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Autore: HappyCloud    06/10/2011    13 recensioni
Una giornalista e una scommessa fatta da ubriaca che le travolgerà la vita, facendole incontrare molti uomini per poi giungere al punto in cui è sempre stata: dal suo Lui.
Sullo sfondo, un intricato caso su cui investigare e al quale trovare una soluzione per aiutare un amico. Guardandosi sempre bene alle spalle, perché il nemico non è mai troppo lontano.
Dal secondo capitolo:
Gli lanciai un’occhiataccia che non lasciava nulla all’interpretazione.
- “Tu sei pazzo se pensi che io possa accettare di prestarmi a tutto questo”.
Nick non si scompose neanche per un secondo.
- “Sammy, tu hai già accettato” mi rispose, sventolando quel dannato foglio che riportava la mia firma, con un dannato ghigno di scherno stampato sul viso.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'C'eral'acca'
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Capitolo trentuno. You Learn.
 
Oscar Wilde diceva: 'Solo gli ottusi sono brillanti la mattina a colazione'.
Doveva essere per questo che l'unica a gracchiare davanti alla macchina del caffè dell'ufficio alle 8.30 di mattina era Katy, bardata in un pellicciotto vero di ermellino e degli orrendi stivali scamosciati, con una freccia di strass ad evidenziare i polpacci, nel caso qualcuno non avesse notato la loro imponenza.
Valerie era in trance, trincerata dietro dei grandi occhiali da sole per proteggersi dalle luci della redazione, mentre Amanda girava stancamente la paletta nel suo mocaccino, lottando per non far serrare del tutto le palpebre. Io e Jade eravamo appoggiate alla sua scrivania, troppo stanche persino per reggerci sulle nostre stesse gambe.
- "...e mi ha portato a ballare, capite? Erano anni che non uscivo con un uomo che fosse degno di essere chiamato tale. Mi sembra di conoscerlo da sempre, sa cosa mi piace..." disse entusiasta Katy, incurante che nessuno la stesse ascoltando. Io, poi, non ero certo dell'umore adatto per parlare di quanto fosse fantastico per lei uscire con Nick.
- "Tesoro, hai superato il limite delle mille parole al minuto. Dacci tregua!" la pregò Val, salutando tutte con un gesto indefinito della mano, prima di sparire dietro la porta del suo ufficio.
- "Io torno a lavorare" annunciò Jade. Diede un secco colpo di reni e si spostò dal tavolo sul quale era poggiata, accanto a me.
- "Mando un messaggio a José". Amanda trascinò il suo bel corpicino innamorato lontano dalla zona depressa, dove ormai ero rimasta sola con Katy. Ad essere onesti, l'unica depressa ero io, dal momento che l'arpia di fronte a me era tutta sorrisi e occhi dolci, parlando di qualcosa che avrebbe dovuto appartenere a me: lui. Non riuscivo a non ricordare con rabbia la visione di loro due insieme di fronte al bar e, a giudicare dalla felicità di lei, era ipotizzabile che avessero già fatto qualche passo di danza in orizzontale.
Tutti, ma non lui...
Tutto ciò andava ben oltre ogni ragionevole concezione di vendetta da parte della consulente legale di Katy: Christian non valeva tanto impegno e, come se non bastasse, lei sembrava davvero felice: non stava fingendo.
Lo squillo del cellulare che tenevo nella tasca mi distolse - fortunatamente - dal proposito di augurare alla neo coppia felicità e serenità.
- "Pronto?" biascicai.
- "Ti aspetto nel mio ufficio". Valerie era così scansafatiche da non riuscire nemmeno ad alzare il suo bel sedere e arrivare fino alla porta per chiamarmi.
Mi trascinai fino alla sedia di fronte alla sua scrivania e la guardai con aria interrogativa.
- "È il momento di agire, Sam: Hagrol non si è fatto più vedere in giro, ha rifiutato interviste e non vuole lasciare dichiarazioni. Se le mie fonti hanno ragione, pare che non abbia in mano un bel niente" rise malefica, ma io ero piuttosto perplessa.
- "Non è mai stato un tipo particolarmente loquace e socievole... forse sta solo cercando di finire al più presto l'inchiesta e non vuole distrazioni esterne". Non volevo smorzare il suo entusiasmo, solo cercare di rimanere il più realista possibile, mentre la fantasia di Valerie volava libera. La mia amica non mollò l'osso e continuò a sostenere la sua tesi.
- "C'è qualcosa che non mi convince. So che è sempre stato schivo, ma ora mi sembra un po' troppo. Il London Express si è addossato tutta la responsabilità per la scarsa vita mondana di Ken: dicono che sia questione di politica del giornale, però non ne sarei così certa".
- "Dovrei indagare anche su questo?" cercai di capire.
- "Se vogliamo arrivare prima di Hagrol, dobbiamo scoprire perché si è barricato in casa e se ha delle informazioni che noi non possediamo".
- "E se ce le avesse?" provai.
- "Beh, non sarebbe la prima volta che vai a letto con un uomo. - la guardai stralunata - Scherzavo, scema! Manderei Warren".
Okay, non stava scherzando.
 
- "Zia, zia! - Alex stava urlando nel mio povero orecchio, dall'altro capo del telefono - Quando vieni per Natale posso farti vedere il mio disegno? L'ho fatto per te! Ci sei tu e quel gattaccio che abita con te!".
- "Ehi, piano con le parole: Romeo non è un gattaccio, ma un bel micione. Devi stare attento a come parli, perché altrimenti Babbo Natale potrebbe sentirti e decidere di non regalarti quel trenino rosso che tanto ti piace" lo minacciai.
- "Come fai a sapere del trenino? - chiese curioso. Oh-oh. Di certo non potevo dirgli che me l'aveva raccontato Lily, leggendo la letterina con la lista dei giochi che lui aveva lasciato perché le renne venissero a prenderla! - La mamma dice che lo sai perché sei un'aiutante di Babbo Natale. Dice anche che è perché sei bassa".
- "Ah, sì? Tua madre è sempre stata una donna simpatica... ho detto donna? Intendevo signora di mezza età. Rugosa e patetica. Una donnuncola senza molte pretese" scherzai, ma in fondo neanche troppo.
- "Mamma, la zia Sammy dice che sei una signora in tenda. Una nonna di mezza metà. Ramosa e patatina. Una foruncola senza molte morose".
Non era esattamente quello che avevo detto, ma va bene lo stesso.
- "Sorellina, stai bene?". Era comprensibile che Lily avesse un po' di confusione in testa dopo la traduzione simultanea di Alex.
- "Sì, tuo figlio ha cambiato alcune parole, ma ammetto di essere contenta del risultato" ridacchiai.
- "Sei un tesoro. - scherzò, - Ti salutiamo io e Axel".
A quanto pareva, la storia della dislessia non era ancora stata dimenticata del tutto.
- "Lascialo vivere" la implorai.
- "Sembra che ti abbia fatto dei baffi nel disegno..." mi disse.
Quel piccolo insolente!
- "D'accordo, uccidilo".
 
Will era di nuovo in partenza; doveva sistemare le ultime cose a Portland ed organizzare il trasporto di tutta la sua roba dagli Stati uniti fino a Londra. Avevo insistito per accompagnarlo in aeroporto insieme a Kay, ignara che ci avrebbe fatto compagnia anche la nonna della Piattola, la perfida nonna tedesca che io sospettavo essere pure un po' dittatrice, a giudicare dal modo imperioso con cui mi aveva disintegrato la mano durante le presentazioni e dal tono duro con cui parlava.
I due piccioncini si stavano scambiano nauseanti tenerezze da perfetti conigli in amore, suscitando interesse tra la folla.
- "Mi mancherai, caramellina".
- "No, cucciolotto, tu mi mancherai di più. Prometti che sarò sempre la tua pastafrollina e che non permetterai che nessuna americanaccia ti metta le zampe addosso?".
Nonna Inge, alle loro spalle, si irrigidì: una tedesca dal cuore di pietra non poteva tollerare che la nipote si struggesse in quel modo per un volo intercontinentale, per di più di fronte ad una massa di sconosciuti. E a noi.
Repressi un conato di vomito provocato da eccesso di smancerie; ero quasi certa che Will non stesse partendo per combattere una guerra, che non sarebbe stato via a lungo e che non avesse una malattia mortale, perciò c'era davvero bisogno di tutto quello zucchero filato e di tre metri e mezzo di lingua per dirsi 'a presto'?
Ci schiarimmo la gola quasi contemporaneamente e i due lumaconi limonatori si staccarono uno dalle labbra dell'altro.
- "Buon viaggio, William". Inge gli strinse la mano con vigore e abbozzò un sorriso.
- "Grazie, signora Lancaster. Arrivederci".
Il mio amico si avvicinò a me e mi abbracciò, baciandomi una guancia e allegando sottovoce una serie di raccomandazioni che andavano dal non mandare a fuoco la cucina di casa mia, al cercare di controllare Warren.
Kay si attaccò di nuovo come una cozza al suo fidanzato e lo trascinò fino a che le fu possibile; nonna Inge mi prese sottobraccio - il che fu abbastanza inquietante - e mi condusse fino alla macchina, mentre la nipote tentava di raggiungerci correndo con la coordinazione di un dinosauro morto.
- "Mi dica, signorina Grayson, ha impegni per stasera? Sa, Kay ha promesso di restare a dormire da noi, ma penso che un po' di compagnia per cena potrebbe aiutarla a distrarsi dalla partenza di William, non crede?" mi chiese gentile.
Io? Dalla nonna di Nick? A consolare Kay? Anche no.
- "La ringrazio, signora, dell'invito e mi piacerebbe trascorrere del tempo con sua nipote - non in questa vita, però non escludo che dopo la morte io possa diventare buona e disponibile a sopportarla -, ma è già tardi e preferirei tornare al mio appartamento".
Inge entrò in macchina senza aggiungere nulla e, solo a quel punto, Kay mi si avvicinò e parlò sottovoce.
- "Sam, non te lo stava chiedendo: ha già deciso che sarai da noi a cena".
Che famiglia adorabile.
- "Tua nonna abita molto vicino a tuo cugino?" m'informai, giusto per precauzione.
- "Al piano di sotto". Sapevo che la dea bendata non avrebbe cominciato di punto in bianco a sostenermi.
 
La casa dei MacCord e della signora Lancaster era immersa nella campagna, ad una mezz'oretta di distanza in direzione sud-ovest da Londra. Era un casale rustico ben ristrutturato, arredato in stile provenzale, con graziosi mobili dipinti di bianco e tele d'antiquariato alle pareti. Sulla tovaglia apparecchiata con gusto, spiccava un centrotavola realizzato con della lavanda profumatissima e dei cestini di vimini.
Kay mi aveva intrattenuta durante la preparazione della cena, facendomi vedere il giardino immenso illuminato da delle lucine lungo tutto il vialetto e, ovviamente, non era riuscita a tacere le sue emozioni; non aveva fatto altro che parlare, parlare e parlare del suo rapporto con Will, di quanto si amassero, di quanto gli sarebbe mancato. Non si poteva di certo dire che la ragazza avesse del tatto: io ero sola come un cane, rifiutata dal sangue del suo sangue e lei mi raccontava di quanto fosse serena e tutta a cuoricini la sua vita. Simpatica, davvero.
Quando rientrammo all'interno della sala da pranzo, oltre la nonna, c'era anche una donna che la stava aiutando ai fornelli, e un uomo, seduto in poltrona con occhiali da vista a metà del naso, immerso nella lettura del giornale. Quest'ultimo sollevò lo sguardo verso di noi e ci sorrise.
- "Buonasera. Kay, quella con te è la nostra ospite di stasera?" chiese cortesemente.
- "Esatto, zio. - ha detto zio? Quindi lui è... - Sam, ti presento John, il padre di Nick. E la bellissima donna là in fondo è Lydia, la madre. Zii, questa è Samantha".
Entrambi si fecero avanti e mi strinsero la mano. Lui era un uomo affascinante, sulla cinquantina, i capelli castani con qualche filo d'argento qua e là e delle piccole rughe attorno agli occhi a creare dei solchi profondi che non avevano altro scopo che valorizzare due iridi chiarissime, identiche a quelle del figlio. La moglie, invece, aveva una chioma ordinata di un biondo deciso e degli orecchini a lobo dall'aria costosa, abbinati al prezioso girocollo.
- "È un piacere conoscerti, Samantha" disse la signora MacCord, facendomi sedere a tavola, proprio di fronte a lei. Bastò qualche istante per notare che c'erano sei posti apparecchiati: a meno che non ci fosse un signor Lancaster da qualche parte, o un cane, un gatto, una tartaruga o una lince selvatica che si volesse aggregare, quel piatto extra era destinato a Nick.
- "Anche per me" risposi a denti stretti.
- "Chiedo scusa: - intervenne John - vado a chiamare Nick".
- "Povero caro! - esclamò Lydia - È tutto il giorno che lavora su quell'abbaino. Si è ostinato a voler realizzare il lucernario tutto da solo e ora sarà tutto sudato e con i calzoni sporchi".
A quel punto della descrizione delle condizioni del figlio, io avevo già il cervello fritto e lo scenario che si era profilato nella mia mente comprendeva sì la tavola, ma con noi due sdraiatici sopra. Gli astanti potevano anche rimanere, non era così rilevante la questione.
- "Vuoi?".
- "Sì, lo voglio decisamente..." risposi, l'aria assorta.
Quando mi ritrovai il bicchiere colmo di vino rosso, però, capii di non aver ordinato con precisione quello che volevo. Niente uomo nudo, a meno che quello non fosse il suo sangue.
Forse a Katy piaceva farlo violento, con graffi e lividi e annessi.
Che rabbia!
 
You bleed, you learn.
 
"Posso andare un attimo al bagno?". Avevo bisogno di un minuto da sola prima di affrontare l'allegra famiglia MacCord e compagnia bella.
 
M'indicarono una stanza attigua a quella in cui ci trovavamo e dalla quale si aveva una visuale perfetta della tavola. Mi lavai le mani e mi misi in attesa.
Il signor John arrivò nella sala da pranzo con il figlio, vestito con una maglietta bianca, un maglione pesante e un paio di jeans. Aveva anche il borsone che usava per andare a lavoro.
- "Nicholas, - lo chiamò la nonna, accentuando la povera c del suo nome, che mutò tragicamente in una tripla kappa - mangi con noi". Non era una domanda, ma un severo comando. Inge aveva un tono di voce sempre così rigido ed impostato che anche se mi avesse detto 'bel vestito, Samantha, bel colore' probabilmente sarei scoppiata a piangere e mi sarei prostrata ai suoi piedi, chiedendo scusa per aver osato infastidire le sue cornee con quello sgargiante madreperla.
- "Ciao nonna. Vado di fretta... prenderò un panino al volo" provò a defilarsi lui, la mano libera dal borsone già pronta ad abbassare la maniglia del portone bianco.
- "Non dire sciocchezze; ora siediti e mangia come si conviene ad un cristiano. Abbiamo anche ospiti stasera. Ti prego di accomodarti vicino a Kayla". Il vero nome di Kay è Kayla? Allora la giustizia divina esiste: un brutto nome per una brutta persona.
Nick non tentò nemmeno di opporsi e si sistemò dove gli era stato indicato, trattenendo una smorfia di disappunto, mentre la cara Inge cominciava a servire la prima portata, attentamente sistemata in un piatto di porcellana dall'aria antica e preziosa.
- "Allora, chi hai invitato a cena stasera?" chiese Nick, intenzionato a riempire in qualsiasi modo possibile il silenzio che si era creato.
- "Samantha" rispose sua madre, afferrando il bicchiere colmo di vino rosso e portandoselo alla bocca. Gli occhi del figlio corsero veloci verso quelli della cugina per ricevere una conferma dei sospetti, e questi ultimi annuirono.
Strinsi più forte le dita alla porta e mi imposi di attendere ancora qualche secondo prima di uscire dal bagno.
- "Era in aeroporto con noi a salutare Will e la nonna le ha offerto di cenare di noi. Sai che non le si può dire di no" spiegò Kay. Anzi, Kayla.
- "Sembra una ragazza a posto..." commentò il signor MacCord, subito rimproverato dalla moglie.
- "John, potrebbe tornare da un momento all'altro. Risparmia le tue considerazioni per quando saremo soli".
Mi diedi un'ultima occhiata nello specchio, aprii la porta e mi diressi a passi veloci verso la sala da pranzo. Regalai a tutti un grande sorriso e mi sedetti al mio posto.
- "Scusate per l'attesa" sussurrai. Nick ricambiò un sorriso imbarazzato e si concentrò su alcuni grissini sparsi sul tavolo.
- "Si figuri, signorina Grayson. - mi rassicurò Inge, con il suo solito tono che interpretai come un 'se avessi aspettato ancora un po' ad uscire da quel bagno, ti avrei servito direttamente la colazione' - Questi sono i miei famosi spätzle" mi illustrò in un rigidissimo accento tedesco. Il piatto era gremito di piccoli gnocchi dalla forma irregolare, gratinati in forno e con della panna fresca a mo' di condimento e decorazione.
- "Sembrano deliziosi" cercai di essere carina, consapevole che quel primo mi sarebbe costato almeno due mesi di palestra che non avevo voglia né tempo di fare.
- "Nicholas, conosci già la signorina Grayson?" chiese la nonna.
Una notte insieme, svariati baci in altrettante svariate occasioni, molte liti, un bagno in una fontana, una gita fuori porta in un luogo sperduto nel suo fuoristrada, una visita al cimitero... no, non ci conosciamo.
- "Sì" rispose secco.
- "Davvero? - domandò interessata - E dove vi siete incontrati?".
- "Ci siamo incontrati sul suo posto di lavoro" lo anticipai. Più o meno tra la sua entrata in scena svestito da pompiere e il mio tentativo di afferrargli una natica.
- "Allora colgo l'occasione per chiedere come se la cava il mio Nicholas nel suo mestiere. Lui non ama parlarne, ma ho ricevuto molti complimenti da parte di alcune amiche inserite nell'ambito". Nick guardò spiazzato Kay, che trattenne il fiato per alcuni istanti, in attesa di sapere cosa avrei detto.
Nonna Inge amica di clienti del Pumping Pumpkin non me lo sarei mai aspettata; rabbrividii all'idea di qualche mano rugosa intenta nel palpeggiamento di sederi di uomini che avrebbero potuto essere i loro nipoti e non ci impiegai molto a capire che il suo Nicholas non le aveva detto la verità sul suo lavoro.
- "È molto bravo. - ammisi, cercando di provocarlo con lo sguardo e tenerlo col fiato sospeso per alcuni istanti - A detta di tutti ci sa fare e, mi creda, l'ho visto all'opera e se la cava davvero bene. Ha uno stile molto personale e non ha mai deluso le aspettative. Le clienti fanno la fila per vederlo in azione e sgomitano per toccare con mano il suo... talento".
L'anziana signora sorrise compiaciuta dell'elogio così accorato e positivo che avevo tessuto. Raccolse i piatti sporchi e chiese alla figlia di recarsi in cucina con lei per controllare la cottura del secondo.
Fissai a lungo Nick, prima di tornare al piatto dal nome strano che avevo già scordato.
- "Ed è da molto che vi conoscete?" proseguì il signor MacCord.
- "Da agosto. - risposi svelta - Ho avuto anche l'onore di incontrare Harmony, una cara amica di Nick".
- "Oh, Harmony, certo. Una ragazza piuttosto svampita a dire il vero, ma accettabile tutto sommato. Gli è sempre stata alle calcagna. - ridacchiò - Da piccoli voleva sempre giocare ai fidanzatini e lo riempiva di baci neanche fosse un orsacchiotto. Però lui era troppo tonto per accorgersi che lei non stava giocando".
- "Eravamo bambini" provò a difendersi e a difenderla.
- "Ma lei adora ancora giocare" sorrisi lapidaria.
- "E non è l'unica" sussurrò prontamente Nick, attirando su di sé l'attenzione del padre e della cugina, che rimasero in silenzio.
Lydia tornò insieme alla madre con degli schnitzel che per me, umile comune mortale inglese, erano delle normalissime cotolette.
- "Guten appetit! - esclamò trionfale la nonna - Dicevamo, signorina Grayson? Visto che lei frequenta mio nipote molto più di quanto a me sia concesso fare, posso sapere se è al corrente di una sua relazione?". A quel punto i due cugini, Cip e Ciop, per poco non si strozzarono, uno con la carne, l'altra con l'acqua.
- "Veramente sì. Spero che Nick non se ne dispiaccia, ma credo che sia mio dovere informarvi che sta uscendo con una mia collega, Katy. Li ho visti io di persona proprio qualche ieri: adorabili".
- "Quella Katy? - gracchiò Lydia - Tesoro non ci avevi informati di aver ripreso a frequentarla. Credevo aveste chiuso i rapporti anni fa dopo quel litigio assurdo con Dan"- A quel punto la mia mascella toccò prima il tavolo, poi la sedia e poi si spappolò al suolo. Ripreso a frequentarla? E chi era Dan?
- "Sarò lieto di spiegarti tutto, mamma. Dopo".
- "È una notizia splendida e noi abbiamo dovuto scoprirla solo dalla nostra ospite. Grazie Samantha!" mi toccò la mano poggiata sul tavolo e ricominciò a mangiare soddisfatta quella dannatissima cotoletta.
Prego.
Avevo cominciato quel discorso pensando di incastrare Nick e di fargli passare un brutto quarto d'ora. E, invece, l'unica che era rimasta fregata da quel gioco ero io. E la cena stava durando da più di mezz'ora.
Avrei tanto voluto sbattere i piedi a terra e frignare, ma mi trattenni.
 
You cry, you learn.
 
Nonna Inge aggirò velocemente il tavolo e distribuì il dolce a tutti.
- "Stollen!" gridò ed io mi guardai attorno perplessa.
Hai fatto qualcosa, Sam? Pestato un piede, mangiato con la bocca aperta o leccato un coltello?
Lydia mi si avvicinò e mi sussurrò piano, vicino al viso, con una voce eccitata.
- "È il dolce. - sollievo immediato - Lo ha cotto dieci giorni fa. Oggi dovrebbe essere perfetto". Perfetto per rompermi un dente?
La cuoca mi spiegò con cura tutta la cronistoria della preparazione, dal primo milligrammo di farina, all'ultima spolverata di zucchero a velo, passando per i canditi e l'uvetta sultanina. Nick non faceva che spiarmi di soppiatto, mentre io fingevo interesse nell'ascoltare la nonna. Kay sembrava stesse seguendo una partita di tennis: spostava in continuazione lo sguardo da me al cugino e viceversa, nell'apparente attesa che uno dei due facesse un passo falso. Ma era stata stabilita un'implicita tregua, almeno fino alla fine della cena: io mi stavo ancora leccando le ferite dopo aver saputo che Nick e Katy si erano già frequentati in passato, e lui respirava all'idea di mangiare il dessert in santa pace, senza che io rischiassi di mettere Inge a conoscenza di particolari che non avrebbe dovuto sapere.
Il mio unico pensiero da un'ora a questa parte era sempre lo stesso: voglio andare a casa. Avevo trascorso l'intera serata sotto pressione, con la continua preoccupazione di cedere da un momento all'altro e mandare al diavolo tutti, dalla nonna nazista al nipote farfallone, dalla troppo sorridente Lydia a quella odiosa di Kay che mi aveva cacciato in quella situazione. E a Will, ovviamente, che non c'era mai quando ne avrei avuto più bisogno.
- "È stato un piacere averla avuta con noi stasera, signorina Grayson. - disse con dolcezza Inge - Mi auguro che possa riaverla come ospite anche in altre occasioni".
Ci conti... che non verrò mai più.
- "Sono io che ringrazio lei; cucina davvero molto bene ed è stata gentile ad invitarmi. Ora, se mi scusate, chiamo un taxi".
La nonna sorrise e, come se non avessi nemmeno aperto bocca, si rivolse al nipote.
- "Nicholas, saresti così gentile da accompagnare la signorina Grayson a casa?".
La comunicazione non era il pezzo forte in casa MacCord.
- "Nonna, non ti preoccupare, - intervenne Kay in mio aiuto - ci penso io".
- "Kayla, non essere sciocca. Nicholas sta già per uscire e sono certa che sarà lieto di dare un passaggio alla nostra ospite. Non è così, tesoro? - chiese, voltandosi verso il nipote, ma senza attendere una sua risposta - E poi avevi promesso che saresti rimasta qua a dormire, ora che William è tornato a Portland. Mi sembra poco intelligente farvi uscire entrambi con la macchina per recarvi tutti e due a Londra: l'ambiente non ne sarebbe affatto contento" li rimproverò.
L'ambiente no, ma la signorina Grayson sì.
- "Posso prendere un taxi..." riproposi, prontamente fulminata con lo sguardo da Inge.
- "Ma ci mancherebbe! Sarebbe proprio uno spreco di soldi, visto che Nicholas è di strada".
E non era uno spreco d'ossigeno tutto quel chiacchiericcio a sproposito da parte della nonnina?
Di’ di no, no, no!
Nick mi guardò con l'espressione rassegnata e disse soltanto:
- "Sei pronta, Sam?".
No.
 
- "Ci vorranno quaranta minuti per arrivare a casa tua. - mi annunciò Nick. Seduta sul lato del passeggero, mi limitai ad annuire e a sorridere imbarazzata. In quel fuoristrada, l'aria sembrava essersi fatta sempre più spessa e temevo di soffocare, sopraffatta dal profumo di Nick - Spero la cena ti sia piaciuta".
 
Swallow it down,
It feel so good.
Wait until the dust settles...
 
Ero incredibilmente nervosa e a disagio in quell'abitacolo opprimente.
- "Tengo a precisare che non ero lì per cercarti. Ero all'aeroporto a salutare Will e tua nonna mi ha invitato da voi". Nick si voltò verso di me confuso.
- "Non ho mai pensato che mi stessi cercando. - disse tranquillo - Non mi hai ancora detto se la cena ti è piaciuta".
- "Non dobbiamo fare conversazione a tutti i costi" esclamai con un tono acido che non intendevo avere.
Scrollò le spalle e mi guardò sorridente.
- "Lo so, volevo solo essere gentile".
- "Non lo sei mai stato, perché cominciare ora?". La mia voce era particolarmente aggressiva e non feci nulla per mascherarlo. Dovevo continuare a ripetermi che era fidanzato con Katy e che si era comportato da stronzo per ricordarmi che era obbligatorio che io lo odiassi.
- "Okay".
Paradossalmente, più taceva, più si faceva insopportabile.
- "Smettila di fare l'offeso: sei patetico" lo accusai, gesticolando frenetica come una pazza.
- "Non faccio l'offeso!" si difese lui, mentre tornava a guardare la strada buia davanti a noi, illuminata solo dai fari del fuoristrada.
 
I recommend sticking your foot in your mouth at any time.
Feel free!
 
La situazione si stava facendo pesante.
Di’ qualcosa d'intelligente, Sam.
- "Fammi scendere!". In mezzo alla campagna, a più di mezz'ora di macchina lontano da Londra, non era stato molto furbo uscirsene con quell'esclamazione.
- "Perché? Non fare la bambina... dove pensi di arrivare a piedi?" cercò di farmi ragionare.
- "A casa?" dissi laconica, senza rinunciare ad una punta di sarcasmo.
- "Sì, tra due giorni" ironizzò lui di risposta.
- "Ti odio. - strinsi gli occhi fino a ridurli a due fessure sottili colme di rabbia e lo guardai - E non osare dire che non sono coerente con quello che ti ho detto una settimana fa...".
- "Non ho detto niente!" si giustificò lui con tono aspro.
- "...perché quello l'ho sempre pensato. Il fatto che ti detesto, intendo. Perché non parli?" domandai acida.
- "Fraintendi tutto quel che dico, perciò sto zitto, consapevole che sei in grado di travisare anche i miei silenzi" mi spiegò.
- "Quindi è colpa mia?" urlai scandalizzata da una tale accusa.
- "Dio, sapevo di non aprir bocca!".
- "No, parliamone, invece; ci siamo trattenuti durante la cena, ora è arrivato il momento di sfogarsi. Comincio io, ti va? Partiamo subito dal ringraziamento che mi devi fare per non aver spiattellato alla nonnina che ti spogli ogni sera in un nightclub. Dubito che le sue amiche ti abbiano visto a fare altro, dunque la domanda sorge spontanea: che tipo di pagamento hanno richiesto per fingere di apprezzare quello che non fai? Ti usano come gigolò in cambio del loro silenzio?".
- "Certo che no!" gridò, schifato all'idea di soddisfare arzille anziane tra le lenzuola.
- "Giusto, Katy sarebbe gelosa. E, a tal proposito, posso dire di essere rimasta davvero sorpresa di sapere che la frequentavi anche in passato. Ah, dimenticavo, chi è Dan?".
- "Mio fratello" rispose tranquillo.
Era davvero troppo.
- "Hai un fratello? Neanche questo sapevo. A quanto pare, sono sempre l'ultima a cui arrivano le notizie".
Nick prese un respiro profondo e mi guardò in cagnesco, stringendo forte le mani attorno al volante.
- "Era così rilevante sapere se ho un fratello?" chiese alterato.
- "Tutto per me è rilevante se riguarda te... - mi accorsi della gaffe e cercai di rimediare subito, sperando che non si accorgesse del rossore sulle mie guance - ...tenermi aggiornata. Sono una giornalista, è mio compito tenermi al corrente delle novità" spiegai saccente.
- "Allora ti farò avere il mio albero genealogico, visto che ci tieni così tanto".
Idiota maleducato!
- "Non prendermi in giro! - sbuffò - E non sbuffare!" lo rimbrottai.
- "Credi che mi lasci comandare a bacchetta da te?" mi provocò.
- "No di certo. L'unica bacchetta con cui ragioni è quella che hai in mezzo alle gambe" lo schernii.
- "... e ci risiamo! Credo tu me l'abbia già fatta questa battuta. Sei monotematica: hai passato la cena a stuzzicarmi, a pungolarmi su questioni spinose che sapevi mi avrebbero fatto rimanere col fiato sospeso finché non avessi messo piede fuori da quella stramaledetta casa. Ci sei riuscita, sei contenta o hai bisogno di rompermi le scatole anche ora che siamo soli?".
- "Sono profondamente dispiaciuta se ti ho infastidito, Nick" scherzai.
- "Mi era mancato il suo sarcasmo, Sammy". Il suo tono si era fatto dolce, comprensivo, non era - come al solito - derisorio ed ironico. Per un secondo vacillai, desiderando solo prendergli il viso tra le mani e baciarlo.
Katy, Katy, Katy.
 
You grieve, you learn.
 
Mandai giù il groppo che si era formato all'altezza della gola e ripresi ad accusarlo.
- "Non mi chiamo Sammy! Ne ho abbastanza di te, di tua cugina 'l'appiccicatutto', di tua nonna e dei suoi cibi di cui non so nemmeno pronunciare il nome" gracchiai.
- "Vogliamo davvero discutere della pronuncia delle portate della cena?"- Indubbiamente infantile, ma era l'unico argomento con cui potessi, al momento, dargli contro.
- "Sì. Mi sono sorbita tutti quei termini in tedesco e sai cosa? Non me ne importa un fico secco degli schnauzer o quel cavolo che sono!".
Nick scoppiò a ridere, faticando a reprimere i singhiozzi.
- "Cosa c'è di tanto divertente?" domandai cattiva.
- "Mia nonna fiene ti Cermania, non dalla Cina: - rispose, imitando l'assurdo accento tedesco della nonna- a casa MacCord preferiamo non mangiare cani. Schnitzel, non schnauzer".
- "Saputello". Feci una smorfia, ma non riuscii a trattenere una risata di fronte alla gaffe che avevo appena fatto.
- "Allora ti ricordi ancora come si fa a ridere?" scherzò, sfoggiando uno dei suoi sorrisi più belli.
 
You laugh, you learn.
 
A quella frase cominciai a tremare e non riuscii a smettere, finché non mi ebbe lasciato sul marciapiede di fronte a casa mia.
 
Lily mi aveva mandato via e-mail il disegno - molto astratto - che Alex aveva fatto di me e di Romeo; sembravamo due palle di Natale, più che una persona ed un gatto, ma lasciai correre pensando che, se non altro, il mio nipotino artista aveva centrato il periodo. Effettivamente mi aveva fatto due curiosi tratti neri sulla faccia... pensava davvero che avessi i baffi? Non m'importava granché; in realtà m'importava eccome, però c'è sempre qualcosa di affascinante e segreto nel modo in cui i bambini guardano il mondo esterno. Ed io mi sentivo ancora un po' Peter Pan.
Presi un giornale a caso dal portariviste e lo misi sul tavolo; era una vecchia copia del London Express. Scelsi una pagina in cui c'era la pubblicità di una donna e cominciai a disegnarle delle orecchie alla Star Trek e ad annerirle qualche dente. Le feci un fondoschiena esagerato e le sexy calze a rete che indossava diventarono due gambone sproporzionate.
- "Ben ti sta, brutta modella! Che questo sia di lezione ai tuoi genitori che ti hanno fatto così bella" le gridai.
Molto maturo, Samantha.
Passai poi alla foto di un uomo, ma stavolta mi limitai a qualche decorazione qua e là non troppo invasiva. Ad un certo punto però, dopo avergli aggiunto qualche rasta, mi bloccai: ricordava qualcuno, senza quei buffi capelli ovviamente. Lessi il nome sotto la didascalia e trasalii.
Ci doveva essere un collegamento. Riguardai il disegno di Alex alla ricerca di qualche indizio che evidentemente non mi poteva fornire. Nell'angolo all'estrema destra del foglio virtuale, spuntava la sua piccola firma tremolante; con un colore rosso e in maiuscolo, trionfavano le lettere che componevano la parola Alex, solo in uno strano ordine: Axel. Inconsapevolmente, aveva fatto un anagramma.
In quel momento di confusione, l'unica cosa che mi venne in mente di fare fu cercare il numero dell'esperto di computer amico di Valerie con cui ero stata a letto: Max. Rovesciai il contenuto della borsa sul divano per trovare il cellulare. Le mani mi tremavano tanta era l'eccitazione di aver trovato un potenziale indizio per l'inchiesta su Ralph.
Rispondi, ti prego, rispondi!
- "Max? - urlai - Sono Samantha Grayson, quella...".
- "Quella che mi ha parcheggiato qui il suo computer e non è più venuta a riprenderselo" finì lui al mio posto.
Oddio, Jimmy il portatile!
Mi sentii offesa: non si ricordava di me per i fantastici - ed unici - momenti che gli avevo fatto passare, ma per lo stupidissimo computer che avevo preso a martellate!
- "Cavolo, hai ragione, me n'ero completamente dimenticata. Prometto che passerò in settimana". Tanto comunque me ne sarei dimenticata nel giro di qualche istante, se avessi avuto la risposta che volevo da quella chiamata.
- "Non ti preoccupare: ormai è parte integrante dell'arredamento" scherzò.
- "Avrei bisogno di un favore" misi subito in chiaro.
- "Di che genere?".
- "Tecnologico. Esiste un programma per gli anagrammi?". Pregai con tutto il cuore che mi dicesse di sì: forse era tutto uno sbaglio, forse stavo prendendo il più grande granchio della storia del giornalismo... o forse ero sulla strada giusta.
 
You pray, you learn.
 
- "Certamente". D'istinto feci un salto verso l'alto; in un eccesso di confidenza ero convinta di essere diventata Kobe Bryant e di poter toccare il soffitto con la mano. Purtroppo il mio metro e settanta scarso mi permise di sfiorare solo il lampadario, spezzando quel sogno.
- "E tu ce l'hai?" chiesi frenetica.
- "Per chi mi hai preso, Samantha Grayson?".
- "Perfetto. Come funziona? Tu inserisci una parola e quello ti da tutti gli anagrammi possibili?".
- "Esatto. Il meccanismo è molto semplice e in pochi secondi hai tutti i risultati che vuoi".
- "Posso darti anche nome e cognome di una persona?".
- "Sì, perché questo programma li tratterà come semplici agglomerati di lettere e ne darà diverse combinazioni". Annuii tra me e gli diedi quel maledetto nome, fremendo dall'attesa. Non riuscivo a smettere di camminare nervosamente dalla cucina al salotto e viceversa.
- "Ehi, ma non è...?".
- "Sì. - tagliai corto: non avevo alcuna intenzione di fornirgli spiegazioni - Allora, questi anagrammi?" lo esortai impaziente.
- "Ci sono duecento-otto risultati solo in inglese. Dubito che tu voglia che io te li legga uno ad uno al telefono". Erano molti di più di quanto pensassi.
- "Mandameli tramite posta elettronica. E voglio anche qualche altra lingua. Pensi sia possibile?" chiesi. Era necessario tenere in considerazione tutto il ventaglio delle ipotesi.
- "Già fatto. Tra qualche istante arriverà tutto, compresa la traduzione".
Corsi fino al portatile e saltellai sul posto finché non sentii il rumore di un messaggio in arrivo. Aprii veloce l'e-mail con le mani tremanti e stampai tutti gli allegati.
- "Ci sei ancora?". Max era ancora dall'altro capo del filo ed io mi ero dimenticata di lui.
- "Sì, scusa, stavo dando un'occhiata alla lista, ma non mi sembra di scorgere nulla di famigliare. Forse mi sono sbagliata e la mia idea è completamente fuori bersaglio...". La frase mi morì sulle labbra, perché in quel momento trovai una parola che mi fece scattare.
Tre passaggi logici e la verità era servita, meglio, sbattuta davanti ai miei occhi con violenza. Ero troppo sorpresa per pensare, per metabolizzare quanto avevo appena scoperto. Salutai e ringraziai Max in modo frettoloso e scivolai a rallentatore sul divano, la testa improvvisamente leggera e un senso di vuoto anche nello stomaco. Credevo che scovare un nesso tra due cose in quel groviglio che era diventata l'inchiesta su Ralph mi avrebbe fatto sentire forte, mi avrebbe spronato a continuare a lavorare senza sosta per anticipare la concorrenza, realizzare uno scoop eccezionale e dare una spinta alla mia carriera giornalistica. Eppure, ora, nel momento in cui due pezzi del puzzle si erano incastrati alla perfezione, stavo esitando, i fogli ancora saldamente stretti tra le mani.
- "Non può essere una coincidenza" cercai di convincermi e di riordinare le idee, ma troppe informazioni si erano e si stavano accatastando nella mia mente, sovrapponendosi tra loro.
E la sensazione di non aver capito nulla fino a quel momento mi investì come una nevicata in piena estate.
 
You lose, you learn.
 
 
Buona sera.
Sarò sincera: questo è il capitolo che mi convince meno di tutti, ma almeno da la possibilità a voi di sbizzarrirvi con le teorie e sono convinta che qualcuna di voi avrà già capito quale sia la scoperta che ha fatto Sam.
La canzone del titolo è "You learn" di Alanis Morissette.
Per tutti i riferimenti ai piatti tedeschi della nonna Inge, basta cliccare sui loro nomi, così come per lo schnauzer.
Ho già cominciato a rispondere alle vostre recensioni e come sempre vi ringrazio tantissimo.
Io sono pessima a promuovere la storia, non amo propormi, perciò se ci sono nuovi lettori è merito vostro che magari la consigliate ad amici. Perciò grazie!
Ringrazio come al solito la mia cara Nessie che ha betato e le altre.
Baci!
S.
   
 
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