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Autore: V a l y    03/06/2006    4 recensioni
"Che ne dici di una sfida di resistenza? Chi perde farà da schiavo al vincitore fino a quando Rufy non diventerà Re dei Pirati."
Strane vicende del destino portano Zoro e Nami a un ribaltamento dei ruoli.
Ma quando anche emozioni e battaglie verbali si scontrano, i due avranno a che fare con i loro stessi del passato. Nuovi sentimenti tormenteranno la loro relazione impossibile da definire persino da loro stessi.
{ La mia vecchia long fic, ripescata dopo… quanti anni? Troppi. Ma ho avuto un improvviso, irrefrenabile impulso di occuparmi di nuovo della mia vecchia coppia preferita, continuando quella che, secondo me, era la mia fic più promettente e sentita del mio archivio.
Grazie a chi passerà a leggere ♥ }
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Se siete qui vuol dire che questa fanfiction ha in qualche modo catturato il vostro interesse. L'ho riletta, aggiustata, ho tolto e aggiunto qualcosa, e potando e piantando sono arrivata a questo.
Questa storia è talmente vecchia che quando la scrissi Franky neppure esisteva ancora come componente della ciurma. La timeline si aggira all'incirca dopo Alabasta, nel primo capitolo, continuando con riferimenti ad avanzare cronologicamente.
Buona lettura!


°°°°°°°



Bere non è un hobby. Bere non è neppure la soluzione di un disperato. Per me l'alcool è come lo spirito, l'essenza della vita, qualcosa che aiuta il corpo. Come il sonno. E' sacro e intoccabile, al pari del cibo per Rufy, del denaro per Nami e delle gambe e gonnelle per Sanji. Dio è cattivo a punire, perché non esiste uomo senza la propria ubbia. Se c'è qualcosa che odio è essere interrotto durante uno di questi miei capricci terreni.
"Zoro, chi ti ha dato il permesso di andartene senza dirmi nulla?!"
Non è neppure necessario riconoscere il timbro della voce di questa persona, perché la mia testa è abituata a identificarla quando viene picchiata da ella.
Nami.
Il mio buon liquore si rovescia fuori dal bicchiere a causa sua.
Insopportabile. Quella donna a volte ragazzina e a volte troppo donna mi ha sempre dato sui nervi. Capricciosa. Avara. Calcolatrice. Approfittatrice. Perché non mi sia mai andata a genio, perché io non sia mai riuscito dopo tutto questo tempo ad essermi almeno in parte abituato alla sua persona è una delle tante questioni a cui ancora non ho trovato risposta. Forse per il suo ideale di vita così contrario al mio, poco spirituale e troppo materiale. L'unica certezza è che una delle poche cose che ci accomuna morbosamente è la testardaggine. Questa fa conseguenza all'orgoglio. Le nostre ideologie lontane inevitabilmente di scontrano fino ad arrivare alla meta finale: la vittoria completa riuscendo a far sottomettere in qualche modo l'altro. Per mezzo di scontri verbali, per mezzo di scontri fisici. Queste sono le nostre questioni d'onore.
"Diamine, Nami. Ero solo andato a bere un bicchierino."
Sogghigna.
"Volevi per caso svignartela dal tuo dovere di portapacchi?!"
Odio anche fare il portapacchi. Ma lei ci riesce sempre. In qualche modo afferra un discorso, lo gira, lo rigira e lo travaglia come meglio le fa comodo. Un avvocato del diavolo. Poi viene anche il mio orgoglio: impossibile farlo ribellare a una questione apparentemente giusta, che non è altro che uno dei suoi tanti ragionamenti calcolati per riuscire in qualche modo a farle avere ragione su tutto. Ad esempio, questa volta io le avrei sporcato la giacca con il mio sake. Il fatto è che a rovesciarlo è stato Rufy. Tra i due quella che riesce ad averla vinta è quasi sempre lei.
"Sei fortunato che ti abbia ritrovato. Immaginando le tue conoscenze geografiche saresti tornato alla Going Merry tra tre giorni. Ringraziami anche per questo."
Ringraziarti? Avrei anche ragioni per ringraziarti? Semmai sono io a salvarti il sedere ogni volta!
"Ma sentila! Io non ho nessun tipo di ringraziamento da porti, tanto meno fare il secondo schiavo senza motivo!"
Lei, noncurante di ciò che ho detto, si siede sullo sgabello. Dopotutto, la situazione è sottomano solo a lei.
"A Weasky Peak ti sei seriamente impegnato, peccato che la cifra datami è stata appena un decimo di ciò che mi spettava. Il nostro era un accordo in comune..."
Sento puzza d'imbroglio, solo che non riesco a contraddire niente. Odio questo mio modo d'essere.
"Diciamo che se lavorerai per me per altre… novanta volte, sarò sul serio soddisfatta!"
L'oste porta il bicchiere di birra a Nami, che lo ringrazia con una gentilezza così cortese e così strana per me. Penso per un attimo che quando questi novanta favori sarebbero terminati, tutto sarebbe seriamente finito. Col cavolo, è solo un'illusione. Sarebbe bastato poco che si sarebbe trovata una scusa da sfruttare come nuovo motivo per incolparmi. Ho voglia di finire di sentirmi sottomesso, ho voglia di cambiare qualcosa. Per la prima volta il mio cervello pensa malignamente, come fa sempre lei.
"Che ne dici di una sfida di resistenza?"
Mi guarda stranita, forse perché rare sono le volte che ho iniziativa su di lei.
"Resistenza d'alcool? Sai benissimo di non poter competere!"
"Accettala, allora."
Sorseggia la sua birra, poi sorride come una volpe; come sempre, in queste occasioni.
"Se è una sfida per il vincitore ci sarà un premio, dico bene?"
Quanto me la immaginavo una risposta del genere. E stavolta ci avrei giocato tutto:
"Chi perde farà da schiavo al vincitore fino a quando Rufy non diventerà Re dei Pirati."
Sorride di nuovo, stavolta di più. Alza il braccio per richiamare l'oste. Chiede di portare tutta la birra del loro sgabuzzino al tavolo numero tre. E' sottinteso che avesse accettato.
Le prime volte il cameriere trasporta a ogni via vai due bicchieri per ognuno, ma man mano quel cameriere deve fare più veloce e più attenzione, perché nullafacenti, uomini distrutti e venuti a risollevarsi il morale alzando un po' il gomito o, la maggior parte di loro, fecce dell'umanità chiamati pirati aumentano di numero a ogni minuto che passa in preda alla curiosità per la nostra sfida. In quest'ultimo quarto d'ora i camerieri si sono triplicati così da avere meno intralcio al lavoro, in su e in giù per almeno una ventina di volte dalla cucina dell'osteria al tavolo numero tre. E io, come le piante dei piedi di quei camerieri, sono quasi arrivato al limite.
Qualcuno mi tira pacche dietro la schiena e sulle spalle per incitarmi a continuare, altri invece mi provocano; in un'altra situazione li avrei stesi per terra, ma il mio orgoglio è troppo preso in altre questioni: osservare il viso di Nami che ormai è agli sbocci. E' da molto che non sento sensazioni del genere, la paura e l'eccitazione al contempo mi prendono del tutto tralasciando il resto, come succede nei duelli. Credo che lo stesso valga per lei, che lascia perdere a sua volta i pirati che non nascondono stupore nel vedere una donna così poco femminile alzare il gomito come un maschio, e altri poco raccomandabili che, al contrario, commentano liberamente ad alta voce riguardo gocce di birra che si insinuano nel suo prosperoso petto.
"Te la cavi bene, spadaccino."
Il suo volto è esausto, ma non smetto di sopravvalutarla: conoscendola potrebbe trattarsi di un trucco.
"Sappi che sono solo alla metà della metà della metà della metà del mio massimo."
"E immagino il disgraziato che dovrà pagare il conto quando perderà!" sussulta una voce non identificabile tra la massa che ha accerchiato il tavolo numero tre. Ne segue una fragorosa risata. Così, anch'io dico la mia:
"Comunque vada io non ho neppure un Berry, amico!"
Di nuovo un forte e lungo schiamazzo da parte di tutti, eccezion fatta per Nami, che mi fissa con sguardo perso e pietrificato. Mi avvicina a lei afferrandomi per il bavero della maglia.
"Ascoltami bene! Adesso farò finta di svenire..."
Svenire? Divertente, anche se non ne capisco né il fine né il senso. Sarà perché, oltre a noi, c'è gente che urla e schiamazza come fossero dannati degli ultimi cerchi dell'Inferno, i più catastrofici, e non ho inteso il resto di ciò che mi ha detto; sarà che sono stanco e tremendamente provato; sarà che l'effetto dell'alcool dallo stomaco è riuscito ad arrivare fino al mio cervello e ad annebbiarmelo tutto. Mi sembra di vedere Nami ballare...
"Poi, distrarrò gli altri..."
Sta pensando a un piano, è certo. E' l'unica cosa che ho compreso di tutto.
"Al momento giusto ce la svignamo!"
Prende dalla gonna il suo sacco preferito, quello che contiene le sue pecunie. E' vuoto. Per quanto stanco, ubriaco e in mezzo al chiasso io sia, credo di aver afferrato il problema di tutto. Sicuramente quella scialacquatrice aveva regalato qualche ora prima i propri soldi in cambio di vestiti. Rimette il tutto a posto, poi, con teatralità, cade a terra.
"Zoro, sarai sempre tu il numero uno!"
Fa finta di disperarsi. Che carogna. Mi chiedo quante persone abbia fregato in questo modo in passato.
"Avete visto, uomini? Ve lo dicevo, io, una donna non potrà mai arrivare ai livelli di noi maschi!"
Questo è l'unico commento che riesco ad udire. Ci sono troppe persone e troppo rumore, e la mia testa sta scoppiando.
"Mio dio, cos'è quello?!"
Dopo aver urlato come un'ossessa, la ragazza della Going Merry punta il dito verso il soffitto. Pirati, uomini di mare e di terra seguono in un unico movimento il dito della mia compagna. Per un attimo sarebbero stati distratti da ciò. Che fosse questo il suo fantomatico piano di fuga? Lei mi prende la maglia da sotto il tavolo e mi trascina, sussurrando qualcosa:
"Come direbbe il nostro Sanji: siamo nella merda, se non l'hai ancora capito. Scappiamo adesso!"
Sì, era questo il momento di fuga tanto ingegnato da lei. La pensavo più furba e sofisticata. Peccato. Passiamo tra le gambe degli spettatori della nostra sfida, presi da un nuovo intrattenimento. Oltrepassiamo finalmente l'uscita di quella topaia, a un passo dalla libertà.
"Che sta succedendo qui?!"
Ci giriamo di scatto impauriti, spaventati dall'idea di essere stati scoperti.
"Ma io vedo solo una farfalla, non vedo altro."
"Possibile che le femmine abbiano paura anche delle farfalle oltre che degli insetti?!"
E io che credevo che ad essere patetico fosse stato il piano strategico di Nami. Quella alle nostre spalle è una masnada fi pirati ottusi e sempliciotti; se ne stanno lì, ancora fermi, a osservare il niente. Mi fanno tanto pensare al nostro capitano. Credo che anche Nami abbia elucubrato la stessa cosa, perché inizia a ridere. Cerca di soffocare i singhiozzi, ma ormai il tranello è stato scoperto:
"Che diavolo ci fate voi lì?"
Come direbbe il nostro Sanji: siamo nella merda, se non l'hai ancora capito. Scappiamo adesso!
Così facciamo. "Tu sei tutta scema!" urlo decisamente irritato.
"A dopo le discussioni!" mi risponde, incitandomi a seguirla. Corro come non avevo mai corso in vita mia. O è così o è una sensazione infondata ed è solo colpa dell'alcool se il fiato mi pesa tanto. Dopo varie indicazioni di Nami, la quale spesso mi richiama dicendomi che se avessi preso la via di destra e la seconda di sinistra sarei stupidamente ritornato all'osteria - ovviamente erano le strade che stavo prendendo quando mi trovavo davanti a lei - finalmente arriviamo in un viottolo vicino al mare. Lì è attraccata la nostra Going Merry. E quei bisbetici inseguitori non ci sono più. Comincia a girarmi la testa, in un tempismo quasi perfetto. Appoggio la mia schiena sulla parete di un muro, vicino a una rete piena di pesci. Nami segue i miei gesti, sedendosi completamente a terra. Nasconde il volto tra le braccia: sta ancora ridendo. Cerca di dire qualcosa tra un risolino e l'altro:
"L'abbiamo scampata per un pelo! Per fortuna che quella non era gente normale, altrimenti saremo già morti, credo!"
Sbuffo, perché è vero. Oltretutto la nostra sfida è stata interrotta che era ormai alla sua fine. E la situazione da me tanto detestata non sarebbe cambiata. Saremmo tornati sulla nave e tutto sarebbe rimasto come prima: lei che comandava, io che venivo comandato. Stavo già mandando al diavolo gli Dei, quando improvvisamente mi accorgo di un miracolo: la mia mano destra non ha ancora sganciato la presa da un bicchiere di birra. Quando Nami se ne avvede è troppo tardi, perché quel liquido è ormai in gola. Smette di ridere.
"Trentuno a trentadue".
Basta questa frase a farla sussultare e a farla sudare.
"Ehi, se avessi avuto la possibilità io ne avrei bevute altre cento. Non siamo più all'osteria, non vale!"
Il mio cervello ebbro ragiona senza morale, senza pensiero, ma con egoismo e calcolo, come quello di lei. Mi fa sorridere d'impertinenza e supponenza. Questo non le è piaciuto: deglutisce vistosamente. Non riesce neppure più a fingersi Regina dei Sette Mari come al suo solito, anzi sembra un piccolo volpacchiotto indifeso. E questo mi fa arridere ancor di più.
"Nei patti questo non era stato detto," le dico semplicemente. Sbianca, perché non trova niente su cui contraddire. Sicuramente si sta chiedendo da quando io sia diventato così intelligente. Le avrei risposto di aver imparato da lei. Per una volta da quando l'ho incontrata la situazione si è rovesciata. La sua sarebbe diventata una vita di sfinimenti eterni, mi sarei vendicato per bene.
La guardo con sorriso soddisfatto:
"E' tardi. Torniamo alla nave, schiava."

  
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