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Autore: Sonnyx94    27/10/2011    3 recensioni
Demi Lovato è appena tornata a New York. E' stata lontana per un anno, ricoverata in ospedale per una malattia che l'aveva colpita. Qui tornerà a riprendere la sua vecchia vita al liceo e tra amici ritrovati, nuove conoscenze e il calore di essere tornata a casa, scoprirà che qualcosa nella sua vita cambierà. Quel cambiamento lo provocherà Joe Jonas, trasferitosi nella Grande Mela poco dopo la partenza della ragazza. Demi imparerà che la vita può essere malvagia ma che se si è in due le cose possono risultare più facili e mai avrebbe potuto immaginare di venire salvata dal Paese delle Meraviglie, come New York, da un Pirata, come Joe.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Demi Lovato
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 10: "Ti Puoi Fidare"




- POV Demi -


La sveglia suonò.
Sbuffai da sotto le coperte, un’altra giornata infernale stava avendo inizio.
Tirai un braccio fuori dalle coperte e spensi la sveglia, poi mi misi a sedere, la testa iniziò a girarmi per il poco sonno che avevo fatto.
< Signorina Lovato la colazione è pronta > mi chiamò Dorota dal piano di sotto.
< Arrivo! > dissi sbadigliando. Nel mettermi la mano davanti alla bocca notai qualcosa sul mio polso, il livido di ieri c’era ancora. Era diventato di un colore nero scuro, non sarebbe passato molto inosservato. Due righe nere e ben distinte, proprio sulla vena del braccio. Potevano anche passare come dei tagli se uno non le osservava bene.
“Cavolo!” pensai.
Andai in bagno, provai a metterlo sotto l’acqua, poi pensai a quanto stupido era stato quel gesto. Sapevo benissimo che con l’acqua non sarebbe andato via, allora provai con del trucco, ma niente si vedeva lo stesso. Così optai per una maglia con le maniche che mi arrivassero fino al pollice.
Ora devo solo ricordarmi di non mostrare le braccia, dissi tra me e me.
Feci per uscire dalla mia camera ma il cellulare squillò, andai a prenderlo e sulla schermata c’era scritto: chiamata da privato.
Chissà chi era, mi chiesi e così risposi. < Pronto? >
< Demi? >
Quella voce così famigliare, dolce, che per me era sempre stata una luce che mi salvava nei momenti più bui della mia esistenza < Zac? > chiesi con il sorriso sulle labbra.
< Si tesoro, che bello sentirti! > esclamò lui, felice almeno quanto me < Piccola, come stai? > chiese riferendosi alla meningite.
< Molto meglio, grazie > risposi, sedendomi sul letto.
< Quando hai il prossimo controllo? >
< Il mese prossimo >
< Allora puoi venire a trovarmi? >
< Mi piacerebbe tanto... > dissi < vorrei tanto andarmene da questo posto >
< Ti ha fatto qualcosa? > mi chiese, diventando serio di colpo, parlava di papà.
< Niente di irreparabile >
< Dio, lo uccido! > iniziò subito a scaldarsi < Quell’uomo è un mostro, tu sei sua figlia! >
< Da tempo non mi considera tale, anzi inizio a chiedermi se l’abbia mai fatto > risposi io, con aria di rassegnazione.
< Hai sempre me >
< Già, ma tu sei in California >
< Ma lo sai che per qualunque cosa ci sarò sempre, vero? >
< Si, certo > risposi sospirando, non mi bastava quello avevo bisogno di lui, qui, con me < Ti voglio bene, fratellone >
< Anche io, sorellina >
Agganciò e io rimasi lì, ferma, seduta sul letto, a contemplare un punto indefinito fuori dalla finestra. La voce di Dorota mi chiamò, scesi per fare colazione ed andai a scuola.
Mi trovai con i miei amici e cercai di fare finta di niente.
< Demi com’è andata con tuo padre? > mi chiese Selena, prendendomi da parte.
< Pensavo peggio > fu la mia risposta, non mi aveva stuprato almeno.
Selena rispose con un sorriso non molto sicuro, anzi non nascondeva nemmeno un po’ la sua preoccupazione, ma dopotutto che poteva fare? Io che potevo fare? Nessuno poteva fare niente.
Mi diressi a matematica, entrai in classe e mi sedetti al posto assegnato.
< Bene, ragazzi > iniziò la professoressa < guardate il vostro vicino di banco, lui o lei che sia, sarà il vostro partner di quest’anno, forza iniziate a lavorare >
“Oh Dio” esclamai nella mia mente. Mi ero completamente dimenticata, dovevo lavorare con Joe!
< Hei, chi si rivede! > disse lui attaccando il suo banco al mio.
< Eh già > dissi fingendo entusiasmo.
< Lo sai, sei una pessima attrice > mi fece notare.
< E tu un pessimo comico > ribattei.
Joe fece una risata.
< Ragazzi prendete gli esercizi che stavamo facendo ieri e andate avanti > disse la professoressa.
Presi il libro e iniziai a spiegare a Joe le equazioni, ma lui non mi dava retta.
< Senti la vuoi smettere! > esclamai io, non mi importava di aver alzato la voce e che la professoressa ora mi stava fulminando con lo sguardo.
< Che ho fatto? > mi chiese lui.
< Un conto è non capire un altro è non ascoltarmi > dissi < quindi se vuoi imparare qualcosa, sarò felice di aiutarti, ma se non vuoi cercati un altro compagno da prendere in giro, perché io non voglio perdere tempo >
< Non mi minacciare perché potrei farlo > rispose lui a tono.
< Bè allora vai! Non chiedo altro! >
< No, perché è troppo bello torturati >
< Tu sei... > non feci in tempo a finire la frase.
< Lovato, Jonas la volete smettere! > ci urlò la professoressa.
< Ma... > dicemmo io e Joe in coro.
< Ho detto silenzio! >
< Professoressa ma lui non mi da retta > dissi cercando di salvarmi.
< Non è vero, è lei che non è in grado > disse Joe.
Mi girai verso di lui e lo fulminai con gli occhi.
< Ora basta! > urlò la professoressa < Potrete discutere di chi ha colpa oggi in punizione >
< Cosa? > chiesi sconcertata io.
< Esatto signorina Lovato, punizione >
La campanella suonò.
Presi lo zaino arrabbiatissima e usci dalla classe.
< Allora, ci si vede oggi > disse Joe mettendosi davanti a me, con quel suo sorriso da ebete.
< Perché hai detto che era colpa mia? >
< Perché stare in punizione da solo è noioso > fu la sua risposta.
< Tu sei pazzo > dissi e feci per andarmene.
< Ma ti piaccio > mi disse.
Questa cosa non me la dovevi dire, pensai.
Mi girai lentamente e sogghignai < Tu > e sottolineai bene il tu < sei la persona più fastidiosa, bugiarda ed egocentrica che abbia mai conosciuto > dal mio tono calmo lasciai capire che ero davvero furiosa, ma lui si avvicinò pericolosamente a me, continuando a sorridere.
< E non mi potresti mai piacere > conclusi, mentre Joe mi sovrastava, gli arrivavo alle spalle, quindi chinava leggermente la testa per avere il suo naso all’altezza del mio. Sentivo il suo respiro sulla mia pelle e dovetti trattenere il respiro per non lasciare cedere le gambe.
< Lo sai che sei molto carina quando ti arrabbi > mi disse.
Al che mi infuriai ancora di più, feci per aprire la bocca e insultarlo, ma non mi venne in mente niente. Così mi avvicinai ancora di più, facendo in modo che le punte dei nostri nasi si sfiorassero. Lui chiuse gli occhi, si aspettava che lo baciassi, avvicinai le mie labbra alle sue e gli sussurrai < Stronzo! >
Mi allontanai e mi avviai verso l’altro corridoio.
< A dopo > mi urlò dietro lui, mentre rideva.
 

- POV Joe -
 
Ero arrabbiato, anzi arrabbiatissimo. La sera precedente mio padre mi aveva fatto perdere la testa per la rabbia.
Non che fosse una novità, ovvio.
Ma a cena, la sera prima, aveva oltrepassato il limite.
 

“C’era un’aria tesa e un silenzio snervante a tavola, poi mia madre per cercare di rendere la situazione meno imbarazzante chiese < Com’è andato il primo giorno di scuola? >
La guardammo tutti un po’ scettici, lei era sempre stata quella che voleva a tutti costi cercare di essere una famiglia normale, ma non lo eravamo affatto.
< Bene. È arrivata una ragazza nuova, in realtà è tornata perché l’anno scorso se ne era andata > disse Nick cercando di collaborare con mia madre.
< Oh > disse mia madre fingendo curiosità < E com’è? > chiese.
< Simpatica > disse Kevin tagliando corto.
< Mmm... > rispose lei, pensando a cos’altro poteva chiedere per tenere viva la conversazione < E come si chiama? >
< Demi Lovato > disse Nick serenamente, ma venne sorpreso, come tutti noi, dalla reazione di nostro padre.
< Che cosa? >  chiese mio padre quasi urlando.
Rimanemmo tutti impietriti, non capivamo cosa Nick avesse detto di così male.
< Tesoro, calmati > disse mia madre cercando di prendergli la mano, ma lui gliela allontanò in malo modo.
< Hai detto Lovato? > chiese furibondo e Nick, spaventato, annui.
< Quella è la figlia del proprietario della compagnia rivale alla mia! > esclamò mio padre.
< E allora? > mi uscì quella domanda così stupida, azzardata e dannatamente sbagliata, senza nemmeno pensarci.
< E allora, vi proibisco di frequentarla! > mi urlò contro.
< Scusa quindi io, Nick e Kevin non possiamo frequentare le persone che sono figlie o parenti dei tuoi rivali di lavoro? > chiesi, ormai ero partito e nessuno mi poteva fermare, nemmeno i calci che ricevevo sotto il tavolo da mia madre e dai miei fratelli che mi dicevano di smetterla e che tanto non serviva a niente.
Non mi dava fastidio il fatto di non poter frequentare Demi, avrei infranto senza troppi problemi le regole, se solo lei avesse voluto altrettanto. La cosa che mi infastidiva era come mio padre dovesse sempre condizionare la vita di tutti noi, aspettandosi la nostra obbedienza.
< Non osare rivolgerti a me in questo modo! >
< Papà io sono calmissimo > dissi in tono calmo ma anche di sfida < vorrei solo sapere se ho capito bene >
< Joseph smettila subito! > disse sbattendo i pugni sul tavolo.
< Non ho nemmeno iniziato > risposi io.
< Ora basta! Vai in camera tua! E ringrazia il cielo che ti tengo ancora sotto il mio tetto! >
Mi alzai da tavola e feci per dirgli che probabilmente se mi avesse buttato fuori di casa saremmo stati tutti più felici, ma gli sguardi supplichevoli che mi arrivarono da mamma e dai miei fratelli, mi convinsero a finirla lì.”

 
Eppure sorridevo e non sapevo perché non riuscissi a smettere, era una cosa del tutto innaturale e inspiegabile.
Mentre guardavo Demi andarsene, camminare con passo deciso, la testa alta e fiera con i lunghi capelli che le ricadevano sulla schiena, all’improvviso la litigata con mio padre passò in secondo piano.
Era una ragazza come tante, ma qualcosa in lei non mi convinceva, c’era qualcosa dietro la sua bellezza e la sua semplicità, ma non capivo cosa, un segreto riservato a pochi e dal quale io ero escluso.
Demi aveva capito benissimo che persona ero. Ne doveva avere conosciuti molti altri come me e sapeva che non cadendo nelle trappole di persone come me, non faceva altro che aumentare la mia voglia di poterla possedere, ma era una cosa a cui, molto probabilmente, era abituata da tempo e aveva architettato un sistema molto efficace per non lasciarsi ingannare. Ma speravo in qualche modo di poter sviare quel suo sistema.
< Joe, ma sei impazzito! > David era appena sbucato dall’angolo del corridoio dietro di me, e mi si era piazzato davanti con sguardo accusatore.
< No, perché? > chiesi, si stava riferendo a Demi lo avevo capito, ma dopotutto ci era abituato, visto che anche lui era come me.
< Ci stavi provando con Demi! > disse lui spazientito, aprendo le braccia incredulo.
< E allora? Non è la prima volta che ci provo con qualche ragazza che non sia Chelsea > risposi.
< Si, lo so > rispose < Ma è la prima volta che lo fai con così tanta noncuranza >
Alzai gli occhi al cielo, non me ne importava.
< E se le sue amiche fossero state qui e ti avessero visto mentre ci provavi con Dems? > mi chiese
< Dems? > chiesi a mia volta, mentre ridevo, doveva essere il diminutivo che lui usava quando era ancora amico di lei e di quando lui e sua sorella Miley avevano ancora buoni rapporti.
< Non cambiare discorso... > disse David ignorando la mia domanda.
< Senti, non me ne frega niente! > esclamai < Chissà quante volte Chelsea mi ha tradito. Perché non lo posso fare anche io? > chiesi.
< Questo mi pare ovvio, però lei non si è mai fatta beccare da te, quindi evita di farti sgamare o ne pagherai le conseguenze > mi avvisò.
< Si, certo... > dissi con poca convinzione.
< Hey ragazzi! > ci salutò Robert, che era appena arrivato alle spalle di David.
< Ciao Rob > lo salutammo noi.
< Di che parlavate? >
< Niente > rispose David
< Bè sentite i miei questo fine settimana sono via, quindi ho la casa libera e sabato sera festa, mi raccomando venite >
< Chi viene? > chiese David
< Pensavo di invitare tutti quelli del nostro anno > rispose lui < e giusto per fare un piccolo scherzetto alla nostra Chelsea... > aspettò come per fare salire la tensione < Volevo invitare quella sventola della Lovato! >
Bene, ottima occasione, pensai.
< Ok, allora ci vediamo sabato sera > disse David.
< Bene, tu Joe > chiese Robert.
< Non so, ma penso di sì > risposi, facendo spallucce.
< Ok, ci vediamo a pranzo > mi salutò lui.
< Si, ci vediamo...e controllati > mi disse David, lanciandomi un’occhiataccia e facendomi segno che mi teneva d’occhio.
Andai alla lezione successiva e il resto della mia giornata seguii lento e noioso, fingere di essere la persona che non ero, costretto a stare con una ragazza che non mi piaceva, iniziava a darmi fastidio e a pesarmi come mai prima. Non capivo cosa mi stesse succedendo, stavo cambiando ma non capivo per cosa e dove questo cambiamento mi avrebbe portato. Non potevo immaginare che lo avrei capito molto presto.
La giornata finì e tirai un sospiro di sollievo.
Andai in aula di detenzione, Demi era già seduta nell’ultimo banco, vicino alla finestra e guardava fuori, assorta nei suoi pensieri, pensieri che non potevo nemmeno indovinare. Ma una cosa era chiara, non erano felici.
< Ciao, ancora > dissi sedendomi vicino a lei.
Lei alzò gli occhi al cielo.
< Come va? > chiesi.
Lei girò la testa lentamente per guardarmi dritto in faccia e con un finto sorriso disse < Bene, prima che arrivassi tu > e spostò lo sguardo ancora fuori dalla finestra.
Mi misi a ridere, mi piaceva quel suo sarcasmo < È un piacere anche per me rivederti > dissi.
Lei sospirò rassegnata.
< Scusa perché ce l’hai così tanto con me? > chiesi.
< Chi ti dice che ce l’ho con te? >  chiese a sua volta.
< Ho fatto per prima io la domanda >
Sbuffò < Non è che ce l’ho con te...è che le persone come te mi fanno...pena > disse < Senza offesa, eh. Non è niente di personale >
< Ti faccio pena? > chiesi ridendo.
< Sinceramente? Un po’ sì > rispose.
Smisi di ridere, quella ragazza capiva un po’ troppe cose su di me.
< Insomma, lo so che non siete tutti così... > continuò lei.
< Stronzi? > completai io.
< Già... > confermò lei e mi sorrise.
Dopo qualche minuto di silenzio < Allora, che fai sabato sera? > chiesi, forse stava abbassando le difese.
< Okay, ritiro tutto> disse lei.
< Cosa? > chiesi io.
< Ci conosciamo da meno di due giorni e già mi chiedi cosa faccio sabato sera? > chiese lei tra l’allibito e l’offeso.
< E allora? >
< E allora sei davvero come tutti gli altri! > esclamò lei, ma il professore della detenzione la zittii.
Nella classe calò il silenzio.
< Ad ogni modo > iniziai io sotto voce, per non farmi sentire dal professore < Robert da una festa sabato, ci vai? > chiesi.
< Joe smettila! >
< Eh dai dimmi se si o no>
< NO! > rispose esasperata.
< Perché? >
< Perché non mi ha invitata >
< Lo farà presto >
Lei si girò e mi fulminò con gli occhi < Non ci verrei comunque >
< Nemmeno se ti chiedessi di andarci insieme? > chiesi.
< Soprattutto per questo non verrei! > rispose acida lei.
< Oh andiamo, non sono così male > risposi mettendo un braccio sulla sua sedia.
< Già. Quando stai in silenzio sei davvero simpatico > ripose lei, togliendo il mio braccio dalla sua sedia.
Risi, sì quella ragazza aveva il senso dell’umorismo. Pungente, ma era simpatica.
< Quindi niente appuntamento? > chiesi.
< No > rispose secca lei e si tirò su le maniche della maglia, probabilmente la stavo stressando.
Risi < Non pensare che mi arrenderò... > volevo dire qualcos’altro, ma mi dimenticai subito di ogni cosa quando il mio sguardo cadde sul suo braccio destro. Due righe nere, ben distinte, proprio sulla vena.  Mi mancò quasi il respiro. Lei guardò nella direzione in cui guardavo io e si accorse di avere i polsi scoperti, probabilmente non aveva pensato a quello che aveva fatto, perché dalla faccia che fece sembrava che si stesse dando della stupida.
< Demi, quelli cosa sono? > chiesi serio, come mai ero stato nella mia vita.
< Niente > rispose lei tagliando corto e coprendosi i polsi con le maniche della maglia.
< Demi... > la guardai scettico e preoccupato, non volevo darlo a vedere, ma come potevo evitarlo?
< Sul serio è solo colpa di alcuni braccialetti che mi hanno fatto allergia > rispose lei, ma mentiva, la scusa non stava in piedi e la sua voce, come i suoi occhi, non erano più sicuri come prima.
< Cosa ti sei fatta? >
< Non mi sono fatta niente >
< Allora chi te lo ha fatto? >
< Nessuno. Joe smettila non è colpa di nessuno è solo allergia! > ora iniziava a parlare in modo veloce e affannato.
< Dimmi la verità >
< Ma è la verità! >
< Demi ti puoi fidare... > dissi e senza un secondo fine, senza nemmeno pensarci le presi la mano, per farle capire che ero sincero e che non volevo niente da lei.
< No, non credo > rispose lei malinconica, il sorriso che le avevo visto sul viso, quando stava con i suoi amici o quando anche semplicemente mi rispondeva con una delle sue battute, non c’era più. Un viso solcato dal dolore, probabilmente provocato da ricordi troppo brutti e dolorosi, anche solo da essere riportati alla memoria e che per essere detti richiedono uno sforzo enorme.
Per sua fortuna la campanella che segnava la fine della detenzione suonò in quel preciso istante, così mi lasciò la mano in modo gentile e corse fuori dalla classe. Non mi diede nemmeno il tempo di correrle dietro che era già sparita.


Vorrei ringraziarvi tutte, davvero. Vorrei ringraziarvi dal profondo del mio cuore ma non riuscirei ad esprimere la mia gratitudine in parole. Non sono abbastanza brava per farvi una dedica degna di tutte le lodi che vi meritate. Così mi limiterò a dire la cosa più banale del mondo: GRAZIE. Grazie a chi recensisce sempre, a chi segue le mie storie, a chi le aggiunge in 'da ricordare' e a chi ha aggiunto questa mia storia tra i preferiti. GRAZIE, GRAZIE DI CUORE.
un bacione, Mara.
  
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