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Autore: buba16    09/11/2011    6 recensioni
Questa è la mia prima storia che scrivo, ho deciso di pubblicarla qui per migliorarmi. E' ambientata a Tokio, un anno dopo la sconfitta di Galaxia.
"Il Destino...che brutta cosa non poter scegliere le cose o le persone da soli ma essere manovrati come burattini da qualcuno che esiste da sempre piu grande di noi, eppure, lo so, verrà il giorno che il mio destino verrà cambiato, stravolto, cancellato da una gomma gigante e riscritto con un inchiostro indelebile dalla mano del fato, un fato guidato da me.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inner Senshi, Nuovo personaggio, Outer Senshi, Sorpresa, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
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I giorni passavano lenti, come una lumaca che lenta, strisciata dopo strisciata avanza lungo la sua meta.

Le ore passavano così piano che arrivare alla fine della giornata sembrava essere come un anziano malato che sdraiato sul suo letto spera invano che il Signore della morte lo conduca sulla barca dell'aldilà.

Le mie giornata, le mie ore, sono solo tormenti per il mio cuore, per la mia anima.

Come il vecchio spera di chiudere gli occhi per non aprirli più, io spero di chiudere i miei per incontrare te.

Divido le mie ore che mi restano per addormentarmi tra gli allenamenti e la musica, ma niente può essere così importante da non farmi pensare a te, mia dolce principessa.

Nessuno può capire la sofferenza che provo, ho un vuoto dentro al mio cuore che non si colma facilmente.

Passo davanti a delle vetrine e a dei negozi e mi fermo ad osservare l'immagine di me stesso riflessa sul vetro.

Ma chi sono io realmente?

Non mi riconosco, non mi rispecchio.

La gente che passa per strada invece, sembra riconoscermi, emozionata e felice cerca invana la ia attenzione, il mio saluto, un mio sorriso.

Chi sono io per loro?

Per loro sono un Eroe, un idolo. Un modello da seguire.

Alzo la mano per ricambiare l'attenzione, ma mi sento stanco, stufo.

Stufo di portare questa maschera.

Stufo di sorridere quando dentro vorrei morire.

Credevo di essere forte. Credevo di potercela fare, ma chi sono io?

Sono solo un povero ragazzo malato, malato d'amore. Un malattia inguaribile.

Quindi mi ritrovo qui, seduto sul divano a strimpellare con la chitarra senza trovare l'ispirazione di comporre, di scrivere.

Si perché la mia musa ispiratrice non è qui con me, è lontana.

Allora chiudo gli occhi, e mi ritrovo solo nella mia mente a pensare, a riflettere.

 

-Papà!- mi chiama una vocina.

Apro gli occhi e mi ritrovo in un luogo sconosciuto, ci sono fitti alberi intono a me, non ricordo di essere mai stato in quel posto, così buio.

-Chi sei?- chiesi con un filo di voce.

-Papà...Non aver paura.- la sagoma di una fanciulla stava prendendo forma davanti ai miei occhi, che, sbalorditi e incuriositi, un po' si aprivano e un po' chiudevano per mettere a fuoco quell'immagine.

-Fanciulla..Io non so chi sei, ma..- mi fermai per pensare a delle parole non troppe brusche per dirle che non ero la persona che cercava.

-Ma io non sono tuo padre! Guardami fanciulla, sono solo un ragazzo, un ragazzo malato d'amore, senza la donna che ama.- abbassai lo sguardo intristito di più.

La fanciulla scoppiò a ridere. Una risata fresca e cristallina, una risata genuina, la sua risata.

-La mamma aveva ragione, sei proprio un bel ragazzo quando sei di quest'umore.- scoppiò di nuovo a ridere.

Mi sentivo goffo e stupido.

Caddi per terra, a fatica cercavo di arrivare a quella fanciulla che più rideva, più mi rempiva il cuore.

-Ridi ancora te ne prego- sentivo il bisogno di risentire quell'ondata di emozione.

Le nostre mani si toccarono e un senso di felicità mi riempì l'anima.

-Va da lei.- mi disse.

Una folata di vento improvviso mi fece sentire il dolce profumo di ciliegio che aveva la fanciulla.

Non riuscivo ancora a vederla, in quella foresta buia, ma il suo profumo, la sua risata.

Erano un pugno allo stomaco per me.

D'istinto l'abbracciai e per mia sorpresa non si staccò da me, ricambiò quell'abbraccio caloroso e affettuoso.

Pieno di sfumature e pieno d'amore.

Pieno di colori che non si vedevano nel buio di quel luogo, ma che vedevo con gli occhi, gli occhi del cuore.

Gli passai una mano nei capelli , morbidi e profumati; ben tenuti legati in due trecce.

Non capivo perché più accarezzavo quella fanciulla e più la desideravo.

Era un desiderio totalmente diverso da quello quello carnale o dall'amore.

Ero geloso che qualcun altro oltre me la potesse sfiorare. O addirittura guardare con occhi diversi.

-Guerriero- richiamò la mia attenzione.

-Fanciulla- cercai di guardarla con gli occhi del anima per darle un aspetto.

-Ascolta il tuo cuore, non chiuderlo in un cassetto per un patto e per “amore”-

-Come fai a sapere del patto?- chiesi più a me stesso che a lei.

-Non l'hai ancora capito?- la si sentì sorridere.

-Onestamente no, non ridere di me..- non era una “vera” supplica la mia. Solo bisogno di sapere.

La fanciulla si alzò, rompendo quella tenera atmosfera che si era creata tra noi, l'intesa di quell'abbraccio.

La seguì di scatto, afferrandole il polso dolcemente.

-Vai già via?- chiesi molto amareggiato.

-Più tempo passo qui, e più non ti convincerai.- rispose in tono deciso.

Avevo poco tempo, me lo sentivo, dovevo fare qualcosa, non potevo farla andare via così.

-Ci rincontreremo vero?-

-Si. Spero non molto presto, senno questo vorrà dire solo una cosa..- si fermò senza continuare, il carico di tristezza che portava nel cuore era così tanto che mi veniva voglia di piangere.

-Che cosa?- tentai di chiedere, incuriosito a scoprire cosa si celava dietro quel velo di tristezza.

-Voglio farti un dono, me lo restituirai a tempo debito- prese in mano le redini del discorso per deviarlo a suo piacimento in un altro argomento, l'ultimo sicuramente.

Legò non troppo stretto al mio collo un indumento molto caldo.

Toccai con mano la stoffa, e mi resi conto che era una sciarpa calda morbida. Non potevo vedere il colore, ma sicuramente era un bel colore.

-Ricorda solo una cosa Guerriero. Apri gli occhi, oltrepassa il muro che non ti permette di raggiungerla. Va da lei, ama e ci rincontreremo.-

Non servivano altre parole per capire che toccava me scegliere.

La vita ti mette di fronte ad un bivio, vivere o morire.

Non voglio più essere come il vecchio che aspetta Caronte con la barca, voglio essere il comandante della mia nave.

-Posso sapere come ti chiami?- fu la mia ultima richiesta.

-Porto il nome che ti piace di più-

Chiusi gli occhi e in un piccolo sussurro uscirono solo queste tre parole. -Arrivederci piccola Sakura.-


 

Le note prepotenti di “Love the way you lie” mi riportarono alla realtà, una realtà fatta di quattro mura spoglie.

Mi girai su un fianco spegnendo la radio che misteriosamente si era accesa su quella frequenza e su quella canzone.

Mi ero addormentato probabilmente, la luce della Luna alta in cielo fuori dalla mia camera mi dava ragione.

Con ancora gli occhi semi-chiusi, vagai nel buio della mia stanza, barcollando a destra e a sinistra verso il bagno.

I miei piedi toccarono un pavimento più freddo e più gelido, a tantoni cercai l'interruttore della luce e lo pigiai.

La reazione fu automatica, portai la mano sinistra davanti agli occhi per proteggerli dall'emissione di luce che mi disturbava.

Avanzai verso il lavandino per sciacquare la faccia e svegliarmi del tutto.

L'acqua non fece in tempo a svegliarmi però.

La mia attenzione si spostò di fronte a me; con occhi sbalorditi e la bocca semi-aperta per lo stupore, avvicinai lentamente il mio corpo allo specchio e una mano si posò sul mio riflesso, sul mio collo.

“Che stupido” pensai.

A peso morto il mio corpo si lasciò andare all'indietro, fino a toccare il muro alle mie spalle.

La sciarpa rossa che legava il mio collo era calda e profumata.

Profumava di ciliegio. Profumava di Sakura.

“Non è stato solo un sogno il mio?” pensai mentre delicatamente portavo la sciarpa a contatto con il mio viso per respirare a pieni polmoni quella sensazione magica che mi ricordava di essere vivo.

Chi era Sakura?

Se quello non era stato un sogno allora lui doveva ricordarsi attentamente quello che si erano detti.

Camminando avanti e indietro per la stanza, cercava di dare un senso logico a qualcosa che nemmeno lui sapeva come definirlo.

Improvvisamente si fermò davanti alla finestra e decise di fare l'unica cosa che le era difficile fare.

Andare da lei.


 

Rieccomi qui!! Scusate la lunga assenza ma una crisi mistica, insieme ad una sfiga boia si è imbattuta su di me e sulla storia..
Capitoli futuri gia scritti nella mia mente e assolutamente importanti per la storia rischiavano di non nascere mai per colpa di un piccolo problema che si è risolto fortunatamente grazie a quelle ragazze che ogni giorno mi sopportano *__*
Spero mi farete sapere il vostro parere su questo capitolo, che a dirla tutta è il mio preferito :) Quindi non mi offenderò se mi farete notare degli errori se ci fossero.:) anzi, spero di miglorare giorno per giorno
A presto
Mary

 

  
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