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Autore: _JiMmY_    03/06/2006    0 recensioni
Un'adolescente e suo fratello che si trasferiscono a Toronto. Una nuova scuola, una nuova casa, nuove amicizie. E tra queste, il gruppo dei Sum 41. Quattro ragazzi non poi così diversi dagli altri...(mi è venuta di getto questa fic, siate buoni u.u)
Genere: Generale, Romantico, Commedia, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Welcome To Paradise

( Green Day )

 

 

 

 

“Dear mother,
Can you hear me whining?
It's been three whole weeks
Since that I have left your home
This sudden fear has left me trembling
Cause now it seems that I am out here on my own
And I'm feeling so alone

Pay attention to the cracked streets
And the broken homes
Some call it the slums
Some call it nice
I want to take you through
a wasteland I like to call
my home
Welcome To Paradise”

 

 

 

19 Dicembre

 

Il concerto poi è terminato bene, andando esattamente come avevo previsto. Tranne per il fatto che ho dovuto cantare io, ma questo possa posso anche definirla una cosa secondaria; All’uscita da scuola Stevo ha offerto una pizza a me, Andrea e mio fratello, conclusione perfetta per una giornata più che dignitosa. Sicuramente meglio di molte altre…anche se da quando sono arrivata qui, non ho più avuto nemmeno una delle mie crisi maniaco depressive che piacciono tanto a mio padre. Del tipo che quando era una mattinata no mi alzavo, inveivo un po’ tra le pareti di casa e andavo a prendere il suo giornale dalla cassetta della posta facendolo in mille pezzi. Ormai si era abituato alla cosa, facendosi spedire apposta due copie di quel giornale che adora tanto, in modo da poterlo leggere comunque nonostante la mia sfuriata. Non ho mai capito esattamente per quale motivo me la prendessi, o cadessi nella depressione più totale, la mattina mi alzavo così e basta. Ora non capita più. Speriamo che duri e che non sia solo un periodo di quiete prima della tempesta vera e propria. In ogni caso, le vacanze di Natale, le Sospirate vacanze di Natale, sono finalmente arrivate…questa è l’ultima mattina in cui ho dovuto aprire gli occhi alle 6.30, quando fuori delle coperte c’è un gelo assurdo e la luce del sole non è ancora entrata dalle finestre. Eh no, da domani, per una quindicina di giorni, via libera al riposo più totale e al completo relax. Compiti a parte si intende.. a quelli penserò dopo il 25, prima sono argomento tabù. Spero solo che non ci riempiano come dei dannati, perché questi giorni di calma me li voglio godere un po’ anche io.

Pensieri su pensieri, come mio solito… alzo lo sguardo dal pavimento, dirigendolo verso la porta della mia classe, che stranamente è ancora chiusa. I casi a questo punto sono due: o sono arrivata in anticipo di parecchio rispetto a quanto pensassi (mi sono alzata nuovamente prima di Lou oggi. Mi sono messa in testa di lasciare da soli lui e Andrea sull’autobus per venire qui…credo che quei due stiano maturando qualcosa..) oppure si doveva entrare un’ora dopo e nessuno mi ha avvisato. Però è strano che non l’abbiano detto anche ad Andrea...e lei non mi ha mandato alcun messaggio in proposito. Boh, sinceramente chissene importa. Magari hanno cancellato la mia classe e tutti quelli che ci stavano dentro, facendomi un grande favore. Ma grande davvero..anche se purtroppo ai miracoli non posso e non voglio crederci, alimentano troppo le speranze. E, come dice Red nel film de “Le Ali della Libertà”, la speranza può uccidere un uomo. Mh. Personalmente ci credo, anche se il film è ambientato in un carcere. Pace. Ok, alla fine qui non ci voglio rimanere. Corridoio deserto, altre classi già chiuse e impegnate nella lezione…Mi allontano, sgusciando lungo le scale recandomi al piano sotto terra, dove si trova l’aula di musica e il bar, da cui arriva un delizioso profumo di brioches appena tirate fuori dal microonde. Sì , non si può certo pretendere che te le cucinino al momento, ma anche solamente calde e fragranti vanno benone. Al cioccolato, alla crema, alla marmellata..Dio, qua ci rimango secca per abuso incontrollato di calorie e grassi. Fortuna che riesco a metabolizzare in maniera decente tutto quello che ingurgito, altrimenti adesso come adesso sarei alta centosettanta centimetri e peserei centodiciotto chili. Un po’ come la professoressa Ruini, più o meno..poi si lamenta ogni mattina che le fanno male le gambe e i piedi..se imparasse a fare un po’ di movimento e magari infilare delle scarpe da tennis invece che quelle con i tacchi per venire a scuola, starebbe sicuramente meglio. Bah. Entro nel locale trovandovi solo qualche ragazzo che non conosco intento a fare colazione alla buon’ora, insieme ad un paio di professori del corso di quinta classe, che da me non sono mai venuti a far lezione; non accenno il minimo saluto, se non a Leo, dietro il banco stracolmo di brioches, intento a preparare un caffè lungo o un cappuccino, come suo solito. Quando mi mandano fuori dalla classe o semplicemente c’è l’intervallo, preferisco passare il tempo qua sotto con lui. E’ un uomo simpatico, ha sempre la battuta pronta e, cosa ben importante, tiene sempre la radio accesa su una stazione che propone solo musica anni 70’ e 80’, di tutti i generi possibili e immaginabili. Così che ogni tanto mi capita di scendere e bermi un caffè ascoltandomi London Calling dei Clash ad esempio. E’ una bella soddisfazione per una come me che ama il genere.

“Ehi Dam, fuori dalla classe già a quest’ora?” Leo mi concede uno dei suoi sorrisetti comprensivi e insieme divertiti, servendo velocemente un caffè al professore davanti alla macchinetta dell’espresso, per poi dedicarmi tutta la sua attenzione, indicandomi con un dito. Probabilmente si è accorto solo adesso della maglietta che ho indosso, perfettamente in tema con gli ultimi scontri politici, facilmente riscontrabili sia nelle televisioni che sui giornali. Qui in Canada è tutta un’altra cosa, ma io, da brava adolescente americana, sono rimasta attaccata alla politica del mio paese di origine e anche loro qui sanno bene cos’ha significato l’elezione di George Bush. E la mia bellissima maglia rossa con la scritta in giallo “Io Non ho votato Mr. Bush” è una cosina davvero spettacolare. Ricordo che mi padre non voleva farmi andare in giro con quella, temendo che qualche gruppetto di ragazzi scemi e con il cervello in pappa decidesse di pestarmi per benino, così me la portavo a scuola e la mettevo sopra gli altri vestiti quando lui non mi poteva vedere..ahh, bei tempi. “No no Leo…i miei compagni non ci sono e nemmeno il Winter…entreranno un’ora dopo forse, non lo so sinceramente..Alzo appena le spalle, indicando una scatolina sulla mensola alle sue spalle, piena di caramelle. Senza neanche bisogno che gli dica qualcosa me ne prende due e io gli lascio 50 centesimi sul bancone. Frutta frutta, caramelle alla frutta. *Son tutte buone, son tutte belle, le caramelle!* Ecco, ogni tanto mi viene da cantare da sola, nella mente..segno di squilibrio mentale o solo un calo di zuccheri? Mah. Che poi mi vengono tutte canzoni italiane. Colpa di Alex tutto questo, che fin da quando siamo nati io e mio fratello ci ha inculcato per bene la cultura italiana, essendovi nata prima che i suoi genitori, i miei nonni, emigrassero in America. Una storia che fa molto “Padrino” a dir la verità, dato che la mia famiglia da parte materna arriva proprio da Corleone..e io ho sempre sognato andarci un giorno, affascinata più dal film e da Marlon Brando che dai suoi racconti sulla terra natia. Per questo che Lou ha questo nome..diminutivo di Luca, cento per cento italiano. Per me ha scelto mio padre, un nome da maschio perché all’inizio si pensava che fossimo due gemelli dello stesso sesso, non ho ancora capito bene per quale motivo non si sono resi subito conto che eravamo eterozigoti e non omozigoti. Comunque, alla mia nascita, qualche minuto dopo Lou, il nome era ormai deciso, così me lo sono tenuto. Pace anche qui, finchè mi piace va tutto a posto. Certo, se avessero pensato a George come nome forse non avrei accettato la cosa, ecco. Leo mi rifila le due caramelle gommose, che io vado ad aprire repentinamente, infilandomene una metà in bocca. Adoro il sapore della fragola e il suo profumo che si spande non appena estraggo il dolciume dal suo pacchettino di carta…ok parte il delirio, decisamente si nota che è mettina presto e che come al solito ho fatto fatica ad addormentarmi ieri sera. Bip Bip.
Ah, eccolo finalmente il messaggio che mi aspettavo. Anzi no, non è Andrea adesso che guardo bene, sul display appare il nome di Stevo. Inarco un sopracciglio, masticando la mia caramella, che mi si attacca al palato e faccio una fatica immensa a staccarla senza dover usare le dita (odio quando le goleador fanno così << nd Jimmy) *Dam, raggiungimi subito in cortile, all’uscita ovest. Devi vedere una cosa che non puoi perdere..* Ecco adesso si che sono curiosa. Saluto Leo con un gesto veloce della mano, sistemandomi la borsa a tracolla, praticamente precipitandomi lungo il corridoio, salendo poi le scale a due gradini alla volta. Per poco non prendo dentro una coppia di ragazzi diretti verso il bar, ma non sto nemmeno a girarmi e scusarmi, loro non dicono niente io non dico niente. Finalmente raggiungo l’uscita ovest della scuola, che da direttamente sul giardino e sul corridoio che porta alle palestre, e trovo Stevo che mi aspetta appoggiato ad una colonna, braccia conserte al petto e un sorrisino stampato in faccia che non promette nulla di buono. Nella tasca dei pantaloni, neri e lunghi fino alle caviglie, tiene come al solito le sue inseparabili bacchette, mentre la maglia verde che indossa finisce per andare a coprire la cintura borchiata. La sua preferita oserei dire. Mi avvicino senza far rumore, tentando di prenderlo di sorpresa, ma lui si è già accorto della mia presenza da un pezzo, perché si volta di scatto, senza nemmeno salutarmi, afferrandomi per un braccio e cominciando a trascinarmi lungo il vialetto asfaltato che divide il giardino in due parti pressocchè uguali “Ehi ehi con calma..mi vuoi dire dove cavolo stiamo andando?” Mi guarda con occhi luccicanti, rallentando appena l’andatura, ma fortunatamente, lasciandomi andare “c’è una cosa che devi vedere, vedrai che poi mi ringrazierai..lo sai che sono il genio del pettegolezzo io, no?” Ah ecco, ho capito. Qualcun altro di cui sparlar un po’. Capita spesso quando ci troviamo da soli io e lui, le comari della scuola. E’ anche un passatempo divertente, ci sono stati giorni in cui arrivavamo addirittura a fare le caricature dei personaggi che ci capitavano sottotiro..come quando Marine di terza C ha litigato con il suo ragazzo, due mesi fa. Oddio, quella si che è stata una scenata clamorosa, da piazza pubblica in piena Napoli. Lei che è arrivata addirittura a tirargli un ceffone in faccia, prendendolo con tutte e cinque le dita, mentre lui le urlava dietro non so bene quale colorito insulto. Ho ancora a casa la vignetta che Stevo mi ha regalato. Gran momento. Non chiedo nient’altro al mio caro Portinaio, senza nemmeno immaginare chi saranno le vittime della nostra spiata quest’oggi. Ci fermiamo poco più avanti, dove cominciano i tavolini e le panchine sistemate apposta per permettere agli studenti di consumare il loro pranzo all’esterno durante la bella stagione. Ora non c’è quasi nessuno, in parte perché fa troppo freddo, in parte perché la maggior parte dei ragazzi e delle ragazze a quest’ora ha lezione. Mi fa segno di non parlare mentre si appiattisce contro un albero, rimanendo quasi in tinta grazie alla maglia verde che indossa..mi sorprendo a ridacchiare nell’immaginarmelo come un albero. Poi passa. Passa quando segue la direzione del suo dito, che mi indica uno dei tavolini, quello più lontano da noi. Un ragazzo e una ragazza, seduti vicini. Così vicini che quello che si dicono possono sentirlo solo loro. Ma…” Mi guarda con un sorriso che va da orecchio ad orecchio, stringendomi un braccio attorno alle spalle “che ti avevo detto io? Dovevi per forza vederli…non sono bellini?” Prima di rispondere rimango un istante ad osservare mio fratello e Andrea seduti a quel tavolino. Mi sorprende un po’ la cosa e ci rimango di sasso quando si baciano. Ahhhhhhhh! Lo sapevo, lo sapevo che quei due covavano qualcosa! “Ma tu guardali…mio fratello e la mia migliore amica..questa è bella..” appoggio la testa alla spalla di Stevo, continuando ad osservare la felice ed ignara coppietta “Il fratello di Andrea andrà in brodo di giuggiole, puoi scommetterci…devo dirglielo appena possibile, sai quante spettegolate ci facciamo io e quello là..” alzo lo sguardo verso di lui, imbronciandomi “così mi tradisci con uno sconosciuto?” Sorride, scompigliandomi i capelli e ricevendo in cambio una gomitata nel fianco. Scuote la testa “tranquilla, presto potrai spettegolare con noi..quando saprà di Andre e tuo fratello vorrà sicuramente conoscervi..si potrebbe fare a Capodanno..” Alza le spalle, lasciando implicita la domanda. E l’invito. Lo tiro per la maglia, in modo da allontanarlo leggermente dall’albero. Meglio lasciarli soli quei due, fare i terzi, e quarti, incomodi non mi sembra proprio il caso al momento. “sì, si potrebbe fare, ma adesso filiamo prima che ci becchino..

Così ci dileguiamo, rientrando alla Base. Giusto in tempo per sentire la campanella della seconda ora suonare e vedere i miei compagni già raggruppati di fronte alla classe, nell’attesa che venga aperta. Saluto Stevo con un cenno della mano, ricordandogli di non dire una sola parola ad Andrea o Lou riguardo a quello che abbiamo visto, poi dedico la mia scarsa attenzione ai miei compagni di classe. Su Mark in particolare, che è l’unico ad avere il mio numero di cellulare, si sa, per le emergenze. “Sai Mark…è stato piacevole arrivare questa mattina e scoprire che si entrava un’ora dopo…” Butto lì, cercando di mantenere la calma il più possibile, ma lasciando volutamente intendere quel tono ironico che mi piace tanto usare con le persone che non conosco bene. Lui alza appena le spalle, assumendo un’espressione quasi tenera…da classico senso di colpa. Si guarda un po’ in giro, controllando quasi che nessuno ci stia ascoltando, poi mi sussurra qualcosa, allungando il collo verso di me “Scusa..volevo avvisarti ma..” Lo guardo invitandolo ad andare avanti, ma nel preciso istante la voce del professore Whitemore mi costringe, anzi ci costringe tutti, a voltarci e zittirci. Ho pensato fin dall’inizio che quest’uomo deve essere per forza una specie di antidiluviano, un sire vampiro…ogni tanto con Stevo e Andrea ci mettiamo a fantasticare sui suoi impensabili super poteri, come ad esempio la materializzazione. Non dimenticherò mai quel giorno che l’ho visto entrare in una classe e uscire da un’altra dopo cinque minuti…ci sono rimasta secca. In ogni caso, entriamo in classe, zitti come mosche. Questo sì che è uno con le palle, persino io riesco a farmi mettere in soggezione..penso capiti a tutti una volta nella vita. Lancio un’occhiata a Mark di quelle che significano tutto e niente, ma lui recepisce comunque il messaggio. Abbiamo da fare una chiacchieratine io e lui appena finite le lezioni…

 

 

“Quindi, fate tutti gli esercizi da pagina 174 a pagina 180, completando anche gli schemi e studiando la parte degli Specchi che abbiamo fatto oggi…Vorrei ricordarvi ragazzi, che il prossimo compito è fra due settimane e non vorrei dover vedere scritte cavolate come l’ultima volta…” Sempre chiaro e preciso il Caro Whitemore. Mi segno gli esercizi sul diario, con la classica fretta di chi non vede l’ora di andare a fare l’intervallo in santa pace. Andrea mi imita, riuscendo comunque a scrivere tutto in un ordine più decente del mio, finendo anche prima. E’ una scheggia quella ragazza, la vedrei perfettamente dietro ad un computer a prendere il primo premio come scrittrice più veloce. Per lei che vuole fare la giornalista è un bel vantaggio. “Scendiamo al bar a farci una brioches?”  mi chiede, già rovistando nelle tasche dei jeans per trovare i soldi necessari ad entrambe. Annuisco con la testa, ma prima le faccio segno di avviarsi “Ti raggiungo giù, devo prima scambiare due parole con Mark..” Alza il pollice, uscendo dalla classe scansando all’ultimo secondo il gruppetto delle ragazze, come al solito una appiccicata all’altra, a raccontarsi chissà quale nuovo pettegolezzo. Mi disinteresso praticamente subito, andandomi a sedere nel banco accanto a quello del mio compagno, che ancora non si è mosso. Quasi fa un balzo verso destra nel vedermi all’improvviso e mi fa sentire quasi in colpa. Non capisco se gli faccio paura io o c’è qualcos’altro sotto “Ehi Mark, datti una calmata che non ti mangio mica…Allora, me lo dici per quale motivo non mi hai avvisato?” Mantengo un tono di voce neutro, cercando di apparire più rassicurante possibile. Tiro fuori tutta la mia versione Bambolina, come dice papà, riuscendo a farlo rilassare almeno in parte “Ecco vedi…” Lancia un’occhiata verso la porta, e io faccio altrettanto, notando che il gruppo delle Oche se n’è andato a ciarlare da qualche altra parte, probabilmente in giardino “E’ stata Estelle a chiedermi di non dirti niente.. Ah ecco. Mi lascio andare sulla sedia, sbuffando rumorosamente e chiudendo gli occhi. Non so come e non so per quale strano motivo quella ragazza ce l’ha a morte con me, e naturalmente si è trascinata dietro nelle sue convinzioni tutte le sue amichette del cuore. Il club Anti-Damien probabilmente. E io che a malapena so i loro nomi..guarda te se mi doveva capitare anche una grana simile. Annuisco comunque alle sue parole, limitandomi poi a battergli una mano sulla spalla “Ok Mark, ok..non fa niente..”

Dall’espressione contrita del suo viso capisco subito che è seriamente dispiaciuto per la situazione e dentro di me riesco persino a farmelo piacere; certo, non ha avuto le palle per dire di no all’Oca Regina, ma non posso certo biasimarlo per questo. Quella è capace di trasformarsi in un’arpia e certamente avrebbe fatto in modo di rovinargli la vita, almeno a scuola. Gli concedo un raro sorriso, il primo sincero ad un mio compagno di classe, prima di rialzarmi lasciando l’aula e scendendo le scale verso il giardino. Andrea sicuramente si sarà già mangiata la sua brioches e sarà uscita fuori per fumarsi una sigaretta, come fa praticamente tutti i giorni; quando arrivo, alcuni studenti stanno già rientrando, mentre la mia migliore amica se ne sta in un angoletto a fumarsi quello che rimane del mozzicone fra le labbra. Non si può dire che sia la classica fumatrice incallita e dipendente dal fumo, ma quando è nervosa o in uno stato emotivo particolarmente teso, diventa peggio di come era Alex fino a cinque anni fa. Lei sì che si fumava almeno un pacchetto al giorno, roba che ti porta ad avere i polmoni dello stesso colore del catrame. “Bè, ti ho lasciata da sola per cinque minuti…che è successo?” Chiedo, osservandola negli occhi per qualche istante, prima di allungare una mano, togliendole la sigaretta dalla bocca, buttandola per terra e spegnendola con la suola delle All Stars. Lo faccio quasi sempre, è una mossa a cui ormai è abituata. “Mi ha appena telefonato mio fratello…è agitato per qualcosa e come al solito è riuscito a passarmi tutto il suo nervosismo…” alza gli occhi al cielo, infilando le mani nelle tasche dei jeans, mentre cominciamo ad avviarci verso le scale dell’entrata nord. “Quale cosa?” mi impiccio un po’, giusto per saperne di più. Quando è così vuol dire che c’è in ballo qualcosa di serio e se non mi informo io che sono la sua migliore amica, detto da lei, che ci sto a fare? Alza la mano, sventolandola per aria con un gesto vago “Mah, un progetto che ha in ballo da mesi ormai…ed è praticamente arrivato alla fine diciamo…” fa una pausa, mentre io annuisco, saltando anche gli ultimi due gradini e ritrovandomi sul corridoio dove si trova la nostra classe. Tutto ad un tratto si illumina, prendendomi sotto braccio “Mi ha detto Stevo che ti ha accennato alla storia del Capodanno assieme…ti prego, dimmi che ci sei, non mi lasciare da sola con loro..” le ho sorriso di rimando, alzando appena le spalle “Sai che per me non c’è problema…ma credo che a questo punto dovrò portarmi dietro anche Lou..” lo butto lì, solo per vedere quale tipo di reazione avrà al nome di mio fratello, ma per questo non batte ciglio. E’ furba la mia amichetta, furba parecchio. Se non vuole lasciare intendere una cosa, non la lascia intendere. Va comunque in brodo di giuggiole, all’idea che passeremo l’ultimo dell’anno insieme e l’ultima cosa che mi dice, all’orecchio, prima di entrare in classe è “Te l’ho mai detto che ti adoro?”

 

 

25 Dicembre 2000

 

 

La mezzanotte è passata solo da cinque minuti, ma noi siamo già qui a mettere mano ai regali. Nessuno in famiglia è particolarmente religioso, specie mio padre che in Dio credo abbia smesso di crederci e sperarci ormai da parecchio tempo. Io sinceramente, dopo l’abbandono di Alex, non ho più trovato una scusa valida per avere fede. Forse ho fiducia in un Dio che appare diverso da come lo mostra la Chiesa, con quell’Onnipotenza divina che però viene fuori solo in casi eccezionali…non riesco a credere che un’entità che può tutto lasci morire tante persone, spesso innocenti, senza muovere un dito. No, io credo piuttosto che esista questo Dio, ma che possa fare solo una piccola parte di quello che si dice…altrimenti non si spiegherebbe il fatto che siamo stati creati a sua immagine e somiglianza. Quando può tenta di fare qualcosa..quando non può……non fa niente. Così, pensandola in questo modo, posso anche accettare di vedere centinaia di persone morire per il crollo di un palazzotto dello sport, come era accaduto a Boston dieci anni fa, in caso contrario, no. In ogni caso, tralasciando questi pensieri pseudo-religiosi, ora stringo fra le mani il mio regalo. E’ arrivato da parte di Andrea e, sul bigliettino, c’è anche la firma di Stevo. Incredibile pensare che li conosco da poco più di cinque mesi e già abbiamo raggiunto il traguardo “Regali di Natale”. “Allora Dam, che aspetti ad aprirlo? Guarda che non hai ancora il potere di far sì che la carta si strappi da sola eh!” Mio padre sembra più agitato di me, e mi incita ad aprire il mio regalo con ancora indosso la sciarpa verde e grigia che gli hanno regalato due suoi colleghi a lavoro. E’ un patito di queste cose, sciarpe, cappelli e guanti, credo che nel suo armadio ne abbia almeno una decina di colori diversi in coordinato. Annuisco, togliendo il biglietto e prendendo a scartare la scatola quadrata, che mi sta tranquillamente in grembo. Spunta fuori un’altra biglietto e sono costretta a leggerlo prima di aprire la scatola, che è di un cartone bianco e anonimo. Leggo la scritta, inarcando un sopracciglio “La seconda parte del regalo è quella cosa lunga che ti manda tuo fratello…” Alzo lo sguardo verso l’alberello pieno di luci e palline che abbiamo sistemato al centro del salotto, notando Lou seduto sul pavimento con un sorriso a quattrocento denti stampato sulla faccia. E il suo regalo per me appoggiato sulle labbra, qualcosa che a prima vista, nonostante la carta che lo ricopre, sembrerebbe una specie di asta. Decido di mettere fine ai miei dubbi, andando ad aprire la scatola di cartone…non appena vedo quello che c’è dentro mi viene naturale mettermi ad urlare ahhhhhhhhhh La appoggio sul pavimento con scarsa grazia, lanciandomi verso mio fratello e buttandogli le braccia al collo “Ti prego, dimmi che il tuo regalo è quello che penso io..” Lo prego, e lui si limita a sorridermi ancora, mentre mio padre ci guarda con l’aria di chi si è appena ritrovato in un manicomio. Prendo anche il regalo di Lou, scartandolo e i miei desideri si vedono praticamente realizzati. Quella che mi sembrava un’asta è in realtà una mazza da Hockey. Di quelle di legno e alluminio, dipinta di bianco e rosso. Nell’altra scatola, il regalo di Andrea e Stevo, ci sono i pattini per il ghiaccio. Sono anni che desidero andare a giocare ad Hockey sul ghiaccio, ma nonostante questo mio sogno non mi ci ero mai messa seriamente sotto per imparare. E adesso…

Perché ho come l’impressione che a me toccherà cacciare i soldi per farti giocare?” butta lì mio padre, mentre mi metto a saltare per casa con la mazza appoggiata ad una spalla, rischiando anche di prendere dentro il ventilatore al soffitto. Raramente mi sono sentita così felice in vita mia, forse solo quando per il mio decimo compleanno mi sono ritrovata davanti la chitarra. Sì ecco, forse l’emozione è quasi al pari di quella volta. Prendo il cellulare, componendo il numero di Andrea ad una velocità supersonica e non appena mi risponde non faccio nemmeno in tempo a salutarla “Io ti adoro. A te e a quell’altro scemo…anzi che dico, io vi amo!” Scoppia a ridere dall’altra parte, nel sentire il mio entusiasmo e mentre mi calmo riesco giusto a sentire delle voci in sottofondo, che cantano canzoni di Natale. Almeno anche lei sembra starsi divertendo. “sono contanta che ti sia piaciuto il nostro regalo, ma devo ammettere che inizialmente l’idea è stata di tuo fratello…ah, grazie per le scarpe, credo che ci andrò a dormire stanotte…” Ride ancora e non posso fare a meno di imitarla. Come regalo le ho preso un paio di scarpe All Stars, quelle a cui faceva la posta davanti al negozio da almeno quattro mesi.

Sono felice? Sì, lo sono. Per adesso. Grazie Canada, grazie nuova casa, grazie nuova scuola e nuovi amici. E’ il primo Natale che passo avvertendo in casa questa sensazione di allegria quasi palpabile..speriamo solo che duri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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