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Autore: fiorediloto87    28/06/2006    1 recensioni
Un romanzo medievaleggiante in cui ho investito moltissime delle mie energie e del mio tempo, e a cui tengo particolarmente. La vita di Raphael, studente nel monastero di Serven, e di Gregory, novizio dal passato oscuro e tormentato, sarà radicalmente sconvolta dalla scoperta dell'amore reciproco e dall'infinita serie di avventure che ne seguirà...
NOTE: Il contesto del romanzo è medievaleggiante, ma non medievale: i luoghi sono luoghi inventati, e così popoli, lingue, usi e costumi. Unico tratto reale è la religione cristiana. Al popolo gitano ho rubato soltanto il nome e la tradizione della vita nomade.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Gregory
Capitolo VIII: "La festa"


 

I festeggiamenti furono pieni e allegri, come ci si poteva aspettare da una banda di gitani; e benché i primi momenti fossero stati spesi alla memoria dei poveri abitanti di Widefield, massacrati ingiustamente, il resto della notte trascorse nella spensieratezza, con canti e danze gitane dalle melodie complicate, accompagnate dai suoni cristallini dei tamburelli.
Quasi tutti vollero accostarsi a Raphael: un Senzapatria ritrovato era sempre un evento e una grande gioia, e il fatto che fosse anche uno studente in un monastero… l’espressione più alta della servitù cristiana, così pensavano i figli del vento… ma non disprezzasse di accompagnarsi a loro e conversare e apprendere qualcuna delle miriadi di cose che non sapeva sulla sua nuova gente, gli conferiva un fascino tutto particolare.
Gregory, invece, lo lasciò in pace. Non era un tipo chiacchierone e avere troppa gente intorno lo infastidiva, perciò badò di restare a distanza dal suo compagno, permettendogli così di rimanere al centro dell’attenzione – Raphael provava un certo piacere quando tutti gli occhi erano puntati su di lui – e permettendo a se stesso di godersi i festeggiamenti in disparte, come aveva sempre fatto. A un certo punto, quando vide diversi gitani disporsi al centro per le danze, provò una fitta di rimpianto al pensiero di non potersi unire a loro, ma fugò subito questo pensiero inutile. Che razza di spettacolo avrebbe dato, piroettando in mezzo ai colori sgargianti degli abiti gitani con la sua tonaca spenta e i calzari? Con il crocifisso che penzolava al petto, magari… Rise aspramente di se stesso.
Tornò a guardare Raphael. C’era molta meno gente intorno a lui, adesso, perché molti si erano allontanati per le danze. Qualche fanciulla gli chiese di ballare, ma Raphael scosse la testa, arrossendo, sicuramente rispondendo che non aveva mai imparato.
– Che terribile mancanza! – trillò Katrina, con voce dolce. Poi si chinò sul figlio e gli mormorò qualcosa che lo fece diventare ancora più rosso.
Poi Raph rimase solo coi suoi genitori. Meglio così, pensò Gregory, trattenendo un sorriso. Avevano molte cose da dirsi, tanti anni da ricostruire in poco tempo, ed era giusto che lo sfruttassero al massimo. Non sapeva quando sarebbero tornati al monastero.
In quel momento Fedria lo raggiunse e si sedette in silenzio accanto a lui. Si era cambiata d’abito, adesso al posto della corazza e dei calzoni impolverati portava un bel vestito variopinto con tante gonne e sottogonne di colori diversi, tagliato trasversalmente a lasciare scoperte le gambe tornite sopra il ginocchio. Sui capelli aveva legato una bandana celeste, e per l’occasione aveva anche aggiunto un gioiello al pendaglio del suo orecchino.
Gregory si portò una mano al cuore, con un sorriso. – Madre, sei splendida. – Si chinò su di lei e le baciò la fronte, con dolcezza. – Mio padre dovrebbe vederti. Si sentirebbe subito meglio.
– Oh, mi ha visto – rispose Fedria, muovendo i polsi carichi di bracciali sottili. – Gli ho portato da mangiare. Ha sbraitato che doveva prender parte ai festeggiamenti, che ha contribuito alla vittoria… ma l’ho costretto a rimanere a letto.
Gregory annuì. – Hai fatto bene. A volte papà si comporta da incosciente.
– Non è l’unico in famiglia – osservò Fedria, con un sorriso.
Gregory la guardò. – Un novizio non ha molti modi per fare l’incosciente, sai. A parte… – Scosse la testa.
– Sono accadute molte cose da un anno fa, vero? – disse Fedria. Fece una pausa. – Hai voglia di parlarne?
– Madre, non sono accadute molte cose – replicò Gregory, abbassando gli occhi. – In monastero non avvengono mai molte cose. Solo una, importante… e già la conosci. Mi hanno cacciato da San Gloriano.
Fedria prese la sua mano. – Non vuoi dirmi perché?
– Sì. Te lo dirò. Con te non mi vergogno di niente. – Alzò il capo. – Sono andato a letto con Evan.
Fedria tacque a lungo. Non sembrava scandalizzata e neppure preoccupata, solo pensierosa. – Capisco – disse alla fine. Sospirò, poi, inaspettatamente, gli domandò: – Eravate lucidi?
– Lucidi? Sobri, vuoi dire? – mormorò Gregory. – No… non molto. Ma in quel momento io lo volevo, madre, lo volevo con tutto il cuore. E anche lui mi voleva. Non so se fosse il vino a farci sentire quelle cose, non lo so davvero. Quando ci siamo risvegliati mi ha guardato in un tale modo… se tu l’avessi visto, madre! Era terrorizzato. Era sicuro che l’avrebbero cacciato da San Gloriano, ci avrebbero cacciati entrambi, io gli dissi che non era necessario lo sapessero, ma sapevo… sapevo che avrebbe confessato tutto. Non volevo che lo cacciassero, sarebbe morto di dolore. Così… ho tentato di far credere al priore di aver fatto ubriacare Evan per violentarlo.
Fedria lo abbracciò, con delicatezza. – Non ti hanno creduto, vero? Come si può credere che tu faccia una cosa del genere…
– No, madre, non ti illudere. Ci avrebbero creduto. Ma Evan ha rivelato tutto, è troppo onesto per custodire un segreto simile… e hanno capito che la verità era dalla sua parte.
Lo baciò sulla tempia. – Ti manca?
– Sì – mormorò Gregory. – Sì, madre, mi manca. Quando ho voglia di parlare con qualcuno, e non posso perché gli studenti di Serven mi considerano a metà fra un pervertito e un fenomeno da baraccone… Ma preferisco così. La mia vicinanza l’avrebbe turbato… a volte penso che basti il mio ricordo a turbarlo. Lo capisco dalle poche lettere che mi scrive. – Scosse la testa. – Meglio che mi dimentichi. Gli ho già fatto troppo male.
– Non soffrire per quello che non puoi cambiare, Rega – disse Fedria, accarezzandogli il viso. – È inutile. Il destino ci prende tutti, prima o poi.
Gregory le baciò il palmo della mano. – Non preoccuparti, madre, adesso mi sento meglio. Sono in pace con me stesso. Era da molto tempo che non mi sentivo così, ed è tutto merito di… – esitò – … di Raphael. – Accennò al ragazzo, immerso in una conversazione fitta con Neekla. Dai gesti che faceva, Gregory avrebbe detto che stesse raccontando qualcuna delle sue marachelle. – È la persona più bella e spontanea che abbia mai incontrato – mormorò. – È… sempre pieno di energia, e vitale, e… non so come definirlo. È trasparente. Sì. Anche quando prova a mentire, la verità gli si legge in viso. E dovresti sentire la sua risata, madre. Scalda il cuore.
Fedria sorrise. – Tu lo ami.
Gregory si sentì stringere il cuore, dolorosamente. – Come puoi dirlo?
– Lo vedo, Rega. – La donna scosse la testa, dolcemente. – Dal modo in cui ti brillano gli occhi quando lo guardi. Dal modo in cui sorridi. Dalla tenerezza con cui parli di lui. Pensi che non ti conosca, figlio mio? Tu ne sei innamorato. Sei legato a lui più di quanto tu stesso creda. – Attese una replica che non venne, poi chiese, con calma: – Non l’avete fatto, vero?
Gregory arrossì fino alla radice dei capelli. – Madre, tu non… – iniziò, poi rinunciò alle remore. Deglutì per darsi forza. – Ganelon… lo divertiva che ci baciassimo. Che ci toccassimo. E dopo un attimo, noi… noi eravamo… Oh Dio, ci desideravamo così tanto… – Si fermò. – Non sono abituato a parlare di queste cose. E con te, poi…
– Credevo che con me non ti vergognassi di nulla – replicò Fedria, con un sorriso.
Gregory scosse la testa. – Non l’abbiamo fatto, madre. E per il resto, non posso dire che abbiamo commesso peccato. Non possiamo controllare le reazioni del nostro corpo, non dipendono dalla nostra volontà.
– Però potreste dargli retta, ogni tanto – disse la donna. – Specie se il corpo ne sa più dalla mente.
– Madre, tu… tu non capisci – mormorò Gregory, esausto. – Non è così facile, quando si portano questa… – sollevò la Croce – … e questo. – Indicò il saio.
Alzò gli occhi, seguendo con lo sguardo i volteggi aggraziati dei danzatori finché non lo rapirono completamente, allontanandolo da qualunque altro pensiero. La madre non lo disturbò per lunghi istanti. Alla fine, però, gli toccò la spalla e disse piano: – Unisciti a loro. Lo desideri tanto.
– No… no, madre. Non danzo da anni… senza contare che sarei ridicolo, vestito così.
Fedria lo prese per mano e lo fece alzare. – Questo non è un problema. Vieni con me. – Lo condusse fino ad uno spiazzo poco distante dal magazzino eletto ad infermeria. Era pieno di carrozzoni variopinti.
– Casa… – mormorò Gregory con un sorriso dolcissimo, sfiorando il legno consunto della dimora itinerante in cui era cresciuto. Guardò la madre. – Dovremmo riverniciarlo, sai. Era così bello quand’ero bambino…
Fedria sorrise. – Lo faremo. Vieni. – Una volta all’interno, la ziina aprì un armadietto e ne trasse fuori una camicia bianca e ampia, con le maniche larghe secondo l’uso dei gitani, un paio di calzoni comodi con due spaccature all’altezza delle caviglie e decorati con frange ai lati dei tagli, e infine un paio di stivali di cuoio morbido. – Sono di tuo padre – disse con un sorriso.
Gregory era imbarazzato. – Madre, io… io non so se posso. Non porto abiti come questi da…
– Da troppo tempo – terminò la madre per lui. – Rega, per favore. Solo per stanotte. Non voglio che tu dimentichi di essere uno di noi.
Gregory la abbracciò. – Questo non accadrà mai, madre. Te lo giuro. – Prese gli abiti e gli stivali. – Farò come vuoi. Dopotutto… sarà bello indossare un paio di calzoni, dopo tanto tempo. – Esitò, imbarazzato. – Potresti voltarti?
Fedria rise piano. – Ti vergogna mostrarti nudo a tua madre? Un tempo non avevi di questi problemi.
– Madre!
– D’accordo, d’accordo… stavo solo scherzando! Io torno in piazza. Lascia pure i tuoi vestiti qui.
Rimasto solo, Gregory strinse gli abiti a sé per un attimo e ne aspirò il profumo privo di incenso e chiesa. Aveva una voglia disperata di indossarli, di sentirsi per una volta a casa, senza niente che potesse ricordargli la spaccatura profonda che cavalcava quotidianamente, nello sforzo spasmodico di fingere che due culture così opposte potessero convivere in un animo solo, senza lacerarlo… senza farlo sanguinare ogni momento. Per una notte, voleva sentirsi figlio del vento e nient’altro, un gitano tra i gitani, che mangia con loro, beve, ride, danza… fa l’amore. No, questo no. Si sentì in colpa per averlo pensato, e perché il pensiero aveva richiamato quello di Raphael. Slacciò la cintura della tonaca, si sfilò il saio (stando bene attento a svuotare prima la rozza tasca interna del suo prezioso contenuto), si tolse la tunica e i calzari e poi entrò nei calzoni, rapidamente, sentendoli subito comodi come una seconda pelle. Si infilò la camicia, che malgrado l’apparenza era pesante e calda, trasse i capelli fuori dal colletto rialzato e mosse un poco le braccia, per abituarsi alla morbida sensazione delle maniche larghe che gli ondeggiavano ai polsi. Era piacevole, almeno quanto il movimento quasi uguale all’estremità dei calzoni. Sospirò. L’orecchino e il sema, che aveva posato sul saio gettato a terra, lo guardavano dal basso, muti. Gregory si chinò, prese il primo e cercò con la punta affilata il foro nel lobo. Al terzo tentativo riuscì a indossarlo, anche se il buco, che con il tempo si era quasi completamente richiuso, fece resistenza e sanguinò un poco. Poi, sistemato l’orecchino, prese il sema e fece per ficcarlo in tasca. Allora si guardò intorno e l’occhio gli cadde su un piccolo laccio di cuoio poggiato sulla sommità dell’armadietto. Sorrise. Infilò con cautela un’estremità del laccio nel piccolo foro del medaglione, lo fece scivolare giù e poi legò la collana improvvisata dietro il collo. Il risultato lo soddisfece. Adesso portava due collane al collo, un crocifisso cristiano e un sema gitano. Sembrava una contraddizione, ma cosa non lo era, nella sua vita?
Piegò la tonaca e la sistemò nell’armadio, con cura. Poi uscì e tornò nella piazza. L’imbarazzo che aveva provato in un primo momento, prima di gettare uno sguardo fuori, svanì subito quando si accorse che nessuno lo degnava di una seconda occhiata. Si sentì felice. Era la prova che gli occorreva. Si guardò intorno per un istante: i danzatori erano aumentati di numero. Raphael parlava ancora con i suoi genitori. Fedria era in piedi accanto a loro, china sull’orecchio di Katrina. Scrollando le spalle, si avvicinò alla madre, si portò la mano al cuore e disse, con un sorriso: – Madre, vuoi insegnarmi a danzare di nuovo? Come ballerino non sono granché, temo. Cerco una brava fanciulla che non si lamenti troppo se le pesto i piedi. Fedria si alzò e prese la sua mano. – Non mi lamenterò – rispose con lo stesso sorriso. – Ma tu cerca di impegnarti. – Chinò il capo in direzione di Katrina e Neekla. – Seth-lin, avanti, prendi in braccio il tuo compagno e trascinalo a ballare. Neekla, non vorrai apparire più goffo di mio figlio, che non danza da tre anni? L’uomo scosse la testa, imbarazzato. – Non voglio lasciare mio figlio da solo… – Oh, no, va’ pure – disse Raphael. Non lo stava neanche guardando, aveva occhi soltanto per il suo compagno. Se ne accorsero tutti, tranne Gregory, naturalmente. Anche lui appariva vagamente perso. – Non preoccuparti, padre, io rimango qui. Portalo con te, madre. – Rega? – Fedria lo scosse leggermente. – Vieni? Katrina e Neekla li seguirono dopo pochi istanti.
Nonostante la bellezza della danza, che gli riempì il cuore di una gioia limpida, antica e nuova, Gregory non si concentrò sui passi quanto avrebbe voluto. Era distratto dalla costante carezza che lo sguardo di Raphael gli procurava sulla nuca, e dai brividi interni che gli attraversavano la spina dorsale ogniqualvolta, piroettando con la madre, si trova nella posizione giusta per gettargli un’occhiata e il ragazzo la ricambiava, dimostrandogli così di avere gli occhi sempre fissi su di lui. Più volte si trovò a scuotere la testa, a dirsi: Smettila. Concentrati. Non pensare a lui; ma aveva ragione sua madre, a volte il corpo ne sa più della mente, e quelle sensazioni così inquietanti eppure sottilmente piacevoli, quei piccoli brividi di piacere e di aspettativa, ne erano la prova.
E poi la musica di quella danza si spense dolcemente in un diminuendo, e Fedria lo lasciò. – Sei ancora bravissimo – disse la donna, a voce bassa. Lo baciò sulla guancia, mentre la musica riprendeva e tutte le fanciulle si allontanavano per andare a sedersi. Gregory riconobbe subito la melodia: era una danza maschile, dal timbro marziale. Avrebbe dovuto aspettarselo, dopo una vittoria in battaglia. La danza dei Giganti era doverosa.
– Ti lascio – disse Fedria. – Goditi questo ballo, perché dopo ci sarà la danza delle Amazzoni. Ma Gregory non aveva un gran desiderio di prender parte a quella danza, anche se i passi erano semplici e il ritmo piacevole. Poi vide Raphael alzarsi, trascinato dalla madre. Katrina gli strappò di dosso il mantello e lo spinse verso di lui, con entusiasmo, poi tornò da Fedria, gettandole un sorrisetto complice. In quel momento, Gregory fu certo che avessero architettato tutto insieme. Ma in compenso gli tornò il desiderio di danzare. Si avvicinò a Raphael, che si guardava intorno smarrito mentre gli altri gitani prendevano posizione, si chinò su di lui e mormorò, con un lieve sorriso: – Ti aiuto io. È facile.
Raphael sembrò ancora preoccupato. – Io non ho mai danzato, Gregory.
– Lo so. Non ti preoccupare. Imparerai subito. Si disposero l’uno di fronte all’altro, accostandosi alle due file che si erano già create, e poi iniziarono a muoversi con gli altri. Gregory gli suggeriva i passi, molto facili, che si ripetevano ad intervalli regolari; poco dopo Raphael aveva già memorizzato la sequenza. Lo vide nella crescente sicurezza con cui si muoveva, nel lieve sorriso di soddisfazione che gli era affiorato alle labbra.
In quell’istante, in quel preciso istante, mentre i movimenti della danza li portavano a sfiorarsi, provò il desiderio terribile di fare l’amore con lui. Quando anche questa melodia si spense, lasciando posto a quella più movimentata della danza delle Amazzoni, furono gli uomini ad allontanarsi dal centro. Ansante, con un velo di sudore sul viso, Gregory si accostò a Raphael e gli disse piano, all’orecchio: – Lljena, andiamo a fare due passi?
Raphael annuì.
– Non mi abituerò mai ad essere chiamato così – disse poi, mentre si allontanavano lentamente. – Sembra strano.
– Forse lo è – mormorò Gregory. – Perché tra noi non ci sono legami di sangue. Forse per questo. Ma io… io sono felice che questi legami non esistano.
Raphael lo guardò senza capire. – Non vorresti che fossimo parenti?
– No. – Gregory si fermò. Campeggiava sopra di loro la quercia su cui si erano arrampicati qualche ora prima, ma adesso c’era ancora meno luce tutto intorno. – No, non lo vorrei. Mi ripugnerebbe avere il tuo stesso sangue e allo stesso tempo… allo stesso tempo… – Lo sospinse verso l’albero, finché le spalle del ragazzo non si appoggiarono al tronco. Non osò aderire con il corpo al suo più esile, per tema che la dimensione fisica di entrambi rivelasse fin troppo sfacciatamente ciò che provava. Posò le mani sulla corteccia, ai lati del suo volto. Chiuse gli occhi. Si scoprì ad accarezzargli il collo con i pollici, un contatto lievissimo, un niente, ma che lo fece rabbrividire non appena ne prese coscienza.
– Lo so cosa vuoi fare – mormorò Raphael, implorante. – Perché esiti? Di che cosa hai paura?
– Io… non lo so.
– Non mi ami?
– Oh, Raphael, come puoi chiedermelo? – sussurrò Gregory, straziato.
– Dimmi quello che vuoi fare.
Gregory si chinò sulle sue labbra. – Ti voglio baciare.
– Dillo di nuovo.
– Ti voglio baciare, Raphael.
– E allora fallo. – Un momento di pura stasi, due cuori fermi sull’accennare del battito, l’urto di due squarci d’umidità che collimano, perfettamente, in un tripudio dei sensi. Due corpi che si modellano l’uno sull’altro, si stringono nel buio, furtivi, agonizzanti nella ricerca reciproca. Respirano, non hanno più fiato. Si separano, aspirano insieme un poco di quell’oscurità nebbiosa e campagnola che sa di natura, si riprendono più bisognosi di prima. Qualcosa, dabbasso, si è aperto, complice una mano spudorata e una sua gemella appena più timorosa. Il momento è intenso, drammatico. La tensione insopprimibile.
– È bello, è bello così… – sussurra Raphael, addossato al tronco dell’albero.
– Non ti fa schifo? Che io… che ci tocchiamo così?
– No, è bellissimo… è così… giusto… ogni cosa al suo posto, ogni cosa… come deve essere… vorrei… Gregory, farai una cosa se te la chiedo?
Il novizio gli posò le mani ai lati del collo, languidamente, e gli ricoprì di baci la guancia punteggiata di teneri ciuffi di peluria. Li contò, uno per uno, con le labbra. – Tutto quello che vuoi…
– Mettimelo tra le gambe.
Gregory esitò, piegò le gambe per aderire al suo corpo, ma Raphael lo fermò. – Dentro i calzoni – bisbigliò, ed era una fortuna che il buio nascondesse all’altro il suo viso, paonazzo com’era di vergogna. Aprì un poco le gambe, scostando dal pube i lembi schiusi dei calzoni. Con un moto di desiderio sfiorò la sua mano che lo guidava dentro, quasi a prender parte marginalmente a quella grottesca simulazione dell’atto virile. Tra le cosce infiammate sentì strofinarsi ogni centimetro della sua maschilità.
– Possiamo farlo anche così, sai – ansimò Gregory, serrato nella sua tenera stretta.
– Non ti… ah, non ti muovere.
– Ti faccio male?
– No. Fammi… fammi abbassare i calzoni.
– Qui?
– Sì…
– Raphael, non voglio che sia qui.
Si fermò. – Perché? È bellissimo, non ci vedrà nessuno…
– Ti prego, Raph, dammi ascolto, porta pazienza. Un letto, un posto qualunque… non voglio farti soffrire, qui è così scomodo…
Raphael se lo strinse addosso, con passione. – Ma non ce la faccio a lasciarti… è meraviglioso stare così, sento tutto quanto…
– Mi lasci solo per poco, e poi riprendiamo meglio di prima… Ci troviamo una casa, un letto, ci chiudiamo dentro e non ci disturba più nessuno finché abbiamo voglia. – Gregory si chinò e lo baciò a tradimento, impedendogli ogni protesta, mentre subdolamente si ritraeva da lui. Privato della vita stessa, Raphael rimase appoggiato all’albero, infelice. – Vieni – mormorò il più grande, tendendogli la mano. – Un attimo di pazienza e di me potrai fare quel che vuoi. Sarò il tuo schiavo.
Sorrise. – Non lo sei già?
– Nell’anima, sì. Ti do il corpo, che Dio mi perdoni.
– Non ha niente da perdonarci. – Lasciò il tenue conforto della quercia e lo abbracciò, di fianco, premendogli il viso contro la spalla. – Non facciamo niente di male, siamo solo due che si amano, e io ti amo quanto tu non sai, per te darei anche la vita. Dio ci ama, ti dico. È troppo bello per essere peccato.
O troppo per non esserlo?, si disse Gregory, senza osare dar voce ai suoi pensieri. Ma Raphael aveva ragione. Era troppo bello. Troppo bello per rovinarlo così.
Prese la sua mano, con decisione, e lo tirò ancora più lontano dai fuochi della piazza, da dove non giungeva neppure l’ultimo eco della musica. Fugacemente, mentre si allontanava con lui, si chiese se sua madre avesse previsto anche questo, quando si era accordata con Katrina perché buttassero Raphael in pasto alle danze e tra le sue braccia. Mentre deglutiva saliva inesistente al pensiero di fare l’amore con lui, e il vento gelido sbatteva impudico contro le sue vergogne offerte alle intemperie, strappandogli ad ogni istante un poco del suo turgore, si chiese se in quel momento la ziina Fedria stesse mormorando all’orecchio della sua seth-lin parole del tipo: – È meglio che restino un po’ da soli, adesso. Hanno molto da dirsi. – Magari calcando quell’ultima parola con un sorrisino malizioso. Sbatté le palpebre. Che diavolo importava? L’indomani tutti avrebbero saputo che avevano fatto l’amore. Tanto meglio. Così a nessuno sarebbero sorti dubbi su come stavano le cose tra loro.
Raggiunsero una delle case più lontane dalla piazza. Era oscura e silenziosa, e dall’interno non provenivano rumori né voci. Per scrupolo, Gregory bussò alla porta – socchiusa – e attese qualche secondo. Nessuna risposta. – Non c’è nessuno – mormorò. Posò il palmo sul legno freddo. L’uscio scricchiolò e cigolò e si aprì senza difficoltà.
– È vuota – disse Raphael, avvicinando il corpo al suo. Richiuse la porta, distrattamente, e si fece ancora più vicino.
Stringendo la sua mano più forte per distrarsi da quell’attesa straziante, Gregory si mosse verso una finestra e scostò una tendina sfilacciata, per lasciarvi entrare un po’ di luce e permettergli di capire dove fosse la camera da letto. Per fortuna, era una casa molto piccola. La trovò al primo colpo: la porta era ancora aperta.
All’interno regnava una gran confusione, cassetti rovesciati, sangue sul pavimento. Ma il letto era intatto, ed era delle dimensioni sufficienti ad accogliere comodamente due persone. Vagamente, in un angolo del proprio animo, Gregory si sentì male al pensiero di fare l’amore in una camera dove una coppia era stata massacrata, ma allontanò il pensiero. Se avesse continuato a ragionare così, sarebbe dovuto scappare via da Widefield per l’orrore. Forse un altro l’avrebbe fatto. Lui non ne aveva intenzione. Dentro di sé, comunque, si sentì rassicurato al pensiero che tutti i cadaveri fossero stati portati via e seppelliti. Questo mitigava in qualche modo la sensazione di dissacrare una tomba.
Chiuse la porta con un calcio, con veemenza, e abbracciò Raphael, affondando il viso nell’incavo del suo collo. Gli inflisse un morso leggero, assaporando con immenso piacere il suono del suo piccolo ansimo. Pensò, da qualche parte nella sua mente, che con Evan non era stato così. Era stata una cosa veloce e meccanica, il puro soddisfacimento di un desiderio. Era stato bello, ma niente in confronto a questo.
Con un sospiro che poi era un ansimo di gioia, gli tolse il mantello e lo gettò via, accanto al suo.
Lo fece arretrare fino al bordo del giaciglio, poi, colto da un’ispirazione improvvisa, si chinò, gli abbracciò i fianchi e lo sollevò, attorcigliandogli le gambe con le sue cosce. Caddero insieme, in un groviglio di gambe e braccia da cui si sciolsero unicamente per trovare una posizione ancora più intima, mentre sotto la schiena di Raphael il materasso si tendeva e li faceva ondeggiare leggermente. Ansimarono insieme, mentre le loro parti intime strofinavano con veemenza.
Non si scambiarono neppure una parola. Erano straziati dalla stessa eccitazione, e si mossero identicamente, l’uno sull’altro, senza pensarci. Si slacciarono le camicie a vicenda, poi a turno se le sfilarono dalla testa e le gettarono sul pavimento. Al termine di questa operazione, si abbracciarono di nuovo e rotolarono sul letto, che iniziava a intiepidirsi per il calore dei loro corpi. Soffocarono i brividi di freddo con carezze spasmodiche e affrettate, unendo le bocche più a lungo e con più foga.
Dolcemente gravato dal peso lieve del suo compagno sopra il corpo, Gregory mandò un sospiro di piacere e riprese a baciarlo. Sentiva il crocifisso di legno, appeso alla sua cordicella, appoggiarsi alla sua spalla destra, e il sema, più pesante, fare lo stesso dall’altra parte. Lo infastidivano. Con uno scatto, il giovane novizio gettò Raphael sul materasso e se li sfilò entrambi, posandoli sul comodino poco distante. Poi, a un cenno di assenso, prese anche il crocifisso di Raphael e glielo tolse, gettandolo insieme alle sue cose. Sorrise ansimante. Adesso veniva la parte più bella.
Infilò le dita tra i lacci dei calzoni di Raphael e prese a scioglierli, mentre il ragazzo faceva lo stesso con lui. Quando ebbe finito – e anche Raphael aveva fatto la sua parte – chiuse gli occhi per un istante. Gli sorsero alla mente molti pensieri, come “Questo è un momento importante” o “Non devo sciupare tutto con la fretta”, ma niente di questo aveva la minima importanza, per lui. Ci sarebbe stato tempo per riflettere su quell’istante, ci sarebbero state ore e giorni e mesi e anni… dopo. Adesso non aveva neppure un attimo per chiedersi cosa volesse di più, se dare piacere a Raphael o riceverne da lui.
Gli denudò il basso ventre dopo che Raphael aveva già scoperto il suo, e lo guardò, ma solo per un secondo. Non gli andava di fare confronti, né di chiedersi quante volte la mano di Raph lo avesse accarezzato, né se qualche fanciulla l’avesse mai accolto tra le cosce. Non gliene importava nulla. In realtà l’unica cosa che desiderava, adesso, era che il suo giovane padrone non si facesse remore ad usarlo.
Si sollevò sulle ginocchia, ignorando il proprio membro che, non più prigioniero dei calzoni, svettava verso l’alto come il pennone di una bandiera; gli sfilò gli stivali e poi i calzoni, rapidamente, poi tornò a distendersi, aspettandosi che il compagno gli ricambiasse il favore. E Raphael lo fece subito, con molto piacere e altrettanta velocità.
Alla fine, quando non fu rimasto più nulla che dividesse i loro corpi, Gregory afferrò un lembo delle lenzuola e lo tirò via, di lato. Lasciò Raphael per intrufolarsi sotto le coperte tiepide. Il ragazzo fu lesto a raggiungerlo, con il labbro inferiore sanguinante per la violenza con cui se l’era morso, allo scopo di soffocare un grido. – Ti amo – bisbigliò Raphael, baciandolo con calore.
Gregory sentì il sapore del suo sangue sulle labbra. – Quanto ancora puoi resistere? Un minuto? Due?
– Non posso. Non ce la faccio più – boccheggiò Raphael. Non scherzava e non lo diceva per compiacerlo, anche se quella era la risposta che lui voleva sentire. Con un sorriso intento, lo baciò per l’ultima volta e scivolò giù, sotto le coperte, nell’oscurità riscaldata dai loro corpi.
Raphael iniziò a gemere quasi subito. Il suo membro vergine pulsava talmente forte sotto le carezze umide della lingua del compagno da far pensare che dovesse raggiungere il piacere da un momento all’altro. Quando Gregory lo accolse in bocca, lo trovò caldo e delizioso.
Ma, quando lo fece, sentì che un gelo di piombo gli calava sul cuore. Il pensiero di Ganelon gli vorticava nella mente, lo disturbava e non riusciva a scacciarlo. Perché?, si domandò, proseguendo stoicamente. Perché quel mostro nella mia testa? Ci siamo solo io e lui… io e lui… Dio mio, allontanalo… allontanalo…
Non ce la faceva. Lo lasciò e riemerse dalle coperte, voltandogli la schiena. Lacrime brillavano nei suoi occhi.
– Gregory…
– Scusami. Non ce la faccio. Mi ricorda… mi ricorda troppo… Dio mio! – gridò, stringendo i denti. Morse il cuscino. Che uomo sono, se non so neppure dare piacere al mio amore? Che uomo sono? Maledetto… maledetto… L’inferno inghiotta la tua anima!
– Gregory… ti prego, girati – mormorò Raphael.
Obbedì, riluttante. Non voleva che lo vedesse piangere. Ma il ragazzo si fece più vicino, ancora tremendamente eccitato, chissà quanto gli costava ignorare il desiderio che per un pelo aveva soddisfatto, e gli asciugò le guance con piccoli baci. – Toccami – sussurrò.
– Raphael…
– Con le mani. Niente labbra, niente… che possa ricordarti quella notte. Ma toccami, perché sto impazzendo. Ti prego.
Gregory unì le labbra alle sue, stringendo forte le palpebre. È il mio amore, si disse. Non è lui, è Raphael, è il mio piccolo dolce Raphael… Lo accarezzò e gli parve che quel gesto gli restituisse la vita. Avvolse le sue labbra in un bacio più intenso, con il braccio libero lo attirò a sé per averlo più vicino. Quegli ansimi… quei piccoli ansimi che Raphael gli lasciava nella bocca erano dolcissimi. Si ritrasse per dargli modo di esprimersi meglio, si fermò su un labbro per mordicchiarlo con dolcezza. Sentì rifiorire il proprio desiderio.
– Amore mio… – bisbigliò, grato e felice.
Raphael tratteneva le grida tra i denti.
– Grida pure… – sorrise Gregory, che lo guardava estasiato. – Nessuno ci può sentire… piccolo mio…
– Ti amo, Gregory… ti amo!
Il viso di Raphael era un fuoco. Lo baciò tutto, mentre il ragazzo si riprendeva tra le sue braccia. Dio se lo amava. Quella creatura era… meravigliosa. Si stese sopra di lui senza pensarci.
– Voglio fare l’amore – sussurrò, ma con dolcezza, perché non suonasse come un ordine quello che era solo un dolcissimo desiderio. – Ti prego. Me lo permetti?
Raphael aprì gli occhi e annuì, con un vago sorriso. – Però giurami che farai piano… giura…
– Te lo giuro… – bisbigliò baciandolo. – Non avere paura…
– Non ho paura…
– Sarò delicato come un fiore…
– Mai visto un fiore dal gambo così grosso… – ridacchiò Raphael.
Gregory si scrollò di dosso le coperte, tanto bastava la loro passione a riscaldarli. Riprese a baciarlo e mentre lo faceva insinuò una mano tra le sue cosce dischiuse, cercando quel punto così nascosto e sensibile che desiderava tremendamente… Serrato come una conchiglia. Lo accarezzò dolcemente, senza fretta. Non poteva rischiare di fargli male. Non poteva… non a lui. La pelle di Raphael si sollevava tutta in preda ai brividi, ma non per il freddo.
– Ti faccio male? – bisbigliò, premendo leggermente.
Raphael scosse la testa, ma non riuscì a nascondergli una ruga di preoccupazione. – È così stretto… – ansimò, vergognoso.
Sì, così stretto. Gregory iniziò a sudare freddo. – Tranquillo – sussurrò. – Andrà tutto bene.
Doveva farlo. Non aveva molta scelta. Scivolò giù tra le sue cosce, divaricandole con le mani, e alle dita sostituì la lingua. Sentì la mano di Raphael affondare tra i suoi capelli, stringendoli, comunicandogli così il piacere intensissimo che gli stava dando. E Gregory era tranquillo e audace, adesso che si rendeva conto di non essere turbato da alcun pensiero molesto. Ganelon era stato ricacciato indietro, in fondo al mare dei suoi ricordi. Non sarebbe tornato, per quella notte.
Continuò finché non gli parve che dovesse andare bene, poi risalì il corpo di Raphael fino a posargli un umido bacio nell’incavo del collo. – Rilassati… – mormorò. – Sennò ti farò male… rilassati, pensa a quanto mi vuoi… Tu mi vuoi, non è così?
Raphael annuì, rispose inquieto: – Sì che ti voglio… Sapessi quanto…
Gregory si unse di saliva. Gli tremavano le mani e sperava che Raphael non se ne accorgesse… non si rendesse conto che era la prima volta che faceva una cosa del genere… da sobrio. Ma lo sguardo del ragazzo vagava nell’aria soprastante, perso. Non lo guardava. Chissà perché.
– Amore mio… – bisbigliò. – Guardami…
Raphael lo fissò negli occhi, con dolcezza.
– Andrà tutto bene… tutto bene… – ripeté Gregory, come in una cantilena, ma lo faceva per convincere Raphael o se stesso? Lo forzò mentre ancora sussurrava a fior di labbra quelle parole.
Una sofferenza inaspettata torturò i lineamenti di Raphael, fino a poco prima sereni. Il ragazzo trattenne un gemito tra i denti, stoicamente. – Tutto… bene… eh? – ansimò.
Quel tono spaventò Gregory. Adesso mi odierà, pensò. Mi odierà e non mi vorrà più. Dio mio, che ho fatto…
E invece Raphael sfoderò un meraviglioso sorriso sofferente, aprì gli occhi e mormorò: – Dovrei essere io quello… ah… senza esperienza… ma non mi sono illuso mai… che sarebbe stato indolore…
Gregory lo baciò. – Amore mio, – bisbigliò, – ho creduto che mi avresti odiato…
– Che stupido… – sorrise il ragazzo. – Io ti voglio davvero… Non l’ho detto per farti piacere…
Quanto avrebbe voluto avere l’esperienza che si era sempre negato! Per lui. Per non farlo soffrire così. Ma non l’aveva, e non poteva farci niente. Lentamente, con cautela, si prese un altro pezzetto del suo corpo.
Chiuse gli occhi per non vedere la sofferenza a stento controllata sul viso del suo compagno. Eppure lo voleva, oh sì, ne era certo: non si può mentire in momenti come quello. Conosceva quel terribile, devastante desiderio di donarsi. Sfiorava a tratti il masochismo, era un’esigenza spirituale prima che fisica, un bisogno irrinunciabile. Niente che venisse chiesto con tanta forza e dedizione poteva essere un capriccio.
Non sta soffrendo per me, si disse il giovane, ma per se stesso. Io lo so, lo riconosco: è a se stesso che fa questo, per essere ciò che vuole, per distruggere una verginità che non vuole più – e chi mai l’ha voluta? –, per essere libero di amare ed essere amato senza quel peso di schiacciante, insopprimibile angoscia… – Non ti preoccupare – mormorò, prendendogli le cosce e sollevandole alte sopra la propria schiena. Le sentì chiudersi, percepì le caviglie tremanti intrecciarsi sopra i suoi glutei. Così forse sarebbe stato più facile e meno doloroso. Rassicurato dall’espressione più calma, quasi appagata di Raphael, continuò a premere. Gli sembrava di trafiggerlo, di spaccarlo: ogni pollice di terreno che conquistava era una forzatura, paradisiaca per lui, dolorosa per Raphael. Ma continuò. Si ritrasse brevemente e di nuovo affondò tra le sue cosce perfette. Boccheggiò. Adesso era completamente sprofondato in lui, fino all’elsa. Riprese lentamente fiato.
Raphael, che lo teneva abbracciato, gli piantò le unghie nella schiena. – Continua – ansimò, con voce strozzata. – Continua. Fino alla fine. Continua.
Anche se avrebbe voluto possederlo con impeto, tanta era l’eccitazione, Gregory si trattenne fino allo spasimo e s’impose un ritmo languido, pacato, che sciogliesse le ultime resistenze del suo giovane ospite in un dolce far l’amore. Chiuse gli occhi, colto dagli spasmi, e suo malgrado affrettò il movimento. Il corpo di Raphael si contraeva a ritmo con il suo possesso, deliziosamente, e il ragazzo ansimava e gemeva, sì, ma di inequivocabile piacere. Piacere d’esser posseduto. Piacere d’essere uomo ed essere posseduto.
Sentì il corpo di Raphael rispondere in altro modo di quel piacere, donandogli la forza di un’altra, generosa erezione, che andò a premere, fiera, contro il suo ventre. Sorrise, quasi fosse un regalo per lui. Si contorse per staccare la mano del compagno che gli artigliava la schiena e la portò giù, a chiudere tutte e cinque le dita intorno a quella forma già vigorosa nella sua acerbità. Poteva ben ritardare di qualche istante il suo piacere, se in cambio poteva dargli e darsi la gioia di venire insieme, uniti in un solo amplesso!
Raphael aprì gli occhi, vagamente stupito di quella sorpresa, poi sorrise e l’assecondò, disfacendo il nodo della gambe dietro la sua schiena, aprendo maggiormente le cosce tesissime e infuocate, e inarcando la schiena per meglio offrirsi a lui.
Si baciarono mentre ognuno si dava al proprio piacere, e nella congiunzione tumultuosa delle lingue si scambiarono un reciproco grido di trionfo. L’orgasmo li scosse insieme, estremamente potente quello di Gregory, più contenuto quello di Raphael. Gregory sentì nel ventre i getti caldi del compagno, e neppure per un istante pensò al sacrilego onanismo che avevano perpetrato insieme. Sentì, e ciò avrebbe dovuto scuoterlo ancora di più, l’intimità di Raphael infuocarsi del suo seme: ma non ne provò rimorso.
Per qualche secondo non riuscì neppure a muoversi, tanto si sentiva prosciugato. Ansimavano insieme, abbandonati l’uno sull’altro, l’uno dentro l’altro. Fece per lasciarlo, ma Raphael lo trattenne a sé per un ultimo bacio.
Poi, con sforzo, si lasciò cadere al suo fianco.
Il ragazzo l’abbracciò, una gamba magra si intrufolò tra le sue e la guancia di Raphael andò ad appoggiarsi sulla sua spalla. – Ho cercato… ho fatto del mio meglio – mormorò Gregory, deponendogli un bacio sulla fronte madida di sudore. – Se tu sapessi quanto mi dispiace…
Raphael si tirò le lenzuola sulla spalla. – Cosa ti dispiace? È stato bellissimo – mormorò.
– Non sono così bravo come credevo. È stato facile l’altra volta, non avevo paura, mentre oggi ero così teso… al pensiero di farti male…
– Shh… – sussurrò Raphael, stanco.
– Ma io…
– Shh. – Raphael sospirò, tranquillo, appagato. – È giusto così. C’è sempre un prezzo da pagare. Io volevo diventare uomo con te, e l’ho pagato.
– Chi direbbe mai che questo è diventare uomo? – sussurrò Gregory.
– Io. Lo volevo e sono felice di averlo fatto. Non conta nient’altro.
Gregory chiuse gli occhi, rasserenato. – Ti ho fatto molto male? – bisbigliò dopo qualche istante.
– Solo un po’. – Raphael strisciò sul suo corpo fino ad appoggiare la guancia sul cuscino, accanto al suo viso. – Ma poi è stato bellissimo. – Lo baciò, con un sorriso meraviglioso, sereno e scherzoso, privo di dolore, paura o pentimento. – Solo, non chiedermi di rifarlo troppo presto.

  
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