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Autore: Gipsy Danger    18/11/2011    4 recensioni
#00. Temibili, silenziosi compagni perduti: noi, che abbiamo rischiato la vita, vi rendiamo onore.
#01. Ma a me piace pensare che abbia trovato quella piccola misura di pace che tutti noi cerchiamo - e pochi di noi mai troveranno.
#Extra chapter. Illumina la strada. Io sono pronto.

Otto one-shots,otto uomini, otto punti di vista prima di dire addio una volta e per sempre.
[Raccolta interrotta, vedi avviso all'interno]
Genere: Drammatico, Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments, Otherverse, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Violenza
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03. (Carry me to heaven's arms
Light the way and let me go)

One loss, one fight locked me in the heart of misery

*


[Cold light above us
Hope fills the heart
And fades away
Skin white as winter
As the sky returns to grey

Days go on forever
But I have not left your side
We can chase the dark together
If you go then so will I]

Breaking Benjamin, Anthem of the Angels


*

Tempo scaduto.

«S- Sano?»

«Shh, baka. Non parlare. Non sforzarti. Il medico sarà qui a minuti».
La prospettiva è talmente irreale da sembrare quasi divertente, paradossale.  Specie contando il fatto che è Harada Sanosuke a spiattellarla. Quello che non ha peli sulla lingua. Quello che se stai morendo te lo dice.
Se solo avesse ancora fiato per farlo e lo stomaco con gli facesse così dannatamente male, riderebbe. Se solo non avesse una paura fottuta e si vergognasse di sé stesso come un cane.
Le parole spingono per uscirgli di bocca, tremanti.
«Male…fa male…».
«Resta giù. Shhh, stai calmo. Ora passa. Stai calmo».
«Non…voglio…morire».
Mani scostano la stoffa sul suo petto. Comprimono la ferita. Le conosce a memoria: sono quelle che per anni hanno scompigliato i suoi capelli, bloccato i suoi pugni e stretto la lancia quando hanno combattuto insieme.
«Stai zitto, Heisuke. Zitto».

Heisuke si sente pungere gli occhi dalla frustrazione.
Ha ventidue anni, sta per morire ed è terrorizzato.
Illuso.
E dire che era convinto che avrebbe smesso di avere paura. Che al momento di andarsene sarebbe stato forte.


Quando la spada gli è affondata nella schiena, la sua paura è semplicemente esplosa.

Un passo indietro. Mentre Sano schiaccia la ferita con una mano e con l’altra gli sorregge fermamente la nuca, immagini confuse ballano davanti agli occhi del capitano.
Bagliore. Buio. Un ricordo, bloccata in un attimo di eternità come una scena di teatro kabuki.

Un brivido di freddo. Subito dopo, un torrente umido. Caldo come non l’ha più sentito, da quando l’Ochimizu gli ha bruciato le viscere e l’ha lasciato traboccante di cenere e della sua umanità arsa, consumata, sparita.
Ancora freddo. È concentrato in un unico punto.
E quella consapevolezza gli balla in testa. Sempre più forte.

Sì. Hai una spada conficcata nel petto. Lo sterno e l’attacco di tre costole sono stati spezzati dalla lama temprata, come bastoncini di zucchero. Non è un miracolo, il fatto che la katana ti abbia mancato il cuore di un soffio – è solo guidata da una mano inesperta, una mano che trema, facendo sussultare l’acciaio nella ferita come fosse un animale in trappola.

Una mano familiare.

«Sei morto, bastardo» mormora, al suo orecchio, una voce. Giovane, strozzata dalla tensione.
La riconosce.
Appartiene a un soldato dell’ex-ottava unità. La sua.

Deglutisce. Il sangue gli riempie la bocca.
Vorrebbe gridare.

Sono io!

Tutto questo non ha senso. È un errore.
È uno scherzo della sorte, ed è dannatamente crudele.

La lama gira e abbandona il suo corpo. Il ningen dietro di lui punta un ginocchio contro la sua schiena e spinge. Lo fa cadere carponi e poi chinare in avanti.
Una parte di lui ripete, a disco rotto, che non è giusto – non era pronto, non aveva nemmeno sguainato la spada, non era in guardia, rifare rifare rifare…
L’altra gli dice che, ormai, è troppo tardi.
L’unica volta in cui non era preparato a prendere parte al gioco, ha perso.

Gli manca l’aria. Si affloscia in avanti. Vomita. Il terreno si macchia di rosso. Il suo cervello si spegne, soffocando in un colpo solo.
Poco prima che il buio lo assalga, il grido d’orrore dell’altro gli dice che il soldato, all’improvviso,  si è accorto di aver appena ucciso Todou Heisuke della Shinsengumi, ex-capitano, seguace di Ito Kashitaro.

Poi, più nulla. Per un tempo infinito, Heisuke  non sente, non vede, non parla. Non vive. Assaggia l’oblio e si divincola nella  sua morsa, terrorizzato. Disperato.

Infine.
Svegliarsi al suono di una voce che lo chiama.
Vedere il volto teso e pallido di Harada sospeso sopra di lui.
E la debole illusione che fosse tutto un sogno – solo uno dei peggiori che ha avuto in questi mesi – è andata in pezzi.

«Kondou-san… mi aveva…lasciato andare…» sussurra Heisuke. Il volto di Sano si contrae in una smorfia. Il lanciere si scosta una ciocca di capelli dagli occhi. Si lascia uno sbaffo rosso scuro sulla fronte e sul naso.
«È così,” soffia, «aveva dato ordine di non toccarti».
«Allora…perché…?»
Gli occhi ambra sopra di lui sono torbidi, scuri di sofferenza. Sano non risponde.

Allora non mi hanno perdonato.
Era tutto un bluff…? Una trappola?

Questa non è la salvezza. Questo è solo un risveglio, l’ultimo, prima di ricadere nel buio e, stavolta, restarci.
Heisuke rabbrividisce; si focalizza sulla lanterna appoggiata per terra, circonfusa di luce. Tenta di memorizzarne il calore, lo splendore nella notte fredda, anche se sa che non servirà a niente. Che tutto terminerà nel nulla. Che sarà lui stesso parte di quel nulla.

L’urgenza gli preme in gola, insieme a un dolore che non ha mai provato prima. Una rabbia che in vita sua non ha mai sperimentato.
Ha preso parte a più inganni di quanti possa ricordare.
Ma non ha mai, mai pensato che quelli che considerava amici potessero tradirlo.

Non è giusto.

«Sano…Sano…»
«Tieni duro ancora un po’.  Shinpachi è andato a chiamare il medico. Tieni duro».
Suona così disperato che stavolta Heisuke abbozza una risata. Il suono che gli sfugge di bocca sembra quello dell’acqua calda in una teiera – un cupo gorgoglio, terribile, profondo, definitivo.
Il medico. In una strada in cui si è appena svolto un omicidio. Il corpo di Ito si sta raffreddando a meno di due metri da loro e Harada sta lottando per fermare l’emorragia, tenendolo ancorato alla realtà.
«No… Sano…ascoltami» implora. Mille altre parole gli si accalcano nella mente: potrebbe non avere abbastanza tempo per dirle tutte. «Devi…andartene…»
«Ito è morto, Heisuke. Non c’è…» Sanosuke deglutisce. «Tutti i suoi sono stati dispersi. Non c’è pericolo».

«No». La presa sulla stoffa rigida scivola via. Harada gli afferra la mano e gliela strizza con tanta forza da fargli male. Heisuke accoglie la fitta e il calore del palmo calloso con sollievo. Si appiglia con tutta la sua forza, ricambiando la stretta. «No» ripete, «Tu…vattene e lasciami qui…Non ho alcun diritto di- ti metterai nei guai…»

«Che diavolo stai dicendo?» latra Sano. Sa che vorrebbe scuoterlo ma non osa. Lo vede lanciarsi un’occhiata alle spalle. «DOV’É QUEL MALEDETTO MEDICO?!»
«Nagakura-san sta arrivando, capitano-»
«Non basta. Non basta! Serve ora!» La collera che gli vena la voce nasconde qualcos’altro. Harada inghiotte il magone.
Accorrono. Altre mani che lo toccano, che premono e tentano di chiudere lo squarcio attraverso cui scappa il suo respiro. Harada si sfila l’uniforme, l’appallottola e gliela schiaccia sulla ferita. A Heisuke scappa un gemito dolorante.
«Shh, shhh. Non è niente. Andrà tutto bene».
Heisuke gli pianta le unghie nel dorso della mano. Forte, finché non è più sicuro che il sangue che gli inumidisce le dita sia solo il suo.

«Perché…non mi avete…ucciso subito?»

Harada sgrana gli occhi.
«Cosa…?»
Ha poco tempo. Troppo poco. È terrorizzato dall’idea di non avere abbastanza respiro per finire. La vergogna gli si gonfia in petto, poi esplode.

«Me ne stavo andando.» Si costringe a guardare il capitano dritto negli occhi mentre lo dice. «Stavo andando…contro…il codice. Stavo… scappando…Kondou-san mi aveva…lasciato…andare… perché allora…?»
Non riesce a finire. Gli manca il fiato. Ma è sufficiente.  Le iridi di Sano si appannano.
«È stato un errore» lo prende per le spalle, lo scuote. «Heisuke! Non ti azzardare a svenire. Ascoltami! È stato uno sbaglio, un idiota che non ha sentito l’ordine, ma non- nessuno di noi avrebbe potuto- »

Sollievo. Una bolla di sangue gli si gonfia tra le labbra. Ora ne è certo: ha un polmone bucato.
Prende fiato. È come essere trafitti di nuovo, ma lo fa lo stesso.
Sollievo.
Vuole chiedere scusa.
Un milione di volte scusa per ogni volta che si è lanciato in battaglia senza aspettare, per ogni volta che si è comportato da ingenuo, per ogni volta che ha causato problemi. Per star morendo da fifone, non da uomo, per aver infranto il codice.
Per aver dubitato di loro.
Dei suoi due migliori amici.


«Sono un codardo» Le palpebre gli scivolano verso il basso. Sente le mani di Sano prendergli il viso, una per lato, calde, fradice di sangue, scostargli i capelli dalla fronte madida.
«No. No.»
«Ho avuto paura».
«Shh. Basta adesso. Non parlare. Ti riporteremo a Mibu».
«Capitano-»
«Dov’è il medico
Silenzio. Troppo lungo.
«Capitano…»
Sano. Ti tremano le mani.
«C’è troppo sangue. Non possiamo fare più niente».
«Il medico…Shinpachi…»
«Non faranno in tempo. La ferita è troppo profonda. Non c’è più niente da fare».

Il mondo gli collassa intorno ed Heisuke si arrende. Basta. Basta paura. Basta tutto. Non importa più nulla: il peso che gli è gravato addosso fino ad ora non c’è più.
Harada lo solleva. Se lo stringe al petto, come farebbe con un bambino. Nei suoi occhi, Heisuke legge che non doveva finire in questo modo.
 «No. Non così. Non adesso. Non tu…dannazione, non tu, Heisuke, ti prego...»
Qualcosa gli bagna le ciglia. Per un attimo si chiede se stia cominciando a piovere.

Ma il cielo era sereno…oh.
Oh.

È la prima volta che vede Sano piangere.
«Se ti azzardi a morire…Se ti azzardi a morire sanno gli dei che cosa ti faccio…»
Heisuke sorride.
La luce si spegne. Non vede più quasi nulla.
«Heisuke. Heisuke!»

Non fa più nemmeno freddo.
Sta bene, annidato tra le braccia del suo amico. Il suo corpo è tiepido. Pesante. Lontano.

«Heisuke! Heisuke apri gli occhi guardami».
«Va bene così», sussurra Todou. La voce gli rimane bloccata in gola. Può sentire il cuore dell’amico, il battito sicuro. Il suo è ridotto ad uno sfarfallio. «Davvero. Va bene così».
Va bene così-
«HEISUKE. No. NO!»

Ora può. Ora si lascia andare.
Illumina la strada.
Sono pronto.

Tutto tace.

*

Evey: [reading inscription on mirror] Vi Veri Veniversum Vivus Vici...
V: "By the power of truth I, while living, have conquered the universe".
Evey: Personal motto?
V: From Faust.
Evey: That's about trying to cheat the devil, isn't it?
V: It is.

But there’s nothing wrong with me, this is how I’m supposed to be
In the land of make-believe that don’t believe in me

Evey (leggendo l’iscrizione sullo specchio): Vi Veri Veniversum Vivus Vici…
V: “Con la forza della verità, in vita, ho conquistato l’universo”
Evey: Il tuo motto personale?
V: Da Faust.
Evey: È quello in cui si parla di come ingannare il diavolo, vero?
V: Esatto.

Ma non c’è nulla di sbagliato in me, così è come dovrei essere
Nella terra di “esprimi un desiderio”
che non crede in me

-    Evey and V from V per Vendetta
&
- Green Day, Jesus of Suburbia



N\A:

Come già specificato nell'entry che ho pubblicato sul mio livejournal - linkata nel prologo della storia - questa è l'ultima shot di Dear Agony che verrà pubblicata. La shot era pronta da molto tempo, al contrario di altre, ma non è stato questo il motivo che mi ha spinta a metterla on - line.
Come ho detto nel post, lo devo. A Heisuke, che è morto oggi perchè uno stupido idiota non ha ascoltato l'ordine di non sparare di Shinpachi (Kudos a Ellie_x3 per la correzione) e l'ha ucciso come ogni altro uomo di Itou, nonostante il capitano (Kudos x2 D: orrore immane! avesse dato ordine di risparmiarlo.
E al nonno, che l'ha preceduto di un giorno, un anno fa.
Non volevo mettere su un messaggio di addio. Sarebbe stupido, perché non sono pronta per dirgli addio del tutto. E perché sto lavorando per lui, ed è un work in progress che occuperà un tempo indefinito. Fino ad allora, comunque, non credo che mollerò la presa. Poi forse sì. Forse.
Nel frattempo, questo è per non dimenticare.
Quando vi dicono che smetterà di fare male, non credeteci: è una balla. La più grossa balla che possano rifilarvi.

Rejoicing the day,
Kei

   
 
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