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Autore: topolinodelburro    06/12/2011    4 recensioni
-Weasley?-
Draco mi chiamò ed io lo guardai, mi lasciai esaminare come un bambino colto in flagrante con le mani nel vasetto della marmellata.
-Vieni a letto?-
Aveva un tono tra l'assonnato e lo spazientito ed io annuii.
-Sì-
Era la fine, e l'inizio già si intravedeva nella trasparenza dei suoi amatissimi occhi. Sapevo che saremmo stati bene.
[Seconda classificata al contest "Its a wonderful - SLASH - world!" indetto da My Pride]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi | Personaggi: Bill Weasley, Draco Malfoy, Fleur Delacour, Narcissa Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Stare bene
to be well






Immagino mi rimarrà sempre qualcosa di Fleur Delacour, per lo meno quelle illustrazioni della nostra vita insieme impresse a caldo da emozioni basilari; raffigurazioni appena consumate e dalla qualità sfocata, quasi lei fosse stata tratteggiata a matita e scolorita dal tempo.
Tornavo dall'Egitto: nessuna cordialità. Solo l'odore cattivo della polvere e del fango del Nilo sul cotone dei vestiti, sudore lungo il naso e tra i capelli, palpebre stanche, e lei sembrava essere uscita all'istante da un bagno di fiori. Così, mi acchiapparono i suoi occhi.
Un folletto ammuffito stringeva in spilli aguzzi i suoi occhietti acquosi all'accettazione della banca, lei stagliatasi accanto rilucente di luccichio proprio come ogni Veela.
Si chiamava Fleur Delacour, le sorrisi -francese incontentabile, stupidamente perfetta- la donna che giurai essere quella della vita. Mademoiselle. Con quei suoi perbenismi nascondeva il lato macchiavellico e voluttuoso delle ragazze di buona famiglia che sapeva mettere i brividi.
Le piacevano gli uomini che non sempre avevano la testa sulle spalle e c'intendevamo: ci trovammo bene; talmente bene che volevamo sposarci anche dopo l'incidente con Greyback. Ci dicemmo sì, lo voglio pochi mesi prima che lei morisse stupidamente, perché Fleur Delacour -femminista nelle ossa- doveva dar prova nella sua esistenza di saper agire per conto suo.
Capita che i ricordi della sera prima quell'ultima battaglia mi vengano a trovare di tanto in tanto. La vedevo: non ci stava con la testa, non era tranquilla. Le tremavano le mani passando la spazzola nei miei capelli -formula delle mie giornate decisive, alla stregua di tappe vitali- volevo mani che amavo districarmi affabilmente i pensieri finché non si fossero sciolti tutti i nodi. Era pensierosa e si strappava la pellicina delle labbra a morsi fino a farle sanguinare.
Il giorno dopo, Hogwarts era un immenso macello; avevo intravisto i Malfoy insicuri di fronte a noi, dall'altra parte della linea ivisibile che delimitava chi sta con chi. Fleur mi stringeva la mano perché ce l'aveva a morte con quelli ancora per la faccenda di Greyback, per il casino che avevano fatto con sua sorella, per quella battaglia al loro Manor. In definitiva per troppe cose, o semplicemente perché avevano quel marchio e sembravano più pentiti degli altri. Non ne resse l'atteggiamento vittimistico; lasciò la mia mano, fece qualche passo avanti e nell'insieme infinito della paura nessuno oltre a me le fece caso, tranne i Malfoy.
Poi la stupidità di quella donna trovò il suo limite perché alzò la bacchetta di legno di rosa; anche se non potevo vederle gli occhi attraverso le fragili spalle sapevo che blu, ribollivano scuri.
E Malfoy che l'aveva vista, lei che urlava qualcosa prima di cadere a terra -il fruscio verde- poi quell'uomo che aveva ucciso mia moglie mi guardò come inorridito.
Non collegai il suo gesto alla legittima difesa, nè pensai a lui come un mangiamorte smosso dall'abitudine. Era un uomo che aveva ucciso mia moglie e poi assimilai -ero senza di lei-. La parte animale di me, mi lacerò la coscienza col rancore. Quello che feci fu terreno come l'erba: mentre Narcissa correva verso il castello per cercare suo figlio, io uccisi Lucius Malfoy. E la donna che fuggiva e che sapevo anche lei una moglie -ed una donna amata- come quella che avevano portato via a me, si voltò con glaciali occhi incandescenti a guardare la faccia dell'uomo che aveva ucciso suo marito. Aveva abbassato le palpebre -non una parola- era sparita. Però io c'ero rimasto per i suoi occhi -come se ci fossi stato dentro- occhi bellissimi.
Seppi in seguito che Draco Malfoy era uscito vivo da quel giorno infernale, e che Narcissa Black si era dimenticata di me per pensare a lui.
Eppure, nonostante sapessi chi fosse Narcissa Black, nelle iridi che si voltarono ad imprimere la mia faccia nei ricordi ci vidi quelle di Fleur Delacour -anche se così diverse, anche se così più sofferenti delle sue- e me ne innamorai. Come una seconda volta.
Dopo la fine della guerra mi mancò quella folle donna francese, mi si inceppava il fiato a pensarci. Pregai notti -e non credevo- perché lei avesse accettato la condizione di fantasma, però sapevo quanto fosse troppo orgogliosa per patteggiare una morte a metà.
Tornare alla vita normale fu un risveglio con la gola secca e la sensazione di aver dimenticato qualcosa; ricominciare impossibile. Ma dicevano che da qualche parte del letto bisognava pure alzarsi, e sebbene l'accettazione della Gringott me la ricordasse con un tempismo giusto da metterci il piede dentro, tornai alle mie vecchie missioni in Egitto.
Fu un caso che rivotato alla mia avventurosa vita prendesse il posto di Fleur alla Gringott Draco Malfoy.
E presentato così -senza tempo- mentre ero nuovamente ricoperto dalla polvere egiziana -senza convenevoli e con una forzata stretta di mano- dallo stesso folletto tedioso, Draco Malfoy mi ricordò Fleur Delacour. Gentleman. Con quei modi perbenisti da ragazzo di buona famiglia e l'aria ancora viziata dell'infanzia. Mi balenò, Cristo. Io di questo ragazzo ho ucciso il padre.
Niente di importante. Solo un rimorso che a vedere la sua faccia nebbiosa mi rosicò la gola e mi fece sorridere nello stringere la sua mano, cordiale.
Di sicuro per quegli occhi che aveva uguali a sua madre o per il suo non essere mai del tutto limpido, mi affondò. O forse per la sua figura amena ma sbrindellata -seppure nella sua perenne eleganza- non ne avevo idea, però decisi che avrei dovuto parlarci con questo opaco cugino di lontana parentela.
Perciò ancora un po' masticato da quei sensi di colpa che avevo nei confronti di suo padre decisi di sondare il terriccio della sua vita e scoprire come se la passava da quella notte di alcuni anni fa, che faceva senza le ali di suo padre e come consolava le giornate di sua madre.
Insomma, così. Senza nient'altra aspettativa se non cicatrizzare appena quello che rimaneva della mia coscienza sanguinante e rigettare indietro nel fondo dell'anima il mio animale. Senza altro proposito che prendere un caffè in sua compagnia nel sofisticato bar di fronte alla Gringott. Quando mi decisi ad offrirgli quel caffè ero di ritorno dall'India -appiccicoso di resina e dall'odore melmoso- i miei anfibi lasciavano tracce paludose sul lucido pavimento. Mi diressi a passo sostenuto all'accetazione. Malfoy storse appena il naso, mulinò insofferente gli occhi ed a me non rimase che ridacchiare.

-Weasley. Non vi smentite mai-

Non aveva avuto l'onore di conoscere Charlie -mi venne da pensare- niente da ridire: un ragazzo d'oro; ma se Draco mi reputava grezzo era perché nessuno gli aveva ancora presentato un domatore di draghi.
Rinsaldai con forza l'elastico dei miei capelli, appoggiai i gomiti sul lustro bancone sghignazzando appena e qualche macchia di fanghiglia inzuppò alcuni documenti disposti minuziosamente.

-Dì un po', Malfoy...-

Alzò una mano -spazientito cenno per zittirmi- serrò le labbra sfarfallando le ciglia e ringhiando spinse le mie braccia vischiose oltre il limite del ripiano in legno; caddero mollemente lungo i miei fianchi. Leggeri fili d'erba si sparsero sulla scrivania e Draco stropicciò le dita alla ricerca di un fazzoletto, il fresco odore della corteccia d'albero si profuse nell'aria.
Sollevai le mani in segno di resa, sorrisi, l'altro me riflesso sullo specchio alle sue spalle arricciò le lentiggini sul naso.

-Scusa. Dicevo, a che ora prendi pausa, Malfoy?-

Sbuffò in un sibilo prolungato ed infastidito.

-Prima possibile. Odio questi folletti-

Si rilassò rilasciando le spalle irrigidite -quasi accettando la nostra conversazione- dando il via ad una serie di blaterazioni ripetitive sull'inferiorità delle creature magiche in genere di cui al momento, i folletti si classificavano in cima alla lista come forme degeneri della natura plasmate da un grumo ammuffito di tamerici. Accordai distrattamente concedendogli la corda che il suo ego chiedeva.

-Mhn. Senti, ti va un caffè al bar?-

Chiesi. Malfoy mi guardò da sotto la sua frangia un po' scomposta che non curava troppo maniacalmente da quando era scomparso suo padre, un sopracciglio gli si inarcò innaturalmente e la sua bocca prese la forma di una smorfia.

-Sì, grazie. Puoi andare a prenderlo e portarlo qui-

Posai un gomito sul ripiano sostenendo la mia testa con una mano, picchiettai innervosito le dita sul legno squadrandolo infastidito da sotto in su.

-Hahaha, divertente cugino-

Malfoy tirò una pacca al mio avambraccio facendomi sobbalzare, si sporse piano verso di me sibilando. Gettò sprizzi d'orgoglio dagli occhi.

-Non siamo cugini-

Mi prudeva il naso e mi grattai il dorso con l'indice, mi scappò un'espressione tra il sofferto e l'ansioso che vidi riflessa nello specchio e Draco dilatò appena le pupille incuriosito.

-Certo, lo so. Passo a casa e torno, scollati dai folletti. Ci vediamo dall'altra parte della strada-

Snocciolai. Mi guardò un po' scettico, ma lo vedevo che un sorriso aveva voglia di nascere sulle sue labbra.

-Ti stai illudendo, Weasley-

Mi informò carinamente. Scrollai le spalle.

-Certo, è come credi tu-

Ammiccai; feci per andarmene e una voce alle mie spalle urlò colorita.
Il locale di fronte alla Gringott non era un comune pub; i toni caldi ma sobri dell'esterno davano l'idea di una raffinata cioccolateria. Era una caffetteria rinomata, sapevo non gli sarebbe dispiaciuta, almeno non abbastanza da fare storie.
Fui seduto al tavolo a sfogliare il menù delle bevande aromatiche in meno di venti minuti; Malfoy ancora non s'era fatto vedere. Non sapevo se fosse già uscito dall'edificio o si fosse smaterializzato a casa da una delle sale apposite installate all'interno della Gringott. Insomma, niente poteva dirmi se avesse accettato e se avesse potuto farlo, probabilmente sì -ma probabilmente anche no-.
Avrebbe dovuto però, perché era solo e lo ero anch'io. Ogni nucleo familiare ha il potere di supportare incubi e sussurri interiori con un'intensità limitata e pone limiti ristretti -ai padri e alle madri piace fingere che tutto vada bene- poi veniva naturale il bisogno di un qualcun'altro, e parlare ai cugini sconosciuti faceva bene -sfogava l'anima-. Avrei fatto il ruolo del fratello per qualche ora e avrei guardato quegli occhi che aveva preso da sua madre, occhi che già amavo -incisivi e scoperti come quelli di Fleur-.
Ecco, voltai lo sguardo alle porte scorrevoli della Gringott e una testa biondissima uscì alzando la visuale e quando mi vide dall'altra parte della strada gettò lo sguardo a terra -mani infossate rigidamente nelle tasche- volto seppellito nella sciarpa grigia che teneva al collo -occhi sempre diletti nascosti-. Maledizione, non capivo: Malfoy era un giovane piacevole. Cupo eccerto, e appena sbiadito; si poteva intravedere che i suoi anni sotto l'Oscuro c'erano stati: aveva quell'aspetto dei ragazzini ossuti che non sanno bene cosa aspettarsi dalla vita, un po' come l'Harry che avevo visto la prima volta alla Tana.
Mi si fece vicino e accennò con la testa, gli indicai la sedia di fronte a me. Si sedette con un cenno d'esitazione. Fu lui a tagliare l'aria.

-Sei stato veloce. Allora che vuoi, Weasley?-

Domandò e i suoi occhi mi guardarono. Mi parve il suo volto assomigliasse a quello di Fleur, forse -in realtà no- forse no, ed io fantasticavo. Insomma: buoni i capelli, potevano andare. Più o meno. Mia moglie aveva una colata di un biondo vivo, rilucenti di una tonalità più calda, come il miele chiaro -indefinibili-. Quelli di Malfoy tendevano al nordico, erano di quel biondo delle etnie abitanti l'estremo settentrione europeo. Biondo che -potevo giurarci- sarebbe sbiadito velocemente. Però amabili anche così, niente da ridire.
Anche i loro occhi differivano spudoratamente. Se Fleur aveva corolle blu, le iridi di Draco erano taglienti ciottoli gliaciali. Possedevano la trasparenza dei minerali e l'artica chiarezza delle stalattiti.

-Weasley. Cosa fissi?-

Eccerto, la domanda che mi fece. Cosa fissavo? Fu come se qualcuno nelle mie orecchie avesse tradotto quell'interrogativo con un altro. Cosa volevo? Che volevo? Non ne avevo idea -ed in realtà- dove stavo per cadere?

-Un caffè, di quelli italiani-

Vidi Malfoy ingrandire le pupille dallo stupore e soppesarmi, come a decidere che razza di individuo potessi essere. Indietreggiò con le spalle sino a poggiarsi completamente alla sedia, poi un sorriso -piccolo- senza nemmeno mostrare un dente. Insomma quasi un sorriso, però lo fece.
Ed uno vero so per certo che lo nascose dietro la tazzina di caffé che ci portò un cameriere qualche minuto più tardi.
Dopo quel primo caffè ce ne furono altri. All'inizio due, forse tre volte la settimana; finché il nostro appuntamento al bar dall'altro lato della strada non divenne quotidiano -almeno quanto la Gazzetta del Profeta- accidenti: una roba seria. Parlavamo poco i primi incontri, però scoprii che Malfoy non era uno che subiva una conversazione passivamente e quando poteva ci infilava dentro la sua opinione -mai combaciante con la mia- ed era piacevole, perché dopo anni qualcuno teneva testa alle mie fantasie assurde facendolo con lo stesso cipiglio nobiliare e orgoglioso di Fleur Delacour. Finché un giorno -d'improvviso- il bel fantasma di mia moglie comparve in quella caffetteria, alle spalle di Draco, e se all'inizio ne rimasi sconcertato divenne velocemente un'abitudine. C'erano giorni in cui la sua illusione non si faceva mai vedere, altri in cui lo affiancava sempre ed io potevo notarne le differenze: i capelli più chiari, gli occhi più spenti. Altri giorni invece lo sostituiva ed a parlarmi non erano più le labbra sottili di Malfoy, ma la bella bocca dolce di mia moglie. Non era un fantasma, non poteva esserlo; lei non parlava mai e non poteva farlo perché nella mia testa non volevo darle voce -mi avrebbe dilaniato- la creavo io, con la voglia che Malfoy mi faceva venire di lei.
Insomma, anche se non costantemente, in Draco Malfoy sentivo Fleur. E le loro due figure si opponevano e fondevano di continuo.
Non ho ricordi chiari su cosa accadde dopo, però mi accorsi che quei caffé pomeridiani iniziarono a non bastarmi e sentivo il bisogno di vedere lui e lei per più tempo oltre la mera pausa lavorativa di venti minuti. Dal momento in cui formulai questo pensiero -senza saperlo, sospettarlo nemmeno- mi iniziai ad imbarcare in qualcosa di serio, che andava assolutamente al di là della compassione o dei sensi di colpa. Rasentava un punto fisso, quasi una cosa folle. Insomma: in lui vedevo la mia donna, stupidamente perfetta e prettamente nobile, anche bella -perché no- ed anche Draco lo era.
E se in Malfoy c'era anche un solo lontano bagliore di Fleur, doveva essere così: lui doveva stare con me.
Di nuovo di ritorno da una missione scassina tombe mi affrettai all'accettazione, dove sapevo l'avrei trovato scocciato e indolente.

-Malfoy-

Balzai d'impeto in avanti e mi allungai sul ripiano in legno, Draco mi scoccò un'abitudinaria occhiata infuocata prima di afferrare le mie spalle e spingermi indietro al mio posto.

-Che vuoi adesso? Non è presto per il caffé? Sono appena le due-

La sua voce si era addolcita appena, sulla fronte gli erano nate interrogative piaghe leggere. Se mi guardava così -scoperto come non poteva essere- come poteva uscirmi anche un solo filo di voce? Biascicai.

-Al diavolo il caffè. Cristo, Malfoy. Oggi c'ho quasi rimesso la pelle-

Avrei voluto che capisse, ma in realtà non poteva; Fleur era nascosta e la mia testa non riusciva a disegnarla in quel momento. Innalzò un curatissimo sopracciglio.

-Quindi?-

Ci sono volte nella vita in cui o la va o la spacca. E qualcosa del suo atteggiamento stava sussurrando al mio adrenalinico cuore martellante che sarebbe andata.

-Quindi niente. Che fai stasera?-

Alzò le spalle, mi rispose piano.

-Niente. Vado a casa-

Risi -forse di sollievo- riposai i gomiti sul legno, sopra le scartoffie della Gringott.

-Esci con me-

Mi squadrò scettico.

-E' una domanda?-

-No, te lo sto dicendo. Alle 8, all'entrata di Diagon Alley-

Ammutolì, per diversi minuti, ma alla fine alzò lo sguardo per incontrare il mio.

-Tu non ci stai tutto con la testa, Weasley-

Allargai le braccia come ad affermare è così che gira il mondo, mi voltai andandomene. Che blaterasse incoerente quel che voleva, era andata Cristo, di questo potevo esserne sicuro.

-Andresti d'accordo con mia madre-

E prima di sparire sentii dietro di me un'esclamazione seccata.
Malfoy si domostrò stranamente docile, e non solo durante quel nostro primo appuntamento. Sembrava quasi volesse lasciarsi incantare al mio modo -stare al mio gioco- insomma così: senza fare obbiezioni, o per lo meno, nessuna di seria. Quasi ne avesse bisogno di essere con qualcuno.
Dio, andavamo a genio; stavo sopra mille miglia al paradiso con Draco e l'illusione di mia moglie: stavamo bene, bene da morire. E se lui voleva usarmi per sentire qualcosa in più del solito disprezzo che riversavano tutti verso la sua famiglia -ottimo- che lo facesse pure. Purché con lui avessi continuato a stare così bene.
E poi sentivo Fleur, eccome se lei c'era. E non capivo perché, però con quel ragazzino provavo cose che solo con mia moglie avevo sentito sulla pelle. Impazienza, e volevo baciarla -cioè- baciare lui e non ci dormivo la notte perché dovevo rivedere lui e rivedere lei.
Forse aveva ragione Malfoy a dire che non ci stessi con la testa. No, avevo smesso di pensare, funzionavo ad impeti e pulsioni. Fottuti impeti, fottute pulsioni.
Finché un giorno ero talmente fuori che lo baciai e lui mi rispose, poggiò una delle sue mani sopra il mio cuore, quasi a sorreggersi. Fu fiabesco, l'unica cosa: era che in quel bacio non ci fu Fleur. E nemmeno in quelli che vennero dopo. In nessuno, non si intromise mai.
Scoprii che Malfoy era un tipo di tanti complessi, perché qualche minuto dopo si allontanò da me sussurrando fievole quasi mortificato e scuotendo la testa.

-No. Mi ero dimenticato...-

Ma si era dimenticato cosa?

-Cosa?-

Chiesi. Mi guardò come se non capissi.

-Che non si può-

Stralunai arricciando appena gli angoli della bocca, lasciando che un sospiro divertito ponesse la domanda che mi pizzicava.

-Perché?-

E Draco aprì la bocca, mi guardò a lungo con quegli occhi che gli aveva dato sua madre di cui mi ero innamorato -ne ero innamorato?- ma non seppe rispondere alla mia domanda, boccheggiò alcune volte. Scrollò le spalle mulinando le iridi al cielo. Scosse la testa.

-Devo andare-

Concluse; lo fermai prendendolo piano per un gomito cercando di farmi guardare in faccia.

-Ci vediamo domani-

I capelli gli caddero sugli occhi e sebbene volessi spostarli non mossi un muscolo. Lo sentii mugolare sommesso.

-Forse-

-Dio, Malfoy. Lo vuoi. Che altro ti serve?-

-Tra uomini...-

Boccheggiò ed io ringhiai. Lo sapevo.

-Lo so. E Chissene-

Cristo, e chissene. Non vedevo Fleur accanto a lui, la sua illusione non diede segno di voler comparire, ma ci feci poco caso -molto poco-. Sbuffò borbottando.

-Non lo so. Ci devo pensare-

-Mhm. Ci vediamo domani-

Annuii, poi lasciai che il suo braccio scivolasse via dalla mia mano e se ne andò senza voltarsi indietro. Mia moglie -muta- apparve e mi guardò, accennò un sorriso prima di seguire i passi di Malfoy dandomi le gracili spalle.
Mi stupii ancora -dieci, cento, mille volte- di quanto Draco si stesse dimostrando arrendevole nei miei confronti. Era incapibile quel ragazzo, e non seppi mai perchè accettò di frequentarmi in modo serio. Lo fece, e ci mise la sua anima cruda e mordace nel farlo.
Avrebbe potuto scovare centinaia di motivi per non frequentarmi: primo tra tutti il suo nome. Secondo ma non meno importante il mio e terzo ma anche questo vitale: Astoria Greengrass -belle gambe, bella tutta- la ragazza capitava spesso alla Gringott per ricercare la sua compagnia ed invitarlo a coktail ai quali non potevo osare pensare di partecipare. Ma lui: sorriso gentile di cortesia ed un rifiuto.
Eppure Astoria non era una che si poteva rifiutare, nè lei si lasciava scaricare troppo leggermente: ricca di carisma, di capelli scuri e stracolma di fascino principesco e malizioso.
Però Malfoy no, e quando gli chiesi perché non dava un'opportunità a quella buona figliola ci rimase pure un po' piccato.

-Esco già con te, no?-

Mi pungolò. E borbottando come una teiera se ne era avviato per la strada che stavamo percorrendo, sbottando selvatico.
In definitiva non amava troppo la vita mondana, notai, cosa che di lui non avrei mai sospettato. Adorava vantarsi, con o senza pubblico -spesso ero io, i suoi spettatori- però privilegiava il camino alla calca dei locali, ed una partita a carte in casa agli aperitivi serali.
E consapevole di questo un giorno presi il coraggio a quattro mai e decisi di portarlo alla mia perla -sul mare di Cornovaglia- la casa che condividevo con Fleur. Rimase disorientato e vacillò a lungo prima di entrare: lo vidi passare lo sguardo intorno, prima al mare spumeggiante all‘orizzonte.

-La sabbia mi entra nelle scarpe-

Esclamò acidamente; poi gli occhi diletti si spostarono alla scogliera che nascondeva la villa dalla strada principale.

-Dio Weasley. Questo vento non si può isolare?-

No, non si poteva, ridacchiai. Fissò le iridi alla casa, alla porta, a quello che c'era aldilà dell'uscio che avevo aperto oltre il quale si intravedevano le pareti pastello e i mobili chiari. Mi parve in un'impressione che l'illusione di mia moglie affianco a lui scuotesse i suoi capelli biondi e gli sussurrasse appena nell'orecchio prima di entrare; Draco scosse la testa e mosse il primo passo dentro la mia casa, percorse per la prima volta il mio ingresso, ed io vagheggiai potesse essere anche il suo di ingresso.

-Che ne dici?-

Chiesi. Faticò a trovare parole, da quello capii che gli piaceva, gli piaceva eccome. Mormorò.

-Carina. Semplice. Però è raffinata-

-Sì-

Affermai: sì, era la mano di Fleur, io non avevo avuto cuore di toglierne il tocco dopo la sua morte. Soprammobili dalle origini fini ed importanti facevano ancora bella vista sui pensili, Draco si fermò ad osservare una conchiglia con la sua perla posta sopra il caminetto, poco più in là c'erano alcune lavorazioni pregiatissime fatte con il soffio del vetro che sapevo l'avrebbero elettrizzato. A terra in salotto, un tappeto giapponese lo incantò.
Piantò i piedi nel bel mezzo del soggiorno, arricciò il naso e fece qualche volta il giro su se stesso muovendosi piano prima di riportare la sua scostante attenzione su di me.

-Quindi?

Chiese.

-Quindi cosa?-

Mulinò gli occhi.

-Quindi che faccio qui?-

Scrollai le spalle.

-Ah. Volevo un posto per baciarti ed ho pensato, casa. Sempre che ti piaccia-

Lo vidi alzare un sopracciglio, si guardò ancora qualche volta attorno. L'illusione di Fleur si dissipò lasciandoci soli, prese il suo posto una leggera angoscia sulla bocca del mio stomaco.

-Altrimenti c'è sempre la spiaggia: posso accendere il fuoco. Magari hai fame? O potrei portarti un bicchier d'acqua. Credo che farò proprio quello-

E ormai privo di parole mi rifugiai in cucina. Posai le mani al lavello, ero nel panico. Mia moglie era svanita e mi aveva lasciato da solo con Malfoy in casa nostra. Sapevo che quell'illusione non era un fanstama con istinti propri -non aveva volere- non capivo perché la mia testa non volesse vederla in quel momento. Accidenti, ero da solo con Malfoy. Come le ultime volte che l'avevo baciato, Fleur se ne andava ed io rimanevo scoperto con lui, con la voglia di osare ma senza sapere come.
Sentii i passi di Draco raggiungermi in cucina e percepii una delle sue mani toccarmi piano una spalla.

-Weasley-

Disse, e mi voltai.

-Mh?-

Corrugò la fronte allargando le braccia -gli occhi cristallini ombreggiati da qualcosa-; continuò.

-Non credo sia il caso-

-Il caso che non sia, quale?-

Domandai. Aprì la bocca e mi fissò, storse appena gli occhi e non sapeva più che dire. Posai le labbra sulla sua bocca aperta e strinsi i suoi capelli tra le mani. C'erano le scale da fare, questo mi arrivò alla testa, che dovevo fare le scale e con Draco sarei stato nella stanza di mia moglie. Mia e di mia moglie. Non pensai che non sapevo come si toccava un uomo, né che non sapevo cosa provare per un uomo; non sapevo se si potesse provare amore, però c'era qualcosa di caldo e vischioso che si stava licquefacendo nel mio cuore. Draco aprì le palpebre e gli occhi che amavo mi guardarono. E io li amai davvero. E poi amai anche lui.
E Malfoy ancora cedevole -sempre- come un agnello acerbo e amaro, si lasciò trattare da mani che fino ad allora avevano dato piacere solo a donne formate ed avvenenti. -Ancora- intanto che si lasciava andare mi domandai il perché di quell'estrema remissività.
Poi quando ci scoppiò l'anima -ad entrambi, perché si erano toccate- lo strinsi e glielo chiesi.

-Perché sei così calmo?-

Si rigirò muto nel mio abbraccio, schiudendo le ciglia chiuse. Mi era vicinissimo, e d'improvviso nel suo viso notai imperfezioni che non immaginavo potesse avere. Ad esempio le fossette, la fronte un po' troppo spazioza che nascondeva bene con i capelli; un filo di barba ruvida e la mandibola un po' da ragazza. La sua perfezione cadde, e sorrisi posando la bocca sul suo collo: benvenuto tra i mortali, non potevo crederci. Era mio davvero?

-Calmo come?-

Domandò.

-Che non ti fai domande, che non dici niente-

Ci pensò, molto. Scese in cucina senza una parola ed io lo seguii: aveva fame, disse. Mangiammo qualcosa. Tra un boccone e l'altro, attirò la mia attenzione. Mandò giù una forchettata di cibo.

-Non sono mai stato fuori controllo-

-Fuori-da-che?-

Chiesi, Draco fece spallucce inghiottendo un altro boccone di cibo.

-Non ho mai avuto qualcuno che non mi dicesse cosa fare-

Ridacchiai nervoso.

-Ed io ti starei dicendo cosa fare?-

Domandai, e quello annuì. Cristo.
Mi vide perplesso e mi sogghignò in faccia.

-Non preoccuparti Weasley, non ho ancora intenzione di lustrarti le scarpe-

-Come minimo. E senti, siete stati tutti così, voi...-

Corrugò la fronte. Gli occhi gli si offuscarono appena.

-Noi?-

Lo indicai, indicai il suo braccio e Draco posò lo sguardo sul suo marchio oscuro. La sua voce calò di qualche timbro.

-Ah, sì. Dipende. Da quando non c'è mio padre, ho un po' perso la linea-

La linea, intedeva la strada, la vita?

-Intendi?...-

-Sì, cioè... che fare nella vita-

Ecco, lui era la mia Fleur, ed io ero la sua linea. Alla grande, alla grande. Mi sorrise, mi trovavo bene con lui.
Così bene che le cose si fecere serie, troppo serie. Talmente serie che non seppi mai come riuscii ad arrivarci ad invischiarmi in quel modo con lui. Fleur stava scomparendo, la vedevo sempre meno ed avrei avuto voglia di vederla di più e l'unico modo era avere Draco sempre. Lui non mi dispiaceva, non mi dispiaceva per niente. Mi rendeva doppiamente felice. Primo perché era lui: era una persona scostante e acida come un limone, ma nonostante tutto in sua compagnia stavo sereno, e col tempo ed un po' di forza riuscii a tirare fuori lati di lui che me lo fecero amare -meglio, in modo migliore- indipendentemente da mia moglie.
Come il suo lato dolce; che in realtà non lo era: mi piaceva vedere quella sua tranquilla sfaccettatura casalinga come un comportamento romantico. Mi piacque il suo fortissimo senso della famiglia: ebbi il sensore che -dal momento in cui gli avevo fatto mettere piede nella mia perla- lui avesse deciso ch'io facessi parte della sua, di famiglia. E per lui questa cosa aveva grandissimo senso. Accidenti: mi aspettava dopo le missioni -con l'ansia di uno che aveva paura di perdere qualcosa, gliela si leggeva in faccia- delle volte attendeva pure a villa Conchiglia, le cui chiavi gliele avevo date io. Non cucinava, però mi faceva trovare qualcosa pronto e caldo comprato in qualche localino costoso, dal sapore gustosissimo. Era una chicca di ragazzo quando voleva.
Di lui mi piaceva anche la determinazione profonda, e tra le tante cose del mondo scoprii di volerne molte delle sue nella mia vita, non ultimi quegli occhi presi da sua madre di cui ero follemente innamorato. Non me ne sarei privato, non io. E lo misi di fronte ai fatti compiuti: lo volevo nella mia vita -fosse stato anche solo per quella fugace illusione di mia moglie- lo volevo nella nostra casa.
E fu lì, che l'etichetta Malfoy si impose.

-Non senza che ti veda mia madre-

Patteggiò, e sebbene quella clausola mi avesse percosso, tramortito l'anima e sviscerato le arterie, l'accettai come da sempre saputa. Fin da quando gli proposi quel caffé di scuse -che lui ignorava- avevo percepito che il momento del giudizio degli occhi amati sarebbe arrivato. Già da prima di conoscerlo mi ero pentito di non aver strappato quegli occhi da quella faccia -di quella donna- e di averla risparmiata. Ed ora pesava, la mia mancanza.
Non ero tipo da tirarmi indietro, non con già mezzo piede nella scarpa.
Eppure Narcissa Black, sapeva quello che sapeva; e potevo immaginare non avrebbe mai permesso mettessi la mia faccia in casa sua, per non parlare delle mani nel suo barattolino di miele. Potevo ipotizzare mi allontanasse da suo figlio rendendolo partecipe di quanto sapesse, e a me sarebbe rimasto da vedere solo i loro occhi diletti odiarmi entrambi; avrei perso Draco e l'illusione, la mia nuova occasione datami dalla vita.
Però quelle cose si dovevano fare, il compagno del rampollo andava presentato alla madre, e con l'aria bastonata di chi doveva fare qualcosa perché doveva mi lasciai trascinare da Draco a Malfoy Manor, un pomeriggio dove Narcissa Black ci avrebbe ricevuto nel bel mezzo di un tè ed una partita a carte di convenevoli.
Non appena entrammo nel soggiorno dell'imponente villa mi ghiacciarono i suoi occhi. La vidi alzarsi in piedi e immaginai urlasse ma non lo fece; parve contrarre la mandibola ed innalzare il capo -le sue ospiti ci osservarono incuriosite da dietro il loro ventaglio di carte da gioco- apocalittica e superba come una fiera, dagli stessi occhi dardeggianti delle linci. Parlò incisiva e tonante.

-Draco, dicevi avresti portato ospiti-

-Infatti-

Confermò avvicinandosi a sua madre, le prese le braccia e l'avvicinò a sé per baciarla. Mi fece segno di venirgli accanto.

-Madre, William Weasley-

Fui presentato; non parlai nè le tesi la mano, lei mi freddò con tali dardi fiammeggianti che fui certo non avrebbe mai potuto accettarmi nella sua famiglia in ogni caso. Draco tossicchiò.
Ci guardammo, mi seppellii nei suoi amati occhi. Lo spettro di Fleur apparve anche dietro di lei, balenò qualche volte prima tra i capelli di Draco, dischiuse le sue labbra dietro la bocca severa di Narcissa prima di tuffarsi nei suoi occhi cristallini. Poi l'illusione di mia moglie svanì lasciandomi il consueto senso di disorientamento. La signora Black chinò leggermente il capo.

-Non ho dimenticato, William Weasley-

Che potevo dire a quella donna?
Ho ucciso tuo marito, ho rubato tuo figlio e lui ha fatto di me la sua linea ed io ho fatto di lui ogni consolazione alle mie pene. Fleur mi lasciava sempre più spesso da solo.

-Immagino sarete assetati, del tè?-

Chiese quasi cordialmente -era una padrona di casa- negai, senza coraggio di farle sentire la mia voce. Draco annuì e mi guidò nel soggiorno dove ci sedemmo accanto sullo stesso divanetto pervinca. Malfoy salutò cordialmente le ospiti di sua madre prima di inzuppare un biscotto -afferrato da un vassoio di dolcetti- nella tazzina che gli aveva porso la signora Black.
Non sapevo di che parlare con quelle donne; una di esse mi propose di unirmi al gioco intanto che Narcissa tornava al suo posto e riprendeva in mano le sue carte. Accettai deglutendo un nodo di saliva in bocca, mi furono date 14 carte ed il gioco prese vita.
Giocavano a Rummy, era stato mio nonno a volere a tutti i costi insegnarmi il così detto gioco delle famiglie inglesi. Perché ti servirà un giorno aveva detto, e se fosse stato ancora vivo l'avrei baciato su quella guancia rugosa che si ritrovava accendendogli la sua pipa preferita.
Passò del tempo e l'orologio a muro lo rintoccò; avevo la testa a Draco che sgranocchiava ancora biscotti nel suo tè quando un'amica di Narcissa Malfoy aprì, e mi sentì dare dal ragazzo al mio fianco una gomitata nelle costole, avviso che significava: datti una mossa, perdente. Ma non sbagliavo nel credere che avesse anche potuto significare ho bisogno che tu vinca mia madre. L'avrei fatto; non sapevo perché non avesse parlato a Draco della battaglia ad Hogwarts, ma non gliene avrei dato occasione. Amavo Draco, davvero, lei non me ne avrebbe privato.
Raccolsi i miei pensieri e li riassemblai prima di immergermi ancora nelle carte. Passammo turni; scoprii che non si trattava di una partita isolata, ma di un torneo che durò svariati gironi, finché tutte le amiche di Narcissa Malfoy non superarono il tetto consentito di 300 punti e furono eliminate. Rimanenno io e la signora Black in gioco. Mi soppesò perplessa e cavillosamente divertita.

-Stai giocando bene, Weasley-

Aveva la stessa voce allusoria di Draco e gli stessi occhi artici.
La partita di carte peggiore della mia vita la ebbi contro Narcissa Black; mi urlavo dentro che non avrei potuto permettermi il lusso di perderla.
Guardai le mie carte ed il tavolo, guardai tra le sue mani e vidi sei carte quando tra le mie erano due. Pescai dal mazzo trovando un Re di Picche. Un impotente Re di Picche quando sarebbe bastata una deliziosa Regina di Cuori per completare la mia scala già sul tavolo. Scartai.
Poi vidi Narcissa Black soppesare il mio scarto, e mentre un sudore freddo prendeva a nascermi lungo il collo una sua mano pallida -abbellita da anelli di corallo- si allungò al centro del ripiano in vetro per afferrare il Re. Una delle amiche al suo fianco ridacchiò sbirciando oltre il suo ventaglio.
Infine Narcissa Black chiuse il gioco con un ramino e mi vinse con quel Re di Picche.

-Sei stato bravo, Weasley-

Prese una tazzina di tè dal vassoio e la sorseggiò piano.

-Draco ha un'attrazione particolare per i vincenti, lo sapevi?-

Appoggiai miseramente le spalle al tessuto morbido del divanetto vittoriano e Draco seguì il mio gesto, abbandonando l'ultimo biscotto rosicchiato a metà sul bordo del tavolo.
Sospirammo guardandoci, Narcissa Black ci sorrise nascosta dalla sua ricamata tazzina di porcellana.
L'ora del tè si concluse presto e le amiche salutarono, anch'io e Malfoy ci dirigemmo all'uscita. Prima di andare, Draco volle parlare in privato con sua madre: mi fece segno di allontanarmi, ma lo feci appena, non abbastanza da non riuscire a sentire ciò che si dicevano i quattro occhi grigi amati. Con la coda dell'occhio vidi il ragazzo torturarsi le mani tra loro prima di aprire bocca.

-Vi è piaciuto, madre?-

Narcissa alzò il viso: lo scopo osservare meglio l'unico figlio prezioso.

-No-

Vidi il mio compagno soppesare con cura le parole inumidendo le labbra secche.

-Potrà piacervi?-

Allora: erano gli occhi che aspettavo da quella notte; sentii lo sguardo di Narcissa Malfoy talmente caldo da colare i miei stivali in pelle di drago.

-No-

Disse solo; poi ticchettò appena le sue scarpe sul pavimento andandosene, lasciando Draco così: incerto nell'ingresso della casa dove era stato bambino. Mi guardò cercando conferme; fece per inseguire sua madre quando lei l'anticipò riapparendo dal corridoio con una strana espressione in viso. In quel momento giurai, glielo dice, ora quella donna parla. Ebbi il terrore che Narcissa Malfoy confessasse alla mia acquiescente anima che avevo ucciso suo padre. Lo persi mille volte in quei secondi. E mille volte giurai che quella donna dagli occhi che amavo e che aveva dato a suo figlio non me lo avrebbe portato via. Non come suo marito aveva fatto con Fleur.

-E' troppo cattivo per te, Draco-

Parlò, ma non a suo figlio: guardò me, che sostenevo instabile e feroce il suo sguardo. E nei suoi occhi freddi vidi tuttavia gli occhi angosciosi di una madre.
Ammirai Malfoy mordersi appena il labbro e voltarsi piano, precedendomi all'uscita. Tornammo a villa Conchiglia. Non passò troppo tempo, qualche giorno o qualche settimana forse; le mattinate venivano sbalzate via dall'incalzante consapevolezza di avere qualcuno vicino. Draco mi faceva sopportare sanguinose missioni in Sudamerica aspettandomi a casa con il recipiente di disinfettante sotto il braccio. Ero saturo, non c'entrava nient'altro nella mia vita tranne il capriccioso Malfoy e pian piano anche Fleur -privata di spazio- iniziò a comparire meno nella mia testa. Se mai avevo voluto averlo in casa per cogliere in lui qualsiasi cosa fosse rimasto di lei, scoprii che lei aveva smesso di servirmi. La mia illusione era reticente ad invadere la nostra nuova intimità, ed io avevo smesso di vedere lo spettro di mia moglie: quello che rare volte appariva accanto a Draco era il passato.
Ammetto d'aver pensato -le prime volte- che qualcosa stesse mutando, aspettandomi che in lui nascesse qualcosa di Fleur Delacour, ma attendendo questo sbagliavo e perdevo tempo. Era la mia illusione, ed un giorno la vidi senza di lui: nei miei incubi il fantasma di mia moglie si abbeverò in cucina sorseggiando piano una tazza d'aqua fredda, poi svanì, ed io mi svegliai.
E scoprii che nella mia vita Fleur Delacour non c'era più e c'era invece Draco Malfoy.
L'avevo svegliato, mugolò qualcosa nel letto al mio fianco.

-Bill? Dormi-

Strabuzzai gli occhi al buio. Posi la domanda che mi attanagliava le costole.

-Quando vai a prendere le tue cose da tua madre?-

Sussurò sbadigliando, allungò un braccio verso di me toccandomi il fianco.

-Presto. Vieni giù, scemo-

Poi scoprii che quel presto era davvero presto, ed il giorno dopo Draco ed io eravamo di nuovo a Malfoy Manior per dire addio.
Era mattina, Narcissa Black ci aspettava sulle scale nella sua elegante camicia da notte ed era travagliata e pallida come il giorno della battaglia ad Hogwarts, labbra livide e gote vermiglie che balzavano nel pallore generale del suo volto.
Mi sembrava innaturale, così disperata come né io né Draco l'avevamo mai vista; la sua determinazione mi fece paura. La sentii ruggire.

-Non puoi andartene, Draco-

-Mi dispiace-

Disse. Intanto saliva le scale, oltrepassava sua madre fermandosi qualche secondo sul pianerottolo, alzava risoluto il capo riprendendo la camminata verso i piani superiori.

-Draco!-

Sua madre urlò, vidi serpeggiare i suoi occhi ghiacciati verso di me; rincorse il figlio fin nella sua camera. Dal fondo delle scale aspettavo e udivo ogni parola.

-Sono tua madre-

Sentii affermare con rabbia e poi altro ancora: fui sicuro fosse giunto il momento.

-Tuo padre si rivolterebbe nella tomba. Draco, quell'uomo...-

Tornarono di nuovo sotto la mia visuale.
Draco ridiscese le scale con calma, una borsa sulle spalle. Sua madre si fermò sulla cima della scalinata aggrappandosi alla colonna portante in marmo accanto ad essa; aveva il respiro accelerato e si stringeva la vestaglia all'altezza del cuore.

-Draco, possiamo parlare?-

Chiese -l'anima in mano- occhi che amavo quasi piangenti. Fu talmente brava a porre l'angoscia su d'un piatto d'argento che avrei potuto credere anch'io, al suo incubo.

-Domani-

Le venne risposto; lei scese appena qualche gradino. Ringhiò aggressiva.

-Tu devi sapere-

Draco tentennò.

-D'accordo. Parlate madre-

Narcissa Malfoy si ritrasse appena nelle proprie spalle, posò i suoi occhi bellissimi -che altro non erano quelli di Draco- su di me. Aspettammo. La signora Black fece per aprire bocca.
La mia magia involontaria spalancò le finestre ed un vento che le scompigliò gli intricati capelli biondi entrò in casa. La vidi volteggiare gli occhi finché non si posarono su di me, credo qualcosa la spaventò del mio sguardo: nella mia testa rimbombava il pensiero funereo non parlerai. E Narcissa Black era una buona legilimens.

-Da soli Draco, parliamo io e te-

Tentò, era dolce.

-Bill deve lavorare per la Gringott oggi pomeriggio, è già tardi-

Diede un'occhiata all'orologio a pendolo attaccato nell'atrio.

-Draco, andiamo a casa-

Rincarai. Non aveva il coraggio di confessare in mia presenza quella donna? Non avrebbe avuto altro tempo per trovare il coraggio di parlare, giurai. Narcissa Black non avrebbe parlato domani.
Annuì, ed entrambi lasciammo Malfoy Manor sotto lo sguardo inconsolabile di Narcissa Black. A casa mangiammo qualcosa in fretta, in silenzio. Nessuno aveva voglia di fare comunicazione.
Poi prima che me ne andassi Draco si confidò, scompigliandosi pensieroso i capelli.

-Domani andrò a sentire cos'ha da dirmi mia madre. Accidenti. Non riesco a capire che le prende-

-Ma niente. Avrà uno di quegli esaurimenti da menopausa-

Lo rassicurai -falsamente, io sapevo cosa avesse quella donna-. Lo sentii perplesso, e non andava bene.

-Non so. Anche dopo la morte di mio padre... Ha sempre ripetuto che quello che volevano entrambi era ch'io stessi bene-

-E tu stai bene. Cioè, stai bene con me?-

Mi guardò, ancora con quei fantastici occhi amati; di Fleur nemmeno un alone lontano: solo un leggero pensiero remoto.

-Certo che mi trovo bene con te, William. E' il massimo che i miei potessero volere per me, no? Che stessi bene-

Sì, aveva ragione. Era così, io l'amavo. Narcissa Black era in errore.

-Sì. Tu lo sai, vero? Io ti amo-

Confermai. Certezze, certezze. Le cercavo sul suo viso, lui corrugò la fronte inarcando un sopraciglio.

-Lo so. Bill, sei strano oggi-

Sobbalzai.

-No. E' che è tardi, ci vediamo stasera-

Un bacio di arrivederci e uscii dalla porta: destinazione Perù, dopo di che -il mio cuore piangeva- tappa a casa; infine villa Malfoy. La missione finì -troppo presto- e per le undici di sera ero già a villa Conchiglia. Draco stava sbrigando qualcosa sul divano.

-Già di ritorno?-

Chiese, ed io annuii.

-Sì, ma devo ripartire. Mi hanno chiesto di sistemare una faccenda-

Sembrò sorpreso, e fece altre domande.

-Straordinari?-

Ridacchiai nervoso.

-Già-

-Mhm, io vado a letto Bill-

Fece per andarsene ma lo richiamai, si voltò interrogativo nella mia direzione.

-Faresti una cosa per me?-

Domandai. Lo vidi annuire. Indicai i miei capelli.

-Mi scioglieresti i nodi?-

Mi soppesò incerto prima di scrollare le spalle e sorridermi aperto.

-Prendo la spazzola-

Sparì nel bagno per poi ritornare. Mi accomodai su di uno degli sgabelli della cucina. Sentii le sue mani sciogliere il mio elastico e prendere in mano i miei capelli, rossi lo sentii blaterare. Volevo mani che amavo districarmi affabilmente i pensieri finché non si fossero sciolti tutti i nodi. Sentii la spazzola passare un po' grezza sulla mia testa, e ricordai Fleur che aveva la mano più dolce di quella di Draco.

-Una volta era Fleur a farlo-

-Ah sì?-

Chiese, un po' spazientito forse, ed io sbottai un sorriso annuendo.

-Bene-

Continuò, come ad affermare che la cosa non gli importasse, ma la sua mano si era fatta ancora più decisa. Io ripresi, il mio tono di voce si abbassò.

-Prima delle occasioni importanti. Come il giorno prima della battaglia di Hogwarts-

Sentii le sue dita fermarsi qualche secondo, poi riprendere dolcemente.

-Com'è morta?-

Chiese, ed io mentii.

-Una maledizione vagante-

Basta, ora. Non volevo più niente nella nostra vita che avesse a che fare con Fleur Delacour, nè con i Malfoy. Perché era solo nostra -avrei voluto fermare ogni orologio del pianeta- ed io avevo avuto il diritto di uccidere suo padre, ed ora avevo il dovere di assicurarmi che Draco stesse bene, perciò sua madre doveva starne fuori.
Cambiò discorso con molto tatto.

-Perciò questa è un'occasione importante? Dove stai andando Weasley?-

Quando non sentì la mia voce rispondere posò la spazzola sul tavolo, ormai tutti i nodi si erano sciolti.

-Spero tu non vada a farti male-

-No starò bene, starai bene con me-

Lo vidi alzare un sopracciglio poco convinto.

-Se lo dici tu. Comunque, oggi sei strano Weasley-

Mi baciò.

-Buona fortuna-

E si avviò verso le scale, io varcai la soglia e mi richiusi la porta alle spalle.
Buona fortuna. Dio, Draco. Stavo andando ad uccidere sua madre. Mi sentii male, ma quello che era giusto andava fatto, e poi chi aveva ucciso una volta quasi sempre ricadeva nel delitto, almeno per tentare di assicurarsi l'impunità. Draco non doveva sapere.
Tornai che era molto tardi e feci molto rumore entrando in casa. Avevo in bocca e sulle mani un sapore ferroso. Andai in bagno e mi gettai vestito sotto la doccia, poi scesi in cucina ed alla luce lattiginosa della luna mi sedetti da solo con me stesso al tavolo.
Sentii un rumore arrivarmi alle spalle.

-Weasley?-

Draco mi chiamò ed io lo guardai, mi lasciai esaminare come un bambino colto in flagrante con le mani nel vasetto della marmellata.

-Vieni a letto?-

Aveva un tono tra l'assonnato e lo spazientito ed io annuii.

-Sì-

Era la fine, e l'inizio già si intravedeva nella trasparenza dei suoi amatissimi occhi. Sapevo che saremmo stati bene.

   
 
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