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Autore: CloyingCyanide    26/11/2011    3 recensioni
Questa FF nasce il 17 giugno '09 e deve il suo titolo sia ad una frase di "The Fantasy", sia all'omonima canzone dei The Cure.
Tutto ruota attorno alla storia tra Shannon e Maya, una ragazza italiana con un segreto troppo doloroso da svelare e molte decisioni importanti da prendere.
Se questa fan fiction è qui, lo si deve ad una persona che adoro: Mary. Enjoy it!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo mesi di assenza, finalmente eccoci di nuovo qui! Credevate di esservi salvate, eeeh? xD Scusatemi davvero ma è successo di tutto e di più, blocco dello scrittore incluso. Però pare che sia passato, quindi è meglio approfittarne :)

Avevamo lasciato i nostri beniamini (?) alla seratina in compagnia degli amici... Siete pronte? Let me hear you scream xD
Scherzi a parte, il capitolo sarà breve e leggerino. Perché? Perché il prossimo sarà bello corposo, per cui vi consiglio di armarvi di coraggio già da ora.
Nel frattempo, spero di regalarvi dei bei momenti.
Un bacione grandissimo a tutte!



“I ragazzi ci stanno aspettando dentro.”
Dopo aver parcheggiato la moto, la coppia si diresse dal piazzale verso il ristorantino, che era giusto lì di fronte. Shannon aveva scelto un posto tranquillo per quella serata, di modo che Maya non si sentisse troppo in imbarazzo. Finalmente stava per presentarle i suoi amici e ne era orgogliosissimo. La prese per mano, saldamente, e si accorse che era emozionata dal fatto che si arrotolava di continuo una ciocca di capelli con le dita.
“Stai rilassata, Mimì, mica ti sto portando al fronte!” le disse sorridendo e rassicurandola con uno sguardo morbido. “Ascoltami una buona volta: devi imparare a prendere tutto più alla leggera, a partire da te stessa. E non fare quella faccia scocciata, che non ho proprio voglia di farmi girare le balle, stasera! Dicevo, se pure ti dovesse mai capitare di sbagliare qualcosa, ogni tanto, mica succede chissà che. Fregatene. L’errore più grande è farsi prendere dalla paura e perdersi tantissime cose belle.”
Maya, abbandonato il muso lungo che non avrebbe giovato a niente né a nessuno, gli impose le mani sulla sommità della testa, quasi per risucchiargli il cervello. “Aaah, grande filosofo, trasmettimi un po’ di saggezza!”
“E’ quello che sto provando a fare da mesi, ormai” disse lui mezzo ridacchiando. “Con i discorsi, intendo. Se avesse funzionato come per i vasi comunicanti, sarei stato un uomo molto meno stressato!”
La ragazza tolse le mani dalla testa di Shannon, dispiaciuta di quella piccola illusione sfumata. “E sarebbe stato pure più semplice e veloce!”
“Potrebbe esserlo lo stesso se aprissi le orecchie e ti ficcassi quello che ti dico in questa vecchia noce di cocco” le batté piano un pugno sulla fronte, dopodiché le cinse le spalle con un braccio. “Dai che non è niente di che. E’ solo una cacchio di cena con quattro scemi. Va be’, magari non proprio quattro, ma che cambia? Ti divertirai un sacco! E poi, te lo ripeto, non ti lascio sola, mi siedo vicino a te, ti accompagno io fuori a fumare e anche in bagno, se proprio vuoi. Mi avrai con te tutto il tempo. Tanto lo so che è l’unico modo per farti stare tranquilla.”

Per Maya era importante. Negli ultimi tempi non riusciva più a rapportarsi a gente nuova nella giusta maniera, se non alla presenza di qualcuno che le infondesse sicurezza. Diede a Shannon un bacetto dietro l’orecchio, e lui di conseguenza si sciolse del tutto, anche se non l’avrebbe confessato nemmeno sotto tortura. Ormai erano arrivati all’ingresso del ristorantino. Anche da fuori Maya riusciva a vedere una folta combriccola che le sembrava chiassosa, ma in maniera positiva. I rumori, le loro voci, non le arrivavano, spezzate dai vetri, tuttavia l’entusiasmo filtrava facilmente e la contagiava. Sul suo visetto curioso, un sorriso si fece spazio tra le guance rosee, veloce e luminoso come una cometa in una notte di fine estate.
“Sono loro?”
“Sì. Che te ne pare?”
“Sono...” li guardò di nascosto, chinando piano la testa su una spalla per studiarli meglio. “...strani.”
“Giustissimo. Ed è per questo che ti sentirai a casa.”

 
**

Troppi nomi, troppe mani, troppi sorrisi. Il cervello di Maya era andato in cortocircuito già dopo i primi cinque minuti. Ma quanta gente c’era? Non finiva più! Però dovette ammettere che sembravano tutti simpatici e felici di conoscerla. Erano per la maggior parte uomini che avevano superato i trent’anni, ma c’erano anche tre o quattro ragazze, che erano le compagne di altrettanti di loro. Si sentì quasi a suo agio. Erano persone molto semplici, parlavano molto, ridevano, scherzavano e, soprattutto, non la sottoponevano a torture psicologiche con domande infinite in stile interrogatorio. Quando finì il giro delle presentazioni, Maya andò ad accomodarsi ad uno dei posti che erano stati lasciati liberi, e Shannon le si sedette accanto. Gli teneva una manina sulla coscia, tanto per ricevere sicurezza. Però era stata brava.
“Cosa ordini?” le chiese Antoine, che le era davanti, porgendole un menu. Aveva un ciuffo di capelli che gli ricadeva appena sopra gli occhi, scuri e furbetti. Maya notò che in qualcosa era simile a Shannon, forse nel gesticolare, forse nell’atteggiamento. Non avrebbe saputo dirlo con esattezza.
“Vediamo... Che mi consigli?”
“Sicuramente una bistecca, qui la carne è favolosa. Tu, Shan, cosa prendi?”
Il batterista si grattò il mento con la punta delle dita, senza staccare gli occhi dalle pagine plastificate di cui ben conosceva il contenuto. “Pensavo a delle omelette. Quelle dell’ultima volta non erano male.”
“Hai ragione, quasi quasi ne prendo anch’io” concluse il suo amico. “Ricapitoliamo quello che abbiamo preso noi tre: una bistecca, due omelette... e per contorno? Io prendo dell’insalata.”
“Anch’io” si aggiunse Maya. “Shan?”
“Patatine.”
Maya si divertiva un sacco a vederlo mangiare patate fritte, perché lo faceva con la stessa esultanza e ingordigia di un bambino di sei anni al Mc Donald’s.
“Bene, allora... appena la cameriera arriva qui glielo diciamo.”
 
 
La cena proseguì tranquilla, senza particolari accadimenti. Nonostante ciò, mentre ormai anche il piattino dell’insalata di Maya era quasi vuoto, le squillò il telefonino. Guardò lo schermo, indecisa sul da farsi. Era veramente scocciata da quell’interruzione, ma solo perché ad interromperla non era una persona qualunque.
“Esco fuori a rispondere” disse a Shannon, alzandosi. “Tu rimani pure qua, non importa.”
Camminò velocemente finché non uscì dal locale. Si appoggiò con la schiena al muro e rispose. “Pronto?”
“Ciao, piccola.”
Non aveva pensato che sentire di nuovo la sua voce le avrebbe procurato una bella serie di brividi lungo la schiena. O forse sì. “Ciao” disse, a bassa voce. Non si sentivano da un po’. “Come stai?”
“Da schifo.”
Si sentì quasi in colpa, dato che invece lei era felicissima e spensierata. Per una volta! “E’ successo qualcosa?”
“No, no. E’ solo che mi manchi da morire.”
A quelle parole, si fece brusca all’improvviso. Le lamentele degli altri le scatenavano sempre un fastidio esagerato, pur essendo lei stessa una persona molto lagnosa. “Per piacere, eh, Matti’, non ricominciamo. Sii bravo.”
Dall’altro capo, la voce era ferma, pacata, e non sfumava verso nessuna emozione. “Non voglio stressarti.”
“Allora smettila.”
Si morse le labbra non appena finì di dirlo, pentita. Spesso al telefono Maya si trasformava in un’arpia e, sebbene se ne rendesse conto, il più delle volte non faceva niente per migliorare. Quella volta però si ammorbidì. Essere aspra non sarebbe servito a niente, nemmeno a litigare, perché Mattia la conosceva troppo bene e sapeva come comportarsi per evitare il peggio. Infatti il suo amico non tardò a cambiare impostazione.
“Ti ho disturbata, Mì?”
“No, no” mentì. “Sono a cena con Shan e i suoi amici.”
“Ah. E... come va con lui?”
“Molto bene. Sono anche riuscita a dirgli tutto di Simone, giorni fa. Non lo sapeva ancora. Sinceramente mi sono quasi pentita di averlo fatto... l’ho devastato. Gli ho scaricato addosso un sacco di dolore. Avrei preferito farne a meno, ma non si poteva più.”
“Beh, era giusto che ti sfogassi e che non gli nascondessi più nulla.”
“Infatti, però ci è costato tanto. Comunque adesso tutto è tornato alla normalità” chiuse il discorso senza offrire al suo interlocutore ulteriori spunti per parlarne. “Spero valga lo stesso anche per te.”
“Più o meno. Ancora non ho ripreso a lavorare come prima. Sono impegnato solo con i corsi di nuoto neonatale la mattina e poi, in tarda serata, quando in piscina non c’è più nessuno, nuoto per ore, avanti e indietro.”
“Da solo.”
“Certo, da solo.”
Maya poté ben immaginare il dolore che Mattia continuava ad affogare dentro la stessa acqua in cui si muoveva. “Gli altri ragazzi? Elisa, Daphne, Giacomo... li stai vedendo ancora?”
“No, però Elisa mi chiama spesso. Sai com’è fatta, si preoccupa sempre. Mi ha invitato qualche volta a cena da lei, insieme a tutti gli altri, ma ho sempre rifiutato. Non ho voglia di stare in compagnia.”
“Prova ad andarci, una volta, magari ti distrai.”
“Distrarmi? Con loro? Impossibile.”
Non aveva poi così torto. Tra gli amici di una vita l’assenza di Maya si sarebbe notata come una secchiata di vernice nera su un muro bianco.
“Però ti stai vedendo con qualcuna, nel senso... Ora che sono partita, le tue fan si saranno scatenate per venire a consolarti! O no?”
Mattia rise dolcemente. “Qualcuna sì, ma niente di rilevante.”
“Scommetto che hai combinato qualcosa, invece, lo sento dalla voce!”
Mattia rise ancora. “Hai presente Bianca? E’ abbastanza alta, abbronzata, fa i corsi di acquagym nel primo pomeriggio...”
“Quella cozza? Beh?”
“Non essere cattiva! E’ molto carina, invece. Secondo me sei pure un po’ invidiosa...”
“Ma chi, io??”
“Appunto, fai pure finta di niente... Dicevo, ieri siamo andati a prendere una cosa da bere, però è finita lì. Comunque mi è sembrata abbastanza comprensiva, per il fatto che sono appena uscito da una storia importante. Ha detto che non c’è fretta, intanto possiamo conoscerci così.”
“Mi pare una cosa giusta.”
“Sì, se non fosse che io non ho nessuna intenzione di instaurare rapporti seri, adesso.”
“Aspetta un po’ di tempo. Alla fine è passata solo una decina di giorni da quando ci siamo lasciati, è impensabile chiederti di ricominciare subito qualcosa di impegnativo.”
“Infatti. E poi non ne ho voglia in ogni caso.”
“Presto cambierai idea, ne sono certa.”
Maya decise di chiudere la conversazione lì, in parte perché non voleva sembrare scortese nell’assentarsi troppo a lungo, in parte perché sapere che Mattia non si era ancora ripreso le dispiaceva davvero.
“Tì, devo salutarti, mi stanno aspettando per mangiare.”
“Va bene, vai pure. Ci sentiamo.”
“Grazie della telefonata.”
“Figurati, grazie a te. Non ci speravo nemmeno, che mi rispondessi.” Il sorriso di Mattia era tangibile, anche a migliaia o forse milioni di chilometri di distanza, solo attraverso poche parole sussurrate al telefono. “Ti amo tanto, piccola.”
Maya sospirò una volta, o forse solo mezza. Ma non mentì. “Mi sa che ti amo tanto anche io.”
Interruppe la telefonata così, di corsa, come se avesse paura. Si guardò intorno. Ma cosa stava combinando? Si appuntò mentalmente che prima o poi avrebbe dovuto far chiarezza su questa questione eterna, quindi lasciò da parte i pensieri e rientrò al ristorante.
“Tutto sotto controllo?” le chiese Shannon mentre lei tornava a sedersi.
“Sì, capo” rispose con leggerezza andando a rubargli due patatine dal piatto.
“Chi era?”
Biascicò qualcosa di incomprensibile, sia perché stava mangiando, sia perché non era proprio convinta di volerglielo dire.
“Eh?”
“Mattia.”
“Ah. E... che voleva? E’ tutto ok?”
Maya chiuse una mano a pugno e alzò il pollice, facendogli segno di sì.
“Meglio per tutti” disse lui, un po’ perplesso. Dimenticò presto quell’intrusione di poco conto e la discussione non proseguì.
 

**
 

Erano quasi le cinque del mattino. Maya sbadigliava e sbatteva le ciglia con una frequenza esagerata, come tutti quelli che hanno sonno e faticano a tenere gli occhi aperti. Aveva voglia di andare a casa e dormire per quarantotto ore di fila, ma lo avrebbe negato fino alla morte, per non sembrare scortese col resto della compagnia. La musica assordante di certo non la aiutava. Eppure, di solito non le dispiaceva andare in discoteca. Era la prima volta che visitava quel locale: ne aveva sentito parlare da Shannon in racconti di serate precedenti non meglio identificate e pareva fosse uno dei migliori e più frequentati della città. Ora che era lì, non le sembrava avesse nulla di speciale rispetto agli altri, o probabilmente era troppo stanca per accorgersene. Di gente non ce ne era neanche troppa, ma i drink assomigliavano ad acqua aromatizzata e questo accresceva la sua noia. Qualcuno in pista aveva riconosciuto Shannon e gli aveva chiesto delle foto, niente di più. Anche lui però iniziava a sentire un po’ di stanchezza. Non aveva vent’anni come la sua ragazza, ma sembrava sicuramente più fresco e divertito, anche se aveva visto serate migliori.

“Casa.”
“EH?”
Il batterista non aveva sentito. Il volume della musica era troppo alto.
“Casa!” ripeté Maya, mimandone la forma con le mani per farsi capire.
Shannon annuì, con un sorrisetto tutt’altro che angelico, e continuò a ballare agganciato alla sua donna. Andò a strapparle un bacio dalle labbra stanche. Si poteva ritenere soddisfatto dell’andamento della serata, nel complesso. La ciliegina sulla torta sarebbe stata fare l’amore con lei una volta rientrati a casa. Già pregustava la freschezza dell’aria sulla schiena e quella delle lenzuola che gli accarezzavano le gambe, le dita morbide di Maya che gli premevano sulle spalle, i suoi occhi lucidi, il sangue che galoppava furioso.
La prese per mano e insieme si allontanarono dal centro della pista. Chissà dov’erano gli altri ragazzi. Volevano salutarli, prima di andarsene. Li cercarono per un po’, senza riuscirci. Poi, quando si erano quasi arresi, scorsero Frankie che usciva dal bagno.
“Noi ce ne andiamo” disse Shannon, marcando il labiale per farsi capire. “Salutaci tutti, non sappiamo dove siano!”
“Va bene!” disse l’altro distrattamente. Di sicuro si sarebbe dimenticato. “Buonanotte!”
“Notte!”
E uscirono. La prima cosa che fecero fu accendersi una sigaretta, nel parcheggio poco illuminato. Maya si appoggiò con la schiena ad una macchina, ma non fece nemmeno una parola.
“Sei a pezzi” constatò il suo ragazzo, sorridendo divertito.
L’altra lasciò andare una capriola di fumo oltre le labbra, senza confermare né smentire. “Tu invece?”
“Avrei resistito ancora per poco” le sistemò i capelli, scompigliati dal ballo. “Risparmierò le ultime energie per più tardi...”
“Oh no!” le venne da dire in tutta spontaneità, come una bambina che aveva appena rotto il vaso preferito della mamma. Shannon rise. E che altro doveva fare?
“Ah no? E allora domani niente pancakes per colazione!”

 
  
 
  
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