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Autore: CinderNella    03/11/2011    2 recensioni
Si guardò intorno, lasciandosi cadere su una poltrona: era finita anche quella. Era strano recitare senza di lui, mancavano le battute stupide che scambiava con Zach e la sua faccia da giullare. Quando iniziava poi a recitare e a fare il duro era ancora più ilare, perché sapendo come in realtà fosse, vederlo serio o... stronzo –perché lo era stato per una serie intera– era strano.
[Candice x Micheal]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The time is come. Ecco l'ultimo "capitolo" della short. Spero vi piaccia *_*




In una settimana aveva preso la giusta decisione di non pensarci. Di non ripensarci, non parlarne, non condurre un solo, unico pensiero su Michael.
Se non quelli comuni, quelli che la riportavano a pensare a lui ogni giorno per sapere come stesse, per vedere come andavano le cose... le loro chiacchiere da amici.
A conferma del fatto che non avrebbe pensato a lui come ragazzo –nel senso più completo del termine– quella sera sarebbe uscita con uno che aveva conosciuto qualche tempo prima nel palazzo, che le aveva proposto qualche volta di vedersi: e lei lo aveva tranquillamente snobbato, non volendo impegnarsi in nulla.
Non che ora volesse, semplicemente non voleva pensare ed uscire con qualcun altro sembrava l'unico modo per farlo. O meglio, non farlo. Non pensare a quel dannato bacio, a quel pomeriggio, a quelle sensazioni...
«...Candice?»
La ragazza sobbalzò, colta di sorpresa: Zach le stava facendo gestacci di tutti i tipi con le mani, come a controllare se fosse in sé o meno.
«Sì?»
«Sembri un vampiro. E non perché sei truccata molto bene... Diciamo che sembri un morto. Sei pallida come un cencio.» le si avvicinò posando una mano sulla sua spalla «Tutto bene? Stai per svenire?»
«Ehm, no. Cioè sì...»
«Come?!» Zach strabuzzò gli occhi, incurante del fatto che poco più in là stessero girando una scena d'azione con protagonisti i Salvatore e Klaus «Stenditi, se stai per svenire...»
«No, cioè... Sto bene, non sto per svenire. Scusami un attimo» andò a cercare la sua borsa, per vedere se Michael si fosse fatto sentire: nulla.
Era da mercoledì che non aveva alcun cenno, né positivo né negativo dal ragazzo. Non era preoccupata per lui, semplicemente non aveva la minima voglia di farsi sentire lei.
Perché si sentiva un po' umiliata, a dirla tutta. Ed era dall'inizio della giornata che non faceva che pensare a lui, alle sue braccia, alle sue labbra... e non sembrava voler smettere, il suo cervello, a rievocare quelle immagini.
Si era ridotta a stare seduta su una sedia di stoffa in mezzo ad una foresta a fissare un cellulare come un'ameba, per colpa di qualcosa che non andava assolutamente cercando ma che si era insinuata nella sua vita senza avvisarla, senza nemmeno suonare il campanello e dirle “Ehi, cara, sono quell'insidiatrice chiamata 'Amore', aprimi la porta e fatti soggiogare!”.
E si sentiva impotente, inutile, stupida. E faceva schifosamente schifo, quella sensazione. Non si sarebbe mai aspettata un comportamento del genere da Michael, non era quel tipo di ragazzo.
Era uno che se non fosse stato interessato, l'avrebbe detto in faccia. Era onesto... perché proprio con lei non doveva esserlo, non doveva dimostrarlo?
«Candice? Zach mi ha detto che non stavi propriamente al meglio...» Nina era comparsa dal nulla al suo fianco – o almeno, così le sembrava; probabilmente avrebbe potuto vederla arrivare da cento metri e riconoscerla, ma siccome guardava e non vedeva, non l'aveva fatto.
«Ehm...» doveva dirglielo. Doveva sfogarsi, non poteva ancora tenerselo dentro...
L'amica si morse un labbro, insicura «Ti chiamo Candy se non me lo dici.»
La ragazza scoppiò a ridere, sembrando più sollevata: «È una storia un po' lunga, e non tanto piacevole.»
«E riguarda?»
«Me e... Ehm.»
«Michael?» ipotizzò Nina, sicura di sé.
Candice saltò su, portandosi un dito indice alla bocca esclamando: «Shhh! Come lo sai?!»
Nina scoppiò a ridere: «Chiamasi intuito femminile, dovresti averlo anche tu, Candy!»
«Candy no! Te lo sto dicendo!»
Nina sorrise «Okay. Allora? È successo qualcosa di piccante?...» fece l'occhiolino e le diede delle leggere gomitate: non era il tipo di discorso che avrebbe voluto avere, ma era meglio di niente.
«Nina! Non è quello il problema. È che siamo amici. E lui si vede con qualcuno... Certo, non è che sia una cosa seria... Ma io sono sua amica, diamine!»
«Avete pomiciato? O fatto di peggio?» anche quella volta era andata dritta al sodo, come sempre, del resto.
«Non è stato proprio questo il problema...»
«O mio Dio! Fatto di peggio?!» aveva quasi urlato, e tre persone si erano voltate a guardarle: Candice voleva seppellirsi da sola.
«Nina! La verità è che sono corsa fino a Los Angeles quando seppi dello tsunami per vedere se stesse bene o meno. E sì, ci siamo anche baciati, e saremmo potuti passare ad altro, ma non è successo. Ho solo attraversato mezza America per sapere come stesse.»
«O, cavolo.»
Candice alzò gli occhi al cielo in una risata: «Non era proprio la reazione che mi sarei aspettata.»
«Finché era solo un bacetto o qualcosa di più sarebbe potuto essere normale... ma mezza America e tre fusi orari no, figlia mia!»
«Ti prego, non me lo ricordare!» l'amica seppellì la testa tra le mani, sbuffando pesantemente.
«Se Zach sapesse capirebbe perché eri pallida come un cencio.» ridacchiò lei, dandole qualche pacca su una spalla.
«Sei confortante quanto un pugno nello stomaco, cara.»
Nina le fece la linguaccia: «Lo so, sempre stata!» La abbracciò: «Ed è per questo che volevi uscire a tutti i costi con Nick questa sera?»
Candice cercò di non ammettere la verità: «Bé, diciamo... Sì, è per quello.» ammise, dopo nemmeno cinque secondi che girava intorno al concetto preciso.
L'amica emise un suono di disapprovazione con le labbra: «Non ci siamo proprio! Lo sai che è un bel ragazzo? Stasera ti concio io come una bomba super-sexy!»
«Fa' quello che vuoi, l'unica cosa che vorrei sarebbe indossare una tuta e mangiare gelato fino a stare male, stasera...»
«Domani hai una conferenza con lui e Julie, vero?»
Candice annuì, come disperata: «Sì. Quindi sarà sicuramente ad Atlanta, e chissà con chi...»
«Dio, tu hai un disperato bisogno di uscire.» proclamò Nina, prima di dover scappare a recitare una scena dov'era necessario che ci fosse, lasciando sola con i suoi pensieri l'amica.
Era pronta, e con una voglia di uscire pari a quella che ne poteva avere un condannato a morte di andare alla forca. Nina aveva scelto il vestito, le scarpe, il cappotto e la borsa per lei, addirittura si era presa il compito di truccarla: Candice sarebbe voluta uscire in tuta, e probabilmente l'avrebbe anche fatto se l'amica non l'avesse costretta in un tubino rosso, infilandoglielo come si faceva con le camicie di forza. Si era completamente presa cura di lei, dalle labbra rosso fuoco che le aveva dipinto a ciò che doveva portare in borsa... E probabilmente l'amica non l'avrebbe nemmeno ringraziata.
«Ha citofonato! Su', vai, muoviti! Divertiti e non pensare a...»
«Come se non lo stessi facendo da stamattina. Aspettami sveglia, se non esci, okay?» chiese appena prima di uscire di casa e chiudersi dietro la porta.
Il tragitto fino al locale era stato tanto banale quanto il primo quarto d'ora nel ristorante dove l'aveva condotta: già il fatto che avessero subito ordinato –su espressa richiesta di Candice–  spiegava tutto.
Lui non era niente di che, sotto tutti i punti di vista: umano, mentale, fisico. Era carino, ma non aveva un suo perché.
Invece la sala era molto carina, accogliente e non troppo caotica: un pianoforte suonava in un angolo di un palchetto dove un cantante si preparava a cantare ed una violinista a suonare; per lei, quelli sarebbero stati l'attrazione della serata.
«Buonasera! Sì, avevo prenotato un tavolo a mio nome...» per passare il tempo si era ritrovata anche ad origliare le altre persone, davvero?
«Trevino.» sussultò senza ritegno. Si voltò automaticamente verso il bancone, dal quale il maitresi allontanava per accompagnare una coppia ad un tavolo poco lontano da loro: Michael ed una ragazza sconosciuta, ma doveva essere Jenna, quella con cui si frequentava.
Che l'avesse già vista in televisione...?
Sbatté le palpebre così tante volte che si sarebbe aspettata di perdere lacrime dagli occhi da un momento all'altro: ma non accadde, trattenne ogni suo singolo dilemma che si creava in lei nascosto, senza far trasparire nulla; o almeno, non al suo accompagnatore.
Era ancora indecisa se salutarlo o meno, ma non poteva essere così vendicativa ed ineducata per comportarsi in quel modo: così aprì la mano e la mosse lievemente nella direzione del ragazzo, che proprio in quel momento la stava squadrando, come chiedendosi se la conoscesse o meno.
Quando però intravide l'espressione mesta con la quale lo salutava, fu certo dell'identità della ragazza: inizialmente non le aveva rivolto alcun cenno, perché non l'aveva sinceramente riconosciuta; ma poi si accorse della forma del viso, dei capelli... è della fisionomia.
Era lei, anche se non era proprio abituato a vederla così.
Era troppo curata, addobbata a festa per essere lei, mancava di quel suo tocco personale di sempre. Ed era effettivamente troppo aggiustata per essere riconoscibile, truccatissima e “strizzata” in quel vestito elegante... non era un procione. Non l'avrebbe riconosciuta in quel genere.
«Michael? Tutto bene?» Jenna alzò le sopracciglia, non capendo perché mai il ragazzo avesse un'espressione esageratamente ebete in volto.
Doveva davvero essere sembrato un imbecille: «Sì, sì, davvero. Ordiniamo, è meglio.»
Era estremamente frustrante vederlo discorrere animatamente con la ragazza, scambiarsi baci fugaci e comportarsi da perfetto innamorato. Era stato un gigantesco, enorme stronzo. Se solo le avesse rivolto la parola... non sapeva cosa gli avrebbe detto. Voleva solo picchiarlo.
Dal canto suo, c'era Nick che le dava parecchio fastidio ogniqualvolta le sfiorasse di proposito la mano, il braccio o una gamba. Gli avrebbe tirato un calcio, prima o poi.
«Se vuoi scusarmi, vado ad incipriarmi il naso.»
Probabilmente, se la situazione fosse stata lievemente meno drammatica, si sarebbe divertita a dire una cosa del genere, nello stesso modo frivolo in cui si dicevano queste frasi nei film. Ma in quel momento l'aveva detto solo perché voleva scappare da quella sala opprimente, per raggiungere un più calmo bagno.
Sì sciacquò la faccia e riapplicò il trucco, cercando di passare la maggior parte del tempo in quel luogo piuttosto confortevole: ma dopo un quarto d'ora l'avrebbero data per morta, dunque si costrinse ad uscirne.
E là fuori si trovò davanti proprio l'ultima persona che avrebbe voluto affrontare: Michael sembrava aspettare qualcuno fuori dal bagno femminile, la sua figura si stagliava quasi imponente davanti a quella porta.
Candice cercò di passargli davanti con nonchalance, ignorandolo, ma venne bloccata da una frase del ragazza pronunciata a bassissima voce: «Sei ingiusta, però.»
Non resse più, si voltò verso il ragazzo e lo guardò negli occhi, sicura: «Ora io sarei quella ingiusta? Sei uno stupido ameba da giorni, da quando me ne sono andata da Los Angeles. Non ti fai sentire, mi ignori completamente, ed ora ti presenti ad Atlanta con lei! Avessi avuto la decenza ed il buon senso di dirmelo, di dirmi che non te ne fregava niente dei miei sentimenti, di quello che era successo, non me la sarei presa. Sarei rimasta da sola a leccarmi le ferite, non ci saremmo sentiti per un po' e poi avremmo ripreso a frequentarci ipocritamente come se nulla fosse accaduto! Invece no, hai tirato la pietra e nascosto la mano, mi hai baciata e rinnegata, come se non fosse successo niente, come se—
Non riuscì più a parlare, l'aveva letteralmente sopraffatta con il suo bacio: potente, possessivo, arrabbiato. Decisamente diverso dal primo.
Candice gli rispose con la stessa intensità, e gli morse volontariamente un labbro per allontanarlo: «Se solo la nostra situazione non fosse stata così assurda ti avrei chiamata, avrei saputo cosa dirti. Invece no, non l'ho fatto perché non si può spiegare a parole, non c'era nulla da dire, non c'è nulla...»
«C'è qualcosa solo quando ti conviene, quando sono lì apposta per essere baciata, no? Come una bambola di porcellana che—
«Ti prego, sta' zitta.» posò le mani sui suoi fianchi, riprendendo a baciarla: per un attimo le mancò il fiato. Non era pronta, non avrebbe dovuto; Michael si staccò, posando la fronte su quella della ragazza «Non c'è nulla da dire, perchè c'era questo da fare.»
«Sì, certo, siamo tutti bravi con le parole.» tentennò nell'allontanarsi da lui, ma non appena arrivò da Nick gli chiese di far portare il conto.
Ed era così impaziente che arrivasse da tamburellare nervosamente le unghie sulla tovaglia.
In tutti i suoi pensieri confusionari non s'era accorta che la musica era cambiata, e che Michael non era più al suo tavolo: cosa aveva intenzione di fare sul palco?
«Bene, a quanto pare ho avuto l'okay dai musicisti... non canto, non suono, non sono proprio dell'ambiente. Ma devo dimostrare a qualcuno molto importante per me che non sono un ciarlatano, quindi mettermi pubblicamente in imbarazzo forse servirà.»
Cosa stava facendo, cosa aveva intenzione di fare?
Le prime note suonate dal pianoforte comparvero e Candice di guardò nervosamente intorno: Jenna non era nella sala. Avrebbe fatto il segno della croce davanti a tutti se fosse stata trattenuta da una qualsiasi altra parte.
«It’s a little bit funny, this feeling inside. I’m not one of those, who can easily hide...»
Non lo stava facendo. Non stava subendo l'umiliazione pubblica per cantare “Your Song” davanti a tutti, davanti a... lei.
«Andiamo? Ho pagato il conto.» Nick le porgeva un braccio, ma lei era rimasta impalata in piedi in direzione di Michael, che continuava a cantare, guardandola negli occhi.
Non voleva essere nei panni della gente che li guardava, né in quelli di Nick e men che meno in quelli di Jenna, che fortunatamente non si sapeva dove fosse al momento.
«And you can tell everybody, this is your song. It may be quite simple, but now that it’s done....»
Non ce l'avrebbe fatta, non avrebbe resistito oltre: scoppiò a ridere, coprendosi il viso con una mano, mentre contemporaneamente riusciva anche a commuoversi.
«I hope you don’t mind, I hope you don’t mind that I put down in words... How wonderful life is, while you’re in the world.»
Continuò a ridere sonoramente, posata contro il bancone ed incurante del suo accompagnatore: sentiva le lacrime scendere copiose sulle sue guance, ma anche una forte risata sollevata nascere da dentro, dal più profondo del suo cuore.
Non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere, che cantasse di non ricordarsi di che colore fossero i suoi occhi, e che facesse quelle facce assurde, sue, che erano così espressive solo perché le faceva lui, davanti ad un pubblico abbastanza ampio.
«Anyway the thing is, what I really mean, yours are the sweetest eyes I’ve ever seen.» ridendo senza dignità, continuò ad osservare il suo bel cantante senza battere un ciglio.
Era stato fantastico, semplicemente stupendo.
E persisteva, continuava a cantare una delle canzoni più belle del panorama musicale mondiale di tutti i tempi solo per lei.
«Direi che dopo questo scempio possa lasciarvi alle vostre cene... tranquillamente. Buona serata!»
Non capì se il rossore che aveva sulle guance fosse stato dovuto alla vergogna dell'esibizione o al caldo nella sala: non le importava.
Nemmeno che fine avesse fatto Nick.
Nick, Jenna, il maitre, tutti gli altri... potevano benissimo arrangiarsi.
Michael era arrivato di fronte a lei, e forse l'intera sala aspettava che facesse qualcosa, oltre che rimanere impalato davanti a Candice come un'idiota.
«Mike... ci stanno guardando tutti.»
«Sei bellissima, e vorrei tanto ottemperare ai loro desideri quanto ai miei... che penso coincidano, in questo momento. Ma permettimi, ora non posso.» lanciò uno sguardo sulla porta, c'era Jenna che li osservava, non comprendendo «Ti prometto che ti chiamerò stasera, e lo farò.» le baciò una guancia, dolcemente «Sei il più bel procione che abbia mai visto in ghingheri, davvero.»
La ragazza scoppiò a ridere, prendendo il soprabito che un cameriere le porgeva: «Vado a casa, ci sentiamo.»
«La parte più difficile spetta a me, tanto.» ribatté lui, con un tono scherzoso quasi seccato.
Candice lo salutò con la mano e scomparve fuori dal locale.
Però c'era una donna a cui ancora doveva delle spiegazioni.

Il sole splendeva luminoso sulle terre del Sud, e aver fatto quel pensiero non la rendeva più poetica a se stessa: rimaneva il fatto che faceva caldo, Orlando anticipava la primavera?
Ma i paesaggi erano stupendi, e le passeggiate nel primo pomeriggio le aveva sempre amate... soprattutto se in compagnia.
Si voltò alla sua destra, per osservare il ragazzo al quale stringeva la mano: poco più alto di lei, dalla carnagione sicuramente più scura della sua diafana, profondi occhi castani e buffi occhiali neri quadrati. Ridacchiò, guardando nuovamente la strada.
«Cosa c'è?» chiese Michael, osservandola «Ridi ancora di me con tuo padre? Tanto lo sapevi che avrebbe pescato più di me!»
Candice sorrise «No, sei totalmente fuori strada.» si fermò ad osservarlo meglio, ignorando il sole che le impediva di metterlo bene al fuoco «Pensavo solo che quello buffo eri tu!»
«Ehi, piccola mascalzona!» Michael la tirò a sé, impedendole di proseguire per la strada e baciandola «Non si ride di me senza essere puniti!»
Lei alzò un sopracciglio, maliziosa: «E come vorrai farlo? Perché proprio come hai fatto tu, la mia famiglia ti sta ospitando come mio amico...»
Michael sembrò rifletterci su, per poi stringerla forte a sé: «Allora dovrò accontentarmi di questo bacio proibito, piccolo procione monello!»

How wonderful life is
while you’re in the world.

 
E visto che siamo arrivati alla fine, vi ringrazio di aver seguito tutta la short. Alla prossima fanfiction! ;)
  
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