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Autore: Quintessence    18/10/2011    11 recensioni
Cosa striscia sotto la superficie? Cosa scuote violentemente il Cuore di Usagi, da quando è uscita dalla bolla di Pharaoh90? E cosa ha visto in quel momento, tanto da renderle gli occhi due voragini vuote, il sorriso una linea informe, i boccoli una massa appassita? Perché la ragazza solare, divertente e amabile che tutti conoscono è diventata all'improvviso scostante, grigia, e spenta? E perché evita così strenuamente Mamoru? Una storia che indaga la più profonda oscurità dell'animo umano, la depressione che spinge a chiudersi nel dolore, la paura di se stessi e la lotta strenua contro l'incomunicabilità delle proprie stesse emozioni.
Qual è la cosa che ti fa più paura...?
Genere: Horror, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inner Senshi, Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Terza serie
Capitoli:
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Mmmm, lasciatevi presentare l'infermierina Mamoru. XD Ok vai Mamo sei tutti noi. E' infermiera, cucina, coccola i malati e ti ama... Potrebbe essere uno slogan. Se lo mettessero nella pubblicità di qualsiasi cosa, andrei a comprarla :Q___ sto scherzando, sto scherzando (Mica troppo). Due parti rimaste, una e mezza già scritte. L'horror arriva nel prossimo capitolo. Perciò per adesso andate lisci, prometto comunque un avvertimento nella prossima parte se descriverò cose troppo schifose, e di alzare il rating da arancione a rosso se qualcuno me lo segnala. Per adesso, buona lettura. E LoveLove, come sempre.  




2/4 ~ DENTRO MAMORU


L'acqua è una piscina fredda, di blu placido, l'esatto opposto di quello che sta avvenendo dentro di lei. Un raggio di sole colpisce l'acqua, ignaro.
Guarda nel lago, Usagi. Nelle profondità trasparenti, limpide. Chiare. Guarda in fondo. Sempre più in fondo. Più giù. Giù. Giù... La superficie, come vetro, la taglia dentro. Un blu nebbioso, quasi grigio. E poi un verde acqua, e poi un blu più scuro. E infine, sfuma verso il nero. Il colore degli occhi di lui, quando prova intense emozioni. Il colore dei suoi occhi, quando la stringe. Fissa le sfumature con nostalgia, Usagi.
È esattamente il posto dove deve trovarsi, adesso. È perfetto per quel momento. Quel molo, dove lei e Mamoru hanno passato ore interminabili e felici prima di quel momento. Il molo sempre illuminato di sole e di felicità. Il molo dove la pioggia li ha sorpresi, una volta, e hanno corso ridendo fino a casa. 
Vorrebbe solo e ancora una volta che fosse così, Usagi. Vorrebbe aggrapparsi alle emozioni che permeano quel posto, afferrare un po' della serenità che vi fluttua. Perché, se l'orrore riesce a ossessionare gli abitanti di una casa stregata, l'amore e il calore non riescono a raggiungere il suo cuore anche nel posto in cui dovrebbe essercene di più? Perché se c'è un posto perseguitato dalla felicità, quello è sicuramente il molo.
Ha un disperato bisogno di catturarne un frammento, Usagi, anche solo un pezzetto. Anche solo un minimo barlume di serenità. E se ha paura di andare da Mamo-Chan, dal suo Mamo-Chan, se teme così fortemente di trascinarlo giù, con lei, sul fondo... Allora forse può rubare qualche ricordo dal posto dove le è stata maggiormente vicino, e come un fuoco in una notte di inverno scaldarcisi.
Poiché quello è il posto dove sono andati fuori, con quella piccola barca. E quello è il posto dove Chibi-Usa le è caduta in testa. E quello, quello è il posto in cui si sono baciati per la prima volta, solo Usagi e Mamoru, e nessun altro. Nessuna Serenity a scombinare i piani, nessun Endymion a possedere il cuore del suo amato. Nessun nemico e nessun grido di dolore, come quelli che echeggiano ancora nella sua testa, oggi.
Sembra tutto così lontano, a Usagi. Adesso, Chibi-Usa è a casa. Adesso, non ha più nessuno con cui giocare. Perché Hotaru... Hotaru... E così, così ricomincia. Con Hotaru torna il ricordo di quelle ore infernali. Così torna, e come un artiglio qualcosa l'afferra, tirandolo fuori dallo scrigno nell'anima. Il posto dove l'aveva rinchiuso con così tanta attenzione, Usagi, per evitare che chiunque lo vedesse, per tenere tutti al sicuro... ma non è svanito. È lì, adesso, l'aspetta bramoso, vuole solo che chiuda gli occhi qualche secondo e l'assalirà. Perfino sbattere le palpebre è una tortura, per Usagi. Perfino nel batter di ciglia piccoli flash di quell'orrore l'ossessionano, nel breve momento di oscurità.
Ultimamente, anche senza chiudere gli occhi persiste, tutte le ore stampate nella sua mente, in tutti i suoi appariscenti colori maestosi, i suoi odori, i suoni. Le grida, ancora e ancora. E poi, il dolore che comincia...
Un leggero tremore invade il suo corpo, mentre la sua parte cosciente combatte il subconscio con violenza. Ma è stato abbastanza, quel breve momento di riposo. È sfuggito abbastanza al suo controllo, da farla accasciare per terra, sulle ginocchia, pericolosamente vicina al bordo del pontile. Basta solo che guardi giù, Usagi, e vede il suo riflesso nel blu prepotente delle profondità dell'acqua. Improvvisamente, le sembra così invitante, così promettente. Così fresca, e confortevole, profonda come un oblio. Forse, sarebbe riuscita ad affogare anche le immagini nella sua testa... una mano raggiunge timidamente la superficie, sforzandosi di toccare l'acqua. Ancora pochi centimetri, e il blu potrà prendersela. Blu, sì, solo blu.
Blu come i suoi occhi.
Il brivido diventa quasi tremore, e scuote così violentemente il suo corpo che le sue giunture quasi protestano dal dolore. L'acqua è proprio come i suoi occhi. Potrebbe annegarci davvero. Si strattona via dal bordo, Usagi. C'è una cosa che la ferma. Che le impedisce di gettarsi.
I suoi occhi. Sarebbero tristi, e pieni di rabbia, se si arrendesse ora. Se abbracciasse il sollievo che il lago le promette. Perciò lo rifiuta, Usagi. Perché deve essere forte. Deve sopravvivere a questa cosa, e deve vivere per la sua Chibi-Usa. Per Hotaru. Per le Inner e per le Outer Senshi. E per il suo Mamo-Chan. Perché non sappiano mai che cosa ha veduto.
Inciampa nei suoi stessi piedi, Usagi, e si forza a tornare indietro, ad allontanarsi di più. È un processo lento, e doloroso; l'acqua la chiama ancora, con la stessa voce con cui la morte l'ha chiamata, molto tempo prima, sulla Luna. Quando il suo principe le è stato portato via.
Alla fine, quando finalmente dieci metri la separano dall'acqua si volta, Usagi, per non vedere. E corre, Usagi, corre.

*

Lui l'ha seguita per tutto il tempo, naturalmente. Qualche volta pensa che la sua vita sia fatta di due fasi: quando sta con lei, e quando la insegue. Tutto quello che c'è fra queste due fasi è solo indistinta nebbia sfuocata e insignificante.
Quando si ferma al “loro” molo, non si sorprende affatto. Spesso anche lui va lì, a pensare. Si appoggia ad un albero, rifugiandosi nella sua ombra mentre studia la linea stanca della sua schiena. Lei si avvicina di più al bordo, tesa e rannicchiata come se avesse freddo. Ancora, Mamoru gentilmente cerca di raggiungerla, cerca di toccare la luccicante corda che li collega. E solo quando finalmente crede di esserci arrivato, di averla raggiunta e di poter finalmente condividere le sue emozioni, esattamente come faceva un tempo, un muro invisibile lo ferma.
È un modo fin troppo facile, per descrivere la sensazione, quello del muro, ma la realtà è che è proprio come se due mani calde l'avessero frenato e poi spinto indietro; come a dire non sei il benvenuto. Torna domani, per favore. Riluttante, Mamoru ci prova ancora. E poi di nuovo. Stringendo i denti e cercando disperatamente di ignorare il dolore che germoglia frustrato dentro di lui. Perché? Perché lei non lo lascia entrare? Non si accorge che gli fa male, che lo uccide, in un fisico dolore straziante, dover stare indietro e nell'ombra senza poter avere una connessione completa?
Ma è ovvio che non se ne accorga, Usagi. Lei non è così dipendente da quella connessione, mentre Mamoru l'ha gentilmente e attentamente coltivata in tutti gli anni di solitudine, contandoci come se fosse un salvagente in mezzo al mare, facendo tesoro di quel senso d'appartenenza. Qualche volta, forse, Mamoru ha dato per scontata la sua costante compagnia, ma adesso che il loro legame sembra spezzato si sente come quelle mezze persone di cui parlò Platone: pesante, sgraziato, sciocco, senza senso, un impedito essere con due gambe, che altro non può fare se non cercare la metà che lo renderà la sfera perfetta ancora una volta. E se ha trovato, dopo così tanto tempo, la sua perfetta metà, non ha nessuna intenzione di lasciarla andare, Mamoru. Né adesso, né mai.
La verità è che lei non ha mai provato a nascondersi da lui, e questo è quello che lo spaventa più di ogni altra cosa; nei momenti di grande dolore, Mamoru ha sempre sentito le sensazioni di Lei entrare in lui, e praticamente diventare le sue. E se non ha mai temuto di nascondere quelle, Usagi... Perché ha improvvisamente deciso di cominciare adesso? Tutto quello che gli è rimasto, alla fine, è un senso di disagio, e le ondate di disperazione. Che adesso rischiano di straripare.
Prova ancora a raggiungerla, con forza spinge contro questa invisibile barriera che il subconscio di Usagi ha costruito. All'improvviso la vede cadere sulle ginocchia e abbandona l'intento; preso dal panico, fa per correre verso di lei. Ma si ferma, incerto, quando la vede sporgersi verso l'acqua; le è forse caduto qualcosa?
La guarda, Mamoru, mentre lei si sforza sporgendosi, e una paura incontrollata e disagiante getta le fondamenta nella sua gola quando si accorge di quanto vicina sia al bordo del molo. Questa volta, provando per l'ennesima volta ad entrare e capire, lo fa piano, con cautela, come un'ombra che vuole recuperare il suo legame con il corpo. E la pazienza di Mamoru viene finalmente premiata. Cattura finalmente una sensazione. Una sensazione fluttuante, in mezzo alla nebbia. È un senso di orribile... Malinconia.
Va oltre, Mamoru, ma viene subito spinto fuori. Di nuovo. Fa un passo indietro e torna all'ombra del suo albero quando improvvisamente si alza, Usagi, e corre via dal molo. Gli occhi di lui seguono la sua figura con attenzione, fino a che non arriva ad una curva della strada, e sparisce.
E poi, si muove. Fa un passo avanti. Due. Ed eccolo arrivato al punto dove poco prima c'era la sua altra metà, una mano che assente resta poggiata sul posto vuoto accanto al suo cuore, dove lei manca di più. E se spera di vedere qualunque cosa prima le fosse caduta galleggiare sulla superficie del lago, di sicuro viene invaso da disappunto immediato.
Nulla rovina la placida superficie del lago, eccetto il suo riflesso; un riflesso che lo guarda con ansia e tristezza dalle profondità trasparenti, limpide. Chiare. Turchine, azzurre, e poi blu.
Blu come i suoi occhi.

*

La spazzola morde tutta la pesante lunghezza dei suoi capelli, correndo alle estremità in un movimento calmante e regolare. Il suono dolce delle setole contro la seta la cullano lentamente. Siede fissando il suo riflesso, Usagi, di fronte alla sua piccola toeletta, senza vedere realmente se stessa mentre si spazzola con automatismi forzati i capelli.
Anni di pratica l'hanno resa esperta, Usagi, i suoi movimenti destri a maneggiare l'incredibile lunghezza dei capelli color del grano. La spazzola comincia dal suo scalpo, e poi corre giù lungo i chilometri di tagete prima di lasciarli liberi alle estremità boccolose. E poi ricomincia il processo, Usagi.
Da cima, a fondo. Da cima, a fondo. Ancora, e ancora. Finché non ha caricato talmente tanto di elettricità statica i suoi capelli, Usagi, da farli quasi sfrigolare. È un compito senza fatica e senza che serva pensare per eseguirlo; nella stanchezza che la permea, si lascia cullare in uno stato di sognante sonnolenza, Usagi.
Non si accorge nemmeno di pettinare solo una piccola porzione di capelli, finché le sue membra pesanti non cambiano posizione per un errore, e si spostano su una sezione che precedentemente aveva ignorato. Nel suo stato di mezza veglia, non si ferma a pensare che cosa succederà, muovendo la spazzola velocemente verso il basso sui capelli attorcigliati, e prima che si accorga anche solo dell'esistenza di un grosso nodo si ritrae e grida di dolore, Usagi, disperatamente cercando di tirare via la spazzola dai capelli attorcigliati.
Tira con forza, urlando di panico e di bruciore e di tristezza, Usagi, mentre la spazzola si aggrappa fermamente a quel nodo, senza dar cenno di volerlo abbandonare. Convulsa si agita, Usagi, e con un movimento quasi furioso strappa la spazzola dal groviglio, una piccola lacrima forzata ad uscire mentre si porta via intere ciocche di capelli, vendicandosi per essere stata così violentemente e crudelmente trattata.
Sbattendo i denti, un bruciore cieco installato sulla nuca si porta la spazzola di fronte, Usagi, con l'intento di togliere i capelli dalle setole; ma le sue membra sembrano avere differenti programmi, perché si guarda nello specchio mentre il suo braccio destro percorre un arco verso la sua schiena, e brutalmente lancia la spazzola dietro di lei. E poi chiude gli occhi, Usagi, lasciando fuori la strana ragazza che la guarda dallo specchio, e aspettando il soddisfacente suono dell'oggetto pesante contro l'intonaco.
Un rumore che non arriva, e non arriverà.
« Usako. » -Si gira di scatto, Usagi, le mani che volano alla bocca per soffocare un urlo sorpreso. Imbarazzata, nota immediatamente la spazzola catturata con fermezza in una delle mani guantate di bianco di Tuxedo Mask.
« Mamo-Chan! Che... Che cosa ci fai qui? » -Lui non risponde, scegliendo invece di osservarla con calma, in silenzio, mentre lascia cadere silenziosamente la spazzola sul letto; poi, come se avesse ponderato attentamente quella decisione, si muove deciso verso di lei.
Non riesce a trattenersi, Usagi: si allontana con uno scatto, e subito sente l'angolo affilato della toeletta premere al centro esatto della sua schiena. Il movimento così repentino ferma Mamoru istantaneamente, e lei sente la sua frustrazione montare, mentre si passa una mano fra i capelli, togliendosi il cilindro.
« Perché continui a fare così? » -Chiede. Forza la schiena all'indietro, Usagi, quasi conficcandola nello spigolo.
« Così come? »
« Lo sai, come! » -Ringhia quasi Mamoru- « T'allontani da me! » -E giusto per sottolineare con più veemenza questo punto, si avvicina a lei. Incespica con terrore, Usagi, e si appoggia alla sedia quasi facendola cadere- « Vedi? »
Trasalisce, Usagi, sapendo con precisione che tutta quella rabbia è assolutamente meritata, ma non riesce a spiegargli il perché lo stia tenendo a una così grande distanza fisica ed emotiva. Perciò, nega.
« Non sto facendo niente! »
« Davvero? » -Mamoru si toglie un guanto e raggiunge la sua mano, prima che Usagi si accorga anche solo di che cosa abbia intenzione di fare, e poi la tiene stretta, serrandola più forte quando lei prova a tirarla via dalla sua grande, e avvolgente. E con quella connessione fisica così forte, Mamoru chiude gli occhi, e spinge sul legame: una smorfia di disappunto si dipinge sul suo viso quando si accorge che la sua barriera è ancora alta, anche se è invisibile.
Apre gli occhi per vedere Usagi fissarlo con gli occhi spalancati, e sbarrati, e si risente perché a quanto pare lei non ha nemmeno una vaga idea di cosa lui stia cercando di fare. Forse non si accorge che lui forza la barriera, e soprattutto che lo sta tenendo non solo a una distanza fisica, ma sta ovattando il loro legame. E che questo gli fa male.
Si inginocchia di fronte a lei, e lascia la sua mano, facendo cadere la sua testa lentamente, stancamente sulle sue gambe.
« Devi dirmi cosa c'è che non va » -Mormora.
Siede in una posizione di immobilità marmorea, Usagi, combattendo con ogni forza l'urgenza di tenersi tutto dentro. Come un palloncino troppo gonfio. Ma lo sguardo sul viso del ragazzo è così... disperato. In agonia. Come se gli facesse male.
E lei non vuole far del male al suo Mamo-Chan.
Riesce ad alzare una mano, e a toccare i suoi capelli, prima solo sfiorandoli e poi lasciando correre le dita attraverso l'ebano. La testa di Mamoru giace pesante, e calda sulle sue cosce e lei desidera, con ardore... Desidera così disperatamente... Così tante cose. Si dice che per adesso, lasciar scorrere le dita fra i suoi capelli va bene. Almeno per una volta. E le sue mani ubbidiscono per qualche secondo, finché una voce ansiosa e stridula le invade la testa.
Non farlo. Oppure scoprirà ogni cosa. Lo scoprirà, scoprirà tutto. E quello gli farà male davvero... Poiché questo non è nulla. Non essere debole!
Lascia cadere debolmente la mano al suo fianco, Usagi.
« Non c'è nulla... » -dice, un secco soffio di fiato- « Non c'è nulla che non va. »
A quel punto Mamoru alza la testa, e deve combattere per non accartocciarsi sotto quello sguardo triste e abbattuto, Usagi.
« Non mentirmi. » -Guarda da un'altra parte, Usagi, di lato, e poi in basso il pavimento, l'intonaco. Dovunque, ma non lui. Sente frusciare il suo mantello, mentre se ne sta fermo in quella posizione di fronte a lei, sente il suo sguardo penetrarla, la testa chinata per vedere le piastrelle bianche.
« Va bene. L'hai davvero voluto, questa volta. » -Sussurra, e le parole suonano orribilmente allarmanti e minacciose alle orecchie di Usagi. Pensa, Usagi, che se ne andrà davvero questa volta. In disappunto. Arrabbiato con lei. Qualche tempo prima, l'avrebbe supplicato di fermarsi, l'avrebbe inseguito ovunque, e poi avrebbe fatto qualsiasi cosa per cancellare la sua rabbia contro di lei. Ma in quel momento, quello è il meglio che possa fare. Il meglio per lui, è lasciarla andare.
È già stata fin troppo pericolosamente vicina a trascinarlo con lei nella pazzia.
Lo sente muoversi, Usagi, verso la finestra accanto al letto, ma continua a fissare le sue cosce e il pavimento, senza piangere, cacciando le lacrime lontano mentre un grido silenzioso e inascoltato si fa spazio nel suo cuore. Non andare.
Quando non lo sente saltare giù dalla finestra, comunque, Usagi alza gli occhi; salta quasi di sorpresa nel trovarselo di fronte, con la coperta con i conigli in mano, completamente divelta dal letto. Ha giusto il tempo di rendersi conto di questo inaspettato sviluppo, che la coperta è sulle sue spalle, avvolta tutta intorno a lei, e i suoi piedi non toccano più il pavimento. Senza nemmeno accorgersene, si trova fra le sue braccia.
« Cosa...? » -finalmente riesce a dire- « Io... Cosa stai... Mamo-Chan! » -lo sgrida, cercando di essere autorevole ma con una nota di panico nella voce vedendolo dirigersi verso la finestra, le sue intenzioni più chiare ad ogni passo.
« Mamochan! No! Aspetta... I miei genitori. Mamo-Chan, non posso andarmene così! MAMO-CHAN! Mia madre verrà a controllare! » -Se pensa che le sue proteste siano rivolte a orecchie sorde, si sbaglia. Con un movimento che l'allarma molto più dell'alternativa della finestra, lui si gira e con decisione si dirige verso la porta della sua camera. Non può che piagnucolare, Usagi, e lamentarsi, chiedendo di non farlo. Vuole uscire dalla porta principale!
« I miei genitori! » -ulula con lamentosa sinfonia, tentando senza successo di divincolarsi dalla coperta che l'intrappola. Un solo secondo dopo, troppo breve per i suoi gusti, Tuxedo Mask ha già finito di scendere le scale ed entra con fare sicuro in salone, con un fagotto di una Usagi rossa come un peperone fra le braccia.
« Signor Tsukino, signora Tsukino » -Saluta con gentilezza Tuxedo Mask, con la voce più scura e sobria che riesce a ottenere. Aspetta con pazienza che gli occhi dei genitori di Usagi recuperino il fuoco, e che si sciolgano dallo shock. Shingo è realmente sul punto di diventare blu per la mancanza d'aria. E Chibi-Usa non può che fissarlo con orrore.
Gli occhi di Ikuko vanno dal supereroe alla figlia stretta fra le sue braccia, dalla figlia al supereroe, e poi dal supereroe a... « Sì? » -è grata a se stessa d'essere riuscita a dire anche solo quella parola, vicina com'è ad un arresto cardiaco istantaneo.
« Dovrò prendere in prestito Usagi-San per un po'. Le Senshi ed io abbiamo bisogno della sua esperta opinione riguardo all'ultimo attacco. Mi dispiace che la cosa sia così improvvisa, ma posso assicurarvi che le Senshi si prenderanno sicuramente perfettamente cura di lei nei prossimi giorni. »
Kenji ha solo il tempo di attaccarsi all'unica e più improbabile frase di tutto quell'improbabile discorso. « Opinione... Esperta?! »
Tuxedo Mask annuisce, stringendo a sé con più forza il leggero peso di Usagi e godendosi i perplessi sguardi rapiti della sua famiglia. Continua a restare muta, Usagi, mentre scava una tana per la sua testa sulla sua spalla, per evitare di mostrare il suo sguardo totalmente strabuzzato a Mamoru ascoltando quella scusa così assurda.
« Sì, signor Tsukino. Il contributo di Usagi-San è assolutamente indispensabile per noi. Adesso, se volete scusarci, le Senshi aspettano impazientemente il suo ritorno. »
Di proposito, se ne va prima che chiunque possa dire qualsiasi cosa, uscendo nella fredda aria notturna. I genitori di Usagi restano gelati nel salotto, cercando di sciogliere frasi chiave come “Le Senshi hanno bisogno di Usagi”, ed “Esperta opinione”, e “prossimi giorni”.
Tuxedo Mask continua a camminare lungo la strada, lento abbastanza da sentire il grido che finalmente esplode sulla bocca di Shingo, « E' STATO TROPPO FIGO! »
E finalmente parla, Usagi, uno sbalordito e ammirato stupore che permea la sua voce.
« Non posso credere che tu l'abbia appena fatto. » -Lui guarda in basso, verso di lei, e lei lascia che i suoi occhi facciano capolino dalla coperta. Il suo sorriso è solo un breve lampo di denti bianchi nell'oscurità.
« Ho sempre voluto portarti fuori dalla porta principale. Diamine, credo che Shingo ti porterà rispetto almeno per le prossime due settimane! » -L'emozione sgorga veloce, e spessa dal petto di Usagi, e lei sorprende tutti e due -più se stessa, a dire il vero- quando una risata sana, divertita e luminosa scoppia rombando, libera nella notte. E sembra, mentre getta la testa indietro rischiando quasi di cadere, che sia la prima volta che ride davvero dopo molto, molto tempo.

*

La porta in braccio saltando per i tetti e per i piccoli balconi della città, Mamoru, come un tempo, quando ancora non si conoscevano; quando ancora non si amavano. Una sorta di viaggio nel passato, una mimica di un amato che porta la sposa oltre la soglia, pensa lui. Non riesce a ricordare quante volte l'ha fatto, dalle volte in cui lei era ferita o troppo stanca, fino a quelle in cui sembrava semplicemente che non riuscissero a stare lontani abbastanza a lungo... E lui portava una Usagi ridacchiante o adorante in giro per i tetti, saltando dall'uno all'altro nella notte. E quel pensiero -quei pensieri- lo invadono, Mamoru, di un presagio positivo, di gioia e di serenità. Usagi è fra le sue braccia, e finalmente sono insieme, proprio come gli è stato negato tanto tempo fa.
Ma lei non ridacchia, e non è adorante, adesso. Il divertimento che ha illuminato i suoi occhi, poco prima, dopo la breve fuga da casa sua, è sfumato piano piano, e adesso tende al nero cupo del giorno precedente. Da qualche parte lungo il tragitto pare che si sia ricordata di chiudersi di nuovo nel guscio, Usagi.
E questa volta, quando entra in camera di Mamoru si getta disordinatamente lontana dalle sue braccia, rotolando sul pavimento nel disperato tentativo di scappare dalla coperta per non farsi catturare di nuovo da lui.
Sente la sua reticenza, Mamoru, il suo rifiuto, come se fosse un colpo fisico, uno schiaffo in pieno viso, e lo fa vacillare, arretrare, andare via e abbandonare l'idea di forzare il muro invisibile a meno di non desiderare un collasso doloroso.
Gli volta le spalle, Usagi, aggrappandosi alla coperta e gettandosela di nuovo addosso, come uno scudo contro il brivido che la scuote, perpetuo. Si sente sempre fredda, sempre gelata, costantemente, sia dentro che fuori. Ha bisogno di stare sola, Usagi. Sente le stringhe fredde cercare Mamo-Chan, il suo calore, agognarne un pezzo. Fra le sue braccia, è stata una battaglia costante per non avvinghiarcisi, per non stare più vicina, per non provare a farsi scaldare e a fargli portare via quel brivido. Ha paura, Usagi, che il freddo sia troppo; che distrugga il calore di Mamo-Chan, e lo spezzi com'è spezzata lei.
E preferirebbe gelare piuttosto che fargli del male. Piuttosto che far del male a chiunque di loro.
« Usako. »
Stringe più forte la coperta, Usagi.
« Usako. »
Prepara la sua espressione d'acciaio, muove i muscoli del viso e si volta, Usagi.
« Adesso, mi dirai cosa c'è che non va » -Dice Mamoru, e sembra allarmantemente sicuro della sua posizione mentre si toglie la tuba e la maschera, e appende il mantello al muro. Non è affatto una richiesta, la sua.
« Non c'è niente che non va... Sono solo stanca. » -È vero, è una bugia. Ma solo a metà.
Lui si appoggia al muro, e lei non vede la mano che lui tiene ferma e contratta su di esso, preparandosi ad un altro rifiuto, ad essere respinto ancora.
« Allora vieni qui. » -Il cuore di Lei manca due battiti, cominciando a battere con ansia. Quasi panico.
« Che cosa? »
« Se non c'è nulla che non va, vieni qui. » -Ripete Mamoru, la voce ruvida e il buio negli occhi.
« P... Perché? » -Il suo pugno si serra, accanto al muro, e di questo si accorge, Usagi. Combatte una battaglia amara, Mamoru, per controllare le sue emozioni, per non scoppiare e distruggere tutto per la disperazione, e la furia, e la paura.
« Da quando abbiamo bisogno di un motivo, per stare insieme? » -Chiede, e la sua voce sembra di vetro.
Ce la posso fare, si dice Usagi. Se non lo convincerà che non c'è nulla che non va non mollerà, Mamoru, e lo sa bene. Cinque passi misurati la portano da lui, e cerca di mantenere disperatamente un equilibrio, Usagi, mentre lui la stringe con mani che tremano incontrollate. L'attira a sé, più vicina, Mamoru, chiudendo gli occhi -per la gratitudine, o per il sollievo di averla con sé- mentre le braccia di Usagi arrancano sulla sua schiena nel tentativo di catturarlo per un momento. La stringe più forte che può, Mamoru, più stretta che riesce senza farle male, esultando della magnificente sensazione del battito del cuore di lei accanto al suo.
E il suo calore si avviluppa intorno a lei, temporaneamente cacciando il freddo, e da quanto aspettava, Usagi, che succedesse. Si trova quasi drogata dalla sua tenerezza, stremata dalla mancanza di sonno, esausta mentre il gelo lascia le sue membra. E troppo debole, forte abbastanza solo per trattenere le lacrime salate che da giorni premono contro i suoi occhi stanchi senza sgorgare. La sente, Mamoru, la sua voglia di piangere. La sente contro il suo petto e, ancora più potente, la sente nel suo cuore mentre le mura che Usagi ha costruito per circondare il loro legame si fanno più deboli, più basse, forse scalabili.
« Allora me lo dirai, finalmente? Mi lascerai entrare? »
Lo vuole, Usagi. Dio, quanto lo desidera. Desidera gridarglielo, piangere, finalmente sciogliere il nodo del ghiaccio in mille lacrime amare e dolci, che lui avrebbe bevuto per lei. Rimane sul ciglio fra la negazione e l'accettazione per un momento che le sembra un'eternità, Usagi, e proprio quando il suo cuore sta per vincere la battaglia il suo cervello afferra la coppa.
Un'immagine, un ricordo, di sangue e di grida, e di morte. Il gelo la colpisce al centro della pancia, come un pugno improvviso, e la guardia bassa la fa piegare.
Improvvisamente non è più fra le sue braccia, è china in un conato e sta disperatamente incespicando via, lontano da lui, lasciandolo con nulla se non aria fredda fra le braccia. Il suo grido d'angoscia è quasi quello di una bestia, di un animale ferito. Mamoru si allunga su di lei, la segue nella fuga terrificante, sapendo di essere stato così vicino a riuscirci, e invece convinto che qualcosa l'abbia strappata via. Via da lui.
Corre disperata, Usagi, e cade, e a ogni mezzo passo le sembra di cedere e di restare lì per terra, ma deve. Deve farcela. Si getta nel bagno, e chiude la porta a chiave nel momento stesso in cui lui si getta su di essa, picchiando e ruggendo il suo nome contro le sue grida. Si lascia andare sul pavimento, Usagi, e si chiude le orecchie con le mani, mentre la paura, e la voglia si affollano dentro di lei. Gattona verso il lavandino, e poi arriva al water. Le sue mani trovano la strada per aggrapparsi al bordo della tazza, e stringono con forza mentre vomita, Usagi. Vomita tutto quello che non ha mangiato. E poi ricade sul sedere, s'arrampica nella vasca da bagno e serra a sé le ginocchia con le braccia, dondolandosi e canticchiando una nenia antica, nel tentativo di cercare un conforto.
Distanti, sente i pugni sulla porta mentre Mamoru le chiede, poi la prega, e poi la implora di aprire la porta. E poi sente una rottura, e di nuovo ci sono le braccia calde intorno a lei, e mani grandi che la sollevano dalla vasca, cullandola come una bambina. Le labbra di Mamoru si poggiano sulla sua fronte, il tocco di una farfalla che è abbastanza forte da strapparla dal limbo e farle capire ciò che lui sta dicendo. Non abbastanza però, per non fargliene cogliere la durezza.
« D'accordo. Non devi dirmelo, se non vuoi. Ma troverò un modo di risolvere la situazione. Perché tutto questo deve finire. »
Desidera con tutta se stessa che sia così, Usagi.

*

La tazza di cioccolata calda dondola gentile; difficilmente potrebbe distogliere lo sguardo, Usagi, dalle forme danzanti e intrigantemente dolci che il cucchiaino disegna. Se ne sta seduta sul divano come una bambina. Le è stato ordinato di non muoversi. Si chiede se dovrebbe rifiutare l'idea di essere coccolata come un'invalida oppure godersela semplicemente, Usagi. Non fa nessuna delle due cose, in ogni caso; resta solo a fissare la cioccolata e cerca di controllarsi per non rischiare un crollo come quello di poco prima. È stato davvero troppo pericoloso. È stata davvero troppo vicina a lasciarsi andare.
« Si suppone che tu la beva, non che la guardi raffreddarsi, Usako » -La sua voce è tornata gentile, adesso, ma con una vena di paura. È come spaventato che lei si rompa di nuovo. Si accontenta, per il momento, di scaldarsi le mani sulla tazza bollente, Usagi.
« Non ho fame. »
« Bevila. Hai bisogno di mangiare, hai perso peso » -E anche se è ancora gentile, la voce di Mamoru, questa volta non c'è pericolo di equivocare l'acciaio che la permea.
« Non ho... »
« O la bevi, oppure te la farò bere io. » -Così beve, Usagi. Un piccolo pezzetto di Usagi fluttuante, sepolto da qualche parte in profondità, protesta anche per aver solo pensato di rifiutare della cioccolata calda. La sua conchiglia attuale, in ogni caso, non riesce a trovare nemmeno l'energia per curarsene.
La guarda come un falco attraverso il tavolo, Mamoru. Decide che, non potendo curare la malattia interiore, ne curerà i sintomi esterni. Avrebbe mangiato, e avrebbe dormito. Sono passati solo pochi giorni dall'accadimento del Pharaoh90, eppure ha perso peso velocemente, e la fatica è l'unica conduttrice dei suoi movimenti, tanto che ciascuno è misuratamente languido, come se fosse orribile e doloroso muoversi. Come se qualsiasi cosa faccia sia una necessità, e non una scelta.
Si rimprovera d'esser stato troppo superficiale, Mamoru. Doveva accorgersene prima, doveva pensarci subito. Ma quando l'ha vista, dopo la battaglia, viva e senza ferite visibili, il sollievo l'ha accecato completamente. Ha vinto, ha vinto, è salva.
In quel momento, era tutto quello che importava. Poi, con gli sforzi per cercare Hotaru, con quelli per affrontare le Outer Senshi, e assicurarsi che Chibi-Usa stesse bene dopo essere stata tanto tempo senza un cuore, non si era accorto dell'orrido e subdolo male che si è impadronito lentamente di Usagi.
Non finché lei non ha cominciato a sgusciare via da lui. E solo allora si è veramente allarmato, Mamoru; ma allora è stato troppo tardi. Quando ha buttato giù la porta del bagno, e quando l'ha trovata nella sua vasca così, rannicchiata, rattrappita, come una bambola rotta... Forse la morte sarebbe stata più facile d'affrontare, dello sguardo sul viso di Usagi e dell'orrida nenia che canticchiava mentre si dondolava avanti e indietro. E adesso? Se ne sta seduta sul suo divano, Usagi, chissà per quale motivo fingendo che la passata mezz'ora non sia mai accaduta.
Continua a bere tranquilla, Usagi, forzando lo spesso cioccolato in gola mentre quello minaccia di tornare su all'istante. Ha lo stesso gusto della sabbia, per lei. Alla fine, dopo gli ultimi e calibratissimi tre sorsi, poggia la tazza sul tavolo e guarda Mamoru, aspettandosi qualcosa. Un applauso, un complimento.
Come una tata severa, lui prende la tazza dal tavolo e la controlla con sospetto, assicurandosi che sia vuota. Nella sua testa, Usagi vede un'immagine di Mamoru con un grembiule, mentre le porta un cucchiaino alla bocca e le intima di finire la verdura. Quell'immagine buffa le porta un sorriso alle labbra e un orgoglioso sussurro.
« L'ho finita, Mamo-Chan! » -Lui annuisce.
« Te ne porto un'altra. »
« No! » -Lo ferma, Usagi, allungando un braccio e quasi pregando, la nausea crescente alla sola idea di buttarne giù un'altra goccia- « Per favore, basta. Sono piena. »
« Hai bisogno di mangiare. Vuoi del cibo? Posso cucinare dei biscotti, una torta e... »
« No! Sto bene. »
Vuole forzarla, Mamoru. Ha bisogno di forzarla. Di vederla sedere al tavolo della cucina, e aprire tutti gli scaffali e il frigo, e riempire la tavola di tutto il cibo che riesce a trovare. Di vederla creare montagne di cibo ad ogni ora, di abbuffarsi di tutti i salatini che lui compra, di solito con l'intenzione di offrirli ad ospiti occasionali. Di finire tutta la Coca, di farsi una decina di porzioni di patatine fritte alle quattro del pomeriggio perché che c'è di strano? Mi vanno! Ha un bisogno disperato di vederla in forze, con la sua spiccata rotondità, le guance piene, le maniglie dell'amore su cui adora appoggiare le dita. Ha bisogno di sentirsi dire cosa c'è che non va. Ha bisogno di curarla. Ha bisogno che lei lo lasci entrare, così tutto andrà meglio.
Sta stringendo la tazza di cioccolata con tanta energia che quasi le nocche sono sbiancate. Ne fissa l'interno, così faticosamente svuotato
« Ci vorrà solo un minuto. Ti faccio delle... »
« Mamo-Chan. Basta. Non ne voglio, non voglio niente che... »
« Dannazione, Usako! » -E alla fine si rompe anche lui. La tazza serrata fra le mani, si volta e le punta un dito contro. La sua espressione è così rabbiosa che Usagi è terrorizzata- « Io lo so cosa vuoi! Se fosse per te, te ne staresti da sola nella tua cameretta, tenendoti stretti i tuoi segreti, più lontano possibile da me! Mi vuoi lontano, vuoi allontanarti da me! Ma questa volta, lo giuro, non avrai quello che vuoi. » -Lo fissa dal divano, Usagi, le mani intrecciate spasmodicamente con la sua coperta preferita. Non sa cosa dire, non sa cosa fare. Non sa come dirlo. Se anche volesse, non avrebbe le parole. Non sa mantenere la distanza e allo stesso tempo fargli capire. E lui... Le sta gridando contro! Come dovrebbe... Cosa dovrebbe... Perché lui è così testardo? Perché non molla e basta?
« È solo » -Prova a dire, con le lacrime che non si sciolgono ancora, bloccate in gola- « Non c'è nulla che non va »
« Sta' zitta! » -Ruggisce lui, e lei indietreggia, sotterrando la testa nella coperta come una testuggine- « Prova a dirlo ancora una volta, Usa, e giuro che io... » -Si ferma, Mamoru, e la fissa, come se fosse una qualche forma di vita aliena. Improvvisamente, vede la paura nei suoi occhi. Paura di... Lui? Come se potesse farle qualcosa... Ma come può anche solo pensarlo?
Torna in cucina, Mamoru, e poggia la tazza nel lavandino. Da lì la guarda, come da una barriera sicura. Poi sciacqua la tazza, occupandosi per un momento; quando si volta, lei sembra ancora trattenere le lacrime. Ma è ancora immobile, non piange. Quando è sicuro di riuscire a mantenere la sua calma, e di non perdere il controllo, Mamoru torna da lei.
Non s'è mossa, Usagi, nemmeno di un millimetro, anche se il suo sguardo adesso è fisso sulle mani abbandonate in grembo. E resta ferma, non si muove nemmeno quando lui la solleva per portarla in camera da letto. La vecchia Usagi l'avrebbe preso in giro, chiedendogli le sue intenzioni e poi gli avrebbe ricordato di saper camminare da sola, grazie mille. Ma in quel momento, è una straniera quella fra le sue braccia.
Sta per metterla a letto e dirle di dormire, Mamoru, e poi lasciarla stare. Ma le sue intenzioni e le sue azioni sembrano essere di diversa opinione. Al posto di lasciarla sola, anche lui si mette a letto, e si sistema accanto a Usagi, aggiustando le coperte intorno al suo corpo, ai piedi nudi, affondandole sotto i suoi fianchi. In momenti come quello, Mamoru si accorge davvero di quanto sia piccola, e sottile; alla luce del giorno è accecante, più grande della vita, esaltata e straripante, con le sue code fluttuanti e gli occhi curiosi. Si aggrappa alla sua maglietta, Usagi, in una sorta di manifestazione infantile; e lui non la rifiuta, l'avvolge, mentre lei si rilassa sempre di più fra le sue braccia. All'inizio cerca di mandarlo via leggermente, ma poi si arrende. Le sue braccia si lasciano coccolare. E lui inspira il profumo dei suoi capelli.
« Usako, lo sai che è per il tuo bene, vero? Sto cercando di aiutarti, devo capire come comportarmi. Usako... lo sai questo, non è vero? » -cerca di spiegarlo, l'immagine della paura di lei, come se lui potesse farle del male, ancora stampata come un quadro nella sua mente- « Dimmi che... non hai paura... Paura di me. »
Non saprà mai quanto costa, a Usagi, quanto è combattuta dentro di sé, quanto un solo tocco le faccia bene. Non lo saprà mai, ma una mano gentile raggiunge la sua guancia, e scende fino al collo. E sorride, Usagi.
« No, Mamo-Chan. Non potrei mai avere paura di te. » -Di Me stessa. Vorrebbe dirglielo. La cosa di cui è così mortalmente spaventata è... se stessa.
Mamoru non dice nulla, anche se il suo cuore smette di battere per un momento quando le sue dita si attorcigliano sulla sua pelle, e inconsciamente la stringe più forte, dandole più sollievo.
« Non mi dirai comunque cosa c'è che non va, vero? Non mi dirai cosa ti fa così paura? » -Chiede come se le avesse letto l'ultimo pensiero. Non si aspetta una risposta, da lei, e infatti non ne riceve nessuna. Sospira, accarezzandole i capelli con regolarità mentre lei resta in silenzio- « Almeno, dormirai finalmente, Usagi? Lo farai, per me? » -Annuisce, Usagi, contro il suo petto. Senza vedere il viso del suo Mamo-Chan, mentire è anche più facile. Mamoru lentamente si sposta, sollevandosi, e si siede sul bordo del letto per finire di rimboccarle le coperte. In una manciata di secondi si trova sepolta nel letto di lui, Usagi. Da' un'ultima occhiata agli occhi di Mamoru, blu, e tristi. E poi, chiude i suoi. Lui la bacia ancora in fronte, pensando quanto sia sbagliato non poterla nemmeno circondare con le sue braccia, baciarla sulle labbra, informarla che non è più una bambina, santo cielo, e poi aspettare che lei glielo provi.
Esattamente quello che ha fatto, un paio di settimane fa. Fissa quel caldo ricordo nella sua memoria, Mamoru, e promette di riportare la sua Usako indietro. Si stiracchia preparandosi, immergendosi nei suoi ricordi, e poi si ferma sulla porta, abbastanza a lungo per spegnere le luci e bearsi della sua vista; una figura pallida e magra in mezzo al suo letto, illuminata solo da una striscia di luna. Si scalda ancora nell'amore che lo permea, e si siede accanto al letto dopo aver chiuso la porta; le prende la mano mentre piano e con calma intreccia le loro dita.
Prova a sorridere, Usagi, per rassicurarlo, fallendo miseramente. Non ha alcun dubbio, Mamoru, che lei non abbia nessuna intenzione di dormire. Ma non ha alcun dubbio nemmeno su un'altra cosa.
Che lo voglia o meno, Usagi dormirà.

   
 
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