L’altra faccia dei desideri
Dorothy si
tirò su, scrollò il vestito e si guardò intorno nella
cantina ripulita di fresco. Quanto tempo aveva già trascorso
laggiù, a fare le pulizie per conto della Perfida Strega
dell’Ovest? Ore, forse giorni interi. Strizzò il panno umido nel
secchio, imbronciata; il lavoro non la spaventava – dopotutto era
cresciuta in una fattoria, e la zia Emma sapeva essere molto esigente in fatto
di lucidature e colpi di scopa. Tuttavia non le piaceva affatto l’idea di
dover fare da schiava alla Strega per sempre.
Nelle favole che
le leggeva la zia Emma, le fanciulle costrette a subire quelle umiliazioni
venivano puntualmente salvate da principi azzurri su cavalli bianchi. Lei non conosceva nessun principe
azzurro, e gli unici che avrebbero potuto aiutarla al momento erano in
condizioni ben peggiori delle sue. Si costrinse a non rattristarsi per la sorte
dello Spaventapasseri, svuotato della sua paglia e ridotto a fagotto di stracci
senza vita, o del Boscaiolo di Latta, scaraventato tra le rocce appuntite dalle
Scimmie Volanti, o del Leone Codardo, rinchiuso in un recinto a morire di fame
– no, non poteva permettersi di piangere. Doveva essere forte anche per
loro, per i suoi amici. Be’, avrebbe trovato da sola una soluzione: in
Kansas era sempre così, per vivere ci si arrangiava.
Seguita passo passo da Totò, Dorothy ripose secchio e straccio nel
ripostiglio che la Perfida Strega le aveva indicato, tornò al centro
della stanza e osservò attentamente tutto ciò che la circondava.
La Strega doveva usare quella cantina per esercitare le sue arti più
oscure, poiché ovunque i suoi occhi si posassero si stendevano file e
file di strani strumenti dall’aspetto ben poco rassicurante.
C’erano dei pugnali d’argento in bella mostra sopra quello che somigliava
a un altare. C’erano ampolle piene di un liquido rosso sangue che neppure
una bambina golosa come Dorothy avrebbe mai avuto voglia di assaggiare.
L’oggetto più curioso – e anche un po’ più
innocuo – pareva invece la grande sfera di vetro nell’angolo, che
aveva dovuto strofinare più e più volte per liberare da tutte le
ragnatele. Sembrava quasi che la Strega avesse voluto disfarsene.
La ragazzina si
avvicinò. Tanto valeva prendersi un altro po’ di tempo prima che
la Perfida Strega le assegnasse l’ennesimo compito; e forse, dopotutto,
in quella cantina piena di cose indiscutibilmente magiche avrebbe trovato un
modo per fuggire da lì e salvare i suoi amici. Totò annusò
la sfera con diffidenza, mentre lei si accucciava sui talloni e la fissava.
Non sembrava
pericolosa né strana, e per un attimo Dorothy si chiese perché
mai la Strega possedesse un oggetto tanto ordinario. Poi, all’improvviso,
la sfera si animò: nelle sue profondità si agitò un
vortice di immagini, e mentre Totò guaiva e si accostava alle sue
ginocchia, Dorothy ricordò con un brivido di eccitazione le sfere di
cristallo in cui si diceva che i grandi maghi leggessero il futuro. Era
così, allora? Stava per accadere qualcosa di simile?
Le immagini si
fecero più nitide. Dorothy si avvicinò ancora, scrutando la sfera
della Strega come se fosse stata la superficie di un laghetto. A poco a poco,
distinse i lineamenti di un viso molto familiare... Il suo riflesso, che rideva
e abbracciava le figure dello zio Henry e la zia Emma.
Dorothy rimase a
bocca aperta, perplessa e delusa: che la sfera mostrasse il passato
anziché il futuro?
Poi
l’immagine cambiò; la fattoria svanì – e adesso
vedeva una città meravigliosa, con alte guglie e torri scintillanti di
un verde profondo: riconobbe immediatamente la Città di Smeraldo, dimora
del Meraviglioso Mago di Oz. Dorothy si fece
così vicina che il suo naso quasi sfiorava la superficie di vetro; era
molto curiosa di conoscere il passato della Città di Smeraldo.
L’immagine
le mostrò il trono dal quale Oz aveva ordinato
a lei e ai suoi amici di uccidere la Perfida Strega dell’Ovest per
dimostrare di meritare i doni che gli chiedevano, ma con sua grande sorpresa
non vide né la grande testa che aveva parlato a lei, né una delle
straordinarie apparizioni che le avevano descritto lo Spaventapasseri, il
Boscaiolo e il Leone: sul trono del palazzo della Città sedeva lo
Spaventapasseri in persona, con una corona d’oro cucita al sacco che gli
faceva da testa e che il fantoccio teneva abbandonato su un guanto con aria
triste e annoiata. Ma com’era possibile? Lo Spaventapasseri era sempre
vissuto nel campo di grano finché lei
non l’aveva tirato giù dal palo! Cosa ci faceva sul trono di Oz? E poi – cosa più strana di tutte –
come poteva sembrare così triste, quando in tutto il tempo che avevano
passato insieme non aveva fatto che sorridere?
L’immagine
cambiò ancora e Dorothy restò lì a guardare il suo
Spaventapasseri che si trasformava nella sagoma luccicante del Boscaiolo di
Latta, il quale passeggiava in quello che... sì, sembrava proprio il
castello della Strega dell’Ovest, rifletté la ragazzina, adesso
decisamente sbalordita. Il Boscaiolo non aveva mai neanche messo piede in quel posto, perché le Scimmie Volanti
l’avevano quasi distrutto prima che lui e i compagni potessero raggiungerlo.
E anche il Boscaiolo aveva un aspetto diverso dal solito: sul suo petto liscio
c’era un taglio appena visibile, come uno sportellino, all’altezza
del punto vuoto in cui avrebbe dovuto esserci il cuore, e il suo volto gentile
era lucido di lacrime, anche se le labbra erano distese in un sorriso. Che cosa
strana.
Totò
guaiva sempre di più, tremando al fianco di Dorothy, ma lei se ne
accorse a stento. La sfera vorticò di nuovo e al posto del Boscaiolo
comparve il Leone, in una postura incredibilmente regale, intento a ricevere
gli onori di una schiera di animali in una foresta lussureggiante: sembrava
proprio che lo stessero acclamando come un re, eppure i suoi occhioni liquidi erano pieni di tristezza. E anche in
questo caso, non poteva trattarsi del
passato, perché il Leone Codardo diceva sempre di non aver ricevuto
altro che sbeffeggiamenti da tutti i suoi simili.
L’immagine
si accartocciò su se stessa; ci fu un ultimo intrico di colori e infine,
semplicemente, tutto scomparve così com’era apparso.
Dorothy
restò a un soffio dalla sfera gelida e trasparente, a domandarsi cosa
volesse dire quel che le aveva mostrato. Se era
una sfera magica – in grado di predire il futuro – la spiegazione
non poteva essere che una: era rotta, e la Strega l’aveva cacciata
laggiù in cantina proprio per liberarsene. Oppure... Oppure...
Be’, non vedeva altre spiegazioni. Insomma, se lei avesse potuto tornare
nel Kansas, allora anche lo Spaventapasseri, il Boscaiolo e il Leone avrebbero
trovato la felicità qui a Oz, giusto? Il Mago
avrebbe esaudito i desideri di tutti loro e nessuno avrebbe sofferto.
Sì, la Perfida Strega dell’Ovest doveva aver abbandonato la sfera
nella polvere perché sapeva che quella non avrebbe mai più
risposto alle sue domande con la verità.
Totò
alzò il muso verso di lei con uno sguardo incerto. Dorothy gli sorrise e
lo accarezzò con affetto sulla testa.
«Hai avuto
paura, Totò? Non preoccuparti, qui non c’è niente che possa
farci del male.»
Si alzò
di nuovo, stringendo il cagnolino al petto, e pian piano
s’incamminò verso le scale per andare a ricevere il prossimo
ordine della Perfida Strega.
«Però
non c’è neanche niente che possa aiutarci» mormorò,
di nuovo imbronciata.
Non si
guardò indietro quando si lasciò alle spalle la cantina vuota e
la sfera silenziosa.
Dorothy
mi raccontò questo episodio pochi giorni dopo aver trovato il modo di
sconfiggere la Perfida Strega dell’Ovest, quando le Scimmie Volanti
entrarono ai suoi ordini e mi rimisero in sesto. Anche il Leone e il Boscaiolo
di Latta erano sani e salvi, e nel breve e sereno periodo che trascorremmo
nelle terre dell’Ovest lei volle parlarci di tutto ciò che le era
successo da quando la Strega l’aveva imprigionata.
Quella strana sfera trovata in cantina doveva
essersi guastata, concluse con convinzione: tutti noi fummo d’accordo,
perché era evidente – persino a me, che non avevo ancora raggiunto la strepitosa intelligenza donatami
più tardi dal Meraviglioso Mago – che se lei fosse tornata nel suo
Kansas, anche noi avremmo ottenuto ciò che desideravamo più di
ogni altra cosa. La sfera non poteva
aver ragione, ecco tutto.
Sono trascorsi alcuni mesi da quei giorni
spensierati nel castello della Strega sconfitta, e oggi, ahimè, posso
affermare con dolorosa certezza che la sfera di vetro non era affatto rotta, e
non mostrò a Dorothy nient’altro che la verità.
La nostra cara amica è tornata a casa. Non
abbiamo più saputo nulla di lei, ma supponiamo che sia felice: Zio Henry
e Zia Emma le mancavano infinitamente, e non c’è dubbio che il
Kansas sia il solo posto giusto per Dorothy. Ma per noi è un po’
diverso.
Il Leone è diventato Re degli Animali; ha
dimostrato finalmente il proprio coraggio, assicurandosi la fedeltà dei
sudditi e riscattandosi ai loro occhi. Non è felice, però. A
volte viene a trovarmi e mi racconta di avere una paura tremenda di lasciarsi
sopraffare dal dolore dell’improvvisa solitudine di cui si è
scoperto vittima.
Il Boscaiolo di Latta è diventato Imperatore
dell’Ovest; i vecchi sudditi della Strega hanno amato la sua bontà
d’animo prima ancora che lui trovasse il suo cuore, e gli hanno chiesto
di restare. Neppure lui è molto felice. Vuole un gran bene a tutti loro,
ma mi scrive di sentire la mancanza della persona che più di tutte sente
di amare.
Io siedo sul trono di Oz,
e regno sul Paese per il quale un tempo non ero altro che un fantoccio senza
cervello. Rifletto e ragiono tutto il giorno e mi dico che non dovrebbe
esistere nessuno più felice di me. Eppure sono ancora qui seduto, a
chiedermi perché la lontananza di Dorothy mi faccia sentire più
inutile e vuoto di quanto non sia mai stato; e non trovo risposta.
{ dai diari dello Spaventapasseri di Oz, Città di Smeraldo, primo anno dalla Caduta delle
Streghe }
Spazio
dell’autrice
Sono scandalosamente
fiera di rivelarvi che questo racconto è risultato uno dei vincitori del
contest Il Mago di Oz
in cosplay indetto da Graphictoons, ed è stato pubblicato nel
numero di Gira Gira uscito in occasione dell’ultimo Romics (29 settembre – 2 ottobre). Come da liberatoria, mi avvalgo dei diritti d’autore relativi alla pubblicazione della storia in altri formati condividendola con i miei lettori qui su EFP.
E no, non so cos’altro
dire. Perché il fatto è che sono ancora troppo felice per farmi venire in mente qualunque
cosa. ♥
Aya ~