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Autore: V a l y    08/09/2006    6 recensioni
"Che ne dici di una sfida di resistenza? Chi perde farà da schiavo al vincitore fino a quando Rufy non diventerà Re dei Pirati."
Strane vicende del destino portano Zoro e Nami a un ribaltamento dei ruoli.
Ma quando anche emozioni e battaglie verbali si scontrano, i due avranno a che fare con i loro stessi del passato. Nuovi sentimenti tormenteranno la loro relazione impossibile da definire persino da loro stessi.
{ La mia vecchia long fic, ripescata dopo… quanti anni? Troppi. Ma ho avuto un improvviso, irrefrenabile impulso di occuparmi di nuovo della mia vecchia coppia preferita, continuando quella che, secondo me, era la mia fic più promettente e sentita del mio archivio.
Grazie a chi passerà a leggere ♥ }
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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I miei occhi sudano. Difficile da dire, anatomicamente improbabile, ma i miei occhi sudano. Ogni qualvolta che termino esercizi la vista annebbia, perché gocce di sudore penetrano nei miei globi oculari. Credo siano state così tante le volte che è successo, che mi son scordato come possa piangere un occhio; non ricordo una tra le funzioni più importanti di quell'organo visivo. L'ultima volta che ho versato una lacrima fu molto tempo fa, non ne rammento il sentimento. Ma so quando è stato. Lo so e lo evoco ogni volta che mi guardo riflesso nello specchio. E la mia mano passa automaticamente sulla lunga cicatrice trasversale che sfregia il mio petto.
Allora mi blocco, sposto gli occhi verso me, il me riflesso, e penso: "Dove avrò sbagliato?"
Mondana notte, mondana domanda. Ancora non ho trovato risposta.

"Zoro, ma quelli sono cento chili di ferro?!"
Usop cerca in tutti i modi di sollevare l'enorme peso che da sempre mi porto dietro, prima e dopo ogni avventura. Non riesce neppure ad alzarne un quarto di parte. Tenta di scusare la sua scarsa potenza di braccia a causa di una maledizione di un orco invidioso che a ogni dì del 13 di ogni mese avrebbe diminuito la sua forza. Invano nei miei riguardi, vano nei riguardi di Chopper, che al solito lo osserva con orgoglio e splendore. Ma subito vengono distratti dall'odore del dolce al limone di Sanji per le due uniche donne di bordo, al momento intente a chiacchierare di roba mai sentita in vita mia: astronomia, strologi e stoicismi.
Le donne si divertono ad annoiare la vita con inutili chiacchiere...
Tra una distrazione e l'altra ognuno sulla Going Merry perde di vista il vero motivo per cui siamo tutti insieme. Mi chiedo se gli altri, guardandosi allo specchio, si ricordino il perché. L'unico a non dimenticare mai, neppure una notte, sono io. Solo io. E mentre gli altri si abbuffano di torte e battute, rimango lontano da loro, in mezzo alla mia solitudine.

"Dove sono Rufy e gli altri? E Robin?"
"Rufy e gli altri sono ancora dentro... Robin sarà da qualche parte..."
Un Usop decisamente entusiasmato mi parla agguantando una strana conchiglia. Un dial, mi pare: quegli strani affari che si trovano sull'isola del cielo. Adesso è lì che mi trovo. Dopo una guerra tra un Dio e il popolo, un lieto fine sovrana la situazione e una meritata ricompensa attende i nostri eroi: chili, quintali, tonnellate d'oro, trovate chissà come dentro lo stomaco di un biscione. Noi tutti stiamo assaporando al massimo la vista di quei bei gioielli luccicanti che ballano nei nostri occhi con effetti di luce dorata. Beh, non proprio noi tutti, visto che io me ne sto davanti alla bocca di quello strano rettile a spaccare massi con le mie katane. Oltre a questo c'è Usop, completamente svagato da questi suoi nuovi acquisti di Dial. Me ne mostra uno, poi un altro. Scherza. Ride. Infine se ne va, raggiungendo il gruppo. Ed io mi ritrovo nuovamente solo, con l'unica compagnia di tre spade e qualche roccia.

Ma va bene, così dev'essere. Da quel giorno, ho rammentato il mio vero obiettivo. Ho compreso quanto possa essere difficile raggiungerlo, ho capito quanto importanti siano questi allenamenti.
Affinché io batta Occhi Di Falco.
Affinché io mantenga una promessa.
Eppure, sento che qualcosa non va. So di esser migliorato, ogni allenamento di più, ma guardandomi allo specchio non provo gioia. Solo amara delusione. Insoddisfazione per qualcosa di incomprensibile per me. Non conoscendo la causa, posso solo sfogare la mia rabbia. Così, confido le mie ire con il primo che passa:
"Smettila di strillare, Sanji! Non vedi che sto dormendo?!"
Quello strano ragazzo urla sempre per due motivi: o Rufy e Usop hanno tentato di forzare il lucchetto del frigo in preda ad un raptus di fame, o gli erano passati davanti i corpi per lui da favola che si portano addosso Nami e Robin. Stavolta è toccato a Nami.
"Cos'hai detto, razza di spadaccino bifolco?!"
Il seguito vuole sempre che noi finiamo in una lite, e non solo verbale... Anche fare a botte con Sanji, in un certo senso, si può definire "allenamento".

Ormai è rimasto solo questo come metodo di approccio con gli altri. Il mio mutamento di carattere ha fatto imbizzarrire il mio animo, immagino lo sia anche per loro. Per questo, certe volte, mi sento spesso estraeniato...
"Un brindisi alla riuscita dell'impresa! E un doppio brindisi come augurio alla ricerca di un carpentiere coi fiocchi nella ciurma!"
"Hip hip, urrà!"
Vedo un focolare e sei persone sedute attorno. Ne manca una: io. Non bastano gli sfoghi con il cuoco della ciurma per ammansire la mia ira. Così, la mia frustrazione se la prende con colei che al momento, per uno scherzo del destino, è diventata la mia schiava:
"Prendimi quel pantalone verde sopra l'armadio."
La ragazza sbuffa scocciata alla mia richiesta, portando le braccia sulla vita: il suo modo di fare quando una situazione non le piace affatto.
"Capisco che io non mi debba lamentare, ma quest'armadio è troppo distante. Tu che sei più alto di me lo prenderesti subito!"
Nulla di lei è mutato da dopo la scommessa: è rimasta la sfacciata di prima. Anche adesso mi fissa con occhi orgogliosi e per nulla intimoriti. Le ho promesso che non l'avrei mai più minacciata con le mani... ricattarla in altri modi, però, è più che lecito nei nostri patti.
"E' che ho mal di schiena. Prendilo, altrimenti ti rovinerò la tua maglia blu e bianca che ti piace tanto."
Neanche a ripeterlo due volte che quella corre a prendere una sedia e la posa vicino l'armadio. Proprio un bel modo di incitarla; questione di due o tre secondi.
"Quando si parla di vestiti smetti improvvisamente di lamentarti, eh?!" la derido io, rimanendo seduto sul pavimento con le braccia sopra la mia testa e con la schiena appoggiata alla parete, contemplando mentalmente me stesso per essere così in vantaggio rispetto alla navigatrice. Non può dire niente, solo guardarmi disprezzata per questo mio nuovo potere che ho su di lei. Sbuffa soltanto, per non darmi ragione.
Dispone anche quest'ultimo indumento sopra gli altri per mandarli a lavare, quando la sua attenzione si sposta sulle mie tre katane.
"Di' un po': perché tieni ancora quella spada così sgualcita?!" mi chiede impertinente riferendosi senz'altro alla wado ichimonji.
"Perché sono cavoli miei!" rispondo io irritato da quell'antipatico questito. Questo perché è un mese che mi tormento a causa del mio passato e non ho voglia di rimembrarlo in alcun modo. "Ora va'!" finisco la frase incompleta di prima.
"E' un po' che ti vedo sempre scontroso..." commenta Nami riguardo la mia reazione poco garbata di prima. "Be', amico, datti una calmata o ti cacceremo da questa nave a suon di calci!"
Ride. La sua affermazione non era seria, ma solo un innoquo scherzo tra amici; apparentemente, perché bastò questo a sputarmi in faccia gli stessi timori che sentivo rimurginare nella mia testa con una noncuranza unica...
Al contrario di ciò che avrebbe previsto lei mi arrabbio, e anche molto:
"Cretina, ho detto di andartene!"
La spingo prepotentemente fuori da camera mia, facendo forza con le mani sulla sua schiena. Sbatto violentemente la porta, restando così da solo in quella stanza, per l'ennesima volta. Mi giro e ritrovo davanti il me stesso riflesso su uno specchio. Tiro un pugno e mi moltiplico a causa dei mille pezzi con il quale, adesso, si forma la mia specchiera, facendomi sanguinare le nocche.
Tutto questo perché mi detesto. Mi detesto soprattutto adesso, che mi sto arrendendo.

Centotredici, centoquattordici, centoquindici...
Termino così quel manchevole allenamento di pochi tre quarti d'ora, faticando miseramente. Di solito faccio almeno il doppio di alzate di pesi.
E' tutto qui ciò che sai fare, Zoro?!
Il tono di sfida della mia amica d'infanzia riecheggia nella mente, come fosse stata davvero presente in quel momento. Kuina, quanto mi mancano le tue sfide... Sembra che adesso io abbia perso tutta quella passione di spadaccino che un tempo condividevo insieme a te.
I miei bisogni fisiologici soprassalgono quel mio momento di nostalgia, chiedendomi quanto avrei dovuto ancora aspettare per la cena. Mantenendo la mano sopra il mio stomaco affamato, mi avvio verso la cucina, e me li ritrovo tutti lì, a mangiare e saziarsi a volontà: la ciurma di Rufy al completo.
"Oh, Zoro, sei venuto finalmente!" esclama felice la piccola renna. Ma io non mi scompongo neppure di un sorriso.
"Che sta succedendo?!" chiedo spiegazione con un tono di voce decisamente poco gradito.
"Come sarebbe a dire, sei cieco?! Abbiamo preparato la cena," sbuffa il cuoco, espirando fumo dalla solita sigaretta in bocca. Era appunto questa la cosa che tanto mi faceva adirare. Domando, quindi:
"Perché non mi avete avvertito?"
Nessuno dei presenti ha voglia di rispondermi, neppure quelli più chiassosi. Il capitano smette addirittura di abboccare quantità enormi di pollo, fermando così la sua sacra masticazione. Quel silenzio lo prendo male. Prima che qualcuno potesse per puro, assurdo caso rispondermi, io varco la porta, non scordandomi ovviamente di mandare in 'quel posto' Sanji.
"Si può sapere che diavolo ti prende ogni volta?!" mi tuona contro la ragazza dai capelli rossi.
L'avvocato difensore, Nami, esce dalla cucina subito dopo di me; poi viene seguita dal resto della combriccola. Mi fermo a guardare la sua figura esile contro il sole, schietta e felina, sempre così forte, nonostante il suo fisico gracile. Questa viene raggiunta per prima da cuoco, che la guarda preoccupato. Mi accorgo che Nami e Sanji si son sempre aiutati a vicenda, soprattutto se la questione dei loro litigi ero io. Credo che quei due se la intendono di nascosto, in segreto al resto della ciurma.
Ma di questo poco mi frega. La sfacciata osa sempre troppo, non l'ho mai sopportata.
"Che vuoi, Nami? E' tutto il giorno che non ti fai i fatti tuoi!" la schernisco io con voce alta. Lei continua per nulla intimorita:
"Smettiamola di litigare! E' già da qualche tempo che ti vedo sempre arrabbiato con noi. Dicci almeno il perché!"
Mi chiede il motivo, dunque. E di nuovo si tornerà alla questione della mia infanzia. Vuole che le dica la verità? Gliela rinfaccerò, allora, ma non tutta, solo quella più cattiva che una parte del mio animo si tiene dentro. Quella più astiosa che ho sempre avuto nei confronti lei. Resterà con l'amaro in bocca, non avrò pietà!
"La verità? La verità è che se ho una cicatrice che mi solca per metà è per colpa di una ragazzina avara e capricciosa. E sempre per colpa sua i miei sogni sono svaniti in un'attimo. Mentre questa ladruncola se ne stava a fare i dispetti alla ciurma, scappando con la nostra nave, io non ho avuto tempo di concentrarmi contro Occhi di Falco e ho perso il duello! Spero che questo ti basti come spiegazione e ti renda più tranquilla!"
Il mio ego urla parole di disprezzo assoluto, con un tale uso eccessivo di corde vocali da farle arrivare persino alle orecchie degli abitanti dell'Isola del Cielo. Segue nuovamente un silenzio assurdo, completamente in contrasto al mio strido precedente. Mi sarei aspettato un tentato omicidio da parte di Nami, una parola di difesa da parte di Sanji; ma neppure Rufy, il più chiassoso, ha proferito alcun suono. Dunque, erano talmente delusi di me da non tentare neppure di sgridarmi? In un certo senso, quest'ultima opzione sarebbe stata l'unica ancora di salvezza per mantenere un approccio con gli altri, ma nessuno di loro osa questa via. Se ne stanno tutti zitti, con gli sguardi verso pavimento, tranne quello di Nami, che mi osserva con pietà e amarezza, proprio la sensazione che volevo farle avere addosso, solo che adesso non sono più così contento come sarei dovuto essere. Me ne vado con passo veloce nella mia stanza.
L'ultimo metodo di contatto con gli altri è fallito e presto mi sarebbero mancati quei violenti litigi con la ciurma.

La triste legge dell'escluso ha un doppio verso: essere ignorato e ignorare a sua volta. Per un po' non avrei più rivisto i miei compagni; mi sarei allenato di notte e avrei dormito di giorno, sperando un giorno in cui le acque si sarebbero finalmente calmate. Salgo le scale che portano alla piantagione di mandarini, il posto in cui ho dimenticato la sera scorsa i miei pesi. Una silenziosa figura si fa strada mentre raccolgo i miei strumenti d'allenamento, la stessa esile forma che quel maledetto dì si trovava in controluce del sole. Riconosco subito Nami, intenta a raccogliere i suoi mandarini. Avrei giurato di non vedere più nessuno per almeno una settimana e solo due ore dopo l'ultimo, cruento incontro con gli altri mi ritrovo la navigatrice lavorare per le sue piantagioni. Mi osserva nel buio della notte sorpresa e intimorita, restando immobile alla posizione in cui l'avevo trovata appena l'ho vista. Questa è una di quelle classiche situazioni in cui ci vorrebbe un bel sorriso di circostanza. Lascio perdere e faccio dietro front all'istante, senza aggravare maggiormente la situazione.
Sento un peso picchiarmi la testa. Vedo rotolare sul pavimento un mandarino...
"Ops, mi è scivolato di mano..."
Quella stupida non ha le mie stesse intenzioni, a quanto pare. Al contrario: se la ride addirittura. Inizio a innervosirmi parecchio:
"Insomma, cos-"
Mi tappa la bocca con un altro mandarino, prima che io riuscissi a finire la frase. Guardandomi con orgoglio, me ne dice lei un'altra:
"Zoro Rolonoa, ti sfido!"
"Cofhna?"
Era un "cosa?" con un mandarino in bocca. Lei mi toglie quel frutto da dosso.
"Logicamente useremo solo mani e piedi, sei troppo forte con la spada," mi spiega semplicemente, come a stare a parlare di qualcosa di naturalissimo, di tutti i giorni. C'è un trucco in tutto questo, sicuramente.
"Ma se ti sei messa a frignare perché non volevi che ti minacciassi!" la smaschero io, convinto di una reazione tradita da parte sua.
"Ah, ovviamente non c'è neppure bisogno di uccidere a sangue. Perde chi si arrende!" continua a dirmi con nonchalance, ignorandomi del tutto.
"Smettila di fare la mocciosetta! Credi di ingannarmi con così poco?!"
Ma lei prosegue con la sua solita calma fino a un certo punto, quando si gira di schiena a parlare da sola a voce alta, come a voler sorpassare la mia. Come i bambini quando chiedono assiduamente alla madre un palloncino.
"Che stupida... basta, io me ne vado!"
Non avevo voglia di farmi incastrare da quella strega. Appena volto le mie spalle, mi lancia nuovamente un mandarino sulla capa.
"Nami, hai veramente rotto le-"
Le mie parole si bloccano nuovamente, ma stavolta non per colpa del mandarino in bocca. Quella svitata compie un'azione che non mi sarei mai aspettato: mi tira un pugno in faccia e mi rovescia sulla piantagione.
"Così la smetti di urlare, scemo!" brontola la rossa avvinghiandosi a me, mantenendo il bavero della mia maglia con il pugno sinistro. "Non sarà che hai paura di me, Rolonoa?" mi schernisce divertita.
Ha toccato un tasto dolente: l'orgoglio. Il mio animo puerile mi porta a ragionare poco, seppure tutte quelle provocazioni erano state probabilmente frutto di un'ingegnosa trappola. Non ci penso due volte a lasciar stare etiche e virtù e a restituirle il favore con il medesimo servizio: un altro pugno, scaraventandola all'indietro. Mi guarda sbeffeggiando:
"Hai accettato la sfida. Non puoi più tirarti indietro!"
Mi si appiglia un'altra volta e mi tira di nuovo un pugno, facendomi ulteriormente salire l'adrenalina. Da quant'era che non succedeva? Così le vado addosso io, stavolta, bloccandole il polso e mantenendola addossata con il busto al pavimento. La ragazza comincia a frignare, gemendo di dolore. La mollo immediatamente a causa di un improvviso ritorno di pietà, ricordando l'equivoco successo l'altro giorno e la promessa che le feci.
"Scu-scusa, ti ho fatto male?" le domando io titubante. Questa mi risponde con un carico calcio in mezzo alle gambe. Mi accascio addolorato da questo violento colpo meschino.
"Un vero samurai non abbassa mai la guardia!" afferma l'imbrogliona.
La rabbia si fa risentire, la pressione continua a salirmi, il sangue mi bolle in tutto il corpo. Mi ritrovo di nuovo sopra di lei e insieme rotoliamo giù dalle scale. Da lì a mezz'ora non c'è stata sosta di colpi.

°°°

"E' stato divertente!" ammette la rossa ridendo forte, nonostante le dure botte subite.
Ci troviamo entrambi stesi sul pavimenti a pancia in su, con le braccia aperte, ansimanti di stanchezza ed esausti di quei continui colpi. Non ho avuto pietà nei confronti di quella femmina, visto che è stata stranamente lei a chiedermi di azzuffarmi, e neppure Nami ha avuto pietà nei miei confronti, la quale, oltretutto, è stata più violenta di me. Lasciamo perdere, per l'appunto, quei continui calci che mi ha dato là dove il sole non batte...
In ogni caso, ancora non comprendo il motivo per cui lei abbia voluto incitarmi a scazzottarci. La guardo e lei capisce che chiedo spiegazioni.
"Ti ho trasmesso qualcosa, Zoro?"
Un incognita molto originale! Non ne capisco il senso ed interpreto a modo mio:
"Certo: qualche botta in faccia, qualche livido, e tanti dolori alle mie parti basse..." rispondo con fare sarcastico. Lei sorride alla mia battuta, ma non era di certo questo ciò che intendeva. Si gira con la schiena contro di me.
"Il fatto è che non riesco più a comunicare con te. Ho tentato con quest'assurdo mezzo..."
Mi confessa i miei stessi timori. Comprendo, quindi, ciò che le era appena passato in testa. La ragazza si rannicchia su se stessa.
"Volevo solo dirti che capisco cosa si prova quando qualcuno ti sottrae un sogno."
Intuisco il riferimento della sua affermazione. Il destino ha voluto che noi tutti, pirati di cappello di paglia, non avessimo nulla in comune se non l'infanzia brutale ci è stata concessa.
"Non volevo rubartelo io..." finisce di dire Nami.
Ma la realtà è un'altra. Ho sempre saputo che la verità di quella parte cattiva del mio animo suggeriva solo una soluzione più facile e bugiarda. La colpa della sconfitta di Mihawk è stata solo mia e della mia inferiorità, ho fatto solo credere a me stesso che non era vero prendendomela con la navigatrice.
"Ero solo arrabbiato, non l'ho pensato seriamente."
La vedo alzarsi con fatica dall'innaturale posizione in cui si trovava, stravaccata sul il pavimento. Si trova in piedi, davanti me.
"Sai... dopo questo, ti chiederei prepotentemente perché eri arrabbiato, e tu, al solito, risponderai con il tuo raffinato 'cazzi miei' e ci ritroveremo un'altra volta a litigare. Facciamo che saltiamo tutta questa parte e che le botte di prima ti siano comunque servite come sfogo."
Barcolla verso la sua stanza e rimango perplesso su ciò che devo fare o dire. Eppure, con un'assurda normalità, forse a causa delle botte in testa, forse a causa di quella strana atmosfera, dalla mia bocca escono parole mai dette a nessuno:
"C'era una bambina che, quand'ero piccolo, mi ha regalato una spada, anche se non è del tutto giusto dirla così, visto che la spada la presi che era già morta..."
Barcolla un'altra volta, stavolta per lo stupore. Volge lo sguardo sui miei occhi, stanchi di essere malinconici, nostalgici...
"Ti sembrerà assurdo o irrazionale, ma facemmo la promessa che uno di noi sarebbe diventato il più forte del mondo. La spada che mi porto appresso ogni giorno è l'anima di questa bambina che mi segue fino a quando, insieme, non avremo sconfitto Mihawk."
E adesso capisco, comprendo tutto. Il motivo per cui la mia tecnica di spada è migliorata e il motivo per cui è peggiorata. Un ragazzo di gomma mi ha aiutato a credere dopo stenti di sofferenze vissute da solo ed ora, nuovamente in solitudine, non credo più a ciò che voglio. Mi ero perduto senza di loro... La verità vien fuori dalle mie labbra come un ordinario respiro:
"Voi mi avete abbandonato ed io non sono più riuscito nell'impresa..."
La ragazza fece uscire silenziosamente fiato da bocca, mantenendo il suo solito sorriso da regina dei sette mare. Mi avrebbe sicuramente risposto con convinzione e autorevolezza:
"Rufy ci ha raccontato di un tuo sogno impossibile da realizzare con il nostro intralcio. Nessuno di noi si è mai voluto azzardare ad interrompere i tuoi importanti esercizi quotidiani, neanche Sanji che tu credi ti odi tanto; per questo ti abbiamo sempre lasciato stare in disparte. Se l'ultima volta che abbiamo parlato tutti insieme nessuno ha risposto al tuo sclero era perché non potevamo contraddirti..."
Un equivoco. Uno stupido, piccolo, sciocco equivoco. Le persone che credevo non mi volessero nella loro ciurma erano coloro che più di tutti mi hanno aiutato nell'impresa. Ed io, silenzioso e imbecille quale sono, non mi sono mai fatto avanti, esprimendo i miei pensieri. Pretendevo solo di essere capito con nulla.
Sono cocciuto e fiero, ma ammetto sempre quando sbaglio:
"Scusami, non è colpa tua e neppure di Sanji, Rufy, Usop, Chopper o Robin. E' solo colpa mia..."
Una veloce risposta anima l'atmosfera che si era creata:
"Da non credere: Zoro sta chiedendo scusa!"
La rossa sgrana gli occhi felice. Due novità accadute in un sol giorno: la prima di aver raccontato a qualcuno la storia della mia infanzia, la seconda... di aver chiesto perdono. Nessuna delle due è da me. Cerco di salvarne almeno una:
"Be', anche tu prima hai chiesto scusa!"
"Non ho mai chiesto scusa, ho solo detto che non volevo essere io a rovinarti il sogno!"
Furba, testarda, beffarda e pure calcolatrice; non cambia neppure davanti a una situazione tragica. Ricominciamo a litigare, come se la confessione di prima non fosse stata altro che un'affermazione qualunque. Stavolta mi arrabbio con meno accanimento e lei mi picchia più dolcemente, anche se quest'ultimo aggettivo è decisamente poco consono al verbo al quale si riferisce...
"Ma tu guarda... ti sta venendo un occhio nero, Nami."
Si tocca e dalla bocca ne esce un gemito. Non le piace avere il viso rovinato, ma non è l'unica: colui che dispiacerà più di tutti sarà sicuramente Sanji.
"Non dire al cuoco che sono stato io, intesi?"
Dopotutto la responsabilità non era del tutto mia. Detto fatto...

"Naaami caaara, chi ti ha rovinato così?!"
Sanji è la nostra quotidiana sveglia. Non abbiamo bisogno di comprarne una vera, perché lui, oltre a soddisfare la taccagneria di Nami, non necessita di pile. Alle sette in punto del mattino di ogni dì risuona in tutta la nave il suo grido. Questo succede a causa di Rufy che tenta di rubare cibo dalla dispenza, a causa di Chopper e Usop che combinano disastri, a causa di Robin che gli passa davanti - e nient'altro, solo questo, ma siccome è di sesso femminile basta e avanza come motivo - o, ricordiamoci, anche a causa mia. Insomma, esiste qualcuno nella ciurma che riesce a competere con le isterie di Nami. E stavolta è stata quest'ultima la causa. Il biondo urlò alle sette del mattino perché vide la navigatrice con un occhio nero.
"Non è nulla Sanji, son caduta dalla sedia".
La odo mentire dall'alto della Going Merry, la mia postazione preferita per dormire. Alzo il mio corpo pesante e ancora un po' ferito e lo trascino verso la combriccola di pirati in quel momento intenti a svuotare, tanto per cambiare, i rifornimenti della stiva. Varcando la porta, sento addosso i loro occhi; percepisco i loro sguardi perplessi. Sarebbe toccato a me parlare per primo, com'era giusto che fosse. Chiedere perdono, certo, non era per niente il mio forte. Parlo a loro con un inizio standard, chiamato il metodo 'come reagirebbe Zoro'.
"Vedo della verdura sulla tavola. Che schifo... io odio il cavolo!"
Il capitano ride. Ha avuto per primo il fiuto di comprendere un perdono da parte mia.
"Sai com'è: Rufy la scorsa notte si è finito tutto il pollo," afferma il cuoco. Il sorriso di cappello di paglia si muta subito in un espressione di disapprovazione.
"Eeehi, ma non sono stato io!" mente spudoratamente.
"Guarda che lo so perché me l'ha detto Usop," afferma il biondo.
"Usop, sei uno spione! Proprio tu che hai mangiato insieme a me!" risponde adirato il capitano, cadendo così nella palese trappola di Sanji.
"Ma Rufy, guarda che io non ho detto proprio nien-"
I due malfattori vengono presi in pieno dal calcio del mattino di Sanji, che solitamente avviene dopo qualche minuto de 'L'urlo del mattino' delle sette.
Così, Rufy e l'amico nasuto sono intenti a dare inutili spiegazioni a Sanji, Chopper prepara il materiale per una futura e alquanto prevista ferita da parte di qualcuno, Robin legge sorridente un libro e sposta l'attenzione meccanicamente su le urla di quei tre pazzi divertita. Tutto questo durante una mondana mattinata qualunque della Going Merry, ma stranamente mi sento come se oggi sia stato il primo giorno in cui sono entrato a far parte della ciurma di cappello di paglia. Un nuovo sentimento di nostalgia traspare nel mio animo, stavolta pieno di tenerezza.
"Va be'... in fondo non è così tanto male il cavolo..."
Chiedo, così, scusa a tutti loro.

Trecentoventiquattro, trecentoventicinque, trecentoventisei...
E non sono neppure stanco! Continuo interperrito i miei allenamenti mattutini, accorgendomi che quegli sforzi usati come metodo per non pensare ai propri problemi vengono impiegati in modo migliore a mente libera. Avrei continuato fino a quattrocento se un colpo dietro il capo non mi avesse colto alla sprovvista. Vedo rotolare un mandarino; una scena familiare...
"Ops, mi è scivolato di nuovo di mano..."
La piccola ladra mi caccia la lingua con fare indispettito e divertito. Percorre le scale in discesa senza smettere di insultarmi, di ridere, di sbeffeggiare... insomma, proprio lei, come sempre: Nami. Ed io la guardo senza proferire alcuna parola. Penso che quell'insopportabile strega non sia poi così insopportabile. Credo di starmi finalmente un po' abituando alla sua persona... osservo con furore la figura di lei perdersi in mezzo alle altre.





Fu quella la prima volta la guardai con occhi diversi.





  
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