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Autore: _lullaby    25/11/2011    1 recensioni
"Ciao nonno, ti prego resta con me."
Inizia così il diario di Charlotte "Charlie" Allen che, per una serie di circostanze sfortunate, è costretta a trasferirsi da Houston nella piccolissima cittadina di Woodbridge, in New Jersey, ospitata dagli zii Mike e Franny. Charlie, con questo diario, spera di poter sentire ancora vicino a sè la presenza del nonno materno, la persona più importante per lei all'interno della famiglia ma scomparso qualche anno prima, ma non sa che questa stessa corrispondenza a senso unico l'aiuterà più di quanto non creda. Si sa, gli spiriti sono bravi ascoltatori.
[INTERROTTA]
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tenth chapter - Make a point

“Ciao Charlie...”
“Tu...”
 
Avete presente quei momenti in cui si vorrebbe maledire qualsiasi cosa si trovi di fronte al proprio cammino? Aggiungete anche la presa di coscienza che tutto ciò che è stato fatto in questi sette anni per allontanare dalla mia mente il suo pensiero, è stato inutile e avrete il mix perfetto di quello che sto provando in questo determinato momento. Non riesco a spiccicare la minima parola, è come trovarsi di nuovo faccia a faccia con tutte quelle piccole paure e insicurezze che hanno riempito la mia vita intera. Non so proprio come affrontarle, è difficile. Maledettamente difficile.
“Come stai?”
Come sto? Vorrei soltanto prenderlo a calci e fargli pentire di essere nato, ma prendo un respiro e rispondo con una voce quasi non mia.
“Bene, davvero alla grande.” lui sorride compiaciuto e, nervosamente, sposta un ciuffo dei suoi capelli lunghi dietro l'orecchio. Non si è neanche accorto del fatto che non gli abbia minimamente chiesto come stesse lui in quel momento, forse è troppo impegnato a tirare un sospiro di sollievo per non essere riuscito a rovinare la mia vita. Forse se lo aspettava.
“Mi fa piacere.” risponde infine, restando ancora fermo davanti alla porta. “Ti ho pensata tanto in questi anni sai? Mi sono sempre chiesto che fine avessi fatto.” 
“Adesso che sei riuscito a scoprirlo ti senti soddisfatto?” chiedo, piuttosto seccata.
Ride. “Molto direi. Non sei cambiata di una virgola.”
“Lo stesso potrei dire di te.” ed è vero. Nonostante sia cresciuto in altezza, la persona che ho davanti è la stessa che ho lasciato a sedici anni. Quei grandi occhi scuri e penetranti che tempo prima mi avevano guardato quasi con odio, adesso cercano soltanto piccoli cenni di una felicità che pensa che abbia acquistato con la lontananza.
“Spilungone, hai intenzione di diventare parte integrante di quella porta?” sento chiedere dalla voce di John in lontananza, Richie si volta verso di lui e risponde qualcosa come “E tu intendi diventarlo di quello specchio?”, lasciandomi basita. John non risponde, ma dalla sua bocca parte una delle sue solite risate roche.
“Touché.” mormora infine tra sé, cercando di eliminare la lacca tra i propri capelli.
“Charlotte, quindi conosci già Richie? Ti ha mai detto che abbiamo militato nello stesso gruppo un po' di tempo fa? Non è cambiato di una virgola!” parla entusiasticamente Alec, facendomi entrare dentro il camerino fin troppo stretto. Ciascuno dei ragazzi sta cercando di recuperare un aspetto decente nonostante lo sforzo immenso delle ultime ore sotto i riflettori: solo in quel momento mi ricordo dei vestiti di John nella mia borsa, li prendo immediatamente e glieli lancio addosso. John mi guarda in cagnesco, quasi come per dirmi “dov'è finita la gentilezza?”, ma preferisco ignorarlo.
“Sì, diciamo che lo conosco.” rispondo seccamente alla precedente domanda di Alec.
“Andavamo nello stesso liceo anni fa.” aggiunge Richie infine.
“E quindi...” inizia a parlare John, molto sicuro di sé. “Che cosa ci fai qui in mezzo a noi dilettanti? Alec dice che sei stato in giro con Joe Cocker, stavi per essere reclutato nei Kiss... Non dovresti essere altrove?”
Un leggerissimo ghigno appare sul volto del mio ex amico. “E' proprio qui il punto: mi piacete ragazzi, vorrei suonare con voi.”
A quelle ultime quattro parole rischio di avere un infarto istantaneo, non ho sentito male vero?
Dave Sabo scoppia in una risata fragorosa. “Stai scherzando? Sono io il chitarrista qui.”
“Dave giusto? Ammettilo, sei come un pesce fuor d'acqua qui: non è il tuo stile, fratello. Avreste bisogno di qualcosa di diverso, se capite ciò che intendo dire.” risponde prontamente Richie, mentre Dave lo fulmina con lo sguardo. Ma sa quanto abbia ragione in realtà, è riuscito perfettamente a centrare il punto della situazione.
John ne è rimasto molto colpito, si nota immediatamente.
“E tu saresti la persona adatta per noi?”
“Esattamente.”
Lo sguardo di John corre dal viso del chitarrista al mio, capisce il mio grandissimo disagio e per questo motivo indugia molto sulla risposta. 
“Ci penseremo su, d'accordo? Ti farò sapere.” gli sento dire infine, Richie annuisce e con un saluto secco fa per uscire dalla stanza, ma riesce a prendermi per un braccio e a portarmi fuori dallo stretto camerino. 
Chiusa la porta, restiamo in mezzo al corridoio mentre lui si accende tranquillamente una sigaretta. “Vuoi?” mi chiede, indicandomi il pacchetto, ma rifiuto con un scuotendo la testa.
“Che cosa c'è?” domando, incrociando le braccia al petto.
“Volevo soltanto che sapessi che mi dispiace per tutto ciò che è successo, non era mia intenzione ferirti. Amici come prima?” risponde, tendendomi la mano in segno di pace. Giuro di non aver mai guardato qualcuno con così tanto disprezzo in tutta la mia vita. Mi volto e tento di ritornare dentro il camerino, quando la sua mano mi prende  per un braccio, costringendomi a fermarmi.
“Mi perdonerai mai?” mi chiede in tono supplichevole.
Allontano il braccio dalla sua presa salda e, fissandolo attentamente negli occhi, gli sussurro quattro semplici parole che sembrano colpirlo molto. “Non te lo meriti.”
Apro tremante la porta in legno e, dopo averla chiusa alle mie spalle, lascio strisciare la mia schiena lungo di essa fino a che non tocca il suolo. Le mie guance iniziano ad inumidirsi con la stessa rapidità con cui lui è riuscito a spazzare ogni mia certezza, non volevo, non volevo assolutamente che tornasse di nuovo a distruggere la mia vita. E' come una maledizione.
I ragazzi mi vengono incontro, cercando di consolarmi. John mi accarezza dolcemente i capelli per poi aiutarmi a sollevarmi da terra. I suoi occhi azzurro cielo sembrano aver compreso il motivo della mia angoscia ma il loro proprietario preferisce non chiedere, saluta con gesto rapido i suoi compagni, avvertendoli dell'esibizione stabilita per la settimana prossima, e mi accompagna fuori dal locale. Richie sembra essere sparito dalla circolazione, mentre la cara e dolce Camille (si fa sempre per dire) ci viene incontro con una fascia di banconote in mano sostenendo quanto siano stati bravi i ragazzi oggi. Cinquanta dollari in tutto a pezzi di dieci, John li guarda esterrefatto e non sa che cos'altro dire.
“Dieci dollari in più della volta scorsa Camille, a che cosa dobbiamo questa generosità?” chiedo sarcasticamente. La donna si gonfia il petto di superbia e sostiene che stavolta i ragazzi sono stati bravi e che sono stati capaci di raccogliere un numero ragionevole di persone all'interno del locale.
Sto per risponderle, quando John decide di intervenire. Tira fuori le banconote dalla tasca e gliele lancia dritte in faccia alla proprietaria in un gesto di rabbia.
“Lo sa dove se le può infilare queste banconote? Su per il...”
Gli tappo la bocca immediatamente prima che esca altro.
“Come hai detto?” chiede, incredula, Camille.
“Ha sentito bene, non ho intenzione di farmi trattare così. Le ho portato clienti ha visto? Adesso voglio quello che mi spetta e non sono di certo questi spiccioli quello di cui ho bisogno, anche Charlotte ha fatto un ottimo lavoro.”
“Non sono affari che mi riguardano, può anche essersi buttata dall'Empire State Building, non posso farci niente. Finchè non sarete artisti professionisti non posso darvi più di tanto chiaro? E adesso prenditi questi soldi e guai a te se osi ancora girare intorno al mio locale con il tuo gruppetto. Povero illuso, credi di poter riuscire a sfondare? A diventare come Elvis o i Beatles magari? Svegliati e cercati un lavoro piuttosto.” conclude Camille con una grassa risata, vedo John parecchio teso. Fosse stata un uomo a quest'ora le avrebbe mollato un pugno in faccia o chissà che altro, ma inaspettatamente mi prende per mano e mi sussurra di andarcene. 
Non una parola di saluto nei confronti della vecchia signora, il viso mutato in una maschera triste. Iniziamo a camminare senza una meta ben precisa, fino a quando il mio stomaco non decide di iniziare a farsi sentire. 
“Ti va di andare a mangiare qualcosa? Credo ci sia un ristorante italiano qui vicino.” chiedo a John, il quale mi risponde con un leggero cenno della testa. Sembra molto pensieroso.
Dopo aver svoltato circa due o tre angoli, arriviamo in un piccolo ristorante, la cui porta aperta lascia emanare nell'aria odori simili a quelli di mozzarella filante e origano, penetrano dentro le tue narici e innalzano il tuo livello di appetito e il mio stomaco ormai mi sta imponendo di dargli del cibo. Una volta che il tavolo è stato scelto e le pizze ordinate, cerco di sdrammatizzare per sollevare l'umore del mio amico, ormai totalmente demoralizzato.
“E dovevi essere tu a consolarmi, meno male.” rido su, riuscendo a strappargli un sorriso. 
“Charlotte ti devo parlare di una cosa.”
“Dimmi, sono tutt'orecchi.”
“Credo che dovremmo fare un provino all'amico di Alec, non so che genere di rapporto avevate voi due ma penso che possa essere il chitarrista che sto cercando per rimpiazzare Dave. Alec mi ha detto che ha grande talento, perchè non provare?”
Passo nervosamente la mano tra i miei capelli e porto indietro il mio corpo fino a poggiarlo lungo lo schienale. Un lungo sospiro segue questo gesto.
“Perchè per me sarebbe uno sforzo sovrumano. Non ho voglia di incrociare il suo sguardo, figurati imprimerlo sulla pellicola!”
“Ma non capisci Charlotte! Potrebbe essere l'occasione giusta per riuscire finalmente a fare capire in giro che vogliamo fare sul serio, non è un divertimento questo, è ciò a cui più tengo.” ribatte John, gesticolando animatamente come suo solito.
Un sorriso affiora tra le labbra, mi intenerisce la sua grande determinazione. Ma... Se gli dicessi di sì, che cosa ne sarebbe di me? Riuscirei ad averci una conversazione civile, senza che il ricordo della serata al ballo di sette anni fa mi spinga a volerlo prendere a calci?
“Ti prego Charlotte...” mi implora John, prendendo le mie mani tra le sue.
“Posso avere del tempo per pensarci?”
“Ovviamente, è già un passo avanti l'essere riuscito a passare da un 'no categorico' a un 'voglio ancora pensarci su John, ti farò sapere', non ti pare? Ma voglio solo che tu sappia che, qualsiasi cosa sia successa, ormai non dovrebbe essere acqua passata? Sono passati anni Charlotte, entrambi sembrate felici... Non pensarci troppo d'accordo?”
Annuisco, mentre con la mente torno a quel fatidico giorno. Ed ecco che la ferita si apre, la sento ancora sanguinare...
 
“Charlotte?” mi sento chiamare da una voce troppo distante da me. Credo di mugugnare qualcosa, ma non ne sono sicura. Sento nuovamente la voce chiamare il mio nome e muovere la spalla con un leggero tocco. Alzo con grande fatica la testa ed è in quel momento che mi accorgo di essere nella classe di letteratura e che mi sono appena svegliata da un sonnellino fuori programma. La professoressa Lindon mi fissa incuriosita.
“Charlotte ho bisogno di parlarti dopo la lezione, non scappare.”  dice, ritornando in cattedra e non aggiungendo nient'altro sull'accaduto. Valerie ridacchia leggermente ma alla fine mi chiede in un sussurro che cosa abbia.
Le rispondo che non è niente, è soltanto una leggera stanchezza, e ritorno a vagare tra i miei stessi pensieri. Oggi Richie non si è fatto vedere né sull'autobus, né tanto meno in giro per i corridoi. Frankie sostiene di non averlo visto nonostante abitino vicino e i suoi compagni di squadra fingono di non ascoltarmi, forse per uno strano spirito di protezione che non riesco a comprendere. Valerie pensa che sia soltanto un codardo incapace di guardare in faccia la realtà e che la sua ragazza lo stia manipolando in qualche modo. Io semplicemente non so più che cosa pensare. Dov'è finita quella persona allegra che non faceva altro che prendere in giro il mio accento texano? E' stata forse sostituita da questo automa senz'anima capace soltanto di urlare “sparisci dalla mia vita” e inconsapevolmente controllato da una ragazza che forse non l'ama?
Nonno, dammi almeno tu una risposta perchè non vedo altro che buio intorno a me.
La campanella avverte gli alunni della fine della lezione, i ragazzi raccolgono distrattamente i propri libri e si dirigono in massa verso l'uscita. E, mentre i chiacchiericci vanno allontanandosi sempre di più, io resto ancora seduta nel mio banchetto nell'ultima fila all'estrema destra dell'aula, vicino la finestra dove per adesso batte più sole. La professoressa Lindon mi osserva con molta attenzione ma non proferisce parola, mi studia come un leone con la propria preda da catturare. Non è la prima volta che sento uno sguardo del genere addosso.
“C'è qualche problema Charlotte? Di solito sei una delle ragazze più attente durante la lezione.”
“Non è niente professoressa, soltanto un leggero stress.”
“Stress mmh? D'accordo, fingerò di crederti. E se ti chiedessi se per caso c'entra un ragazzo?”
Ho per caso scritto in faccia “ragazza disperatamente innamorata ma non ricambiata necessita aiuto immediato!”? Scuoto la testa, odio la gente che si impiccia negli affari altrui.
“Stasera andrai alla festa?”
“Non credo, odio questo genere di cose.”
La professoressa ride, portando la testa all'indietro e mostrando innocentemente la dentatura imperfetta. “Charlotte voglio insegnarti qualcosa che mi è stato di grande aiuto nella vita, grazie a questo consiglio sono riuscita ad ottenere molto senza pagarne le conseguenze. Se desideri realmente qualcosa, vai e prendila.”
“E se questa cosa fosse impossibile da raggiungere?”
“Nulla ti vieta di provare, in caso puoi sempre dire di averci provato no?” risponde, stavolta con un sorriso materno tra le labbra. 
 
So benissimo che cosa vorrei. Vorrei.. Vorrei soltanto stare con lui lui.
Stasera credo di essere impegnata.
 
Barcolliamo per le strade, ubriachi fradici. Siamo ritornati a casa mia a piedi, la macchina ancora posteggiata davanti al locale di Camille.
Controllo l'orologio. Le tre e mezza del mattino.
La testa gira sempre di più e la voce della nonna continua a dirmi “dagli una possibilità”, in bocca ho ancora il sapore del vino rosso di scarsa qualità.
John ride come un matto, a lui l'alcool fa sempre un brutto effetto. Io penso troppo invece, quasi come un riflesso della mia personalità. Più portata al pensare che all'agire intendo.
 
John è disteso sul divano, dorme come un bambino mentre io vago in giro per questa casa. Penso che prima o poi dovrei portare a sviluppare gli altri rullini e che forse dovrei presentarmi a nuovi colloqui di lavoro. Spero che un giorno riescano a prendermi come fotografa in giornali famosi come Rolling Stone. Il mio modello da seguire è Linda Eastman, una tra le prime donne ad aver mai ottenuto una foto in prima pagina.
Supero la figura dormiente del mio amico e mi sposto verso quello che mi piace chiamare “il muro dei ricordi”, sopra vi sono attaccate tutte quelle foto che ho voluto conservare dopo il mio trasferimento da Woodbridge, ma anche qualcuno della mia infanzia. In una ero ancora molto piccola, non dovevo avere più di tre anni, e stavo preparando una torta con mia madre e mia nonna. Ricordo che fu un giorno particolarmente felice e la tristezza non osava passare neanche per un saluto veloce. Addirittura ne ho conservata una in cui ci siamo io e Richie, distesi sull'erba di un parchetto nelle vicinanze della mia vecchia casa. Ripercorro con l'indice i tratti giovani del mio ex amico e in me riemergono quegli stessi sentimenti che da troppo tempo ho lasciato che la sabbia del tempo seppellisse. 
 
Le luci della discoteca mi confondono, a malapena riesco a percepire i miei stessi pensieri. Aguzzo la vista, arrancando tra varie figure saltellanti o avvinghiate tra di loro come ricci in fase di accoppiamento, ma alla fine riesco ad individuarli. Lui è su un piccolo palchetto con quello che dovrebbe essere il suo gruppo, lo osservo rapita mentre suona “Bell Bottom Blues” di Eric Clapton mentre Rosie sembra esserne completamente indifferente. 
“L'unico difetto di Rosie” una volta mi disse lui. “E' che quando parlo di musica con lei non riesce neanche ad ascoltarmi, sembra pensare sempre ad altro.”
E anche adesso la sua mente sembra vagare altrove. Come fa a non sentire le note penetrarle fin dentro l'anima? Perchè ne è così indifferente?
Stringo i pugni, cercando di frenare la rabbia, ma essa accresce sempre di più fino a diventare immensa. Una furia cieca che riesce a rendere cieco anche il mio perfetto autocontrollo, mi avvicino alla sua figura e la schiaffeggio davanti a tutti.
La chitarra si ferma improvvisamente e con essa l'intera esibizione, ognuno dei ragazzi presenti in sala mi guarda scioccato, compresa Rosie, la quale però si riprende rapidamente per rivolgermi un sorrisetto di sfida. 


Buongiorno a tutti! Ecco a voi il decimo capitolo, con l'undicesimo in fase di elaborazione. In realtà ciò che sto scrivendo era parte integrante del decimo, ma mi era sembrato troppo lungo e ho deciso di tagliarlo. Orsù! Spero che vi piaccia questo capitolo, scriverlo mi ha divertito più delle altre volte :)
Ricordo che la parte in Times New Roman indica il normale svolgimento degli eventi, l'Arial invece è un flashback!
Buona lettura e grazie a chi legge e a chi commenta questa storia, siete grandi! ;)
Goodbye ;)
   
 
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