- Feliciano si chinò vicino al muro di pietra mezzo distrutto
seguendo sempre più catturato quel curioso singulto che lo aveva guidato fin lì
quando poco prima, per schiarirsi un po’ le idee, si era allontanato dalla sua
truppa accampata poco distante da quelle rovine. Il giorno prima avevano vinto
una battaglia proprio lì, ad Amba Aradam, cosa che aveva rincuorato i suoi
commilitoni.
- Un ennesimo singhiozzo, più forte dei precedenti, e
Feliciano girò attorno al muretto scoprendo la fonte di quel pianto che lo
aveva guidato fin lì.
- Rannicchiata in quei pochi centimetri di ombra che offriva
gelosamente il muretto dal sole cocente d’Eritrea, una bambina piangeva
nascondendosi dietro le braccia incrociare intorno alle ginocchia, la schiena
appoggiata alle rocce e i piedini scuri e scalzi erano impuntati nel terreno
polveroso.
- Feliciano rimase basito a fissarla dall’alto. I singhiozzi
la scuotevano leggermente e le ditina dei piedi a ogni tremito si stringevano
sotto gli alluci rotondi e pallidi.
- Fu ad un certo punto, forse si accorse della presenza di
qualcuno la piccola eritrea, ma alzò il viso dalle braccia e alzò lo sguardo
percorrendo la figura che aveva di fronte, fino ad incrociare una bocca appena
schiusa e due occhi, grandi e sinceri.
- Feliciano la fissò ora incantato. I grandi occhi neri erano
incorniciati dalle sopracciglia scure, e splendevano preziosi inondati da
lacrime che scendevano enormi rigando la sua faccetta nera.
- Si chinò portandosi alla sua altezza. Le labbra le tremavano
per il pianto, e continuava a fissarlo, ma era troppo addolorata per allarmarsi
per quella improvvisa presenza. E fu proprio quella sofferenza che si
prigionava da quei due grandi occhi neri a colpire Feliciano.
- La prese da sotto le braccia e la sollevò in alto, sempre
più in alto, verso il cielo limpido e le sorrise.
- Tornò al campo, portandola seduta in braccio. Si era
aggrappata alla sua divisa e stava con la schiena ben dritta e la testa alta a
guardare di fronte a se, ben attenta mostrando ancora con incuranza i suoi
occhi afflitti.
- Avrebbe asciugato quelle lacrime e fatto brillare quegli
splendidi occhi di serenità.
- -Se tu dall'altipiano guardi il mare,
Moretta che sei schiava fra gli schiavi,
Vedrai come in un sogno tante navi
E un tricolore sventolar per te.- aveva intonato Romano, osservandola.
-Faccetta nera,
Bell'abissina
Aspetta e spera
Che già l'ora si avvicina!
quando saremo
Insieme a te,
noi ti daremo
Un'altra legge è un altro Re.- - Ok, dubito che qualcuno si metta a fare storie e moralismi
su questa shot, ma se vi viene in mente evitate perché non li sopporto. La guerra
è guerra, i colonizzatori sono colonizzatori, e penso che gli italiani fra
tanto schifo abbiano fatto molto meno schifo di molti altri.
- Mi ha ispirato la canzone “faccetta nera”, non so se la
conoscete, è una canzone del ventennio fascista, e la storia che si pensava l’avesse
a sua volta ispirata. Colonizzazione dell’Eritrea, anno 1936, un soldato della
legione non mi ricordo il numero ma era “indomita” mi pare, dopo la battaglia di Amba Aradam, trova
questa bambina eritrea rimasta sola. Viene accolta dalla truppa e le viene dato
il nome di Maria Vittoria. Questa storia però non ispirò la canzone perché avvenne
dopo se non sbaglio.
- Comunque, questa volta ho dato la parte a Feliciano, perché lui
è puccioso! Romano intona la canzone solo perché chi la scrisse era palermitano
se non sbaglio. Wahahaha solo io scrivo note a botte di “mi pare” e “se non
ricordo male”!