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Autore: fragolottina    21/09/2011    1 recensioni
Mia madre si fidava della Morte e la Morte le disse che 'lui' mi avrebbe fatto del male, mi avrebbe resa sua schiava, condannandomi ad una vita di umiliazioni e sofferenza.
Io mi fidavo di mia madre e mia madre era morta nella speranza che il suo gesto servisse a salvarmi.
Ma se 'lui' cercasse solo di mantenere una promessa fatta secoli prima?
A volto l'unico a conoscere la verità è il proprio cuore...
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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olivia fragolottina's time
carissime buongiorno.
in questo capitolo ci sono tante, tantissime cose che vi dovreste appuntare da qualche parte, perchè più in là probabilmente serviranno.
c'è anche un momento discretamente simpatico..no, dai, è simpatico eccome! verso la fine...
siamo precoci per essere delle quindicenni...mi sa che non ci sono più abituata...
a più giù...


CAPITOLO 1.4

«NO!» mi svegliai urlando senza sapere nemmeno cosa stessi sognando. Ero sudata e tremante. Volevano bruciarmi, quelle persone volevano bruciarmi!
    «Olivia.» mi girai di colpo verso la sedia a dondolo, dove mia zia stava sferruzzando quella che aveva tutta l’aria di essere una sciarpa, alzò gli occhi dal suo lavoro e mi osservò calma. «Va tutto bene, guarda: sei nel tuo letto.»
    Deglutii, poi iniziai a fissare gli occhi sulle cose intorno a me: la mia libreria, la mia cartella con accanto un i libri di scuola impilati per terra, la scrivania con il computer e la mia borsa, il mio letto, la mia lampada, il televisore, l’armadio. Niente fuoco da nessuna parte.
    «Ho sognato di essere una strega durante l’Inquisizione spagnola.» dovevo scappare, dovevo nascondermi, ero giovane, ma avevo un lunga ciocca di capelli bianchi, era stato il diavolo. «Poi mi trovavano e…»
    Mia zia lasciò il suo lavoro e si sedette sul mio letto, prendendomi una mano dolcemente. «Era un sogno, Olivia, solo un incubo.»
    La mia borsa. Oliver.
    Quello non era un sogno, anche se aveva tutte le caratteristiche per essere considerato un incubo.
    La afferrai stringendola tra le mani, per accertarmi che fosse vera. Ricordavo di averla con me sul vagone della metropolitana, ma non mentre scappavo e tutto il resto era troppo confuso per un dettaglio del genere.
    «L’ho trovata questa mattina fuori della tua finestra.» mi spiegò con calma.
    Era andato a recuperarla, poi era tornato a portarmela.
    Deglutii spaventata di trovarlo sul mio balcone, ma l’unica cosa che vidi fu il cielo azzurro che rimarcava la vittoria della primavera sull’inverno.
    La chiave.
    Mi appoggiai la mano in mezzo al petto frettolosa, ne riconobbi il profilo sotto la maglietta che avevo indossato il giorno prima; stranamente la cosa non mi tranquillizzò, non serviva a niente, se non mi aveva presa era perché non aveva voluto.
    Fissai gli occhi di mia zia senza capire…quasi niente in realtà. «A cosa serve?» domandai supplichevole, avevo bisogno di qualcosa di certo a cui aggrapparmi. I sogni, la notte precedente, Alyssa, Maxi, tutto si mescolava in un’enorme pappa senza darmi modo di distinguere niente.
    «È servita a farti uscire dal sottoscale.» la zia mi accarezzò i capelli, cercando di calmarmi. «A farti andare a scuola con tranquillità. A stare in questa casa ed in mille altri luoghi chiusi senza paura.» appoggiò la sua mano sopra la mia. «Ti ha aiutata in più cose di quante immagini.»
    «Ma perché?»
    Scosse la testa. «Questo puoi saperlo solo tu.»
    Per un po’ rimasi zitta, cercando di mettere ordine nei miei pensieri, con scarsi risultati. Non trovavo un senso nelle sue azioni, perché riportarmi la chiave? Perché gonfiare una bugia del genere? Per farmi uscire dal sottoscale? Dopo quello che avevo vissuto la notte prima, sapevo che aveva modi molto più semplici per farmi fare quello che voleva. A meno che il suo scopo non fosse solo quello di giocare con me: imbrogliarmi, darmi qualcosa di sicuro, togliermelo, gustarsi le mie reazioni contrastanti. Forse il suo essere carino si limitava al criceto-Alyssa.
    Mia zia mi diede una leggera pacca sulla gamba. «Dovresti farti una doccia, poi mangiare qualcosa.»
    «La scuola?» dal sole che entrava dalla finestra capii che ero già in ritardo, se non fossi stata distratta da altro me ne sarei già accorta. «E il tuo lavoro?»
    Lei mi sorrise. «Niente scuola per te e niente lavoro per me. Mi sono data malata, non volevo lasciarti sola.»
    «Grazie.»
    Continuò a sorridermi poi si alzò e fece per uscire dalla porta. «La doccia.» mi ricordò, prima di andarsene.
    «Anche del fucile.» le dissi.
    Zia Phoebe scosse la testa. «Quando sei nata ho promesso ad Hope che se le fosse successo qualcosa mi sarei presa cura di te.» mi fece l’occhiolino. «Ho tutta l’intenzione di mantenere la mia parola.»
    Rimasi ancora qualche minuto nel letto, studiando tutto quello che sentivo: il peso delle coperte, il battito ancora spaventato dal sogno del mio cuore, il tranquillizzante freddo della chiave. Il ricordo di trovarmi lontana dal mio corpo e senza nessun canale di comunicazione con esso, era probabilmente la cosa che più mi terrorizzava della notte precedente. Avrebbe potuto ridurmi all’impotenza e fare di me qualsiasi cosa, senza che io avessi neanche la possibilità di protestare. Provai a muovere le braccia, poi piegai le gambe per accertarmi che funzionasse tutto. Mi alzai appoggiandomi cauta alla scrivania accanto al mio letto, non ci furono cedimenti di sorta così lasciai il mio appiglio: tutto il mio corpo rispondeva perfettamente agli stimoli e non sembrava intenzionato a tradirmi.
    Presi della biancheria pulita ed un pigiama dal cassetto – visto che non avevo programmi per la giornata, non aveva senso cambiarmi – poi mi diressi in bagno.
    Non avevo realizzato quanto in realtà fossi sporca; la notte prima avevo pensato a nascondermi, non a tenermi pulita. Spogliandomi, studiai con pazienza i vestiti luridi: i pantaloni avevano tutto il dietro sporco di fango – mi ero nascosta nel parco dopo un temporale pomeridiano – mentre la mia giacca a vento era schizzata di qualcosa che mi convinsi ad archiviare come altra terra, anche se avevo il terribile sospetto che fosse, beh…vomito. Senza ulteriori indugi, infilai tutto nella cesta del bucato. In mutandine e reggiseno continuai a guardarlo mordicchiandomi distratta le pellicine intorno alle unghie.
    Recuperai tutto e lo chiusi in una busta. Non volevo tenere quella roba, non sarei riuscita ad indossarla mai più senza tremare di paura. Tanto valeva buttarla.
    Io volevo buttarla.
    La doccia fu d’aiuto, mi diede la confortante sensazione di potermi lasciare scivolare via tutto lo ‘sporco’ della giornata precedente insieme alla schiuma dello shampoo. Rimasi con il getto caldo puntato sulla schiena per un’eternità, aspettando che il calore raggiungesse tutti i miei muscoli ancora contratti e li allentasse della tensione.
    Ero al sicuro?
    La chiave non funzionava, ma effettivamente per tutto quel tempo lui non mi aveva mai fatto del male. Il termine ultimo della mia libertà, prima che venisse a riscuotere erano ancora i miei diciassette anni? Perché proprio diciassette?
    Sospirai girando la manopola della doccia, per tutto quel nervosismo accumulato serviva molto più di un po’ d’acqua calda a distendermi. Sarei dovuta andare in un centro massaggio e rimanerci per almeno due giorni.
    Mia zia stava preparando l’arrosto di spalle, io mi sedetti al tavolo della cucina, versandomi un ciotola di latte ed aggiungendoci poi i miei cereali preferiti.

«Ma sono orribili!»
    «A me piacciono.»

Mi voltai di botto, facendo involontariamente spostare la sedia sulla quale ero seduta con un gran fracasso, mi aspettavo quasi di trovarmi vicino due persone che parlavano.
    Zia Phoebe interruppe quello che stava facendo per lanciarmi un’occhiata perplessa. «Olivia?»

«Tu sei strana.»
    «Non è vero.»
    «Ma si che è vero.»

Scossi la testa come scacciando le voci che avevano iniziato ad abitarla.

«Perché sei qui, allora? Trovati una ragazza normale.»

Ricambiai lo sguardo di mia zia confusa. Non era stata una visione, in realtà non avevo visto niente. La cucina, mia zia, la scatola dei cereali, tutto era rimasto esattamente al suo posto. Solo che c’erano altre due voci, due persone che discutevano in soggiorno; ma io sapevo che in soggiorno non c’era nessuno, che era tutto nella mia testa.
    Sospirai osservando la mia tazza piena di latte ed una decina di cereali che ci galleggiavano dentro, forse stavo impazzendo sul serio: le voci nella testa sono sempre associate alle malattie mentali. La mia psiche, già fragile, stava risentendo dello stress degli ultimi giorni, avrei finito per fare a pezzi mia zia proprio come in quel film horror che avevo visto. Sperai che tenesse il fucile sotto il letto e che avesse il coraggio di spararmi se l’avessi sorpresa nel sonno brandendo una mannaia.
    Che cosa orribile.

«Non saprei che farmene.»

Sussultai. «Zia, voglio vedere uno psichiatra.» la supplicai.
    Lei rise divertita, come se avessi fatto una battuta particolarmente spiritosa. «Oh, Livy, la tua mente è sanissima.»
    «Ma sento le voci!» obiettai.
    «E vedi le cose…» aprì lo sportello sotto il lavandino ed iniziò a pelare le patate sopra il secchio dell’immondizia. «come me e tua madre. Non è un problema di sanità mentale.»
    Sbuffai quasi offesa che non credesse alla mia follia. «Non ho mai sentito le voci.» borbottai.
    «Forse era una visione in piena regola che tu semplicemente non eri pronta per vedere.» rifletté scostandosi una ciocca di capelli rossi da davanti agli occhi con il dorso della mano. La donne della mia famiglia erano tutte rosse, tutte tranne me. «Tieni presente che è il tuo inconscio a filtrare qualsiasi cosa ti venga mostrato.» mi chiesi se non avesse frequentato un corso di psicologia, di cui non sapessi niente. Mi lanciò un’occhiata severa. «Mangia.»
    Obbedii versando un altro po’ di cereali nella mia ciotola e prendendone una cucchiaiata, masticai con cura, assaporando ogni petalo di mais tostato e glassato: a me piacevano, comunque.

Io e la zia pranzammo insieme, non capitava spesso che fossimo a casa, così aveva preparato un pranzo degno del Giorno del Ringraziamento. In realtà ne sbocconcellammo davvero una minima parte ed una volta riordinato, mentre io facevo i compiti, lei sigillò tutti gli avanzi in porzioni piccole dentro alcuni contenitori di plastica: aveva appena risolto il problema pasti per la settimana seguente.
    Provai a stare nella mia stanza, ma la sedia a dondolo mi rendeva inquieta; mi aspettavo da un momento all’altro di rivederci lui – Oliver, mi corressi mentalmente – seduto sopra, oppure sorprenderla in un ultimo dondolio, segno che se ne era appena andato. Forse era ora di sostituirla con un’altra con i piedi ben piantati a terra. Ma mi piaceva accoccolarmi lì sopra a leggere, lasciandomi cullare.
    Sospirando decisi che avrei visto come sarebbe andata la nottata: se fossi riuscita ad addormentarmi tranquilla, sarebbe rimasta; se fossi rimasta con gli occhi spalancati nel buio, l’avrei eliminata. Potevo farmi aiutare dalla zia e spostarla in soggiorno e quando ne avrei avuto voglia, sarei potuto stare lì a leggere.
    «Livy, hai una visita!» mi chiamò la zia dal piano di sotto.
    Una visita? Io? C’era davvero qualcuno della mia scuola che sapesse dove abitavo? Mentre scendevo le scale riflettei che probabilmente Claire lo sapeva, era anche l’unica che mi venisse in mente che potesse aver voglia di venirsi ad informare della mia assenza scolastica.
    Ma quella in soggiorno con indosso una salopette di jeans corta, spesse calze di lana ed i suoi evidentemente soliti scarponcini viola, non era di certo Claire.
    «Alyssa?» domandai incredula. A lei di certo non avevo detto dove abitavo.
    Sorrise ed io mi sorpresi di nuovo a pensare a quanto sorridesse, con tutte quelle che le erano successe, dove la trovava la forza di essere felice?
    «Ciao.» mi salutò, aveva un sacco di libri tra le mani, così corsi giù e ne presi alcuni dalle sue mani per posarli sul tavolo. «Oh, grazie.»
    «Sei la nuova amica di Olivia.» si mise in mezzo la zia porgendole la mano. «Io sono sua zia Phoebe.»
    Lei gliela strinse contenta. «È un piacere conoscerla, signora Mulligan.»
    «Il piacere è tutto mio, cara.» poi mi guardò. «Falla accomodare, se vi serve qualcosa sono in cucina.»
    Aspettai che si allontanasse prima di invitarla a sedersi sul divano, faceva strano vederla lì nel soggiorno di mia zia color pastello: lei era decisamente una ragazza a tinte forti. Come me si assicurò che mia zia non fosse a portata di orecchi, prima di prendermi le mani accalorata.
«Oh, ho visto quello che è successo!» mi disse partecipe. «Devi esserti così spaventata…stai bene?»
    Avrei dovuto prevederlo, come avevo potuto non pensarci?
    «Si…» le risposi piano con un piccolo sorriso. «solo che ero un po’ scossa questa mattina e sono rimasta a riposarmi un po’.» deglutii. «Hai visto tutto, tutto?» per qualche motivo pregai che mi dicesse di no.
    Scosse la testa dispiaciuta. «No, non so quello che è successo sulla macchina. Spero che non…» lasciò la frase in sospeso, studiandomi timorosa.
    Tirai un sospiro di sollievo continuando a domandarmi perché non volessi condividere quei particolari con lei, avremmo potuti analizzarli insieme, trovare un significato. «No, stai tranquilla.»
    Mi dissi che era lo shock. Un giorno quando sarei stata pronta a parlare di quella notte, l’avrei fatto e le avrei raccontato ogni minimo dettaglio, solo non ero ancora pronta.
    Lasciò le mie mani e si strinse le ginocchia al petto infelice. «È un peccato, volevo invitarti a casa mia questa sera.» si strinse nelle spalle. «Maxi è al Draw e noi avremmo potuto vedere la tv e prenderci una pizza.»
    Non risposi, non che non mi piacesse l’idea, anzi, era così carina da commuovermi, ma ero relativamente certa che non sarei salita sul vagone di una metropolitana per i prossimi due secoli. Soprattutto di notte.
    «Vacci, Livy.» ci voltammo entrambe verso mia zia vicina alla porta della cucina. «Posso accompagnarti e rivenirti a prendere.»
    Guardai Alyssa, tutta scintillante di felicità, annuire freneticamente per cercare di convincermi, poi tornai a fissare mia zia. Non era rimasta a casa dal lavoro soltanto per farmi compagnia: lei sapeva che Alyssa sarebbe venuta, che mi avrebbe invitata a casa sua, che io sarei stata troppo spaventata per accettare, che avrei avuto bisogno di lei.

Appena Maximilian Masen appoggia le labbra sulle sua Olivia resta troppo sorpresa per fare qualsiasi cosa. È lui a prenderle le mani e portarsele intorno al collo, è lui a stringersela addosso con insistenza. Ma è lei a dischiudere la bocca sulla sua ed approfondire quel bacio, nato per sbaglio e cresciuto per consapevolezza, mentre le mani di lui imprimono sulla sua schiena la traccia delle sue carezze. Di secondo in secondo più sicura, Olivia allunga la mano per passare le dita tra le strette trecce dei suoi deadlocks, tirandoli piano; Maximilian non protesta, le avvolge le braccia intorno alla vita e la porta sulle sue gambe. Il divano è grande, quasi troppo grande per chi vuole un contatto più intimo.

    Deglutii ed espirai piano. «C-c’è un divano a casa tua?»
    Alyssa sorrise annuendo. «Una divano enorme!» esclamò, lasciandomi nel dubbio che avesse visto anche lei.
    «Ok.» mormorai mentre la mia nuova bizzarra amica mi si buttava addosso abbracciandomi.
    «Ma alle undici spaccata ti vengo a prendere, domani tornate a scuola tutte e due.» mi avvertì la zia e sperai proprio che lei non avesse visto.

riusciremo a viverlo questo bacio? o continuiamo a vederlo di sfuggita e basta?

allora, vi annunico ufficialmente che questa fase della mia storia (chiamata dai più intimi capitolo 1) finisce qui...salutate i quindici anni, 'ciao quindici anni', dal prossimo capitolo (non siete elettrizzate di entrare finalmente nel capitolo 2?!) sei ufficialmente delle sedicenni...grazie al cielo!

ce la spasseremo discretamente.
Maxi sarà molto più presente (e per fortuna).
ci sarà un momento, che è di un tormentosobarrafrustrantebarraroamnticobarraperchèleisieiono...che ho scritto non si sa!

insomma, fin qui era tipo introduzione...il vivo della questione arriva al prossimo!
mm...vi ho detto tutto direi!
baci!
fatemi sapere che ne pensate!

ps. nel prossimo capitolo...o in quello dopo se le mie doti di sintesi fanno di nuovo cilecca...andiamo non solo a casa di Alyssa, ma anche in camera di Maxi...

   
 
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