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Autore: Mick St John    24/10/2011    1 recensioni
Mick sta lentamente riprendendo le forze dopo essere stato ferito nell'episodio precedente, il 18 (Death Symphony), ma il destino, oltre al suo corpo da vampiro, mette alla prova anche il suo cuore. Beth infatti ha troppi pensieri che la mettono in agitazione e capisce che qualcosa tra di loro sta cambiando.
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Seconda Stagione di Moonlight in fanfic'
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4.

BETH'S VOICE OVER



Mick e Ben...
Amare un vampiro, fidarsi di un amico... credere in se stessi e di poter essere sempre forti, contro qualcuno che è per natura più forte di te.
Come posso vivere così... come posso riuscire ad amarti come vorrei? Mick... Non voglio credere che Ben mi usi per scoprire cosa sei.
Non voglio credere di essere stata così stupida da lasciarmi usare e da metterti in pericolo.
Non voglio pensare che tu abbia baciato quella Cindy provandoci gusto, così come non voglio pensare che ora soffri per me.
Vorrei soltanto affondare il viso in un cuscino e piangere fino a sfinirmi, fino ad addormentarmi e a tornare ad un settimana fa, quando tutto andava bene, quando io e te eravamo semplicemente io e te, niente vampiro...niente umana.
Solo due persone che si amano e che vogliono passare il tempo che possono, insieme.
Sono una stupida... sbaglio sempre tutto.
Se resto ti faccio del male, se vado via, faccio anche peggio... Voglio amarti, tu non sai nemmeno quanto voglio amarti, ma non riesco a farlo bene...è così difficile, stare in silenzio, fare finta di niente, accettare il fatto che ogni volta che esci fuori dalla porta potresti non tornare e io non saprei nemmeno chi o cosa ti ha strappato dalle mie braccia.
L'accettare di non poterti aiutare...di non doverti aiutare in caso tu avessi bisogno di aiuto.
Pensavo di farcela...ma ieri notte...tu non immagini nemmeno cosa ho sentito...quanta pena ho avuto dentro.
E il non sapere...il non sapere mi ha uccisa. Io ero come morta, in quegli istanti mi sono sentita davvero morta... E non so se posso... Non so se posso reggere ad una vita così.
Però... Ti amo così tanto... Mi manchi da impazzire e non so neanche come ho fatto a lasciarti lì, sulla porta, con quello sguardo lucido, quando l'altra notte stavo per perderti per sempre.
Perchè? Perchè deve essere tutto così complicato? Perchè non possiamo semplicemente amarci come desideriamo?
Non erano abbastanza l'eternità, il non poter avere bambini e la luce del sole, a dividerci?
Dovevano mettersi di mezzo anche le leggi del tuo mondo, che mi tagliano fuori sempre e comunque, e le persone di quello che credevo essere il mio mondo, che a quanto pare vogliono soltanto usarmi per entrare nel tuo!
Sono solo un oggetto, sono solo qualcosa che serve a qualcuno per ottenere qualcos'altro?
Io sono una persona Mick! Non sono sangue, non sono un collegamento...sono soltanto una donna che ti ama...
Ma che ha bisogno di capire che fine ha fatto la vera se stessa e da che parte vuole stare, con te o con l'idea che ho di me stessa.
Sono confusa.
Ma non durerà a lungo.

Questo era il flusso inarrestabile dei miei pensieri, e ad interromperlo, fu lo squillo del mio cellulare.
Così lessi il display.
"Ben." Sussurrai piano, respirando a fondo.
"Perfetto...iniziamo a mettere a posto questa storia"
Schiacciai il tasto per rispondere, cercando di mantenere la mia voce meno isterica possibile e facendo mente locale, per trovare un modo per fargli dire quello che volevo sapere, poi decisi che lo avrei lasciato spiegare il motivo per cui mi aveva chiamata. Solo dopo gli avrei chiesto di vederlo subito, per parlargli faccia a faccia di ciò che interessava a me.
Certe cose bisognava affrontarle subito e a quattr'occhi.
"Pronto?"
"Pronto, Beth!"

Il suo tono allarmato non aiutò i miei nervi.
Perchè era così nervoso? Non per lavoro, da quello che sapevo.
Sentii una morsa allo stomaco e respirai a fondo aspettando che continuasse.
"Pensavo non avresti risposto. Và... Tutto bene?"
Sospirai e cercai mentalmente di calmarmi ancora un pochino, ma era difficile, sapendo come mi ero lasciata Mick alle spalle.
"Si, tutto ok! Scusa, è che non trovavo il telefono nella borsa..." Cercavo di sembrare cordiale. "Dimmi tutto." Aggiunsi curiosa e impaziente di risolvere quella faccenda.
La curiosità uccise il gatto Beth. In questo caso l'umana.
Lo sentii chiaramente cercare di riprendere il controllo e schiarirsi la voce. Era agitato, ma non sapeva quanto lo fossi io, più di lui.
"Ah, bene... temevo di averti disturbata... Volevo chiederti se potevamo vederci, per lavoro."
Dal modo in cui marcò la parola lavoro, capii che voleva evitare qualunque tipo di equivoco.
"Da soli." Specificò dopo qualche secondo.
Senza Mick St. John volevi dire, vero? Prima mi usi per spiarlo e poi mi chiami per un incontro? Ma che razza di uomo sei? e io che ti credevo un amico!
Sopportai la fitta che sentivo allo stomaco e al cuore, io mi ero fidata e adesso per colpa mia, Mick era in pericolo.
Ad ogni modo, non poteva scegliere un momento migliore, dato che anche io avevo bisogno di parlargli faccia a faccia.
"Certo Ben, dammi solo il tempo per tornare a casa a posare alcune cose, dove ci possiamo vedere?" Chiesi decisa a risolvere quel dubbio atroce che mi stava assillando.
"E' una questione assolutamente confidenziale, sarebbe il caso di vedersi qui nel mio ufficio. Poi magari andiamo a cena insieme... sempre, se non hai altri programmi. Mi farebbe molto piacere."
Per un momento mi sembrò che tutto fosse tornato come qualche settimana prima, ma probabilmente quella sua gentilezza era solo di facciata, una copertura.
Chiusi gli occhi per domandarmi se volevo andare a cena con Ben. La risposta era chiaramente no. Non volevo. Sarebbe stato il primo invito da parte sua che avrei rifiutato.
"A dire il vero io ho promesso a Marissa che avrei cenato con lei stasera..." Dissi mentre entravo in casa e posavo distrattamente la valigia.
"Allora dieci minuti e sono da te... ok?" Chiesi
"Ah e ... questo è un no?" Lo sentii domandare di rimando con un tono alquanto deluso.
Cercai di calmare il cuore che batteva troppo forte e faceva troppo male e rimasi in silenzio fino a che lui non continuò.
"Comunque io ti aspetto qui."
"Ok, a dopo" Salutai prima di chiudere frettolosamente. Mi asciugai gli occhi, ancora umidi di pianto, decisa a richiudere subito la porta e a scendere in strada.
Non mi andava nemmeno di sistemarmi.
Avrei risolto il problema con Ben e poi... poi avrei affrontato me stessa.

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5.

MICK'S VOICE OVER


Rimasto solo, l'unica cosa cui potevo pensare era l'assurda situazione in cui mi ero ritrovato senza sapere come.
Come si manifesta la depressione di un vampiro? Non lo so. So solo che ho seguito l'istinto di celarmi dietro uno sguardo triste e duro, cercando di contenere le lacrime.
Con Beth lontana, non mi restava che buttarmi nel lavoro per potermi distrarre, ma a quanto pareva, nessuno aveva bisogno di Mick St. John.
Avrei potuto approfittarne per riposarmi, se tutto fosse stato al suo posto e invece avevo il vento contro.
Persino il telefono taceva. Così andai a recuperare quello che restava della bottiglia di whisky che Beth mi aveva regalato tempo fa e che avevo cominciato a bere insieme a Josef.
E sedendomi sullo sgabello, iniziai a riempirmi il bicchiere, deciso a svuotarla.
Non sarebbe servito a molto, non potevo ubriacarmi, ma forse mi avrebbe psicologicamente fatto un effetto lenitivo, o almeno così mi illudevo.
E proprio mentre scolavo il secondo bicchiere, il cellulare squillò.
I primi secondi hai sempre una vana speranza che possa essere la persona cui pensi intensamente.
Poi subentra l'obiettività e lo scetticismo e ti ritrovi a pensare che sarebbe troppo bello per essere vero.
Infine c'è la delusione, quando prendi in mano il telefono e leggi sul display con una smorfia quello che intimamente sospettavi come ipotesi più probabile.
"Logan, ciao..."
"Ehi Mick! Come stai?"

Come sto... Come sto? Non lo so come sto.
"Potrei stare meglio." Risposi seccamente "Che succede?"
"Lo so, ho già chiamato troppe volte, anche Beth, giuro che la smetto, non ci sto provando con la tua ragazza... E' solo che volevo dirti una cosa che ho pensato potesse interessarti."
"Hai il numero di Beth?" Chiesi incuriosito, ma quella domanda era decisamente inutile. Così mi affrettai ad aggiungere
"Non devi scusarti, dimmi."
"Ecco... Dopo che sei entrato in quella sorta di coma dovuto allo shock da argento liquido, Roger è venuto da me e mi ha pagato profumatamente per fare una ricerca approfondita sul ragazzo che hai salvato.
Si chiama Sam Jefferson. E' uno studente poco studiante... Gli piace il football e ha un debole per i Rave parties. Anche se bisogna capirlo... E' rimasto orfano di madre a soli 5 anni, stroncata da un brutto male incurabile.
E' cresciuto con i nonni materni e con il padre, un famoso imprenditore di fabbriche del vetro che distribuisce in tutto il mondo.
Ma al di là di questo, quello che mi ha fatto tornare in mente te è stato il suo indirizzo, abita in una casa a Pasadena.
Mi sono ricordato che quando abbiamo controllato la mappa della Black Moon tu hai voluto controllare Pasadena e che lì c'erano due locations. Così ho pensato che forse le due cose potessero essere connesse..."

Restai in silenzio qualche secondo riflettendo sulla sua considerazione e Logan interpretò male quel mio attimo di esitazione.
"Ma, magari no... Forse non avrei dovuto disturbarti per una cosa così stupida... Scusami Mick."
"No, no Logan, scusami tu. Hai fatto benissimo ad avvisarmi. Credo che questa cosa però debba rimanere tra noi, non parlarne con Cindy, non parlarne con nessuno, veramente. Soprattutto con Cindy, hai capito?"
"Si certo, tranquillo. Ne ho parlato solo con te proprio perchè immaginavo che volessi indagare da solo, però Mick, non fare scherzi eh! Non fare l'eroe da solo contro il mondo, non è molto raccomandabile dopo quello che ti è successo!
Se necessario, avvertimi e io contatterò subito le pulitrici, ma non avventurarti più da solo in un covo di legionari, per favore."
"No, stai tranquillo, ho imparato la lezione. E grazie per l'informazione, chiamami se dovessi scoprire qualcos'altro. Anche se..."

Sam Jefferson... Avevo già sentito quel nome. Conoscevo un certo Samuel Jefferson.
Era stato il mio compagno di classe all'ultimo anno di elementari.
Era un ragazzino con un faccione paffuto e le mani sempre unte di ciambelle glassate.
Un tipo molto simpatico e molto gentile, mai prepotente, sebbene fosse alto quanto due di noi ragazzini dalla corporatura media.
Dopo la scuola ci perdemmo di vista, ma ricordo bene un episodio di cui diventammo protagonisti.
Una mattina ero con un gruppo di amici, e mentre eravamo impegnati a giocare tra noi, due bulli del quartiere, più grandi di diversi anni, si erano avvicinati con spavalderia e si erano appropriati delle nostre biglie colorate.
Io protestai a gran voce cercando di opporre resistenza, e richiamai l'attenzione di Sam, che vedendomi in difficoltà, decise di buttarsi nella mischia, sebbene fosse del tutto estraneo alla causa.
Io e Sam fummo tra i più agguerriti nel darle, ma ne prendemmo entrambi davvero tante, quel giorno, da non poterle dimenticare, prima da quei due balordi e poi dai nostri genitori, per esserci infangati e riempiti di tagli e lividi.
Ma se non fosse stato per il coraggio di Sam, che non si limitò solo a contrastare gli avversari, ma anche a proteggere me, io avrei avuto di certo la peggio.
Invece fummo sconfitti, perdemmo le biglie, ma col sorriso sulle labbra, entrambi soddisfatti per avere combattuto insieme contro l'ingiustizia.
Ricordo di avergli passato qualche caramella per ringraziarlo di avermi sostenuto in quella crociata allo sbaraglio.
E il giorno dopo lui mi regalò un sacchetto pieno di biglie, ancora più belle di quelle che io e i miei amici avevamo perso.
Vetro...
Per un attimo mi sfiorò l'idea che, per uno strano caso del destino, il Samuel che mi aveva salvato da bambino potesse essere un avo del Sam che avevo salvato io.
"Scusa Logan, ma Sam ha 17 anni effettivi, pur essendo un vampiro?"
"A quanto mi risulta, si. Deve essere stato tramutato da poco tempo... E immagino che la famiglia sia troppo impegnata con gli affari per accorgersi che il ragazzo, più che mangiare, beve..."
"Si, credo che sia così. Fai una cosa per me Logan, chiama la pulitrice e avverti che la raggiungiamo al magazzino. Voglio parlare con questo ragazzo. Poi ti spiego meglio di persona... Intanto passo a prenderti, così mi accompagni. Non hai molto da fare, vero?"
"Ehm, no... Nulla che non possa rimandare!"
Logan sembrava stupito da quel cambiamento repentino di programma. Forse distrattamente aveva appena rovesciato il suo bicchiere con la "merenda", da come intuii, sentendolo maneggiare qualcosa sulla tastiera, per poi tornare a spiegarmi.
"Okay, nessun problema, la chiamo subito e ti aspetto."
"Grazie ancora Logan. A tra poco."

Lo salutai e restai ancora qualche minuto assorto, perdendomi in quei ricordi di una vita precedente.
"Samuel Jefferson di Pasadena..." Sussurrai a denti stretti.
Le coincidenze mi lasciavano sempre di più sconvolto.
Anche Tony e Juliet avevano 17 anni.
Forse frequentavano la stessa scuola, magari avevano amicizie in comune.
Dovevo chiarire personalmente i miei dubbi.


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6.

BETH’S VOICE OVER


Quando arrivai alla centrale, entrai nel suo ufficio con molta disinvoltura e sicurezza.
Ero mossa da tutte quelle emozioni difficili da sopportare e da controllare.
"Ciao Beth."
Vidi Ben scostarsi dalla scrivania, cui era appoggiato di schiena e con entrambe le mani, con una leggera spinta.
Aveva lo sguardo adombrato, i suoi occhi avevano perso gran parte della loro luminosa intensità.
Alzò una mano per passarsela sulla fronte come se volesse, con quel gesto, allontanare il velo di preoccupazione che gli offuscava i pensieri, poi mi fissò, fece un respiro più profondo degli altri e si sforzò di sorridere.
Anche se gli avevo detto di stare bene, ora che mi guardava, sentii che gli era bastato un attimo per capire che qualcosa era cambiato tra noi.
E in fondo sapeva anche di conoscere bene il perchè di quel profondo turbamento nell'espressione di quella che, sapevo considerasse, e che sperava restasse ancora, la sua socia.
"Sono contento che tu sia qui." Mi confidò, pronunciando lentamente quelle parole, mentre si avvicinava.
Per me invece, vederlo fu in pratica una battaglia emotiva.
Tante sensazioni, tutte contrastanti, lottavano in me per prendere il sopravvento, ma riuscii a tenerle a bada, anche se sentivo che sul mio viso tutto era chiaro quanto il sole.
"Ciao Ben." Risposi al saluto, meravigliandomi io stessa di quanto la mia voce fosse fredda e distaccata.
Ma di che ti meravigli, Beth? Lui ha messo in pericolo Mick... è ovvio che tu sia distaccata e fredda.
Persa nei miei pensieri e fra le mie sensazioni, quasi non mi accorsi che lui aveva detto altro e mi affrettai ad annuire in risposta.
"Dimmi, di cosa volevi parlarmi di tanto importante?"
Ben mi si avvicinò per farmi cenno di entrare e si affrettò a chiudere la porta del suo ufficio.
Poi cominciò, fissando il suo sguardo profondo nel mio, con un tono decisamente confidenziale, cercando di mantenersi pacato il più possibile.
"Ecco, io... Dovrei parlarti di una cosa molto importante di cui sono a conoscenza e... credo di doverti informare prima che possano esserci dei problemi. "
Sentii le sopracciglia alzarsi e lo guardai, bloccando la rabbia e l'indignazione, per poi farle uscire lentamente, mentre sibilavo con tono avvelenato.
"Sentiamo, si tratta per caso del motivo per cui mi hai messo una cimice nella borsa, Signor viceprocuratore?" Sentivo i miei occhi infuocarsi dall'ira.
A quella frase, non era necessario che fossi un vampiro per capire che il cuore di Ben perse un battito e fu incontrollabile, l'espressione di stupore che gli si dipinse improvvisamente sul viso.
Al contrario di quanto stava accadendo a me, le sue sopracciglia si aggrottarono sulla fronte.
"Cimice? Di che cimice stai parlando?" Fingeva stupore.
Quello che mi riusciva difficile da interpretare era se fosse stupito per essere stato incolpato così spudoratamente o se gli risultasse incredibile che io avessi trovato la cimice in così breve tempo.
Ridacchiai amaramente e sospirai, cercando di dare, alle frasi che mi si erano affollate in gola, un ordine e un senso ben preciso.
"Ti prego..." Implorai. "Ti prego Ben, non mentire ancora...perderesti quella poca fiducia in te che ancora ho!" Esclamai intensificando il mio sguardo nel suo.
"Sai benissimo di cosa parlo, pretendo una spiegazione!" Il mio tono non ammetteva repliche.
Ben distolse lo sguardo dai miei occhi chiari che lo fissavano intensamente, implorandolo di non mentire.
I suoi occhi invece cercarono sollievo da quelle pesanti accuse, riflettendosi nella vetrata di fronte e forse lì trovarono un po' di coraggio.
Quando tornò a guardarmi, stava ancora pensando a quella frase terribile che aveva appena sentito uscire dalla mia bocca.
Probabilmente non sapeva con certezza se fosse pronto a perdere quella poca fiducia che riponevo ancora in lui.
Ma era sicuro di non avere molta scelta riguardo alla verità.
"D'accordo... Ascoltami, io... Hanno tentato di ucciderti più di una volta, volevo solo essere sicuro di poterti essere d'aiuto, se fosse stato necessario." Mentre mi spiegava, mi appoggiò le mani su entrambe le spalle. "La microspia serviva solo ad accertarmi che tu stessi bene. So di avere sbagliato, avrei dovuto avvisarti, ma ormai so come sei fatta, non me lo avresti lasciato fare, ammettilo! L'ho fatto di nascosto solo per questo, e perchè ci tengo a te ed ero preoccupato. Voglio solo proteggerti." Concluse giustificandosi con tono risoluto e poco colpevole, che mi irritò ancora di più.
No... per favore basta...
Guardai Ben indecisa se scansarmi o meno. Ero discretamente disgustata.
"Proteggermi?" Domandai sentendomi la vena pulsare sulla tempia.
"Spiarmi Ben... SPIARMI!" Esclamai esasperata, alzando le braccia e sentendo di più la pressione delle sue mani sulle mie spalle.
"Ma cosa avete tutti? Perchè questa mania di proteggere la piccola Beth? Sono davvero così importante?"
Chiesi irritata, guardandolo. E Ben, pungolato nell'orgoglio, reagì d'istinto.
"Non ti starà sfuggendo un piccolo particolare? Io sono un viceprocuratore e fino a prova contraria ci tengo alla vita dei miei collaboratori!" Poi cercò di controllarsi. "Andiamo Beth, sei testarda in maniera assurda alcune volte! Ed è ovvio che tu sia importante, non solo per Mick! Tra l'altro non sono proprio convinto che lui possa riuscire a proteggerti come deve, da solo! Scusami se sono stato invadente, ma conoscendoti, non mi è venuto in mente un altro modo!"
"Ben, per l'amor del cielo! NON STANNO COMPLOTTANDO PER UCCIDERMI!"
Urlai, allontanandomi da lui e guardandolo fisso.
"Non stiamo indagando e in questo momento non sono in pericolo! Ti ha mai sfiorato l'idea che una microspia nella borsa potesse farmi imbestialire?"
Oramai il tono della mia voce era incontrollato, pensando a chissà cosa avesse sentito.
Mi tornò in mente quella scena terribile della notte precedente, le voci, la mia e di Josef.

"Beth! AIUTAMI!! il SANGUE! MI SERVE IL SANGUE!"
"Lì dentro! C'è il MIO!!"


Tremai senza che potessi fare nulla per fermare il mio corpo e le lacrime minacciarono di affacciarsi ai miei occhi.
Le ricacciai indietro a forza.
"Cosa hai sentito?" Mormorai con voce tremante.
Controllati Beth, non puoi lasciare che lui scopra che c'è qualcosa nella tua vita che non deve assolutamente sapere.
Lo guardai, cercando di capire cosa sapesse, di quanti e quali miei, nostri, loro segreti fosse a conoscenza.
In realtà non avrei mai saputo che quello che Ben aveva sentito era meno di quanto avesse voluto sentire.
Stava andando tutto bene, aveva sentito le mie risposte durante la telefonata con Simone, poi improvvisamente aveva avvertito un fruscio più accentuato del solito e un tonfo sordo. Da quel momento la microspia, forse danneggiata, aveva inviato il segnale in modo meno chiaro e ad intermittenza.
Aveva riconosciuto la voce di un uomo che non era St. John, ma che gli ricordò subito invece il tono del tipo che aveva salvato lui e me da quel chirurgo plastico impazzito.
Ormai era quasi certo si trattasse di Josef Kostan, specialmente dopo averlo visto fuori dal palazzo dove era nascosta la sede della Black Moon.
In più era sicuro di avere sentito parlare di sangue. Ma non fu del tutto sincero con me, nonostante io fossi adirata tanto da alzare la voce.
Continuava a guardarmi con aria colpevole senza però trovare le parole giuste per spiegarsi.
Affidava solo ai suoi occhi il compito di farmi capire che aveva applicato quella procedura non solo per dovere investigativo, ma per affetto nei miei confronti. Poi tentò di tirare fuori una confessione blanda per accontentarmi.
"Sapevo che l’avresti presa così male. Ma ho affrontato il rischio perchè era più importante per me assicurarmi che fossi al sicuro, con o senza il tuo investigatore privato! Ho sentito solo che hai ancora contatti con l'avvocato Walker dopo il caso Michaels... poi la comunicazione si è interrotta. Immagino che sia accaduto perchè hai trovato la cimice...Non ho sentito altro, te lo assicuro."
Lo guardai leggermente sollevata, forse il segreto di Mick era ancora al sicuro. Mi riavvicinai a lui e gli poggiai una mano sul braccio.
"Come faccio adesso a fidarmi ancora di te, Ben? Come farò a crederti ancora?" Chiesi guardandolo negli occhi.
Lui chinò lo sguardo sulla mia mano delicata che gli aveva sfiorato il braccio. Pensò di interpretarlo come un gesto di addio.
E ritornò a guardarmi, accorgendosi che la rabbia aveva lasciato il posto ad un altro sentimento.
Avevo uno sguardo triste e amareggiato, più che arrabbiato e quelle poche parole taglienti pronunciate dalle mie labbra, gli provocarono un dolore capace di confonderlo.
"Non farlo, se pensi che non sia il caso. Ma sappi che l'ho fatto solo per il tuo bene."
Il tono sconsolato che aveva usato, giustificava la profonda ferita che sentivo aprirsi nel suo cuore.
Capii di averlo colpito a fondo e il groppo in gola di riflesso, mi fece malissimo.
Prima Mick, ora Ben.
Lo guardai quasi con disperazione e abbassai lo sguardo per poi voltarmi e avviarmi alla porta
"Io... tornerò. Ma ora devo andare." Dissi uscendo e chiudendomi la porta alle spalle.
"Aspetta... Beth!" Ben fece qualche passo verso di me, allungando il braccio e assecondando il primo istinto di seguirmi.
Ma poi si fermò, capendo che avevo bisogno di tempo per smaltire quella delusione che mi aveva provocato, e che, lui non lo avrebbe mai saputo, io stessa mi ero provocata, ferendolo.
Ben restò immobile a fissare quella porta che mi ero chiusa alle spalle, per qualche minuto.
"Lo spero..." Riuscì a sussurrare a stento muovendo appena le labbra.


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7.
MICK'S VOICE OVER


Logan entrò nella mia Mercedes guardandosi attorno furtivamente.
"Allora? Che succede?" Esclamò preoccupato. E io lo freddai con lo sguardo prima di lanciargli una bustina di plastica con la mia piccola “sorpresa”.
"Ho trovato questa microspia in casa. Dagli un’occhiata appena puoi. Non vorrei che avessero messo sotto controllo anche il cellulare, perciò è più sicuro che sia tu a comunicare con la pulitrice."
"Ah, certo, come vuoi. Ma... Ci seguono? Pensi che la Black Moon ti stia pedinando?"

Logan non era di certo un cuore impavido e in certi casi tirava fuori un’espressione di panico talmente esagerata da risultare ridicola.
"Ehi Calrissian, hai paura, per caso? Dov'è finito il tuo coraggio da leone?"
"Andiamo Mick, non scherzare... Quelli della Legione fanno sul serio, mi sono documentato... Non hanno saputo dare un nome a quel cocktail che ti hanno sparato. Perciò scusa se sono un po' preoccupato... Ma soprattutto, Beth dov'è? Come l'hai convinta a farti uscire di casa senza di lei? Lo sai che sei di nuovo in movimento? E che..."
"LOGAN! PIANTALA di tartassarmi di domande, OKAY? Tieni la bocca chiusa, perchè non è la giornata giusta!"

Logan si turbò ancora di più di fronte a quella reazione e al mio sguardo cupo. Avvertiva benissimo il mio disagio e il mio nervosismo.
"Ok. Afferrato. Prometto di non nominarla più. La pulitrice ci aspetta." E passandosi tra le mani la microspia che gli avevo dato, si ammutolì.
"Perfetto." Girai la chiave e partii per raggiungere il magazzino dove ero stato già per il caso di Laurence Flown.
Quando arrivammo però, non eravamo i soli a voler incontrare la pulitrice. Roger era fuori dalla porta e mi salutò per niente sorpreso.
"Ah, St. John, sei in piedi! Mi avevano detto che avevi preso una bella batosta! Credevo fossi in pausa! Cindy... "
"Sto meglio, grazie per avermelo chiesto."
Dissi interrompendo la sua frase a metà e dirigendomi a passo svelto verso l'interno dell'edificio.
Logan accelerò il passo per tenermi dietro mentre Roger borbottava, tanto per cambiare, contrariato.
"Ha la luna storta, oggi..." Gli spiegò per giustificarmi, ma Roger annuì sbadigliando, dimostrando la completa inutilità di quella precisazione.

"Mick!"
Mi voltai seguendo la voce che mi chiamava e raggiunsi la pulitrice dentro uno dei locali, seguito dai due vampiri di scorta.
"Logan e Roger si sono offerti volontari per aiutarmi ad interrogare Sam Jefferson." Le dissi, indicando alle mie spalle con risolutezza.
"Ho il permesso?"
"Mick sono felice che tu stia meglio..."
Mi rispose lei prima di tutto, accennando un sorriso di gentilezza che sparì subito.
"Questo ragazzo manca da casa da diversi giorni. Lo abbiamo fatto telefonare ai suoi per avvisare la famiglia che è fuori da amici, ma non so se gli hanno creduto. Fatto sta che dobbiamo rilasciarlo, comincia a smaniare... Comunque ti sta già aspettando dentro."
"Non c'è problema, saremo rapidi."

Annuii comprensivo e lei decise di darmi fiducia.
Così mi accompagnò nella sala dove Sam ci stava aspettando.
Era seduto al tavolo davanti ad un bicchiere di carta pieno per metà della nostra tipica bevanda sanguinolenta.
Vedendomi, si alzò con un sorriso a trentadue denti per stringermi la mano.
"Signor St. John! Sono davvero felice di poterla rivedere! Non sono riuscito nemmeno a dirle grazie, l'altra notte! Lei mi ha salvato la vita e gliene sarò sempre debitore... Sono contento di vedere che sta bene!"
Anche lui era in forma, per essere stato sotto tortura. Notai che ormai le ferite provocate dalle armi d'argento che mi ricordavo sul suo collo, erano scomparse del tutto.
"E' un piacere conoscerti, Sam..." Risposi io ricambiando il saluto.
"Ti prego, dammi del tu. Prometto che non ti tratterrò ancora per molto, è giusto che ritorni a casa al più presto, la tua famiglia sarà in pensiero... Volevo giusto farti qualche domanda su quanto è successo."
Lo guardai dritto negli occhi, sperando che fosse il più possibile collaborativo con me, perchè avevo davvero milioni di interrogativi, ma pochissimo tempo. Per cui non potevo permettermi il lusso di girare troppo intorno alla faccenda.
Poche domande efficaci dovevano essere l'esca giusta per ottenere quante più informazioni possibili.
Sam sembrava calmo e, alzando le spalle, si riaccomodò sulla sedia.
"Dimmi pure, Mick... Se posso esserti d'aiuto, lo faccio molto volentieri."
"Beh, innanzitutto vorrei sapere da quanto tempo eri lì dentro, prima che io ti trovassi."
"Sono stato rapito da quei bastardi la mattina di quello stesso giorno in cui tu mi hai salvato. Uscivo di casa e appena messo il naso fuori dal cancello mi hanno sparato qualcosa che mi ha completamente stordito. Probabilmente qualcosa di simile a quello che hanno sparato a te, ma di certo più leggero. L'ho detto anche alle pulitrici."
"E che cosa volevano da te?"

Nel fargli quella seconda domanda mi ero avvicinato e poggiando i palmi sul tavolo, mi ero chinato verso di lui per concentrarmi sui suoi sguardi.
"Mi hanno chiesto se conoscevo un certo Sebastian Von Loldav o Von Lavdol, non mi ricordo... Comunque io non so proprio chi sia! Loro naturalmente non mi hanno creduto e mi hanno torturato! Non so quante volte mi abbiano infilato quella lama d'argento nel collo, maledetti! Che il diavolo se li porti!"
Sam agitò un pugno in aria davanti alla mia faccia per poi sbatterlo violentemente sul tavolo.
Digrignava i denti, ricordando il dolore fisico che aveva dovuto sopportare.
"Li troverai vero? Quando li trovi per vendicarti, massacrali anche da parte mia!"
"Capisco il tuo rancore, ancora io non mi sono ripreso del tutto... Ma dato che abiti a Pasadena, mi domandavo se per caso conoscessi la famiglia McLow... in particolare Juliet McLow, o magari il suo fidanzato, Tony Romeo."

Sam alzò lo sguardo di scatto, fissando i miei occhi per un breve istante, poi diede un'occhiata sfuggente al suo orologio e spaziò con lo sguardo per la stanza, mentre si passava con falsa disinvoltura una mano tra i capelli sopra la nuca.
Questo mi fece pensare che volesse trovarsi improvvisamente in un altro luogo.
"Beh... Juliet e Tony, si... frequentiamo lo stesso istituto. Dopo la storia dell'incendio però ci siamo persi di vista... Se non ricordo male Tony è ancora in carcere. Mio padre è abbastanza fiscale sulla buona opinione della famiglia, non vuole che il nostro nome sia compromesso dagli scandali... "
"Come tutte le brave personalità di Los Angeles!"
Conclusi io con un sorriso rassicurante.
Sam non mi aveva mentito, non aveva negato di conoscere Juliet e Tony, ma non mi convinceva molto la reazione che aveva avuto. Di certo quella domanda fuori programma lo aveva spiazzato.
"Se non c'è altro, io andrei..." Esclamò allora lui, tornando ad alzarsi.
"Ancora una cosa... Per caso sai di avere un parente, forse un nonno... di nome Samuel Jefferson che prima abitavano a West Adams?"
"Si, prima i miei nonni paterni abitavano lì. Mio padre è cresciuto in quel quartiere, perchè?"
"Tuo nonno era mio amico... Una volta, mi ha fatto un favore e credo proprio di averglielo restituito, aiutando te. Se dovessi avere bisogno di qualcosa, Sam, puoi chiamarmi. "
Gli passai uno dei miei bigliettini da visita e lo salutai.
"Certo... Grazie ancora Mick!" Il sorriso di Sam tornò a brillare sulle sue labbra, mentre mi stringeva la mano per la seconda volta, prima di andare via.
Avevo in mente un'altra visita da fare, ma dovevo andarci da solo.
Congedai Logan chiedendogli di farmi qualche ricerca su questo tale Sebastian che Sam aveva nominato e Roger pensò bene di accompagnarlo al rifugio tanto per impicciarsi di più, ma si trincerava sempre dietro al consiglio ed era impossibile allontanarlo definitivamente senza indignare qualche pezzo grosso della comunità.
Io comunque rientrai nella mia auto, facendo rotta verso casa di Simone. Mentre guidavo, speravo con tutto me stesso che Beth mi stesse pensando. Più volte avevo avuto voglia di chiamarla ma tutte le volte che guardavo il display, mi pentivo di averlo pensato.
Se avessi tentato, avrei corso il rischio di allontanarla ancora di più ed era l‘ultima cosa che volessi fare.

  
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