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Autore: Laura Sparrow    30/10/2011    1 recensioni
(CATS) Electra, Etcetera e Jemima erano decisamente cresciute. Se ne accorse subito, ascoltando i loro miagolii di benvenuto, che suonavano molto meno come gli squillanti richiami dei cuccioli e molto più come i pieni, morbidi miagolii di Regine adulte. A Demeter sfuggì un altro sorriso, mentre strofinava il muso contro la testolina rossa e bruna di Jemima: la prossima luna sarebbe sorta per loro, e al Ballo Jellicle sarebbero stati i raffinati balzi di quelle tre ad attirare per la prima volta i giovani maschi.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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III



Dopo aver lasciato Munkustrap profondamente addormentato nel suo rifugio, Demeter si era allontanata di nuovo dalla discarica ed era rimasta via tutto il giorno.
Tornò soltanto al calare della notte, in tutta fretta, con l’aria di chi avrebbe avuto un gran bisogno di dormire di più. Se si sbrigava, forse avrebbe fatto in tempo ad arrivare prima che tutti si svegliassero, e avrebbe potuto fare come se nulla fosse successo.
Aveva appena aggirato una pila di pneumatici, che una figura balzò dall’alto e le piombò davanti con un gran tonfo. - MACAVITY!- gridò l’aggressore, facendole fare un balzo indietro per la paura.
Demeter sguainò le unghie e soffiò forte, ma l’ombra che le era piombata davanti stava già ridendo a crepapelle, felice di averla giocata.
- Però, è proprio vero che quel nome ti fa un brutto effetto!- rise Tugger, senza riuscire più a trattenersi davanti all’espressione inferocita della Regina.
- Tu! Brutto…!- Demeter soffiò di nuovo, irritata, e dovette fare del suo meglio per non balzare addosso al Maine Coon e dargli una lezione. – Non sei divertente!-
- Questo lo dici tu. – Tugger si sedette davanti a lei e tornò ad occuparsi di quello che aveva in mano prima di spaventarla: Demeter la riconobbe come una scatoletta di cibo per gatti.
- Sbaglio, o qualche settimana fa non facevi che snobbarlo, il cibo lasciato dagli umani?-
- Hm?- Tugger continuò a leccare con gusto il fondo della scatoletta, rivolgendole uno sguardo ad occhi sgranati come se non avesse idea di che cosa stesse parlando.
- Lascia perdere… - sospirò la Regina, e fece per aggirare il gatto e tornare sui suoi passi. Tugger però allungò una gamba a tagliarle la strada, impedendole di passare oltre.
- Dove sei stata tutto il giorno?-
- Non sono affari tuoi. –
- Così mi inviti a nozze… -
La Regina soffiò ancora più forte, e i suoi occhi gialli mandarono lampi. Tugger restò a fissarla per un attimo, poi buttò via la scatoletta vuota, forse decidendo che quella conversazione meritava una discreta attenzione da parte sua.
- Si può sapere perché fai così?- sibilò Demeter, sprezzante.
- E io posso sapere perché tu sembri odiarmi così tanto?- replicò Tugger, in tono fin troppo serio per lui.
- Perché? Ti dai tante arie, Tugger, ma la verità è che qui non servi a nessuno. Non ci sei mai quando qualcuno ha bisogno di te. Non c’eri quando Munkustrap ha affrontato Macavity, l’anno scorso!-
- Una mia mancanza, lo ammetto. – concesse Tugger, con un cenno del capo. – Potrei anche ribattere che, se non sono io il protettore del branco, un motivo ci sarà. Ma non mi sembra giusto che proprio tu mi venga a parlare di responsabilità di branco, vista la tua tendenza a sparire. –
- Ti ho detto che non sono affari tuoi!- scattò Demeter, risolvendosi a scostare il gatto con una spallata e a passargli oltre.
- Ma di Munk sì. – le disse dietro Tugger, riuscendo nel suo scopo: la Regina si bloccò lì dov’era, e si girò a guardarlo.
- Adesso vorresti anche farmi credere che sei preoccupato per Munkustrap?-
Lui incrociò le braccia e la fissò, con un’alzata di sopracciglia, ma qualche attimo dopo Demeter scosse il capo con aria infastidita e ricambiò con un’occhiata di sufficienza. – Figuriamoci. Non vuoi far altro che dare fastidio, come al solito. –
- Devi considerarmi proprio pessimo. – protestò Tugger, con aria quasi offesa. – Se posso saperlo, quando mai ho fatto qualcosa di male a te o al tuo amato Protettore?-
Demeter lo squadrò dall’alto in basso, sospirando. – Proprio non concepisci l’idea di non piacere a qualcuno, eh?-
- Oh, puoi scommetterci. Non hai idea di quanto la cosa mi ferisca. Ma Munkustrap ci resta molto male tutte le volte che tu sgattaioli via lasciandolo tutto solo, e poi me lo devo sorbire io. -
La Regina avvertì una fitta di senso di colpa, cosa che lasciò sconcertata. Tugger stava riuscendo a farla sentire in colpa? Tugger?!? Il fatto che le sue accuse non fossero del tutto infondate non gli dava certo il diritto di giudicarla, tantomeno di farla sentire in quel modo.
- Non credo proprio che, tra tutti, sia tu ad avere il diritto di rimproverarmi per la mia condotta sentimentale. -
- No, certamente. Ma ti faccio notare che, al momento, nessuno sta soffrendo per la mia condotta sentimentale. –
- Scusate se vi interrompo. – la voce che piovve dal cielo fece sobbalzare ad entrambi, e il cuore di Demeter fece a sua volta un triplo salto mortale quando lei alzò gli occhi e vide niente meno che Munkustrap, appollaiato in cima alla pila di copertoni, che guardava verso di loro. La sua espressione non tradiva nulla, ma Demeter avrebbe voluto sotterrarsi. Da quanto tempo era lì?
Evidentemente, il suo arrivo era una sorpresa anche per Tugger, perché si allontanò di qualche passo dalla Regina e mise le mani dietro la schiena, rivolgendo al Protettore un sorriso tutto denti.
- Non c’è bisogno di fare gli spiritosi. – replicò Munk, in tono terribilmente serio. – È meglio che veniate con me. Asparagus è morto. -

*

Una cerimonia funebre per un gatto Jellicle non era cosa da prendere alla leggera. L’estremo saluto del branco a Gus durò quasi l’intera notte, e i gatti presenti piansero anche per coloro che non sarebbero tornati alla discarica fino alla notte del Ballo Jellicle, e quindi non avrebbero potuto salutare di persona il vecchio gatto del teatro.
Per ore e ore, i gatti del branco si susseguirono attorno al corpo senza vita del loro compagno, miagolando e strofinando tristemente i musi contro il pelo freddo del vecchio. Poi fu Jellylorum stessa a scavare la fossa per il suo compagno, e a spingercelo dentro con estrema attenzione, con la stessa cura di quando lo aiutava a sedersi.
Munkustrap si alzò in piedi in cima alla collina dei rifiuti, sentendosi il cuore pesante. – Stanotte, i gatti Jellicle danno l’ultimo saluto ad un fratello Jellicle: il caro Asparagus… - parlava, parlava, e sentiva che non c’era niente di più triste di dover commemorare un amico alla sua ultima notte. I Jellicle lo ascoltavano in silenzio, con le code basse e i musi tra le zampe. Quando ebbe finito, Munk abbassò lo sguardo sul tumulo di Gus.
- E così, addio Gus. Addio, Firefrorefiddle, demone della brughiera. – sperava che il vecchio gatto del teatro avrebbe apprezzato quest’ultimo tributo.
Dai Jellicle riuniti si alzò un coro di miagolii addolorati, un lamento funebre talmente rumoroso e prolungato che tutto il vicinato se ne sarebbe ricordato per mesi. Nelle prime ore dopo la mezzanotte il corteo si sciolse, ma pochi quella notte avevano voglia di fare altro se non radunarsi a gruppetti e darsi un po’ di conforto l’un l’altro.
Jemima vagava per la piazzola, alla ricerca di Electra ed Etcetera: le aveva perse di vista al culmine della cerimonia funebre, e adesso l’ultima cosa di cui aveva voglia era restare da sola. Superò altri gatti già riuniti in piccoli gruppi, e ad un tratto incappò anche in Victoria, raggomitolata a terra con Plato e i tre cuccioli: la gatta bianca si alzò e strinse l’amica in un abbraccio, che Jemima ricambiò. Poi le fece un cenno come per invitarla ad unirsi a loro, ma lei declinò l’invito: Victoria era stata la prima a staccarsi dal gruppo delle giovani Principesse l’anno prima, ed ora, per quanto la sua offerta fosse stata gentile, Jemima si sarebbe sentita solo di troppo in mezzo alla sua nuova famiglia.
Finalmente individuò le sue amiche, ma fu solo un’altra delusione. Etcetera ed Electra erano già in compagnia, raggomitolate una su Admetus e una su Tumblebrutus, e anche da lontano sentiva il quartetto bisbigliare animatamente e fare le fusa. Era già arrivata la notte del Ballo Jellicle e lei non era stata avvisata? Di colpo sembravano avere tutte una gran fretta di mettersi a coppie…
Ecco un’altra cosa che la angustiava: alla sua prima luna piena, se qualcuno dei maschi si fosse proposto a lei, sinceramente non aveva idea di come avrebbe potuto rispondere.
Voltò le spalle alla piazzola e si arrampicò sulla collina dei rifiuti, con la luna che faceva capolino dalle nuvole sopra la sua testa; come se dire addio ad Asparagus non fosse stato abbastanza triste, ora ci si metteva anche la solitudine.
Si stava incamminando verso la cima della collina, quando si accorse che qualcuno aveva avuto la sua stessa idea.
Per un attimo si fermò, incerta se farsi notare o meno.
Lassù con lei c’era niente meno che Tugger: le dava le spalle, sdraiato lungo sul fianco; non poteva vederlo in faccia, ma probabilmente stava guardando fisso davanti a sé con aria assorta. Agitava la coda mollemente, in modo quasi svogliato. In punta di piedi, Jemima cominciò a girarli intorno. Anche se non si poteva dire che il Maine Coon fosse un amante della compagnia, perché mai avrebbe dovuto voler stare da solo in un momento del genere?
Tugger si accorse di lei e gettò un’occhiata nella sua direzione, ma non sembrò particolarmente sorpreso del suo arrivo. Dopo averla squadrata per un momento, incuriosito, le fece un cenno col capo per invitarla a venire avanti, come a dire “C’è posto”.
In fondo, perché no? Victoria aveva Plato e la sua famiglia, e le sue amiche erano troppo prese dai loro potenziali pretendenti per pensare a lei, in quel momento. Almeno Tugger c’era, quando lei aveva urgente bisogno di non essere lasciata sola. Si fece avanti e si accucciò accanto a lui, appoggiando la schiena contro il suo petto, e in segno di ringraziamento strofinò la testa contro il mento di lui, cosa resa un tantino difficoltosa dalle borchie appuntite del suo collare.
Tugger iniziò a fare le fusa come Jemima non l’aveva mai sentito fare prima di allora: aveva la nuca premuta contro la sua gola, perciò le sentiva ancora più chiare e rombanti, direttamente dal centro del suo petto.
La cosa non era sgradevole. Adesso capiva cosa volesse dire Munkustrap quando le aveva raccomandato di limitarsi nelle sue dimostrazioni d’affetto… tuttavia, non sentiva affatto di stare facendo qualcosa di sbagliato o poco prudente. Era più che consapevole delle rombanti fusa di apprezzamento di Tugger, così come del suo ventre praticamente appiccicato al suo fondoschiena, e non le dispiaceva. Stavano davvero flirtando? Il pensiero la lasciava sorpresa, ma di certo non spaventata.
Jemima appoggiò il muso sulle zampe, e per un po’ riuscì anche a fingere di sonnecchiare al fianco del Maine Coon: di prendere sonno per davvero, ovviamente, non se ne parlava neanche. Tugger si rivelò sorprendentemente paziente anche in questo, e la gattina si riscosse dal suo sonnellino simulato soltanto più tardi, quando lui cominciò a cercare di metterle un braccio attorno alla vita per stringerla contro di sé.
Cercando un modo discreto per svincolarsi dall’abbraccio, sbadigliò, si stiracchiò, e solo allora sgusciò via dal fianco di Tugger come se niente fosse.
- Fatto buon riposo?- le domandò lui, squadrandola, senza neanche cercare di dissimulare la nota ironica nella sua voce.
- Sì. – rispose lei, ignorandolo di proposito. Poi, più sincera, gli disse: - Grazie per… be’, per essere rimasto con me. È stato molto gentile da parte tua. –
Il Maine Coon la scrutò pigramente per qualche lungo istante, poi si rialzò a sua volta, scrollandosi e scuotendo vistosamente la criniera dorata, e fiutò l’aria come per tornare sui suoi passi.
- E tu, invece, dove te ne vai quando sparisci dalla discarica?- non poté trattenersi dal chiedere Jemima, ricordandosi del loro discorso della notte prima, mentre guardava il gatto che si preparava al alzare i tacchi. Quello la fissò con un sopracciglio inarcato, per un momento, poi di colpo sembrò cambiare idea.
- Perché non vieni a vedere di persona?-
La gattina sgranò gli occhi, e Tugger rispose al suo stupore con una risata divertita. – Fammi indovinare… ancora non sei uscita dalla discarica?-
- Ehm… in effetti non proprio. -
- Che terribile mancanza. Stammi dietro!-
La coda vaporosa di Tugger le sfiorò il naso, e in un attimo il gatto nero e dorato era già partito di buon passo giù per la collina dei rifiuti: Jemima dovette balzare in piedi e raggiungerlo di corsa, e ancora faticava a tenere il suo passo.
Mentre il sole sorgeva, Jemima si accorse improvvisamente di avere raggiunto i limitari della discarica, e che davanti a lei si stendeva lo sconfinato nastro di asfalto grigio che era la Strada. La gattina ebbe un sussulto e un attimo di esitazione: non era mai andata oltre qualche fugace perlustrazione della Strada di notte, o qualche scorribanda in cima ai tetti, e sempre e solo insieme ai suoi compagni di gioco. Adesso tutta la Strada si stava risvegliando: udiva di tanto in tanto delle voci, rumori sconosciuti, e il fracasso di pesanti saracinesche che venivano sollevate, al di là del nastro d’asfalto.
Si guardò attorno, e si accorse di avere esitato un attimo di troppo: la coda vaporosa del Maine Coon stava già sparendo dietro un angolo.
- Tugger!- lo chiamò, improvvisamente spaventata, facendo un gran scatto per corrergli dietro. – Tugger, aspetta, per favore!-
Svoltò precipitosamente l’angolo, certa di averlo già perso, e invece andò a sbattere il naso dritta contro la schiena del gatto dorato, che si era appostato là dietro ad aspettarla con tutta la calma del mondo. Prima ancora che avesse modo di protestare, lui ripartì, invitandola a modo suo a stargli dietro.
Insieme continuarono a percorrere la Strada, e Jemima non riusciva a decidere se tutto quello che stava vedendo fosse affascinante o terrorizzante. Una moltitudine di odori le solleticava il naso, e la luce del sole dava a tutto quanto un’aria diversa. Ad un tratto, la Strada finì in una piccola piazza lastricata, deserta, salvo che per uno stormo di piccioni che razzolava a terra, becchettando e tubando stupidamente.
Davanti a quello spettacolo, la gattina non riuscì più a trattenersi: si piegò sulle zampe anteriori, dimenò la coda e poi sfrecciò sotto il naso di un attonito Tugger, per balzare dritta in mezzo ai piccioni.
Lo stormo si disperse facendo un gran baccano, in una nuvola di penne e polvere, con Jemima al centro che rideva come una matta e rimbalzava come una pallina impazzita dietro agli uccelli schiamazzanti. Tugger ridacchiò e si sedette per gustarsi lo spettacolo, mentre Jemima rincorreva lo storno in tondo per tutta la piazza.
Quando agli impauriti volatili venne la brillante idea di prendere quota, la gattina rimase sola in mezzo alla piazza, ancora in preda alla frenesia del gioco, che le faceva fare capriole e piroette, spargendo dappertutto le penne rimaste sul selciato. Era così felice che, quando Tugger le tornò accanto, cercò perfino di mettersi a giocare con la sua coda, ma il Maine Coon fu lesto a metterla fuori dalla sua portata e a schiarirsi la gola in modo eloquente.
- Speravo che ne prendessi uno. Non hai fame?- commentò, scrollando la criniera dorata.
Jemima si guardò le zampe, imbarazzata. – In effetti… non mangio niente da ore. Mi dispiace!-
- Figurati!- Tugger scoppiò in una potente risata. – Ti pare che mi metterei a mangiare quegli uccellacci? Seguimi, piccola, e impara. -
Con un salto elegante –e una studiata mossa del fondoschiena dritta verso di lei, che non doveva essere affatto casuale- Tugger riprese la sua corsa, e alla gattina non restò altro da fare se non seguirlo. Ad un certo punto, i due arrivarono nei pressi di un bar, dove un gatto corpulento dal lucido pelo bianco e nero se ne stava seduto in paziente attesa sul marciapiede.
Jemima lo riconobbe come niente meno che l’aristocratico –e pasciuto- Bustopher Jones, e stava per correre a salutarlo, quando Tugger la fermò con un braccio, facendole segno di restare in silenzio.
Qualche momento dopo, qualcuno spinse fuori dalla porta una ciotola piena fino all’orlo di latte fresco: il gatto nero e panciuto miagolò di contentezza, affondando il muso nella sua colazione. Davanti a quello spettacolo, Jemima sentì il proprio stomaco che brontolava rumorosamente. Solo allora Tugger le diede una spintarella e uscì allo scoperto insieme a lei, andando incontro a Bustopher Jones, che era ancora completamente concentrato sul suo pasto.
- Bustopher! Buongiorno!- lo salutò, nel tono più affabile che poté.
Il gatto grasso alzò gli occhi dalla scodella, il muso bianco e nero zuppo di latte, e non nascose il suo stupore nel vedere la bizzarra accoppiata che gli veniva incontro.
- Oh… buongiorno a voi!- rispose, raddrizzandosi in tutta la sua considerevole stazza e ripulendosi con una zampa, cercando di mantenere un certo sussiego. Tugger si impettì almeno quanto lui e gli fece il saluto militare, Jemima non capì se per vero rispetto o per pura burla, anche se scommetteva sulla seconda. Le sue narici erano piene del buon odore del latte, e il suo stomaco si stava lamentando.
- Puntuale come sempre per il vostro giro mattutino? Davvero non perdete mai un colpo, vecchio mio!-
- Eh già!- esclamò Bustopher, gongolando. – È un peccato che l’ultimo raduno si sia svolto in circostanze tanto tristi, un vero peccato… ma confido che col Ballo Jellicle l’atmosfera sarà tutta diversa!-
- Senz’altro. – replicò Tugger con un sorriso da squalo.
- E questa piccola bellezza? Spero ci onorerai della tua presenza anche quest’anno!- Bustopher fece a Jemima un elegante baciamano, e la gattina gli sorrise, lusingata e anche un po’ imbarazzata da tutte quelle attenzioni.
- Non può mancare. – aggiunse Tugger, appoggiandole le mani sulle spalle e chinandosi con fare cospiratore, cosa che fece rizzare la coda alla giovane Principessa. – La piccina, qui, è in procinto di festeggiare la sua prima luna. –
Ora il Maine Coon le era decisamente più vicino di quanto fosse consigliabile, e il suo tono era più che malizioso. Né lui né Bustopher sembrarono però accorgersi della sua agitazione, anzi, il gatto grasso le fece i più sentiti complimenti. Ad un tratto la conversazione cadde in un istante di imbarazzante silenzio e, con l’odore del latte che ancora aleggiava, Jemima non riuscì a trattenere un lieve miagolio affamato.
Bustopher tentennò, poi, con un’espressione che rivelava appieno quanto gli costasse la cosa, le fece: - Ehm… ho l’impressione che tu abbia un certo appetito, sbaglio? Nel caso… ehm… sono incline ad offrirti di favorire, se vuoi. –
- Grazie!- esclamò la gattina, rivolgendogli un’occhiata riconoscente. Si chinò sulla ciotola e cominciò a lappare di gusto; poi si accorse che anche Tugger si era sdraiato sul fianco accanto alla ciotola, e si era sfacciatamente messo a mangiare anche lui. Bustopher Jones era troppo beneducato per protestare, e si rassegnò a vedersi finire la colazione dai due… perché, se Jemima bevve solo finché non ebbe placato il buco allo stomaco, Tugger vuotò la ciotola.
- È stato un piacere, Bustopher. – fece quando ebbe finito, leccandosi voluttuosamente le labbra. – Ora dobbiamo proprio andare… il tempo è tiranno!- prese per mano Jemima, fece al gatto grasso un inchino tutto svolazzi, e poi filò via tirandosi dietro la gattina.
- Non sei stato molto gentile. – commentò poi Jemima, mentre si arrampicavano in cima ad un tetto, ma non riuscì a non sorridere sotto i baffi. Era sleale? Forse un po’.
- Forse no, ma di sicuro qualche chilo in meno non farà male al caro Bustopher!-
Saltellarono per un po’ fra i tetti alla ricerca di qualcosa di interessante, poi, ad un tratto, Tugger si fermò sull’orlo di una grondaia e rimase lì ad osservare la strada sotto di lui. Jemima lo raggiunse e si sporse per vedere che cosa stesse guardando.
- Ehi! Quella è Demeter!- esclamò, riconoscendo dall’alto la Regina gialla e nera che camminava lungo il marciapiede diversi metri sotto di loro.
- Già. – replicò Tugger, in tono molto interessato, senza perderla d’occhio. Mentre entrambi la guardavano, la gatta si infilò in uno scantinato apparentemente abbandonato, e anche se la aspettarono per qualche minuto, non la videro riemergerne. Alla fine Tugger, con un sorriso soddisfatto dipinto sul muso, si rialzò in piedi e si stiracchiò.
- Vieni, piccola. È ora di tornare alla discarica. –

  
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