Che
cazzo ho fatto? Devo essere impazzito, baciarla così e a
scuola per giunta,
poteva vederci chiunque con il rischio di essere pure sospesi.
Possibile che faccio
sempre casini?
Tsubasa si
rigirava sul letto
impossibilitato a capacitarsi di quello che aveva combinato. Il suo
gesto era
stato puro istinto, una mancanza di autocontrollo dovuta alla sua
incapacità di
gestire la situazione, avrebbe fatto di tutto per fermare Sanae, per
riuscire a
parlarle, ma con quella trovata era solo riuscito a compromettere
ulteriormente
la situazione. Ora lei lo odiava, glielo aveva letto in faccia quando
gli
intimava di non avvicinarsi più a lei. Si toccò
la guancia: non provava più
dolore, non su quella parte di pelle che era stata colpita. Ma nel
profondo,
nel suo cuore, qualcosa faceva ancora più male dello
schiaffo carico d’ira che
aveva ricevuto.
Non
sono in grado di capirti né di comunicare con te, Sanae, ma
che razza di
persona sono? Sono veramente in grado di muovermi solo in un campo da
calcio? Quanto
deve averti fatto soffrire il mio comportamento per farti arrivare a
questo
punto. Adesso mi sento in grado di capirti, quello che è
successo oggi, mi ha
aperto gli occhi. Quando mi hai guardato con tanto disprezzo ho capito
cosa provavi
quando ti avvicinavi a me sorridente e non facevo che parlarti di
partite,
tattiche di gioco e del mio desiderio di andare in Brasile. Non penso
mi
perdonerai.
A un
tratto si alzò dal letto e
andò a prendere il telefono al piano inferiore, sua madre
vedendolo passare lo
chiamò per chiedergli come mai non volesse cenare. Si
sentì in colpa anche nei
suoi confronti: come sempre suo padre non c’era e aveva
lasciato che sua madre
mangiasse da sola e preoccupata.
- Scusa,
è che sono di cattivo
umore, ma se ti va fra poco usciamo così andiamo ad
affittare un film. Scegli
quello che vuoi.- le fece l’occhiolino.
Premette
il tasto numero tre
per le chiamate rapide e una voce infantile gli rispose.
-
Atsushi-chan! Sono Tsubasa.-
-
Tsubasa-kun!- il bambino esclamò
felice come una pasqua, dato che lo vedeva come una specie di idolo da
emulare.
- Senti,
posso parlare con
Sanae-chan?-
-
Sì, certo vado a chiamarla.-
Dopo un
attesa che a Tsubasa
sembrò interminabile, il bimbo tornò
all’apparecchio e con un certo imbarazzo cercò
di inventare una scusa per giustificare il fatto che sua sorella non
aveva la
minima intenzione di parlare con lui. Il ragazzo ringraziò
Atsushi e sospirando
scese mollemente le scale, almeno ci aveva provato. Sua madre era in
soggiorno
e si ricordò di quanto le aveva appena proposto, quindi per
quella sera doveva
rassegnarsi a rodersi il fegato con I perfetti innamorati[1],
così mentre sua madre stava sul divano a ridere per le scene
comiche, lui si
calò al cento per cento nei panni del protagonista che in
quanto a combinare
casini non gli era secondo[2].
Quando il
film finì ringraziò
di poter finalmente andare a dormire. Una mano gentile si
posò sulla sua spalla
e ricevette l’espressione dolce e comprensiva di sua madre.
- Grazie
per avermi fatto
compagnia, anche se non era la serata migliore per te.-
Lui si
limitò a sorriderle e
alzare le spalle, poi una carezza gli sfiorò la guancia
schiaffeggiata nel
pomeriggio e per un attimo temette che sua madre avesse notato un
qualche
segno.
- Dormi
bene, tesoro.-
Negli anni
Natsuko non aveva
mai perso la dolcezza verso di lui che, invece, la ripagava con il
desiderio di
andarsene in un altro continente lasciandola sola.
-
Mamma…- la donna si arrestò
sulle scale.
-
…tu non vuoi che vada in
Brasile, vero?-
Lei gli
rivolse nuovamente
quello sguardo caldo e materno.
- Nessuna
madre vorrebbe vedere
andar via il proprio bambino, ma i figli non sono fatti per noi
genitori, ci
vengono dati per insegnargli a camminare con le loro gambe.-
Sì,
sarebbe mancata anche a lui
ma, oltre all’affetto che gli aveva così
gratuitamente donato negli anni,
avrebbe conservato nel cuore anche il ricordo della
generosità di una madre che
non lo aveva mai ostacolato.
Si
preparò per la notte e si
infilò sotto le coperte, dagli occhi una scia umida percorse
le sue tempie.
Erano anni che non piangeva, ma quella sera, sopraffatto dalle
emozioni, non
riusciva a impedirsi di sfogare in quel modo la sofferenza per aver
fatto tanto
male a Sanae e la gratitudine verso sua madre. Una mano andò
a posarsi sulle
sue labbra cercando di rivivere quell’istante con la mente e
un particolare lo scosse
dal torpore della sofferenza: nonostante il suo gesto di rabbia, la
ragazza
aveva risposto al suo bacio, anche se per un breve istante. Sarebbe
stato
quello lo scoglio a cui si sarebbe aggrappato.
Al mattino
si alzò rapidamente
dal letto e, arrivato in cucina, ringraziò vivamente sua
madre per la solerzia
che metteva ogni giorno nel fargli trovare la colazione pronta. Appena
era
suonata la sveglia, per la prima volta nella sua vita, non si era
girato
dall’altra parte aspettando che sua madre iniziasse a
chiamarlo: non aveva un
minuto da perdere, voleva arrivare in aula il prima possibile e questo
perché
voleva vedere Sanae e cercare di parlarle.
Mentre
correva verso scuola
pensava a tutte le situazioni possibili che avrebbe dovuto gestire:
sicuramente
lei non gli avrebbe parlato, avrebbe cercato di evitarlo, sarebbe
scappata via
non appena le avesse rivolto parola; ma come durante le partite, quando
il
gioco si faceva duro, era lui allora che doveva sfoderare gli artigli
e, a
costo di darle il tormento, avrebbe parlato con lei. Voleva chiederle
scusa,
non solo per quanto aveva fatto il giorno prima, ma anche per non aver
capito i
suoi sentimenti, per non aver minimamente calcolato i suoi sforzi per
farsi
notare da lui. Infine, cosa ancora più importante, voleva
confessarle quello
che provava per lei.
Arrivato
in classe, come aveva
sperato, la trovò seduta al banco, sola.
Ce
l’ho fatta!
Sanae, che
era intenta a
leggere un romanzo in inglese, non si accorse della sua presenza,
finché non fu
proprio davanti a lei. Alzò lo sguardo e, vedendolo, si
alzò compostamente per
uscire dall’aula.
-
Sanae…-
- Vado a
prendere i gessi, sono
quasi tutti consumati.-
Mentre lei
usciva Morisaki e
Yukari entrarono salutando entrambi, avvertendo subito
l’atmosfera tesa, ma per
discrezione preferirono non fare domande.
Non
mi arrendo certo per così poco.
Durante la
pausa pranzo, carico
di speranze, Tsubasa si avviò alla mensa, ma quando i suoi
amici arrivarono
notò subito l’assenza della ragazza. Yukari gli si
avvicinò e bisbigliò al suo
orecchio che lei si era portata il pranzo da casa e non li avrebbe
raggiunti.
Come una furia si precipitò fuori, diretto alla terrazza, ma
proprio in quel
momento una figura minuta iniziò a seguirlo. Quando
arrivò al tetto vide Sanae con
il bento sulle ginocchia, le
bacchette nella mano destra e il libro di economia domestica nella
sinistra.
Cercò
di non fare rumore nel
chiudere la porta, ma la sua delicatezza fu vanificata
dall’arrivo di Kumi che uscì
sul terrazzo con la grazia di un elefante. Il rumore fu sufficiente a
far
alzare lo sguardo a Sanae, che accortasi della loro molesta presenza
richiuse
la scatola e la riavvolse nel suo panno, poi si alzò
raccogliendo le sue cose e
guadagnò l’uscita senza salutarli. Tsubasa stava
faticando a contenere la
rabbia ed esplose quando quella sciocchina di Kumi fece una risatina e
disse: -
Finalmente soli.-
-
Veramente sei tu a essere di
troppo, Sugimoto. La vuoi smettere di seguirmi come un cagnolino? Non
mi
interessi, ti devo fare un disegnino per fartelo capire?!-
Cazzo,
cos’ho detto?!
La
ragazzina si portò le mani
al viso che era completamente rosso per la vergogna, mentre dagli occhi
cominciavano a uscire lacrime di umiliazione. Corse via, incapace anche
di
guardarlo più in faccia.
Benissimo,
ora il numero delle
manager del club di calcio era ulteriormente sceso e sempre a causa
sua, Nishimoto
avrebbe preteso la sua testa su un piatto d’argento.
Potrebbe
essere un buon motivo per convincere Sanae a tornare.
Probabilmente
con Kumi aveva
esagerato, ma almeno le aveva fatto capire che non aveva speranza, non
aveva
tempo per pensare anche a come rifiutarla gentilmente. Il suo obiettivo
era solo
uno: riallacciare i rapporti con Sanae.
Nel
pomeriggio le cose non
andarono meglio, lui tentò un “agguato”
in biblioteca dove lei era andata a
studiare, ma quando lo aveva intravisto tra gli scaffali aveva raccolto
i libri
ed era tornata a casa.
I giorni a
seguire Sanae prese
a presentarsi in aula all’ultimo minuto; durante la pausa
pranzo era
impossibile reperirla in tutta la scuola (almeno nei luoghi
più logici a cui
Tsubasa era riuscito a pensare), di certo non poteva sapere che lei si
nascondeva
nel ripostiglio delle scope per evitarlo; il pomeriggio tornava a
studiare a
casa e il fatto che Sugimoto avesse rassegnato le dimissioni con
effetto
immediato non l’aveva spinta a tornare, nemmeno per aiutare
la povera Yukari
che già all’inizio della settimana era distrutta
per dover fare tutto da sola.
Tsubasa le dava una mano, sentendosi in parte colpevole per quella
situazione e,
mentre ripuliva i palloni con lei, aveva preso l’abitudine di
chiacchierare e
l’argomento principale in quelle occasioni non era
più il calcio, ma l’ormai ex
prima manager. Quando raccontò a Nishimoto ciò
che aveva fatto, lei lo
rimproverò aspramente.
- Senti,
Tsubasa-kun, non
volevo raccontarti le confidenze della mia amica, ma Sanae ha capito di
essere
innamorata di te da un po’ di tempo e tu, non solo non hai
capito un accidente,
ma hai anche agito in modo sconsiderato, facendole rischiare la
sospensione,
dopo tutti gli sforzi che sta facendo per entrare alla Keio- Shonan.-
Lo sapeva,
era cosciente di
aver fatto un’idiozia enorme, anche se, quando ci ripensava,
non riusciva a pentirsene.
Dal canto
suo Sanae non
riusciva a togliersi dalla testa quella sensazione di totale
appagamento che le
aveva trasmesso il bacio: avesse dovuto dar retta all’istinto
gli avrebbe
buttato le braccia al collo e lo avrebbe supplicato di continuare a
baciarla.
Troppe cose, però, erano accadute e non riusciva a vedere
quel gesto come un
atto dettato da un sentimento, quanto il tentativo meschino di opporsi
ai suoi
costanti rifiuti e questo aveva spezzato quel filo che la teneva legata
a lui.
Presto se ne sarebbe andato e, forse, non vedendolo, avrebbe smesso di
soffrire.
- Devi
tentare il tutto per
tutto. Non credo te lo meriti, ma voglio darti una mano,
perché ritengo che
Sanae abbia sofferto abbastanza. Con una scusa la convincerò
a rimanere qui a
scuola, finché non finiscono gli allenamenti. Ti prego di
sfruttare
l’occasione, non penso ne avrai altre.-
- Contaci,
Nishimoto-san,
grazie mille. Ora vai pure a casa, finisco io qui e domani, se Ishizaki
ti
stressa di nuovo, gli faccio fare trenta giri di campo in
più, prometto.-
La ragazza
gli sorrise e alzò
il pollice in segno d’assenso. Non avrebbe più
commesso errori.
-
Yukari-chan, non saprei.-
- Uffa!
Non sei più al club,
non vieni mai in pausa pranzo con noi, al pomeriggio ti dilegui, non
riusciamo
più a parlare. Per favoreeeee.- le disse congiungendo le
mani in preghiera.
- Va bene,
allora domani verrò
a cenare e dormire da te, promesso.- le sorrise alzando due dita unite
come
giuramento.
La ragazza
andò di corsa al
campo e vi trovò il solerte capitano che già si
stava riscaldando. Gli fece
cenno di avvicinarsi e gli spiegò la situazione.
- Domani
le dirò di aspettarmi
e, quando sarà il momento, andrai tu a chiamarla al posto
mio, d’accordo?-
- Sei
grande, Nishimoto-san!-
le mostrò il palmo che fu battuto con un cinque dalla
ragazza.
Il giorno
dopo Tsubasa si tenne
a distanza di sicurezza, aspettò con pazienza che il tempo
passasse e nel
pomeriggio andò al consueto allenamento. Svolse i suoi
compiti con il solito
zelo e, quando l’allenatore fischiò per
richiamarli, iniziò a pensare a quello
che aveva da dirle. Sotto gli sguardi stupiti dei compagni si
unì a loro per
andare a fare la doccia e cambiarsi per andarsene. Raccontò
la scusa del
ritorno di suo padre per giustificarsi con i più curiosi e,
muovendosi con
lentezza disumana, aspettò che gli altri se ne andassero.
-
Capitano, ti aspetto.-
Si
voltò a guardare l’amico,
incerto su come distoglierlo da quell’idea, ma, ancora una
volta, Yukari arrivò
in suo soccorso.
- Che ne
dici invece di
accompagnarmi, Ishizaki-kun? Comincia a diventare buio.- lo prese per
un
braccio e lo trascinò via tra mille proteste.
Infilò
l’ultimo bottone della
divisa nell’asola e sbuffò per scaricare la
tensione, era il momento di
affrontare Sanae. L’avrebbe ascoltato fino in fondo questa
volta.
Sapeva che
l’avrebbe trovata
nella loro aula come d’accordo con Yukari. Salito al piano
guardò avanti e
indietro il lungo corridoio deserto: procedendo, i suoi passi
echeggiavano sul
lucido pavimento. Chissà se lei lo stava sentendo arrivare.
Posò
le dita sulla maniglia, l’ultimo
attimo prima di quell’incontro tanto importante. Fece
scorrere lentamente la
porta e vide il volto di Sanae, dapprima sorridente, poi rigido dallo
stupore.
-
Yukari... Brutta traditrice!
– urlò sbattendo le mani sul banco, poi, come una
forsennata, buttò i libri in
malo modo nella cartella, ma questa volta non sarebbe rimasto a
guardare mentre
si allontanava nuovamente.
-
Sanae-chan, ti devo parlare.-
- E io non
voglio parlare con
te! Perché non mi lasci in pace?!-
Prese la
cartella che non
riusciva a chiudersi per come erano stati messi male i libri e lo
superò, ma il
braccio di Tsubasa si stese a bloccare la sua avanzata.
- Io ti
amo, Sanae.-
La ragazza
si voltò a guardarlo
piena di rabbia, stava diventando patetico.
- Cosa?-
sibilò.
Questa
volta Tsubasa si voltò
per incontrare i suoi occhi e con una decisione pari a quella che aveva
in
campo ripeté quanto aveva detto. Lei, però, non
si fidava delle emozioni
ballerine di quel ragazzo che, nonostante tutto, era capace di farle
battere il
cuore come nessun altro. Non trattenne le lacrime di dolore che
scendevano,
intervallate dai singhiozzi, non ne poteva più di tanta
sofferenza.
- Da
quando? Da quando non ti
corro più dietro come un cagnolino, vero?-
Le stesse
parole che lui aveva
rivolto a Kumi.
- Hai
perso il giochino e ora
lo rivuoi, giusto?-
Quelle
parole erano troppo
meschine, anche se forse si sentiva come se ne meritasse qualcuna, ma
non
avrebbe mai voluto che lei pensasse questo.
-
Giochino?! Sanae, io non ho
mai pensato a te come un gioco o un cane o qualsiasi altra cosa. Avevo
notato
che ti eri avvicinata di più a me, ma non gli ho dato il
significato che tu
intendevi, ti ho sempre considerato una ragazza solare, generosa al
punto da
sostenere sempre chi ne avesse bisogno. Più che un gioco per
me eri un angelo.-
Quelle
parole aprirono una
breccia nel suo cuore, ma al pensiero di tutto quel che aveva tentato
in quei
mesi per sentirle e l’idea che lui, nonostante tutto, se ne
sarebbe andato, la
spinsero a erigere un muro per coprire quella falla. Lui le si
avvicinò e tentò
di afferrarle la mano che si ritrasse con stizza.
- Ora
basta, Tsubasa, fa troppo
male! Tra poco tu andrai via, non c’è posto per me
nella tua vita.-
- Hai
ragione…-
Qualcosa
dentro di lei si stava
spezzando, si stavano forse dicendo addio?
- Il tuo
posto è nel mio cuore
e nessuno lo prenderà mai.-
Nemmeno
quel “ti amo” ripetuto
pochi istanti prima era stato capace di mandare in frantumi quella
corteccia di
rabbia e sofferenza che le stringeva il cuore come le parole che aveva
appena
sentito. Si asciugò le lacrime con la manica della divisa e,
senza staccare lo
sguardo da lui, stese le braccia per toccarlo e rifugiarsi nel calore
del suo
abbraccio.
Finalmente,
era questa l’emozione che cercavo, quel calore che desideravo
provare.
Avvertì
il tocco leggero sulle
labbra e stavolta non ebbe dubbi, gli gettò le braccia al
collo, decisa a far
durare quel contatto bellissimo il più possibile. Il respiro
di Tsubasa le
accarezzò l’orecchio.
- Vorrei
tanto portarti in
Brasile con me…-
I loro
sguardi tornarono a
incontrarsi.
- Mi
aspetterai?- aveva gli
occhi lucidi per l’emozione.
Sanae
finse di pensarci su,
come se stesse valutando i pro e i contro, poi posò la
fronte contro la sua.
- E
secondo te, avrei fatto
tutta questa fatica per niente?-
E
con
questo capitolo termina la fanfiction. Un po’ mi spiace,
perché il mio ego un
po’ vanitoso sentirà la mancanza dei
vostri generosi commenti. Ringrazio tutti per avermi
accompagnata in
questo breve viaggio e spero che la storia sia stata a tutti voi
gradita.
Un
caro abbraccio. Sara.
[1]
Commedia romantica con
protagonisti Julia Roberts, John Cusack, Catherine Zeta-Jones e Billy
Crystal.
[2]
Per chi non avesse visto
il film (e ve lo consiglio, perché è proprio
divertente), posso dire che il protagonista
Eddie ne combina delle belle diviso com’è tra le
due protagoniste femminili.