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Autore: Medea00    14/11/2011    11 recensioni
Tratto dal capitolo uno:
“Rachel!” Sbottò Kurt, una volta che era riuscita ad acciuffarla. “Ti vuoi calmare!? Sembri una teenager ad un concerto di Justin Bieber!”
“O Kurt ad una svendita di Prada.” Sussurrò Blaine con un sorrisetto che fu subito eliminato dalla faccia della terra tramite un’occhiata omicida del marito.
“Kurt, Blaine, è...mi dispiace tanto, ho provato a fermarla, ma io...”
“Come?” Adesso anche Blaine si era fatto serio, avvicinandosi alla ragazza.
“Io...è fuggita..”
I due ragazzi, cominciando ad intuire il soggetto del problema, sbiancarono di colpo.
“Un momento...” Blaine cercò disperatamente di ottenere una smentita alle sue terribili supposizioni. “Chi è che sarebbe fuggito?”
“Ma come chi!? Vostra figlia!”
Elizabeth Hummel-Anderson.
La loro unica, preziosissima figlia.
Fuggita.

-- Future-fic; Daddy!Klaine + a little Finchel; Raccolta
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Finn Hudson, Kurt Hummel, Rachel Berry
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                  The show must go on


 
Blaine non era mai stato così emozionato in vita sua; forse, quel giorno batteva il giorno del suo primo debutto in pubblico, o perfino quello del suo matrimonio. Il motivo, purché semplice e banale, era il più naturale possibile: Kurt avrebbe fatto il suo grande debutto. Avrebbe interpretato Oberon, di “Sogno di una notte di mezza estate”. La sua voce, particolare, così tanto da causargli diverse difficoltà professionali, finalmente era stata apprezzata per quella che era, e stava ricevendo il giusto merito.
Blaine si sistemò un’altra volta la giacca: voleva essere perfetto, come non lo era mai stato. Voleva essere lì per l’uomo che amava più di se stesso, guardarlo cantare, danzare, commuoversi per gli applausi della folla in visibilio e gioire di fronte agli enormi mazzi di fiori che avrebbe ricevuto.
E tutte le emozioni che avrebbe provato si sarebbero riversate automaticamente su di Blaine: non c’era sentimento che non condividessero, nel bene e nel male, volente o nolente. Ed era proprio per questo che Elizabeth, guardando il padre più agitato che mai, si affrettò a correre da lui e ad abbracciarlo per quanto la sua umile altezza glielo permettesse.
“Daddy, conta fino a dieci!”
Era sempre buffo quando la figlia riprendeva e usava le frasi che i genitori creavano appositamente per lei.
Sorrise, accarezzando dolcemente la guancia della bambina, e si apprestò ad afferrare chiavi e cappotto per uscire di casa; era in largo anticipo, ma sapeva benissimo che, quando si trattava di Rachel Berry, il tempo non era mai abbastanza.
 
 
“Sono pronta!”
“L’hai detto anche un quarto d’ora fa…”
“Sono prontissima, giuro! Devo soltanto prendere la macchina fotografica, e il mazzo di fiori…oh no! Mi sono dimenticata di ritirare i fiori dal fioraio!”
Quando Finn notò Blaine sbattersi una mano sulla fronte, sospirando rumorosamente, deglutì e si affrettò ad allontanare Rachel dal suo raggio visivo e a rassicurarla con voce ferma.
“Ai fiori ci ho pensato io.”
Rachel strabuzzò gli occhi, non riuscendo a trattenere un sorriso di pura sorpresa.
“Sapevo che avresti dimenticato qualcosa, ormai ti conosco troppo bene.”
“Oh, Finn…”
“Sì è tutto molto bello, adesso POSSIAMO ANDARE!?”
La coppia lo ignorò giusto in tempo per scambiarsi un languido bacio, dopodiché il moro afferrò la ragazza per un braccio e la trascinò letteralmente fuori dalla porta, aiutato da Elizabeth che la spingeva da dietro con passo pesante.
“Uffa Blaine –cantilenò la cantante – certo che sei proprio...”
Lo sguardo del ragazzo le suggerì di non continuare; dopotutto, era sempre stato gentile ed educato, mai un atto di nervosismo o di protesta, ma Rachel non poteva davvero pretendere che fosse calmo e pacato anche in una situazione del genere: al suo posto, lei sarebbe stata già davanti al teatro fornita di striscioni e una scorta industriale di fazzoletti.
“Ok, ok, ricevuto. Andiamo.”
“Grazie.” Dichiarò Blaine, esausto.
“Aspetta devo portare un paio di mie foto per gli autog-“
In meno di un secondo era già dentro ad un taxi assieme a tutti gli altri, diretti verso il quartiere di Broadway.
 
 
“Sei nervoso?”
Ralph, il direttore, era alle spalle di Kurt e quest’ultimo stava guardando da dieci minuti lo stesso punto sullo specchio. Provò a rispondere qualcosa, una frase, una sillaba, magari, ma tutto quello che gli uscì fu un mormorio incerto, che però riuscì a rendere l’idea. Il direttore lo guardò intenerito, dandogli qualche pacca sulla spalla prima di andar via; era una cosa importante, era una produzione completamente innovativa che riprendeva l'opera lirica di Benjamin Britten, non era detto che agli americani sarebbe piaciuta e che i critici l’avrebbero capita. E poi, attribuire a Oberon una voce da controtenore era un rischio molto alto; ci sono delle cose che il pubblico sa accettare, come ad esempio la versatilità delle cantanti di colore che sono in grado di rendere una canzone propria con il loro “soul”, ma spesso e volentieri, nei musical, non veniva premiata l’originalità, tutto il contrario: la gente voleva vedere il musical, quello che hanno sentito fino allo sfinimento, volevano sentire quella storia, l’opera di Shakespeare che ha influenzato le generazioni. Di solito, insomma, un attore era bravo se riusciva ad essere “convincente” nel ruolo, senza togliere niente alla parte che era nota a tutti ma aggiungendoci un pizzico di originalità; un pizzico, evidentemente, non equivaleva ad un Oberon lirico e dalle movenze sinuose ed eleganti, in perfetta contrapposizione con il baritono e la compostezza tipica del ruolo.
Kurt aveva ottimi motivi per essere preoccupato; se, poi, ci si metteva anche Ashley, allora era del tutto terrorizzato. La ragazza, pronta e truccata per interpretare Tytania, si avvicinò a lui con un sorriso sghembo e voce volutamente melodica, segno di un ottimo riscaldamento e di una perfetta intonazione.
Ashley e Kurt non erano mai andati d’accordo, questo era chiaro a tutti e nessuno ne aveva mai fatto un dramma; era solo in quei casi, quando lei sfoggiava tutta la sua esperienza da prima ballerina, e lui cercava in tutti i modi di nascondere la sua ansia da palcoscenico, che entrambi concordavano sull’odiarsi reciprocamente e augurarsi mentalmente ogni sorta di rito voodoo disponibile.
 
“Come ti senti, Hummel?”
Kurt si mise subito composto nella sua sedia di legno –come il resto della scenografia, constatò- e le rivolse un’espressione tranquilla e serena.
“Bene. In bocca al lupo per stasera.”
“Oh, non ne avrò bisogno.” Rispose lei, con una sfacciataggine che fece ribollire il sangue nelle vene al ragazzo. “Tu, piuttosto, hai la pelle che è ancora più cadaverica del solito, il chè non pensavo fosse possibile.”
“Beh, di certo non batte le tue gambe storte e i tuoi piedi da papera.”
Uno pari, pensò il giovane controtenore con un’improvvisa ondata di soddisfazione.
“Oh no, in effetti hai ragione. Ma tu sei cento volte più teso di me. E lo sai qual è la prima cosa che inizia a vacillare, quando uno è in tensione?”
A Kurt non servì dirlo ad alta voce per sapere la risposta: la voce. Ovviamente, era la voce. Un minimo di incertezza, un accenno di esitazione, ed ecco che tutto il canto veniva compromesso. Era una cosa bella, certe volte, ma in quei casi si rivelava terribile; perchè nel canto viene riversato tutto il proprio animo, si è scoperti, si è vulnerabili. Questo dettaglio può farti innalzare così come può condurti in rovina, e in quel momento Kurt si sentiva sull’orlo di un profondo baratro.
 
 
Blaine non pensava che sua madre avrebbe rispettato la promessa di venire a vedere Kurt alla prima teatrale; invece la vide arrancare tra bagagli e beauty-case aiutata da un uomo corpulento ma dall’aspetto gentile. Blaine fece per salutarli e chiamarli con un sorriso, ma fu, in tutto e per tutto, preceduto dalla figlia.Elizabeth corse verso i due nonni con l’entusiasmo tipico dei bambini; si allacciò a Burt, lasciandosi trasportare in aria, e schioccò un sonoro bacio sulla guancia di Susanne, la quale si lasciò sfuggire una lacrima alla visione della propria adorata nipotina.
Blaine sorrise divertito, approfittandone per riappropriarsi della propria figlia.
“Devi piangere ogni volta che ci incontriamo?”
“Oh, lasciami stare Blaine, non puoi capire le gioie di una nonna.”
“Sono d’accordo con tua madre” aggiunse il signor Hummel. Aveva gli occhi arrossati –era l’allergia, ripeteva ai presenti, l’allergia newyorkese- e le guance rosse, i suoi occhi chiari non smettevano mai di fissare la piccola creatura che in quel momento stava ridendo e saltellando attorno a suo padre.
“Comunque, ciao.” Blaine adorava quei momenti: si comportavano come se si vedessero tutti i giorni, come se non ci fossero più di mille chilometri a dividerli. Susanne era sempre la solita madre sensibile e Burt era sempre il solito uomo che aveva riparato la macchina a Blaine solo per poterlo tenere d’occhio più da vicino (*). Di fronte alla caotica e mutevole New York, dove i negozi cambiano una volta al mese, così come i suoi abitanti, era bello vedere che almeno quello, almeno l’affetto che provavano l’uno verso l’altro, la forza familiare che avevano trovato con tanta fatica, fosse rimasto invariato.
E poi, niente era più appagante di vedere i volti illuminati e commossi dei nonni, che non riuscivano ancora a credere nella bellezza e nella dolcezza della piccola Elizabeth.
“Nonni! Papà deve cantare!”
“Hai ragione, Lizzy, adesso andiamo subito a teatro.”
“Come sta Kurt? L’hai sentito?”
Blaine fece di no con la testa, ricambiando il gesto di ansia e trepidazione che gli aveva rivolto il suocero.
Eppure, non avevano niente di cui preoccuparsi, giusto?
 
 
“Sto per morire.”
“No Kurt, non puoi morire prima di entrare in scena! E se proprio devi morire fai come Nina del cigno nero e suicidati sul gran finale... che c’è!? – aggiunse, non appena notò l’occhiataccia di Kurt- Cercavo di infonderti un’aurea teatrale!”
“Oh Rachel, non ce la farò. Farò schifo. Il pubblico mi lancerà pomodori e io sarò costretto a trasferirmi in Argentina per mantenere l’anonimato e continuare la mia vita senza sentirmi un totale fallimento giorno dopo giorno.”
Rachel non disse niente; sapeva come ci si sentiva prima del grande debutto e sapeva anche che nessuna reale parola gli sarebbe stata di conforto. Si limitò a dargli qualche pacca sulla spalla, guardandolo comprensivo.
“...Almeno potrai cantare Don’t Cry for me Argentina...?”
Si guardarono un secondo; poi scoppiarono a ridere, abbracciandosi l’un l’altro.
Finn arrivò qualche secondo dopo facendosi largo tra i costumi e le ballerrine.
“Kurt, ho appena visto tuo padre. C’erano anche Susanne, Elizabeth e Blaine. Ti augurano tutti in bocca al lupo e non vedono l’ora di vederti in scena.”
Improvvisamente, il cuore di Kurt si fece molto, molto pesante; perchè se prima tremava all’idea di sfigurare di fronte a mezza New York, adesso tutti i suoi pensieri erano rivolti verso suo padre e Susanne, che avevano fatto tanto per lui, compreso un viaggio costosissimo e faticoso solo per vederlo recitare e, soprattutto, Blaine ed Elizabeth. Voleva che fossero fieri di loro; voleva vederli sorridere, come per dire, “eccolo, è proprio lui”. Non c’era nessun altro per cui valesse la pena di impegnarsi, anima e corpo.
Ce la doveva fare.
Cinque minuti; infine, il sipario si aprì, mostrando un ritaglio di un magico reame fatato.
 
 
Se lo era chiesto più volte: che cosa è la magia?
Non erano i mostri che temeva si nascondessero sotto al suo letto, nè tantomeno gli incantesimi fatti da Harry Potter o Draco Malfoy; Elizabeth era una bambina sveglia, sapeva bene che tutte quelle cose non esistevano, che erano solo frutto di fantasia.
Ma allora, da cosa erano nate? Da cosa era nato tutto quel mondo, tutte quelle cose? Ci doveva pur essere stata un’origine di tutto.
Ecco, lei decise che fosse il teatro.
Perchè quei pezzi di cartone addobbati in modo perfetto la catapultavano direttamente in uno spazio senza fine; non era come essere al cinema, non c’era uno schermo che separava lei da loro, lì era tutto collegato, e allo stesso tempo, tutto perfettamente distinto. Loro erano reali, le fate, gli animali, i personaggi e le situazioni, facevano tutte parte di un grande e unico gioco: perchè, in fondo, era di quello che si parlava, un gioco. Non era un caso che recitare si scrivesse con play, non era un caso che molti proiettavano la propria vita verso quello scopo, il recitare, l’essere parte di qualcosa di stupendo.
E tra tutti quei ballerini fantastici, tra tutti quegli attori, tra tutti quei talenti che avevano finalmente realizzato il loro sogno, c’era Kurt.
"I know a bank"; fu quella l’aria di Oberon che sconvolse il pubblico. Fu quella la canzone che fece saltare in piedi i critici, commuovere le platee, e riempire di gioia ed emozione i cuori di Blaine, Elizabeth, Susanne, Burt, Rachel e Finn.
 Fu in quel preciso istante, quando il giovane ragazzo si era fatto avanti per accogliere gli applausi, si era inchinato per ringraziare le lodi e aveva sfoggiato un sorriso raggiante perchè allora era tutto vero, aveva proprio cantato come ruolo principale in un musical di Broadway, stava davvero ricevendo delle ovazioni incredibili, che Blaine si ritrovò ad asciugarsi le lacrime e fu costretto a mordersi un labbro per destarsi da quello stato di trance in cui era caduto e applaudire il suo splendido marito; ripensò a Kurt, a quando l’aveva conosciuto, a quello che era e a come gli altri lo avevano sempre trattato male.
Ripensò alle sue lacrime per paura di non entrare al Nyada, ripensò alla sua gioia quando, finalmente, superò quel provino.
E poi, guardò il volto dell’unico uomo che amava, e si sentì completo.
Perchè qualsiasi emozione stesse provando in quel momento, era in assoluto la più pura di tutte.
 
 
“L’inizio di un successo” commentò Finn, orgoglioso, “amico, dovremmo prenderti qualche guardia del corpo per quando andrai a fare shopping.”
“Davvero! Io esco sempre con Finn quindi non ne ho bisogno, ma con uno mingherlino come Blaine potresti avere dei seri problemi a scacciare via i fans...”
“Oh, piantatela tutti e due.” Kurt annusò un’altra volta il mazzo di fiori che aveva ricevuto, poi rivolse un sorriso di ringraziamento alla coppia. Erano sinceramente felici, lo si poteva capire dallo sguardo e dal tono di voce; non pensava di poter mai ottenere degli amici simili, e ringraziò qualsiasi cosa gli avesse donato tutto quello.
Poi, con uno slancio di emozione, abbracciò suo padre. Fu un abbraccio silenzioso, non erano mai stati di troppe parole, nè l’uno nè l’altro: semplicemente, erano soliti capirsi con un’occhiata, e in quel momento i loro occhi così somiglianti riflettevano la stessa ondata di ammirazione e felicità. Susanne, ovviamente, piangeva. Kurt si trattenne dal ridere perchè, in effetti, non era proprio il caso, visto che lei sembrava davvero scossa e ci vollero diverse parole di consolazione per farla rinsavire del tutto.
“Troppe emozioni” balbettò, asciugandosi le lacime con un fazzolettino “troppe emozioni, tutte in una volta. Oh Kurt, sei stato magnifico.”
Qualche giornalista e critico teatrale lo tempestarono di domande sulla sua provenienza, sul suo curriculum, sui pareri riguardo l’opera e su come avesse ottenuto il ruolo; stettero per molto tempo nel retro del teatro, lontano da fotografi e fans indiscreti, a conversare e ottenere informazioni. Susanne, Burt, Rachel e Finn lo avevano preceduto al ristorante così da lasciarlo conversare con calma; avevano organizzato una cena extra-lusso ad un ristorante sulla ventunesima che i quattro newyorkesi amavano tanto, tutto pagato da Kurt, ovviamente.
Dopo l’ennesimo scatto e l’ennesima risata involontaria da parte degli intervistatori –il sarcasmo puntiglioso di Kurt era molto apprezzato, nella grande mela- Kurt dichiarò di sentirsi molto stanco e riuscì a ottenere il congedo, non prima di averli ringraziati tipo allo sfinimento tanto da impressionare i critici con la sua enorme umiltà.
Non c’era quasi più nessuno, per quella strada del teatro, e gli ultimi presenti si accingevano a passeggiare serenamente o a chiamare qualche taxi che incontravano qua e là.
Kurt si guardò intorno, sentensosi quasi spaesato: tutta la confusione, l’adrenalina e l’emozione provate non erano ancora svanite del tutto e lui si sentiva come nel bel mezzo di un’esplosione, giusto un attimo dopo, ancora troppo presto per potersi riprendere dall’enorme esplosione; era come se sentisse tutto ovattato,  calmo, ma solo di quella calma apparente condizionata da una mente ancora non ben collegata alla reale successione degli eventi; il cuore gli batteva forte, ma ad intervalli periodici e regolari, e le sue mani formicolavano di una trepidazione che si riversava sulle spalle e sul passo tremolante delle gambe.
E poi, in quella sottospecie di limbo temporaneo, acuì meglio la vista dei suoi ora limpidi occhi, e scorse Blaine. Teneva la mano ad Elizabeth, ed era seduto sul muretto proprio dall’altra parte della strada; lo fissava. Da quanto tempo era in quella posizione? Da quanto tempo lo guardava, con quello sguardo che solo lui sapeva fare, che faceva sentire Kurt come l’essere più perfetto del mondo?
Ricordò che lo aveva visto allontanarsi subito dopo averlo salutato velocemente, attraverso un bacio a fior di labbra, non appena fosse uscito dall’edificio. Erano passate, quindi, più di due ore, e Blaine non si era mosso di una virgola da quel momento, probabilmente lo aveva visto anche conversare con gli intervistatori, gioire ai complimenti spontanei che aveva ricevuto.
Kurt sospirò, felice; perchè era ovvio, glielo aveva promesso: lo avrebbe aspettato per tutta la vita.
Così, Elizabeth, sorrideva impaziente facendo cenno al padre di arrivare verso di loro; era una bambina così bella, Kurt sembrò realizzarlo solo in quel momento. A volte aveva l’impressione che capisse molto di più di quanto desse a vedere, e tutto quello lo spaventava; Elizabeth era piccola, indifesa. Come avrebbe sopportato le attenzioni che la vita le avrebbe riservato? Come avrebbe affrontato tutte le ostilità?
Ma non erano domande da farsi, non allora, non quando tutto sembrava perfetto e Kurt non si era mai sentito così felice.
Cominciò a dirigersi verso di loro, il volto raggiante, il passo fatto leggermente più sicuro.
 
Ma poi, tutto ad un tratto, si fermò. Un battito di ciglia, un respiro mozzato a metà.
Fu costretto a ripetere quei gesti per più e più volte, fin quando non si accorse che, effettivamente, non ottenevano nessun risultato.
C’era una figura, accanto a Blaine; una donna alta e snella, con il viso pallido e gli occhi chiari.
I capelli castani ricadevano lisci sulle spalle, incorniciando delle labbra morbide, un sorriso caldo, familiare.
Lo stava fissando. Aveva un’espressione strana, un misto di tante cose: orgoglio, fierezza, e cos’altro? Superbia, forse, come se guardasse qualcosa che le apparteneva e dicesse “beh, non poteva non essere perfetto”.
Quella figura sembrava avere un’entità eterea, trasparente; si voltò appena verso di Blaine e Elizabeth. Alla vista di questi due, sorridenti, ignari di ciò che li circondava, sul suo viso si dipinse l’amore e portò candidamente le mani al petto facendo ondeggiare la sua lunga veste di seta.
Si rivolse di nuovo a Kurt. Era così felice.
Il ragazzo fece appena in tempo a bisbigliare una parola.
“Mamma.”
Poi, così com’era comparsa, la donna svanì.
E Kurt scivolò a terra, sopraffatto dall’emozione.


*************

Angolo di Fra

(*) Eheh. Per chi ha letto Blame it on Blaine, SPERO che ricorderà. Ho amato scrivere quel capitolo, e visto che, in qualche modo, potrebbe essere una sorta di future!fic di quella storia, ho pensato di metterci un minuscolo riferimento.
 

Ma voi direte: O COS'è 'ST'AGGIORNAMENTO LAMPO!? (alla toscana proprio XD)
Ahahah, vi giuro, non lo so nemmeno io! M'è presa così, ecco. Non abituatevici eh! Penso che ritornerò molto volentieri alla mia sorta di pubblicazione settimanale..pensate un po', avevo anche pensato di tenere il capitolo in cantina e sfornarlo tra un paio di giorni! Ma poi mi son detta "Francè, è già tanto che te la leggono stà raccolta, non fare la baldracca!" quindi ho pubblicato.
Riguardo al capitolo non ho molto da dire. Posso darvi una piccola informazione personale dicendo che faccio teatro da diversi anni e questo mi ha aiutato molto a scrivere il capitolo. Lo avevate intuito? 
Non mi sono ancora ripresa dalla 3x05 e tra un'ora ho un esame. Ma insomma, come si suol dire, TANTA ROBA!
Sono felicissima che questa raccolta vi stia piacendo, ringrazio davvero di cuore tutti quelli che la leggono e faccio una statua a chi mi lascia una recensione. Ma quanto sono belle le recensioni? Giuro, me ne sto innamorando. E a parte il parere critico/tecnico sull'opera, mi fa proprio piacere leggere i vostri scleri racconti più o meno personali, mi riempite la giornata. Fatemi in bocca al lupo per l'esame!!!



 
   
 
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