Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers
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Autore: themissingpiece    09/11/2011    10 recensioni
Cinque anni senza mai vedersi. Cinque anni da quando Joe, Kevin e Nick sono diventati i Jonas Brothers. Cinque anni da quando la loro famiglia ha lasciato New York e anche una ragazza, Alex. Cosa succederebbe se dopo tutti questi anni i quattro ragazzi si incontrassero di nuovo? Cosa succederebbe se nascessero nuovi amori e nuove avventure?
«Sono cinque anni che ti aspetto Alex» il mio cuore batteva all’impazzata, avrei avuto un attacco cardiaco di lì a poco. Il momento perfetto, lui su di me era perfetto, il suo sorriso era perfetto, ogni suo bacio era perfetto e mi venivano le lacrime agli occhi.
Genere: Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Joe Jonas, Kevin Jonas, Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Saaalve mie care
non sapete neanche quanto io sia emozionata adesso. Perché?
Perché questo è l'ultimo capitolo. EH, sì. 
Lo so, Lo so che non vi ho avvisate e mi dispiace farla finire così maaa
dato che le recensioni scarseggiavano ho deciso di finirla prima che vi iniziasse a stancare.
Ma c'è ancora uno spiraglio di salvezza (?) ahah
Ovvero, siccome sono davvero davvero davvero affezionata ad Jalex volevo 
postare il seguito di questa fanfic, ma SE E SOLO SE a voi interessa (in tal caso recensite così
io capisco). 

Mi piacerebbe davvero continuarla, quindi spero che risponderete in tanti <3
Occhei, vi lascio.


G.

P.S. ho postato anche una nuova OS. La trovate QUI, mi piacerebbe un vostro parere 

Wondering where you'll be.
Finale






Ero seduta su quel sedile da ormai una vita (o così mi sembrava), le mani mi sudavano mentre guidavo e lui mi indicava dove svoltare, se andare ancora diritto,se dovevo tornare indietro.
Arrivammo che ormai erano quasi le cinque di pomeriggio e riconobbi immediatamente il posto dove mi aveva portata: alla ‘’nostra’’ spiaggia.
«Volevo un posto senza paparazzi dato che adesso sei praticamente famosa» lo vidi fare un sorriso amaro e con un po’ di esitazione scendere dalla macchina. Lo imitai e ci sedemmo su un muretto poco lontano dalla riva. Quel posto era così pacifico, così silenzioso, così.. romantico. Mark prese un respiro e poi disse qualcosa a bassa voce che non capii «Che succede?» chiesi senza girarmi verso lui, ma continuando a guardare avanti verso quella distesa d’acqua che sembrava infinita. «Mi devi aiutare» «Di cosa si tratta?» rimase in silenzio per qualche minuto e l’unica cosa che riuscivo a sentire era il rumore delle onde che arrivavano fino alla riva bagnando la sabbia per poi ritirarsi verso l’oceano.
«Vuoi davvero aiutarmi?» sentii un tono di sorpresa così mi voltai per guardarlo negli occhi «Dipende in cosa consiste questo aiuto» «Mi stanno cercando Alex, loro. Qualche mese fa ho conosciuto una donna, ho avuto una breve storia e mi raccontò di essere coinvolta in tutto quello. Quando l’ho lasciata disse che me l’avrebbe fatta pagare, che loro mi avrebbero trovato» c’era forse paura nella sua voce? Forse.
Il mio stomaco iniziò a farmi male, come se qualcuno stesse riaprendo una vecchia ferita, come infondo stava davvero succedendo. «Aiutami, ti prego» «Io… Come faccio? Lo sai bene che non puoi scappare a loro» mi guardò con occhi consapevoli, consapevoli che era questione di tempo, che quando l’avrebbero trovato sarebbe finito tutto, ogni cosa. «Hai ragione, sono stato uno stupido e poi sono miei problemi. Perché dovresti aiutarmi? Okay, senti io torno a piedi. Ciao Alex» abbassai lo sguardo incapace di reagire a tutto quello.
Mark si alzò e s’incamminò verso la strada. «Aspetta» urlai per sovrastare il rumore dell'oceano «Un modo ci dev’essere. Sembra impossibile ma non voglio perdere anche te» dissi con il groppo in gola. Non avrei mai pensato di poter dirgli ancora quelle parole, eppure lui tornò indietro e fu la prima volta che vidi le lacrime rigargli il volto.Mi alzai in piedi e lo abbracciai affondando la testa nell’incavo del suo collo,  rendendomi anche conto che mi erano mancati quei momenti con lui.
Il contatto con il suo corpo caldo era dopotutto piacevole e familiare e sentivo il bisogno di stringerlo sempre più forte, come sapendo che non sarebbe durato a lungo, che prima o poi tutto sarebbe stato distrutto.
«Mi dispiace per tutto quello che ti ho fatto piccola, non dovevo farmi trascinare giù in quel modo. Sei l’unica persona che sia rimasta nella mia vita, sei l’unica cosa per cui vale la pena lottare. Grazie» la sua voce rotta dal pianto faceva sembrare le sue parole dannatamente vere, ma non volevo credergli troppo, non volevo farmi male di nuovo.
Mi staccai di poco, come scottata da quell'improvviso affetto «Non ho ancora fatto niente, dobbiamo ancora pensare e come fare» dissi con tono serio «Lo so, ma grazie anche solo per avere accettato di parlarmi ancora. Non tutti l’avrebbero fatto» «Ero curiosa e poi nonostante tutto credo che non riuscirò a cancellarti mai completamente dalla mia vita» lo vidi sorridere asciugandosi il viso. Sembrava così fragile.. «Sai a volte mi manca anche tua madre, non so perché ma con lei mi sentivo protetto» «Anche io» «Forse dovevo capirlo prima» «Che cosa?» abbassò lo sguardo per poco e poi afferrò la mia mano e la strinse nella sua «Che volevo te e non lei, che amavo te e non lei.»
 
Tornai a casa con la testa vuota, niente pensieri, niente di niente. Non so come fosse possibile, ma mentre guidavo mi sentivo quasi un vegetale. Un fottuto vegetale. I gesti che facevo erano automatici: svoltare a destra o a sinistra, mettere la freccia, fermarmi allo STOP o al semaforo. Quando entrai nel vialetto di casa, mi maledii per essere uscita con Mark. Cos’avrei detto a Joe? Sicuramente non l’avrebbe presa bene, proprio per niente. Inoltre dovevo pensare a una soluzione. Esatto, come avrei aiutato Mark? 
Loro non gliel'avrebbero fatta passare liscia. Loro. Loro. Loro che mi avevano portato via mio padre, loro che distruggevano gli altri per vivere, loro che non avevano pietà, che non avevano sentimenti, che non sapevano cosa voleva dire amare qualcuno. 
In poche parole erano una specie di ''famiglia allargata'' che aveva conoscenze ovunque a New York, se ti stavano cercando tu non avevi scampo perché sapevi che in qualunque posto tu saresti andato, qualcuno ti stava già seguendo.
Purtroppo avevano conoscenze anche tra la polizia, ai piani alti insomma e questo significava: indistruttibili.
Scossi la testa, non era quello il momento di pensare a quello.  Prima dovevo dire tutto a Joe, sempre se avrei trovato il coraggio di farlo.
Scesi dalla macchina con le mani che quasi tremavano, mi sistemai e poi entrai in casa. Li trovai tutti in salotto: Joe, Nicholas, Kev, Frankie e i signori Jonas. Proprio quel giorno dovevano essere tutti a casa? Il primo si alzò, mi prese per i fianchi e mi diede un bacio, un bacio che io non ricambiai abbassando lo sguardo. «Tutto okay?» sussurrò, quasi per paura che ci fosse davvero un problema da risolvere, l’ennesimo.
Non risposi e andai a salutare gli altri per poi sedermi sulla poltrona. Ci mettemmo a parlare del più e del meno, di come Nick avesse conosciuto una bella ragazza molto più grande di lui che a quanto pare non aveva fatto una buona impressione ai suoi, di come Frankie avesse anche lui una ragazza che frequentava la sua stessa scuola, di come Kevin e Danielle progettassero una vacanza per staccare un po’ la spina. «Te Alex? Com’è andata la giornata?» guardai Nicholas senza riuscire a trovare le parole giuste, gli occhi mi pizzicavano per le lacrime che cercavano di uscire. Presi un grosso respiro «Torno a New York.» tutti rimasero in silenzio guardandomi, ma solo uno sguardo non avevo il coraggio d’incrociare, quello che bruciava di più sulla mia pelle.
«Hai delle vacanze a scuola? Non ricordo nessuna festività..» «Per sempre» dissi interrompendo Denise. Ora il silenzio era decisamente più pesante di quello precedente «Io vengo con te vero? Cioè posso stare da te e poi magari troveremo trovare un altro appartamento, magari più grande, con una stanza degli ospiti così quando loro vorranno venirci a trovare non dovranno dormire sul pavimento» Joe rise nervosamente dopo il suo monologo, guardandomi mentre le lacrime che prima minacciavano di uscire, erano già cadute lungo e mie guance «La tua vita è qui» «La mia vita sei tu» sbottò alzandosi «Perché te ne vai?» «Perché voglio tornare a casa, questa non è casa mia. New York è casa mia, non voglio star qui» mentii, perché infondo era quello che mi riusciva meglio no? Invece di affrontare la verità io mentivo, per il bene di tutti quanti. Capitemi, non potevo farli venire con me a New York, non potevo vivere con loro mentre aiutavo Mark, loro se la sarebbero presa anche con la famiglia Jonas e io non volevo. Non volevo perché erano tutto per me, erano anche la mia di famiglia e si meritavano pace e serenità.
«Non fai sul serio» «Sì invece Joe» «E non pensi a noi? Noi vogliamo che tu resti» mi voltai verso quella vocina proveniente da un bambino troppo piccolo per capire davvero in che situazione ero. Le lacrime si fecero più frequenti mentre mi sporgevo ad abbracciare Frankie «Non hai bisogno di me, i tuoi fratelli sono dei buoni esempi da seguire, ma se un giorno avrai bisogno di un’amica potrai chiamarmi okay?» i suoi occhioni diventarono lucidi mentre annuiva poco convinto «Quindi è una decisione già presa?» annuii a Nick che aveva un’espressione sconvolta «Quando pensavi di dircelo? Quando ormai dovevi già preparare le valige?» feci un sorriso amaro «E’ quello che ho fatto. C’è un volo domani mattina presto, quindi è anche meglio se ci salutiamo stasera» ora nei loro sguardi c’era delusione «Tua madre non avrebbe voluto farti tornare là» «Non usare mia madre come arma per farmi rimanere Paul, sei sempre stato bravo a convincere le persone a fare la cosa giusta. Stavolta però non riuscirai, non con me, mi dispiace» lo sentii sospirare e intanto mi morsi il labbro tornando a guardare il mio ragazzo, quasi ex. Non so per quanto tempo rimanemmo in silenzio a guardarci, so solo che quando mi svegliai da quella specie di tranche eravamo soli nel salotto.
Mi alzai per andare in camera a preparare quelle benedette valige, ma lui mi fermò con un braccio e mi baciò. Forse fu il bacio più intenso che io ebbi mai ricevuto in tutta la mia vita. Affondai le mie mani nei suoi capelli e lo portai più vicino a me lasciando entrare la sua lingua nella mia bocca. Mi bloccò contro il muro e ormai io non avevo quasi più ossigeno, ma non m’importava. Quella era la nostra ultima volta, non m’importava più di niente.
Le sue mani scivolarono veloci sul mio corpo, accarezzandolo con dolcezza e pian piano ci svestimmo seminando gli indumenti sul pavimento. Le sue labbra diventarono come droga, non riuscivo a farne a meno, le volevo sulle mie, ogni secondo. Lo lasciai giocare con i mio seno, lo lasciai intrecciare le mie mani con le sue, lo lasciai entrare dentro di me, lo lasciai sospirare, lo lasciai piangere mentre le sue lacrime bagnavano il mio corpo. «Joe..» le sue spinte aumentarono di velocità facendomi inarcare la schiena contro il suo petto. Mi baciò il mento e poi lasciò una piccola scia di saliva sul mio collo mentre io mi aggrappavo alle sue spalle, sfinita da tutto quello.
In poco tempo arrivammo tutti e due al limite e ci sdraiammo sul pavimento freddo. Appoggiai la testa al suo petto mentre lui mi accarezzava il viso.
Avrei voluto dire così tante di quelle cose, ma non ne avevo la forza, non sapevo neanche come. Il silenzio venne rotto da un suo singhiozzo, infatti quando alzai lo sguardo Joe aveva gli occhi arrossati e il viso bagnato
«Io..» «Non andartene, ti prego, o almeno fammi venire con te. Io non vivo senza di te, io ti amo. Tu sei l’aria che respiro amore mio, non farlo, ti prego» impotente, ecco come mi sentivo. Mi strinsi semplicemente di più a lui incominciando a piangere anche io «Ti amo anche io, ma devo farlo. Spero che mi perdonerai un giorno» lui non rispose, rimanemmo così, sdraiati nudi sul pavimento, in silenzio, lasciando che il nostro amore si sfaldasse piano piano come una candela va spegnendosi per poi lasciare solo buio, paura, dolore.
 
 
  
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