MA
TU NON PASSERAI… PERCHE’ SEI AMORE
POV.
CHARLOTTE
Parlano
di te,
le
stelle mentre io cammino
parlano
di te
i fiori
ai bordi della strada
come
una poesia
ascolto
le persone,
tutti
parlano di te, che sei nell’aria
vola un
aereoplano e lascia la sua scia
scrive
in mezzo al cielo il tuo nome in mezzo a un cuore
e
sognare…
per te
che sei, per te che sei
l’unica
cosa che vorrei
per te
che sei…. La mia vita
Era
la mattina del quarto giorno quando un tocco leggero sulla spalla mi svegliò.
Era Teresa. Ci sorridemmo. In quei giorni che eravamo state a stretto contatto
ci eravamo conosciute meglio e avevo avuto così modo di capire del perché mio
padre si fosse innamorato così tanto di lei. Il sole entrava dalla finestra
sulla destra della stanza, e le pareti bianche non facevano altro che
accentuare la sua luce. Sbadigliai e mi stropicciai gli occhi. Inarcai la
schiena per potermi sgranchire, in fin dei conti rimanere tutto il giorno e
tutta la notte sulla stessa sedia nella medesima posizione non era il massimo. Ma
d’altronde se si sta in un ospedale non ci si poteva aspettare di meglio. Come
sempre, dopo quel breve scambio di sguardi, ci voltammo a guardare quel volto
che dormiva placido e sereno sui cuscini candidi. I riccioli biondi sempre
scompigliati erano sparsi sul letto, i lienamente finalmente rilassati, non più
turbati da alcuna preoccupazione. Ogni volta che pensavo ai giorni appena
trascorsi mi veniva da sorridere. Com’era buffo che una vicenda tanto triste e
drammatica potesse finire così bene e con tante novità. La sua mano tra le mie
(ovviamente quando non era tra quelle di Teresa quando io ero a prendere un
caffè al bar del piano di sotto). E pensare che avevo avuto così tanta paura di
perderlo. Ricordo quella notte in cui John il Rosso si arrabbiò perché gli
avevo detto che volevo bene a mio padre. Era per questo che aveva tentato di
ucciderlo. Forse in realtà l’unica cosa che gli era sempre mancata era qualcuno
che gli volesse bene. E com’era buffo che io mi fossi affezzionata in così poco
tempo a lui. Quella volta avevo avuto tanta paura di perderlo. Ricordo di
averlo chiamato, più volte, ma lui non aveva mai risposto. Teresa mi aveva
preso tra le sue braccia e mi aveva cullato finchè non avevo smesso, finchè non
mi ero addormentata sopraffatta dalla stanchezza e dal peso di quella giornata.
La bella notizia ce la diedero i paramedici dell’ambulanza che Hotchner aveva
chiamato. Era ancora vivo. Il proiettile lo aveva colpito al torace, aveva
perso molto sangue, ma era ancora vivo. E notizia ancora più bella, ce la diede
il medico dell’ospedale, quando uscì da quelle porte grigie per dirci che se la
sarebbe cavata. Avrebbe soltanto dovuto aspettare alcuni mesi prima di tornare
a saltare e giocare come un ragazzino. A quell’affermazione io e Teresa ci eravamo
guardate pensando la medesima cosa: non sarebbe servito farlo stare in piedi, a
lui per fare il ragazzino bastava la bocca… e anche le mani. Mi alzai per far
sedere Teresa, che occupò subito il mio posto.
-Perché
non vai a fare un giro?- mi domandò seriamente preoccupata Teresa.
La
guardai ed annuii. Effettivamente fare un po’ di movimento mi avrebbe fatto
bene.
-Okay.
Vado al bar se hai bisogno di me.- le dissi.
Ci
impiegai pochi minuti ad andare di sotto e ordinare un caffè. Bevvi il liquido
scuro che mi riempì subito la bocca del suo sapore dolce ed intenso. Appena lo
finii tornai di sopra. Non riuscivo a stare lontana da quel letto per più di
pochi minuti. Quando entrai però mi fermai sulla soglia a bocca aperta, come
una scema. Lisbon era in piedi, il volto rigato di lacrime e un sorriso di
contentezza dipinto in volto, gli occhi luccicanti dalle lacrime e dalla
felicità, china su Jane; sveglio. Jane mi guardò con quelle sue pozze azzurre,
tranquillo e contento, senza problemi. Sentii il cuore scoppiarmi in petto
dalla felicità. Mi catapultai su di lui. Gli gettai le braccia al collo, stando
attenta a non fargli male dove aveva la ferita. Lo abbracciai forte, per quello
che mi consentiva quell’assurda posizione perlomeno. Sentivo le lacrime di tutti
quei giorni venire a galla e inumidirmi gli occhi. Jane mi strinse a sua volta
affetuoso. Respirai a fondo il suo profumo di cannella. Quando lo guardai stava
sorridendo, come me.
-Iniziavo
a temere che non ti saresti più svegliato.- gli dissi. Lui mise il broncio.
-Bugiarda.
Sapevi che mi ci sarebbe voluto ancora poco tempo. Lo sapevi.- mi disse. Aveva
ragione. In un qualche modo sentivo che non sarebbe mancato molto. Era come se
fossimo collegati con un cavo satellitare.
-Il
medico è già stato qui. Ha detto che se tutto va bene domani potrà uscire.- mi
disse –Così saremo sicuri che non romperai le scatole a tutti gli infermieri
del reparto.- reclamò a lui, da mamma sapiente. Lui sbuffò.
-Oh,
andiamo Lisbon! Non sono poi così insopportabile. Altrimenti non saresti qui.-
fece lui birbacchione. Teresa arrossì vistosamente. Colpita a segno.
Patrick
e io ci guardammo e sorridemmo pensando la stessa cosa.
3
GIORNI DOPO:
POV. LISBON
Passa
il giorno, passano le ore
Passa
il tempo, passa anche il dolore
Passa tutto
ma tu non passerai… Amore....
Gira il
mondo, passa la tempesta
Cambia
il vento e ritorna il sole
Passa
tutto ma tu non passerai
Perché
sei amore… sei amore… sei amore
Erano
le quattro del pomeriggio ed eravamo tutti nel bullpenn. Da quando John il Rosso
era morto tutti i nostri casi successivi parevano delle vere e proprie
bazzecole. Jane si era rimesso ed io ero contentissima. Charlotte ormai passava
più tempo al CBI e con lui che non all’orfanotrofio. Alla fine Jane ne avrebbe
richiesto l’affido e avrebbe fatto bene. Noi tutti lo avremmo appoggiato. In
fondo era una bravissima, buonissima e onestissima persona. Stavo mettendo a
posto l’ufficio quando sentii un po’ di trambusto. Gente che si ammassava nel
bullpenn guardando tutti nello stesso punto. Che cosa diavolo stava combinando
Jane questa volta?
Mi
portai nella stanza adiacente, mischiandomi tra la folla e vidi Jane che aveva
spostato le sedie davanti alla sua scrivania e si era issato in piedi su di
essa. Oddio.
-Jane,
posso chiederti che stai facendo?- gli chiesi, cercando di trattenermi
dall’urlargli dietro.
-Oh,
Lisbon. Giusto in tempo.- fece lui.
Vidi
Charlotte non molto lontano, in prima fila sul lato destro. Incrociò il mio
sguardo; la sua aria era soddisfatta. Qualcosa mi diceva che sapeva cosa stava
per combinare il padre. Jane tossicchiò due volte e tutti fecero silenzio.
-Come
tutti sanno è da ben otto anni che faccio parte di questa meravigliosa squadra
al CBI. E ne sono orgoglioso. Ho saputo mettere a frutto il ‘dono’ che mi è
stato concesso e insieme abbiamo risolto moltissimi casi.- Dono? Da quando Jane definiva il suo un dono? Non l’aveva mai fatto! –Abbiamo
affrontato cose di ogni tipo. Momenti belli, brutti, difficili, traumatici,
divertenti, di paura… eppure, siamo ancora qui. Tutti insieme. Ecco ragazzi io
vi voglio bene. Voglio bene a tutti voi. Non sono bravo ad esprimere i miei
sentimenti, ne tanto meno a parole. Lo ammetto. Sono fortunato ad aver trovato
delle persone come voi, perché delle persone normali probabilmente mi avrebbero
già lasciato per conto mio. Me ne rendo conto di essere stato e di essere
tutt’ora, un irresponsabile, codardo, meschino, sadico e contorto consulente.
Ho fatto scherzi, burle e in certi casi imbrogli a tutti. Ho messo nei guai la
mia squadra e il mio capo. Ed è proprio il mio capo a cui voglio rivolgermi
adesso.- tutti gli sguardi si spostarono su di me. In quel momento avrei tanto
voluto sprofondare, far sì che il pavimento si aprisse a metà e mi
inghiottisse. Lo guardai chiedendogli: che
diavolo stai facendo? –Adesso lo vedrai Lisbon.- mi sorrise. Lo aveva fatto
di nuovo: mi aveva letto nella mente. –Teresa Lisbon ha accettato uno come me a
far parte di una squadra di poliziotti. È stato un atto azzardato visto la
persona che sono. Gliene ho combinato di tutti i colori. Ho risolto casi e
trovato prove in modo molto poco professionale, ho messo nei guai o in pericolo
colleghi, altre persone o lei stessa. L’ho fatta anche sospendere una volta. E
me ne vergogno amaramente. La verità è che sono troppo orgoglioso per
ammetterlo. Ed ogni volta Teresa Lisbon era lì, pronta a difendermi, a
giustificarmi, a tirarmi fuori dai guai. Se non fosse stato per lei non sarei
qui adesso. E continua testarda a provare a mettermi in riga, anche se sa bene
che non ce la farà. E io ti ringrazio per questo Lisbon.- lo sguardo che mi
rivolse, era dolce, da cucciolo; mi si intenerì il cuore… -Ti ringrazio davvero
molto. Mi hai accettato con tutti i miei difetti e i miei pochi pregi. Hai
sempre minacciato di spararmi e non l’hai mai fatto sebbene ti abbia dato molti
motivi per farlo. E malgrado tutto, continui a tenermi con te. Mi sostieni. Mi
ascolti. E se sono nei guai, se qualcuno sta per uccidermi tu arrivi sempre.
Teresa io non sto facendo questo discorso perché la pallottola che mi ha
colpito mi ha dato di matto al cervello. E non sono ammattito o insavito di
colpo. Semplicemente sto cercando di dirti che ti voglio bene, che voglio
continuare a volerti bene e che se avrai bisogno di me ci sarò sempre. Che
manterrò la promessa che ti ho fatto.- scese dal tavolo e si mise di fronte a
me –Ti salverò sempre.- stavo per piangere, il cuore batteva talmente forte che
i miei polmoni avevano perso il ritmo; non riuscivo più a respirare –Teresa
quello che in verità sto cercando di dirti è… è che… - sembrava sempre più
vicino - …è che ti amo.- ora potevo morire. Invece, d’un tratto, come d’incanto
ricominciai a respirare. Poi lo vidi inginocchiarsi davanti a me e prendermi la
mano. Oh, no! Non è possibile! Non può
star succedendo proprio a me! –E’ così Lisbon, sta succedendo proprio a te.
E continuerà a succedere, tutte le volte che vorrai.- le sue parole, il suo
sguardo; stavo per andare in iperventilazione –Teresa Lisbon, vuoi sposarmi?-
ero pietrificata, imbambolata, silenzio. La testa completamente vuota, e non
pensavo a niente. Dovevo pensare, me lo stavo imponendo, ma non potevo, non lo
stavo facendo; semplicemente perché non ce ne era bisogno.
-Sì…
- titubante –Sì, Patrick Jane! Voglio sposarti!- e Dio solo lo sa quanto lo
volevo.
Lui
si alzò regalandomi quel sorriso raggiante di felicità che a me piaceva tanto.
Gli sorrisi anche io, come avrei voluto fare da tempo, come non avevo mai
fatto. Gli gettai le braccia al collo, lui mi prese la vita e mi fece fare una
piroetta. Anche Charlotte stava sorridendo, felice e orgogliosa. Il bacio fu
improvviso, ma molto dolce anche se breve. Tutti applaudirono e qualcuno
fischiò. La mia squadra era in prima fila. Alla fine, avevamo battuto sul tempo
Rigsby e Van Pelt. L’ironia della sorte.
Per te
che sei
Per te
che sei … l’unica cosa che vorrei
Per te
che sei ….. sei amore
Passa
il giorno, passano le ore
Passa
il tempo, passa anche il dolore
Passa
tutto ma tu non passerai….Amore
Gira il
mondo quasi inesorabile
Passa
un brivido come una vertigine
Passa
tutto ma tu non passerai……Perché sei amore
Sei
amore…
Sei
amore…
Non
ci credevo, non poteva essere, non stava accadendo proprio a me! Ero nella
stanza dell’albergo dove Jane aveva prenotato per il pranzo e la cena dopo il
matrimonio, in modo che gli invitati che abitavano lontano potessero fermarsi
lì a dormire. Mi stavo guardando allo specchio, il mio solito broncio (che lui
aveva detto che adorava) stampato sul viso mentre osservavo il mio riflesso.
Avevo un abito lungo, bianco a balze leggere… meraviglioso. Le spalle scoperte,
le scarpette bianche e una collana di diamanti che mi avevano regalato Jane e
Charlotte subito dopo la sceneggiata al distretto del CBI. Sorrisi a quel pensiero. Quel momento era stato
proprio bello, magico, fantastico…. Mi sedetti sul letto dietro di me,
continuando a fissarmi. Malgrado tutte quelle cose stupende che erano accadute
non riuscivo a convincermi, a credere che fosse giusto… a dirla tutta, che me
lo meritassi. Qualcuno bussò piano alla porta prima di entrare. Era Charlotte.
Anche lei indossava un abito bianco, tubolare che le arrivava sopra le
ginocchia, gli spallini sottili e sopra un coprispalle dello stesso colore. I
capelli raccolti dietro la nuca in una strana acconciatura: era molto bella.
Chissà se assomigliava ad Angela? Se era così, di certo era molto bella.
-Ehi
Teresa, che ti succede?- mi chiese dopo aver chiuso la porta con aria
seriamente preoccupata. Mi si avvicinò e io la guardai da sotto in su.
In
quel momento mi sentivo davvero una bambina che fa i capricci.
-Secondo
te sto facendo la cosa giusta?- le chiesi.
-Tu
ami Patrick?- mi chiese a bruciapelo.
-Sì.-
risposi. Non avevo nemmeno dovuto pensarci. Era automatico.
-Lo
vuoi sposare?- continuò.
-Sì.-
-Sei
felice all’idea di passare con lui il resto della tua vita?-
-Sì.-
-Allora
qual è il problema?- sembrava sinceramente non capire.
-Il
problema non è Jane, sono io. E se non sono all’altezza?- le chiesi con una
nota di isteria nella voce. Mi si sedette in parte, comprensiva. Incredibile
come in quel momento sapesse essere così adulta; probabilmente tutti quegli
anni da sola in un orfanotrofio avevano contribuito a farla maturare in fretta.
-Perché
pensi questo? Sei una bellissima persona e una bella donna. Sei forte e
coraggiosa, ma sai essere anche sensibile e comprensiva. Se in gamba e credimi
se ti dico che Patrick non ti avrebbe mai chiesto di sposarti se non sapesse
quanto in realtà sei speciale.- mi voltai a guardarla.
-Lo
credi veramente?-
-Tutti
noi siamo speciali Teresa. Basta solo, crederci un po’ di più.-
Ci
guardammo e prima che potessimo pensare ci ritrovammo abbracciate. Quando ci
staccammo la tristezza si era volatilizzata lasciando spazio solo ad
un’impellente agitazione prematrimoniale. Ero in ansia e nel panico; Charlotte
si mise a ridere.
-Sei
identica a tuo padre.- la sgridai scherzosamente.
-Sì,
lo so.- mi rispose alzandosi e andando verso la porta.
-Charlotte.-
si voltò a guardarmi. –
-Grazie.-
Mi
sorrise ed uscì. Calai il velo sul mio volto incipriato, era il momento.
POV. JANE
Passa
il giorno, passano le ore
Passa
il tempo, passa anche il dolore
Passa
tutto, ma tu non passerai…. Amore
Gira il
mondo, passa anche l’estate
Passa
il caldo e passerà il Natale
Passa
tutto, ma tu non passerai
…..perchè
sei Amore
Sei
Amore…
Sei
Amore…
Sei
Amore....
C’erano
tutti. Era tutto perfetto. Le sedie bianche disposte su due file su
quell’immenso prato verde, gli ospiti vestiti dei più svariati colori; tutti
eleganti. C’erano tutti i nostri colleghi, tutti nelle prime file. L’altare
rivolto verso il mare al limitare del giardino che terminava in un diruppo a
picco sull’acqua. Quel rumore era rilassante. Mi era sempre piaciuto, sin da
quando ero bambino fino ad ora. Il pastore era già in posizione dietro il
tavolo dalla tovaglia candida. Le due colonnine che fungevano da decoro erano
state decorate con fiori rosa e bianchi. Era tutto perfetto. Mancava solo lei.
O meglio, loro. Sarebbe stata Charlotte ad accompagnare Teresa all’altare, in
mancanza del padre e dei fratelli. Ero emozionato, terribilmente. Avevo già
vissuto un matrimonio, ma questa volta era diverso. Forse perché si trattava di
un’altra persona. Due cose per quanto possano essere simili non saranno mai
uguali, è la regola. Con Angela era stato tutto molto più tranquillo e disteso,
certo ero stato emozionato anche allora. Ma adesso il mio cuore galoppava come
un cavallo impazzito, non riuscivo a formulare un pensiero coerente abbastanza
lungo da dargli voce. Non avevo ancora spiccicato parola da ben un’ora. E, dal
modo in cui mi guardava Cho, ne dedussi che se ne fosse accorto anche lui. Il
suono dei violini che avevamo ingaggiato per suonare mi riscossero e le vidi,
in fondo a tutti. Erano due angeli nelle loro candide vesti, venute a salvarmi
per farmi diventare una persona nuova. Gli archi intonarono la marcia nuziale.
Mi sentii sollevare oltre le nuvole. A passi lenti e guardando in avanti con
sguardi fieri mi vennero incontro. Non so chi di noi tre avesse gli occhi più
brillanti di felicità e chi il sorriso più dolce. Solo che credetti che per il
resto della mia vita non sarei mai riuscito a togliermi quel sorriso dalla
faccia. Mi sentivo un ebete. Ma a consolarmi, ci penso l’espressione emozionata
della mia futura sposa. Charlotte si posizionò nel primo posto nella prima fila
dietro di me. La celebrazione fu corta, ascoltavo a malapena quello che diceva
il prete. Recepivo le frasi più importanti, le formule da recitare, recitai i
versetti che erano di mia competenza, il mio giuramento (quello cercai di dirlo
in modo tale da far capire a Lisbon quanto effettivamente ci tenevo a lei).
Sapevo che si stava torturando la mente con domande futuristiche senza
risposta, ma io ce l’avevo la risposta; era perfetta. Quel giorno avevo gli
occhi solo per lei, ma probabilmente li avevo sempre avuti.
-Lo
sposo può baciare la sposa.-
Ecco
che iniziavo a sentire le farfalle nello stomaco spiccare il volo. Le sollevai
più delicatamente possibile il velo, mi sorrise e la testa perse completamente
il senso della ragione. Le sorrisi a mia volta e le presi il volto tra le mani,
delicatamente quasi avessi paura di romperla. La vidi trattenere il respiro e
arrossire, andai in defibrillazzione. La baciai. Un bacio lento e lungo,
intenso. Ma che stava per dire tutto. Uno scroscio di applausi ci avvolse, ma
non li sentivo, erano un ronzio lontano. Mi circondò il collo con le braccia e
mi sembrò davvero di volare, solo che questa volta non ero solo. In un raptus
di felicità la presi in braccio e la feci girare. Sentii la sua presa saldarsi
dietro al mio collo e la sua risata insieme alla mia, eravamo una cosa sola.
Quando la posai a terra ci voltammo sistematicamente verso Charlotte, non
sembrava turbata dalla mia totale attenzione nei suoi confronti. Mi sorrise e
noi la abbracciammo, tutti e tre insieme.
POV. CHARLOTTE
There was a boy…
A very strange enchanted boy.
They say he wandered very far, very far
Over land and sea,
A little shy and sad of eye
But very wise was he.
And then one day,
A magic day, he passed my way.
And while we spoke of many things,
Fools and kings,
This he said to me,
“The greatest thing you’ll ever learn
Is just to love and be loved in return.”
-
-Arrivo.- urlai.
Presi
su un paio di tovaglioli e corsi fuori di volata. L’aria fresca mi colpì la
faccia, svegliandomi del tutto. Quella mattina i miei genitori avevano deciso
di fare un picnic in giardino. Da quando ci eravamo trasferiti nella villa sul
mare di mio padre tutto era diverso. Eravamo tutti più tranquilli e più sereni,
risolvevamo i problemi civilmente e con calma, senza quasi mai litigare. Poi
beh, siamo umani anche noi. Anche Lisbon non era sempre così nervosa e
stressata del lavoro, adesso aveva un marito del tutto pazzo, più bambino lui
della sua nuova figlia, a cui badare. Patrick non si arrabbiava più a menzionare
John il Rosso; anche perché con la sua morte non fu praticamente più nominato.
E in quanto a me, beh… avevo lasciato il Rosemary e adesso avevo una casa, una
famiglia fantastica e la mia vita da vivere come tutti gli altri ragazzi… come
avevo sempre sognato. Certe volte mi svegliato e credevo di essere ancora
all’orfanotrofio, poi mi voltavo verso la finestra e la luce azzurra del cielo,
illuminando un poco la mia nuova stanza, mi faceva tornare alla realtà. La mia.
Presi un profondo respiro mentre li raggiungevo sotto l’albero dove avevano
steso la tovaglia e appoggiato il cestino.
-Ecco i tovaglioli.- acclamai.
-Perfetto.-
mi disse Patrick –E adesso giù per terra!- mi prese per un braccio e mi tirò
giù così all’improvviso che picchiai malamente contro entrambi. Per fortuna senza conseguenze gravi.
-Patrick
sei il solito bambino.- lo rimproverò Lisbon.
-Mia
dolce Teresa, ma tu adori quando io faccio il bambino.- la provocò lui.
-Questo
non è vero… - tentò lei, ma con un bacio la discussione fu chiusa.
Ridemmo
e scherzammo, mangiando sandwich e tramezzini.
-Fermi
tutti!- esclamò ad un certo punto Teresa mettendosi in silenzio ed ascolto. La imitammo. Poi ci guardò.
-Ha scalciato.-
Subito
ci mettemmo in torno a lei, abbracciandola, con una mano sul suo pancione ormai
gonfio di otto mesi. Non avevano voluto sapere se era maschio o femmina;
sorpresa.
-E’
femmina.- proruppe gentile Patrick.
Un
ultimo sguardo ed un sorriso pieno di gioia. Rimanemmo così, accoccolati in
quell’abbraccio che ci univa tutti e che ci avrebbe sempre accompagnato,
insieme. Tutti e quattro.
“The greatest thing you’ll ever learn
Is just to love and be loved in return.”
FINE