo scopo. Finalmente, dopo tanti anni…

«Qui morirà una sola persona questa notte» ghignò lui, ma l’euforia si spense quando Harry cominciò a urlare e tentare di divincolarsi.

«Perché? L'ultima volta non ci hai badato, vero? Non ti è importato niente di uccidere tutti quei Babbani per arrivare a Pettigrew... che cosa succede, Azkaban ti ha rammollito?»

«Harry!» strillò la ragazza, se non sbagliava il suo nome era Hermione ed era la proprietaria del gatto. «Stai zitto!»

«HA UCCISO MIA MADRE E MIO PADRE!» ruggì Harry.

L’aveva fatto eccome, credendo in Wormtail e non in Remus, convinto di essere davvero intelligente con quel suo piano di scambiare Custode Segreto, condannando James e Lily.

Pensò di meritare la morte e sentì il freddo di Azkaban tornare ad avvolgerlo, perché era qualcosa che non lasciava mai del tutto, e si sarebbe lasciato uccidere se non fosse stato per il gesto estremamente pazzo di Harry di lanciarglisi contro alla babbana. Un’azione così degna di sua madre, così stupida e meravigliosamente familiare, che lui si riscosse e realizzò che no, doveva uccidere Wormtail.

Poi gli arrivò un colpo in testa e finirono entrambi a terra.

Devo uccidere Wormtail, cantilenò la sua stessa voce nella sua mente, mentre tentava di liberarsi di Harry senza fargli troppo male. Lo dovette prendere al collo perché lui diminuisse la presa e pensò a come toglierlo di mezzo e uccidere il ratto senza più essere interrotto, quando fu la ragazza a tirargli un calcio e lui fu costretto a lasciarlo andare di colpo. Anche Ron gli saltò addosso per prendergli le bacchette.

Il gatto rossiccio intervenne in suo aiuto giusto in tempo, regalandogli un altro attacco di nostalgia al pensiero di Pluffa, il gatto dei Potter, ma stavolta non fu abbastanza da dargli altre forze, dopo mesi che quasi non mangiava ed essere stato colpito da tutti e tre.

Harry si avvicinò lentamente e gli parve di avere di nuovo davanti una delle allucinazioni di Azkaban, il James immerso nell’ombra che lo torturava ogni giorno; stavolta però era tutto vero.

«Vuoi uccidermi, Harry?» sussurrò. Non farlo, non rovinarti per me…

«Hai ucciso i miei genitori» disse Harry con voce appena tremante, ma la mano che reggeva la bacchetta rimase immobile.

«Non lo nego. Ma se sapessi com'è andata...»

«Com'è andata?» ripeté Harry, arrossendo di rabbia, «Tu li hai venduti a Voldemort, è tutto quello che devo sapere!»

La sua mente tornò di nuovo a Wormtail: «Devi ascoltarmi» lo pregò. «Altrimenti lo rimpiangerai... non capisci...»

«Capisco molte più cose di quello che credi tu» ribatté Harry furiosamente. «Non l'hai mai sentita, vero? Mia madre... che cerca di impedire a Voldemort di uccidermi... e sei stato tu... sei stato tu...»

Sirius aprì la bocca ma sapeva che non sarebbe riuscito a parlare: l’immagine di Lily che implorava pietà per suo figlio gli riempì la mente, la vide davanti a sé, gli occhi di Harry che erano i suoi, che lo accusava per la sua orribile morte. Non sapeva come le cose fossero andate quella notte ed aveva sempre pensato che l’ignoranza fosse ancora peggiore, ma forse non era così, perché immaginarla in quel modo, sentire suo figlio che…

Un peso gli precipitò letteralmente sul petto e Sirius abbassò lo sguardo sul gatto, che ancora si dava da fare per difenderlo. Era riuscito a parlarci, più o meno, nella sua forma canina, e sembrava fosse coraggioso quanto la padrona.

Harry guardò il gatto e poi lui e Sirius vide i muscoli della sua mascella irrigidirsi, gli occhi farsi freddi, e la sua mano sollevare la bacchetta.

Non lo fece.

Giunse un rumore dall’esterno ed Hermione cominciò ad urlare e a chiedere aiuto.

Fa che sia la McGonagall, fa che sia lei e mi dia tempo di dire qualcosa, qualsiasi cosa…

Era Remus. Sarebbe stato ucciso da Remus, come temeva. E nessuno avrebbe mai saputo.

«Expelliarmus

Tutte le bacchette saltarono in mano al suo ex amico. Sirius lo guardò e notò improvvisamente che non era solo furioso, era trepidante.

«Dov’è, Sirius?»

Lui si limitò a fissarlo per qualche secondo, con la pelle d’oca. Dov’era chi?

Possibile che lui sapesse? Possibile che per una volta nella sua vita tutto fosse andato bene, che Remus avesse già capito, che tutto stesse per finire?

Lentamente indicò Ron.

«Ma allora… Perché non si è mai rivelato finora? A meno che», Remus sgranò gli occhi e Sirius seppe che aveva capito tutto; anche dopo tutti quegli anni riconosceva ogni suo movimento. «A meno che non fosse lui... a meno che non vi siate scambiati... senza dirmelo?»

Continuò a guardarlo negli occhi, aspettandosi quasi un rimprovero per averlo tenuto all’oscuro di qualcosa, tipico del Remus del passato, e annuì.

«Professore» intervenne Harry ad alta voce, «che cosa...?»

Remus abbassò la bacchetta e si precipitò da lui, senza mai smettere di guardarlo occhi negli occhi, e i suoi erano pieni di un sentimento che Sirius riconobbe dopo tanto; Moony gli afferrò la mano per aiutarlo e poi lo abbracciò stretto.

Sirius per un momento si ritrovò alla porta della cucina di casa Potter, appena fuggito di casa, con Remus che lo abbracciava allo stesso modo per dirgli silenziosamente che c’era, che andava tutto bene, e gli faceva scivolare del cioccolato nella tasca.

 

«NON CI CREDO!» gridò Hermione.

Remus lasciò andare Sirius e la guardò: la ragazzina era fuori di sé e lui si rese conto di come le cose apparissero ai loro occhi.
Harry sembrava a pezzi e quasi sul punto di crollare a terra.

 «Lei... lei...»

«Hermione...»

«... lei e lui!»

«Hermione, calmati...»

«Non l'ho detto a nessuno! Le ho parato le spalle...»

«Hermione, ascoltami, ti prego!» gridò lui, cercando di capire di cosa stesse parlando. «Posso spiegare...»

Harry intervenne, deluso e furioso: «Io le credevo e lei è sempre stato suo amico!»

Con una fitta al cuore, Remus lo corresse: «Ti sbagli! Per dodici anni non sono stato amico di Sirius, ma ora lo sono... lascia che ti spieghi...»

Sentì un enorme pena per Sirius e a malapena riuscì a finire la frase, anche se una piccola parte di lui accusava ancora Sirius per non avergli detto dello scambio. Di sicuro aveva pensato che fosse un piano furbissimo.

«No!» gridò Hermione. «Harry, non credergli, ha aiutato Black a entrare nel castello, anche lui ti vuole morto... è un Lupo Mannaro!»

Remus sentì il sangue lasciargli il viso. Non riusciva ad avercela con lei, ma percepì che Sirius veniva scosso da un tremito a quelle ultime parole. Dopo tutti questi anni…

«Questa volta non sei all'altezza di te stessa, Hermione» disse. «Ne hai azzeccata una su tre, temo. Non ho aiutato Sirius a entrare nel castello e di sicuro non voglio vedere Harry morto...», la sola idea lo fece star male. «Ma non negherò che sono un Lupo Mannaro.»

Ron tentò di alzarsi e ricadde con un gemito. Gli si avvicinò istintivamente, del resto aveva sempre visto un po’ di Sirius nella sua amicizia con Harry e ora finalmente poteva accettare ciò che il suo cuore gli diceva e ammettere di essere legato più a lui che ad altri studenti per questo, ma il ragazzo si ritrasse: «Lontano da me, Lupo Mannaro!»

Cercò di non lasciare che le parole lo ferissero ancora una volta, ma non ci riuscì. Non poteva difendersi da loro tre.

«Da quanto tempo lo sai?»

«Da un secolo» sussurrò Hermione. «Da quando ho fatto il tema per il professor Snape...»

Sirius si irrigidì al suo fianco. Remus gli lanciò un’occhiata, scoprendo che fissava Ron con espressione spaventosa; non che gli venisse difficile, il suo viso, che un tempo era bellissimo, sembrava quasi un teschio ormai, e pareva non aver notato il nome del suo vecchio nemico.

Si sforzò di rispondere ad Hermione, commentando su quanto Snape ne sarebbe stato felice e scoppiò in una risatina forzata.

«Per la tua età, sei la strega più brillante che abbia mai conosciuto, Hermione.»

Vero, del resto Lily, Alice e Mary ci erano arrivate per via delle loro orecchie lunghe, più che per ragionamenti.

«No» sussurrò lei. «Se fossi stata un po' più sveglia, avrei detto a tutti che cosa è lei!»

«Ma lo sanno già» disse Lupin. «Almeno, i miei colleghi lo sanno.»

«Silente l'ha assunta anche se sapeva che era un Lupo Mannaro?» esclamò Ron sbalordito. «Ma è matto?»

«Alcuni colleghi erano di questo avviso» disse lui. «Ha dovuto faticare parecchio per convincere certi insegnanti che sono affidabile...»

«E SI SBAGLIAVA! LEI LO HA SEMPRE AIUTATO!» urlò Harry indicando Sirius; lui andò a gettarsi sul letto, seguito dal gatto di Hermione, e Remus si chiese cosa gli stesse succedendo. «Non ho aiutato Sirius. Se me ne date la possibilità, vi spiegherò. Guardate...» e abbandonò le bacchette, rischiando il tutto per tutto e fidandosi del ragazzo che aveva finalmente imparato a conoscere per quel che era: Harry e solo Harry, con un gran cuore e un’enorme forza di volontà.

 

Sirius aveva retto il più possibile, ascoltando i ragazzi accusare Remus e chiedendosi quanto l’amico stesse soffrendo sotto l’aria quasi imperturbabile. In qualche modo era riuscito in cinque minuti a distruggere tutto quello che l’altro aveva costruito, togliendogli anche l’approvazione di Harry che di certo per lui contava immensamente.

Lo guardò per un momento, badando alla faccia invecchiata, le cicatrici che lo segnavano, la sua espressione ferma, e poi vide la sua faccia di ragazzino, stesso sguardo serio, meno segni sul suo corpo perché loro erano con lui a ogni luna piena; si rese conto di essere alla Stamberga, il loro ritrovo, per la prima volta dopo dodici anni, con Remus accanto a sé e dalla sua parte.

Fu quello il momento in cui il suo cervello realizzò realmente che Remus era . Era con lui, dalla sua parte, era suo amico, non l’avrebbe ucciso, lo stava difendendo, la verità stava venendo a galla, avrebbe eliminato Wormtail e avrebbe avuto una vita, e Remus era lì. Moony era lì…

Sentì le lacrime farsi strada, senza neppure un accenno di risata isterica prima, perché quella veniva fuori spontanea per la vergogna di trovarsi sul punto di mostrarsi così debole, era qualcosa che veniva dalla sua infanzia, ma stavolta c’erano solo le lacrime di sollievo, gioia e anche di paura. Si coprì il viso e si buttò sul letto, desiderando di poter ululare ancora di liberazione e di gratitudine nei confronti di Remus.

Gli altri nel frattempo cominciarono a parlare della mappa; lui tentò di darsi una calmata e di concentrarsi sulla sua meta, anche se sentire Remus dire “Moony” mentre raccontava di loro a Hogwarts minacciò di distruggere di nuovo i suoi tentativi.

«Credi che potrei dare un'occhiata al tuo topo?»

Sirius riprese il controllo e sollevò lo sguardo.

«Che cosa c'entra il mio topo con tutto il resto?»

«Quello non è un topo!» esclamò lui all’improvviso.  

«Che cosa vuol dire... ma certo che è un topo...»

«No che non lo è» disse Remus piano. «È un mago.»

«Un Animagus.» concluse lui, e guardò Harry: «che si chiama Peter Pettigrew

 

Una settimana dopo, un pellicano si fermò sul davanzale della camera d’ostello in cui alloggiava Remus. Il licantropo prese la pergamena che teneva tra le zampe e l’animale gli diede un delicato colpo di becco prima di volar via.

Oi, Moony, tra tre settimane Padfoot ti farà compagnia. Prepara crocchette per cani per due, perché c’è tanto di cui parlare.

Un ippogrifo è meglio di una moto. Lo terrò per sempre. Non posso credere di non averne mai avuto uno!

Padfoot.”

Remus restò immobile a guardare la pergamena, chiedendosi se Sirius fosse così stupido da aver scritto veramente una cosa così frivola nella sua prima lettera dopo dodici anni di lontananza. Poi si ricordò a chi stava pensando e rise da solo.

Trasalì, scioccato, sfiorandosi la bocca con una mano per la sorpresa, e poi si lasciò cadere seduto sul letto, avendo capito che era proprio quella la sua intenzione, mostrargli il vecchio Padfoot e lasciarlo senza parole.

Sorrise, scuotendo la testa.

In così poco tempo… Sirius lo esasperava di nuovo.

 

 

 

 

 

La lettera di Sirius suona volutamente infantile – non è cresciuto e lo sta anche facendo apposta, oltre al fatto che non sa come rapportarsi al nuovo Remus – e Sirius non è l’unico che fa salti mentali ed emozionali assurdi durante la storia perché credo che Remus fosse una persona rotta (e lo sia rimasto in parte) e che sia Harry ad aver dato speranza a lui e Sirius. Del resto è figlio di Lily, la donna che spingeva tutti a essere migliori, e James, l’uomo che univa tutti, oltre ad essere solo Harry, che ha appunto un gran cuore, perciò credo che lui abbia salvato più di una persona da se stessa, oltre a essere la speranza di tutti come bambino sopravvissuto.

Grazie, grazie per le recensioni! Sono uno schifo a non poter rispondere ora, lo so, ma è davvero un periodo no, riesco al massimo a scrivere le storie quando capita! Ma sono sempre graditissime!

   
 
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