possessione.
Molti
dicono che non c'è nulla che piaccia, a Yu Kanda. E in effetti
non ti sei mai preoccupato di smentire una simile favola, sebbene sia
stupida quanto chi la sostiene: questa stessa diceria, infatti, in
qualche modo ti piace.
Oh, certo, non ammetteresti mai ad anima
viva che in effetti a te piace
qualcosa.
Va contro ogni dettaglio di quello che è il personaggio
spietato e senza cuore del temibile Kanda, e tu non manderesti mai
all'aria una parte tanto ben costruita: ma nella segretezza della tua
introspezione, sai che non è affatto così.
Mugen,
per esempio; lei ti piace. Ti piace la soba. E soprattutto ti
piacciono tutti quei piccoli, preziosi e quasi invisibili rituali che
costringono rigidamente con mille paletti -orgoglio,
onore, fedeltà, silenzio-
una vita fatta di soli doveri e mai di piaceri. Sono quelli a
renderti tanto territoriale con le tue cose -e perchè no,
anche con le persone?-, ad accogliere con fastidio qualsiasi
novità.
Detesti i cambi di piano e l'evolversi di una
quotidianità che, per quanto fastidiosa, è la tua.
Ai
luoghi non ti leghi, questo no; ma guai a toccare quelle abitudini
che fanno di te ciò che sei.
Ti piace l'odore dei
pini, quando ancora non è sorto il sole. L'aria è
profumata di qualcosa che non ti sai spiegare, ma oh, quanto è
dolce quel profumo: niente a che vedere col puzzo di chiuso che
aleggia nella tua stanza buia -quattro mura che non hanno bisogno
delle sbarre per somigliare a una prigione.
Il
colore del cielo in quel momento, poi, è di una bellezza
imbarazzante. Dura un istante, e forse è proprio la sua
brevità a renderlo tanto bello: un indaco scuro, opaco, a
malapena contaminato dai primi raggi vermigli che preannunciano
l'alba. Lo sai che fra pochi attimi quel colore sbiadirà, per
lasciare spazio all'invadente, esuberante cremisi.
E' sempre così
eccessivo,
il rosso.
Ti prendi un istante, un istante solo, per contemplare
il blu denso della notte lasciar spazio ad una acquarellata aurora:
somiglia ad un limpido sorriso sincero, quell'alba, e devi sbattere
le palpebre più volte per cacciarne le insopportabili
rievocazioni.
Solo a quel punto, dopo un sospiro rinfrancato che
non teme di esser udito -né giudicato- in tutta la sua
vulnerabilità, pianti Mugen nel terreno. Il lupetto nero che
ti avvolge il torace scivola a terra, adesso, ai piedi di una vecchia
quercia ricca di resina; e nonostante l'aria frizzante del primo
mattino rimanere a petto nudo non ti da alcun fastidio, la pelle
nivea stretta solo da dei lunghi bendaggi color panna,.
Le dita
sottili vanno ad allacciare il lembo di stoffa scuro attorno agli
occhi chiusi. Fai un nodo stretto, che non possa cedere, e tastando
l'erba umida sotto i tuoi piedi afferri l'elsa della tua fidata arma,
ascoltando il rassicurante suono della lama che si sfodera dalla
custodia e sferza l'aria, impunemente.
I primi raggi chiari ti
illuminano i capelli, come una carezza, ed è faticoso
trattenere il sollievo che ti da una simile sensazione. Anche se non
puoi vederli ne avverti il calore sulla pelle; e questo calore
somiglia in maniera snervante a quel sorriso che intravedi spesso nel
sole che sorge.
Tu non te ne accorgi, ma è proprio questa
carezza che rilassa i muscoli del tuo viso e ti fa socchiudere le
labbra, mentre afferri con entrambe le mani l'impugnatura di Mugen, e
inizi a passi lenti il tuo allenamento.
Non pensi a niente: ti fai
solo trascinare, le orecchie tese, il respiro calmo.
Ascolti con
attenzione il rumore dell'erba sotto le suole delle scarpe e quello
del vento che muove le foglie, come se questo potesse suggerirti le
mosse giuste da fare. Ed ogni movimento è calmo, ogni passo è
equilibrato, come parte di un copione da eseguire egregiamente, senza
possibilità d'errore.
Ogni gesto sembra studiato per
combattere un nemico invisibile; affondi, pari, schivi. Il tutto però
è dettato dalla sola percezione dei quattro sensi che ti
rimangono, e ogni cosa intorno a te, ogni suono, ogni odore, vuole
condurti in una danza tanto aggraziata quanto mortale.
Sei succube
e padrone di ciò che ti circonda, e questo ti
piace,
ti fa sentire.. in pace.
Il suo fiato caldo sul collo: ti fa
sussultare debolmente. Pensi di avere un'espressione molto stupida in
volto, sicuramente molto assorta e molto stupida, troppo vulnerabile
per i tuoi gusti: ma in fondo non è importante. Senti quelle
mani morbide -di
chi è più abituato a sfogliare pagine che a trapassare
Akuma-
sfiorarti le spalle nude, le scapole, i fianchi, e ti dici che
dopotutto è così bravo a leggere tra le righe che non
ha senso ostentare la solita maschera, in quel momento.
I suoi
palmi scorrono su di te con maestria, come suonando un complicato
strumento musicale, e si posano ad intrecciare le tue dita, a
sostenere la presa ferrea sull'elsa della tua spada. Non appena tu
torni a muovere i passi lenti di quell'attenta coreografia, il suo
corpo ti segue, accompagnando con dolcezza ogni tuo movimento,
prevedendo e costruendo ogni gesto. Come se già sapesse, come
se avesse sempre saputo.
Ti sfiora a malapena, lo senti come senti
la carezza del sole, e allo stesso modo quella sensazione di calore
ti appaga. I vostri passi si intrecciano, lo senti girarti intorno,
avverti il suo sguardo posato su di te. Non riesci a trattenere un
sospiro.
Ah,
potrebbero esser passate ore, o forse solo attimi, quando dopo una
vita intera di quel lento danzare ogni tuo gesto si immobilizza. Lui
non ne sembra sorpreso; rimane semplicemente dietro di te, toccandoti
solo per le mani, il suo petto ad una manciata di centimetri dalla
tua schiena.
Reggi Mugen orizzontalmente, graffiando l'aria e
ascoltando per un secondo non più il frusciare delle foglie o
il rumore dell'erba sotto i piedi, ma unicamente il suo respiro
regolare e leggero che si infrange contro il tuo collo. E quando
finalmente riprendi a muoverti e indietreggi, sei certo che lui
accompagnerà anche quel tuo passo, perchè ti è
così complice, così affine, così vicino che non
dubiti nemmeno per un istante...
Ma in effetti, lui non si
muove.
E dio, tu
lo sai, è
del tutto volontario.
Cozzi violentemente contro il suo corpo, e
trattieni il respiro: non passa un istante che le sue braccia ti
stringono impetuosamente a sé e il suo viso affonda nei tuoi
capelli, mentre ti abbandoni a lui e lasci cadere senza volontà
la lama affilata sull'erba morbida.
Se anche non avessi quella
benda stretta sulle palpebre, probabilmente avresti chiuso gli occhi.
Ma anche se il tuo cuore perde più di un battito, non un suono
ti sfugge dalle labbra sottili... nemmeno quando senti la sua bocca
posarsi sulla pelle sensibile della tua gola, qualche bacio delicato
susseguire seguendo la linea della mandibola, e infine raggiungere il
lobo soffice del tuo orecchio.
Quelle mani, -ah,
quelle mani!;
quando avverti i polpastrelli delicati sfiorarti la guancia e farti
girare il viso di lato, non ci provi nemmeno a contrastarli. Esegui
docilmente la richiesta, ti volti piano facendo frusciare i capelli
lunghi contro le spalle. E il contatto delle sue labbra contro le tue
labbra, di quella bocca morbida che sa di zucchero premuta contro la
tua, è talmente esasperato, così perfetto,
che perdi ogni concezione della realtà che ti circonda.
Non
ti serve la vista. Ti basta e ti avanza quel profumo di buono che ti
entra nelle narici, quel calore naturale quanto i raggi del primo
sole che ti si infila tra le viscere. Ti bastano quei brividi,
provocati dalle sue braccia attorno al tuo corpo, e quel sapore
squisito che ti riempie la gola che, lo sai, possiedono solo coloro
che sorridono spesso.
Quel bacio dura per sempre, in qualche modo,
anche se in realtà il vostro sempre non è più di
qualche secondo.
Poi, lui ti lascia.
Il vuoto della sua
mancanza viene colmato solo dalla certezza che anche domani mattina,
prima dell'alba, tu sarai là, in quello spiazzo verde sul
retro della Sede dell'Ordine Oscuro; e Lavi sarà appoggiato al
vetro della finestra della sua camera, l'occhio verde smeraldo ancora
una volta lucido di tenera commozione.
Ci tieni, ai tuoi rituali;
sono terribilmente simili ad un'ossessione.
Non ero sicura di scrivere questo capitolo, ma alla fine mi è venuto così. L'intenzione è di lasciare un mare di cose sottintese ma non troppo, e dubito di esserci riuscita poi tanto bene; ma se nel primo capitolo il punto di vista è esterno, in questo non ho potuto fare a meno di far parlare Kanda, pur lasciando tanto di non detto.
Non sono affatto convinta, ma... non importa, va bene così.
macch