Un po’ di risposte e una verità davvero scomoda, per il nostro eroe dal cuore impavido. Ma che ci volete fare, almeno per un po’, deve andare così. Spero non mi odierete. Buona lettura!
17. Il fatto di non dover più
preoccuparsi di faccende pesanti, come dar da mangiare agli animali o pulire le
stalle, non voleva certo dire che Eikhe non si rendesse utile al villaggio. Sorda a tutte le
raccomandazioni di amiche e sorella, Eikhe aveva continuato imperterrita a
prendersi cura dei lupacchiotti nella stalla. Insegnava a tutti loro ciò
che c’era da imparare per vivere nel villaggio e, soprattutto, assieme alle
donne-lupo. Il bimbo che cresceva a
vista d’occhio dentro di lei, a ogni modo, non sempre era stato d’accordo con
la sua scelta di vita. Ben più di una volta era
dovuta rimanere a letto, percorsa da dolori tremendi al ventre, o trafitta da
atroci tormenti provocati da lancinanti mal di schiena. In non poche occasioni, si
era ritrovata a imprecare all’indirizzo di Aken, per poi pentirsene amaramente
un attimo dopo che il male era svanito. Quella mattina, però, la
fitta di dolore che la colpì fu molto
diversa dal solito. Ansando quando,
nell’attraversare la via principale del villaggio, avvertì un dolore lancinante
al basso ventre, Eikhe si portò le mani in grembo, sconvolta. Guardando Sendala al suo
fianco – e che teneva tra le braccia un cucciolotto di pochi mesi – esalò con
voce tremula: “Credo che ci siamo.” Impallidendo visibilmente, l’amica
lanciò un fischio a una bambina perché prendesse il lupetto e lo conducesse
dagli altri, dopodiché si volse verso Eikhe, che se ne stava con le mani
serrate sotto il pancione. Rapida, Sendala la afferrò
saldamente a un braccio ed esclamò: “Torniamo subito a casa, Eikhe! Non vorrai
partorire in mezzo alla strada, spero!” “Non ci penso neanche!”
esalò lei, prima di bloccarsi quando una contrazione le fece perdere le forze,
costringendola ad addossarsi completamente a Sendala. “Oh, cielo!” “Ti prego, non svenirmi
qui!” esalò la ragazza-lupo, spaventata a morte. “Kilana, presto, vieni!” Kilana, a quel richiamo,
osservò le due ragazze e, intuendo al volo cosa stesse succedendo, corse da
loro. Nell’uscire sul pianerottolo
di casa, richiamata dalle urla di Sendala, Kaihle assistette alla scena con
occhi torvi e la mente pronta. Finalmente, era giunto il
giorno. Accompagnata Eikhe nella sua
capanna sotto lo sguardo curioso di molte donne, Kilana lasciò la ragazza nelle
mani dell’amica e si affrettò a stendere sul letto un telo pulito. Ordinato a Sendala di far
bollire dell’acqua, prese poi per la vita la partoriente e la invitò a
camminare. “Ora devi camminare, Eikhe. Accompagna
il tuo bambino verso la giusta via.” “Credo lo stia già facendo
più che bene da solo” riuscì a ironizzare la figlia sacra, stringendo i denti all’arrivo
di una contrazione. Senza accorgersene, quasi stritolò
la mano di Kilana, che teneva saldamente nella sua. Sorridendole comprensiva,
nonostante il male provato a causa della stretta convulsa di Eikhe, la donna le
disse incoraggiante: “Te la stai cavando benissimo, figlia sacra, credimi.” “Se lo dici tu…” esalò
Eikhe, osservando turbata Liar che, spaventato, le saltellava al fianco non
sapendo bene cosa fare. “Povero amico mio! Stai tranquillo, non mi succederà
niente.” “Quel lupacchiotto sverrà
prima del tempo, se non si darà una calmata…” ridacchiò Kilana, prima di veder
entrare Kaihle nella capanna. “… Signora…” Eikhe squadrò la madre senza
dire nulla. La Signora del Villaggio si
limitò a poggiarsi a braccia conserte contro la prima parete utile, mantenendo
un silenzio di tomba mentre osservava la figlia minore, come a voler decidere
della sua sorte. A pochi attimi di distanza
sopraggiunse anche Tyura. Nel vedere la madre
perfettamente immobile mentre Eikhe camminava a fatica, sorretta da Kilana,
sbuffò contrariata e andò ad affiancarsi alla sorella. Ringraziata Tyura con un
sorriso, la ragazza strillò non appena una contrazione le fece cedere del tutto
le gambe. Sotto i suoi occhi sorpresi
e sgomenti, una chiazza d’acqua e sangue si formò ai suoi piedi, imbrattando il
pavimento di legno e la sua tunica di pelle. “Direi che è cominciato” chiosò
Kilana, sciogliendosi dalla sua stretta. “Tyura, sostienila tu, mentre
io pulisco qui.” Annuendo, la giovane fece
scostare una pallidissima Eikhe che, ancora sgomenta e con gli occhi sgranati,
osservava il disastro che aveva appena combinato. Ridendo suo malgrado, esalò
con voce roca: “Guarda che casino!” Scostandole una ciocca di
capelli umidi dal viso mentre percorrevano lentamente, un passo alla volta, il
perimetro dell’ampia camera da letto, Tyura aggiunse: “Sei sempre stata una
combina guai.” Eikhe cercò di sorriderle,
come per ringraziarla, ma le contrazioni la costrinsero a mordersi un labbro
per il gran male. Non avendo coraggio
sufficiente per spingere fuori dalla gola altre battute di spirito, Tyura si
limitò a sorreggerla, aiutandola a camminare poco alla volta. A ogni passo, però,
avvertiva sempre lo sguardo da falco della madre. Aggrappandosi completamente
alla sorella quando un’altra contrazione la prese, Eikhe cominciò a piangere
dal dolore e Kilana, annuendo a Tyura, le concesse di portarla a letto. “Falla sdraiare, ormai non
ne può più.” Affrettandosi a fare quanto
ordinatole, la giovane fece stendere sul letto la sorella. Strette convulsamente le
mani al lenzuolo, Eikhe gridò a una nuova contrazione, maledicendo tutto quello
che le venne in mente in quel momento. Ridendo nonostante tutto,
Sendala le arrivò al fianco e, presale una mano, le disse: “Devi avere ancora
forza da vendere, se riesci a strillare a quel modo.” “Piantala di fare la
spiritosa…” brontolò lei. “… vorrei vedere te, al mio posto!” “Questo, scordatelo!” rise l’amica,
asciugandole il viso con un pannetto. “Ne riparleremo a tempo
debito, io e te.” Eikhe sbuffò, cercando di
mantenere un ritmo respiratorio il più regolare possibile, ma fu molto, davvero
molto difficile. Sorridendo alle due ragazze,
Kilana sollevò la veste della partoriente e le poggiò un telo sulle gambe dopodiché,
controllatane attentamente la dilatazione, mormorò: “Siamo ancora indietro,
Eikhe. Mi sa che ne avremo per un po’.” “Ci avrei giurato.” Un attimo dopo, urlò. *** Aken affondò la lama nel
petto di un nemico prima di levare il capo di scatto e, turbato, guardarsi
intorno. Gli era sembrato di udire un grido di donna. Il grido di Eikhe. Sapeva che era impossibile,
visto che lei era lontana giorni di viaggio dal luogo della battaglia, eppure
gli era sembrata proprio la sua voce. E stava male. Sperò ardentemente di
sbagliarsi. *** Ansando all’ennesima
contrazione, Eikhe guardò fuori dalla finestra e, notando la colorazione
violacea del cielo sopra la cresta frastagliata dei monti, imprecò. “Ma quanto tempo è
passato?!” “Diverse ore, in effetti” ammise
Kilana, tergendosi la fronte con il dorso della mano prima di tornare a fissare lo sguardo su Eikhe. “Ma siamo a buon punto,
ormai. Sei dilatata a sufficienza. Alla prossima contrazione, spingi.” “Non ci penserò due volte”
sibilò furente la ragazza, stringendo le mani di Sendala e di Tyura. “Possibilmente, senza
spezzarci le dita” sottolineò la sorella, sorridendole nonostante si sentisse a
sua volta ormai allo stremo. “Vedrò di conte…” cercò di
dire lei, prima di urlare dal male. “… maledizione!” “Spingi, Eikhe, spingi!” le
ordinò subito Kilana, accigliandosi. Stringendo i denti, la
ragazza gridò nuovamente nel mettere tutte le sue forze residue in quella
spinta. Sorridendo soddisfatta,
Kilana esclamò: “Vedo la testa… una bella testolina nera!” Subito, Kaihle si staccò dal
muro ove, per tutto il tempo, era rimasta in silenziosa osservazione dell’esito
finale di quello che, per mesi, aveva reputato un autentico abominio. Uccidere madre e creatura
sarebbe stato un errore; solo per questo si era impedita di farlo a suo tempo. Non le era servito sapere
dalle labbra della figlia il nome del miscredente padre, poiché aveva letto la
verità sul volto preoccupato del principe Aken, la prima volta che si erano
rivisti sulla piana di Royconea. Quegli occhi smeraldini così
pieni di amore, amore verso sua figlia,
l’avevano mandata in bestia, ma non aveva potuto fare nulla per sfogare l’ira
che aveva sentito montare in lei. Non si poteva levare la mano
su un principe, lo sapeva bene anche lei. Ma non tollerava che lui
avesse insozzato con il suo seme una delle sue figlie, e che quella stessa
figlia si fosse fatta abbindolare al punto di innamorarsi del padre del nascituro. No, era inconcepibile! La legge lo vietava! Nessuna donna-lupo poteva
permettersi di amare un uomo, soprattutto colui – o coloro – con cui aveva
deciso di avere una figlia per la loro stirpe. Questo avrebbe voluto dire
diventarne schiave, non più padrone dei propri sentimenti, non più indipendenti
nelle decisioni, ma deboli e indifese di fronte a un sentimento schiacciante e
prevaricatore! No, non avrebbe mai permesso
al frutto di quell’unione di rimanere con la propria madre. Sua figlia avrebbe imparato
la lezione, perdendo ciò che la sua carne impura aveva generato, e tutto
sarebbe tornato a posto. L’equilibrio sarebbe stato
ripristinato, e nulla sarebbe cambiato. Se fosse stato un maschio,
lo avrebbe consegnato nelle mani delle genti di Marhna, forse allo stesso Harm,
perché vivesse tra loro come uomo. Se Hevos, invece, avesse
deciso per una figlia, sarebbe stata lei,
ad allevarla, non Eikhe e, per lei, avrebbe disposto l’esilio. Nessuno sarebbe stato
ucciso, e la frehoa non si sarebbe
risvegliata. Nessuno avrebbe macchiato col sangue il suo governo su Nestar. Ma, più di ogni altra cosa,
non avrebbe mai permesso Eikhe potesse ottenere ciò che lei si era vietata per una vita intera! Avvicinandosi silenziosa
alla stanza da letto di Eikhe, ristette sulla porta osservandone il viso
contratto dal dolore, rammentando il proprio quando l’aveva messa al mondo,
rischiando di perdere la vita. Solo a cose fatte, aveva
scoperto con rammarico di avere dato alla luce una di quelle. Una figlia sacra. Si era sempre rifiutata di
dire a Esteria, che guidava super partes
le Marchiate di Hevos, della sua esistenza, come invece era previsto dalla
legge del branco. Aveva sempre ritenuto la sua
nascita uno spregio, un insulto. Ma anche, e più di tutto, il
chiaro segno che l’amore che si era concessa di provare per l’uomo con cui
l’aveva generata era sbagliato, impuro! Questa era l’ennesima
punizione che lei doveva pagare, per ciò che si era concessa in un momento di
cedimento. Quella figlia, nata da un
amore che non avrebbe dovuto provare per alcun motivo, ora partoriva un figlio
senza il suo consenso, senza il consenso della legge, amando l’uomo con cui aveva generato quella creatura. Ma lei avrebbe spezzato
quella catena di sventure! Non avrebbe più pagato per i
suoi errori di gioventù! Del tutto ignara dei
pensieri torvi della madre, Eikhe diede un’altra spinta, ormai allo stremo
delle forze. Intuendo dalla larghezza
delle spalle il sesso del nascituro, Kilana rimase in silenzio finché il bimbo
non uscì con uno strillo poderoso, dichiarando al mondo intero la sua nascita. Una risatina collettiva si
levò tra le tre ragazze mentre Kilana, dopo aver clampato e tagliato il cordone
ombelicale, avvolse in un telo il frugoletto urlante. Un attimo dopo, lo depositò
sul fasciatoio per pensare alla madre del bimbo. Dopo averla sollecitata a
espellere la placenta con massaggi delicati sull’addome, ripulì Eikhe con
delicatezza, mentre il bimbo continuava a strillare alle loro spalle, desideroso
di attenzioni. Stremata ma sorridente, la
ragazza sollevò le braccia verso la donna che la stava curando con gentilezza
materna e mormorò: “Ti prego, Kilana, dammelo.” Già sul punto di voltarsi
per prendere il bimbo, Kilana lo vide tra le braccia di Kaihle che, furtiva, si
era avvicinata a loro proprio nel momento in cui, le maggiori cure, erano
spettate alla partoriente. Rabbiosa e con il volto
percorso dall’ira, Kaihle tolse la copertina, esclamando a gran voce: “Un
maschio!” Sgomente, Sendala e Tyura si
levarono in piedi lasciando le mani di Eikhe che, senza forze, osservò la madre
con il suo bambino in braccio. “Dammelo… è mio…” “Non ti permetterò di
tenerlo! Sarebbe un sacrilegio! Se ne andrà immediatamente, come è giusto che sia!”
ringhiò Kaihle, fissando con occhi spiritati il bimbo che ancora teneva in
braccio e che, furioso, strepitava come un’aquila, quasi avesse compreso il
pericolo che stava correndo. “Kaihle, Signora, non
costringermi a muovere contro di te” la minacciò Kilana, avanzando di un passo. Sendala e Tyura imitarono la
possente guerriera, sbarrando di fatto qualsiasi fuga a Kaihle. La Signora del Villaggio le fissò
rabbiosa e si strinse il frugoletto tra le braccia, non tanto per proteggerlo,
quanto per impedire alle tre donne di toglierglielo dalle mani. Già sul punto di intimare
loro di stare indietro, la donna si volse verso la porta quando udì
distintamente il ringhio chiaro e sibilante di un lupo. Sgomenta, vide Liar puntarla
con sguardo rabbioso mentre, sulla porta di casa, altri lupi la scrutavano allo
stesso modo. “Il branco lo protegge. Non
puoi decidere per lui, Signora.” Sendala si avvicinò a lei in
fretta e le strappò il bimbo dalle braccia, prima che potesse recuperare la
lucidità necessaria per tenerle lontane. Osservando poi il piccolo con
un sorriso stampato sul volto, non trovò nulla di strano nello scorgere i suoi
occhi dorati ben spalancati sul viso grinzoso e, con voce limpida, disse:
“Benvenuto, figlio sacro.” “Lui è…?” esalò Eikhe,
vedendoselo consegnare dall’amica. Annuendo, Sendala mormorò:
“E’ come te, amica mia. Per questo, il branco gli è fedele. Nessuna di noi
potrà toccarlo.” Stringendoselo al petto con
le lacrime agli occhi, Eikhe sussurrò: “Saresti orgoglioso di lui, Aken.” Il bambino si esibì in un ciangottio
allegro che stregò subito la madre. Ridacchiando, lo baciò sulla
fronte sistemandogli i fini capelli neri ma Kaihle, di tutt’altro umore,
sibilò: “Sia come vuole il branco, ma non rimarrai al villaggio. Qui governo
io, non loro, e non vi ci voglio!” “Non sarà un problema. Costruirò
una nuova casa fuori dal villaggio, se così ordini, madre, ma non osare mai più
cercare di separarmi da mio figlio, o te la vedrai con la mia ira” sentenziò
lapidaria Eikhe, stringendosi al petto il figlio. “Io e Antalion vivremo per
conto nostro, non più sotto il tuo giogo oppressore.” “Davvero un bel nome” dichiarò
Tyura, lanciando uno sguardo spiacente alla madre quando la vide uscire a passo
di carica, il viso oscurato da un’ira più che profonda. “Sarà meglio vada da
lei, o potrei rischiare di essere bandita
a mia volta. Verrò a trovarti appena la tempesta sarà passata, piccola.” “Grazie, Tyura, di tutto” le
sorrise Eikhe, stringendo calorosamente una sua mano Strizzandole l’occhio, Tyura
celiò: “Sei o no, mia sorella?” *** Sollevando la testa di
Nargan perché tutti la vedessero, Aken lanciò un grido di guerra tale da far
tremare coloro che gli erano vicini. Gridando con lui per
l’esultanza assieme a Vesthe e Liase, Ruak esclamò a gran voce, levando alta la
spada grondante di sangue: “Gloria al principe di Enerios! Siamo vittoriosi!” Ora tutto era finito e,
finalmente, Aken avrebbe potuto tornare a casa e parlare col padre. Certo, non sarebbe stato
facile fargli comprendere il suo amore per Eikhe e il suo desiderio di non
salire al trono dopo di lui. Il suo unico pensiero, al
momento, era abbandonare per sempre Rajana per avvicinarsi il più possibile all’unica
donna da lui mai amata. Sì, Kaihle gli aveva vietato
di avvicinarsi a Nestar. Ma il padre di Eikhe si
trovava a Marhna, e a lui sarebbe bastato soggiornare lì per poterla vedere. A quel modo, avrebbe potuto
parlare nuovamente con lei, convincerla a intraprendere una via comune, in cui
avrebbero potuto finalmente vivere insieme. La sola idea gli fece
sorgere un sorriso in viso. Nel tornare vittorioso dai
suoi uomini, con la testa di Nargan ben levata verso il cielo, osservò
soddisfatto l’esercito nemico che, ormai senza un capo, stava sparpagliandosi per
tornarsene da dove era venuto. A nessuno di loro importava
proseguire nella conquista di Enerios, visto che non avevano più nessuno a dar
loro ordini. Tagliata la testa dell’Idra,
il corpo del mostro di nome Vartas era morto sul colpo. Sorridendo al fratello
mentre, acclamati dai loro uomini, rientravano tra le loro fila di soldati,
disse sollevato: “Ora è tutto compiuto.” “Sì, fratello mio” sospirò
soddisfatto Ruak, sorridendogli. Il sole illuminò il campo di
battaglia, ricoperto di ciò che restava della lunga guerra appena terminata. Osservando quei corpi
distesi e già prede dei corvi, pronti per il banchetto, danzavano sulle loro
zampette per avvicinarsi alla carne sanguinolenta, Aken mormorò mesto: “A cosa
è servita la sua follia? Solo a ingrossare lo stomaco del vostro dio Haaron.” Vesthe, al suo fianco,
sorrise indulgente. “Haaron ha banchettato per
mesi, grazie alla stupidità di Nargan, ma ora tocca a Hevos dare nuova vita a
questi luoghi. E’ un cerchio eterno di nascita e morte, principe. Non dovresti
stupirtene. Come non devi pensare che Haaron sia il male incarnato. Deve essere
ciò che è, o il ciclo non si chiuderebbe.” “Parli con saggezza, Vesthe,
ma ugualmente piango per tante vite spezzate. E mi chiedo solo quanto ancora andranno
avanti queste guerre, prima che l’uomo capisca quanto siano inutili” sospirò
Aken, rinfoderando la spada. Ora che aveva sconfitto
Nargan, ogni forza gli era venuta meno, e il suo unico desiderio era quello di
trovare la pace. Per il suo popolo e per se
stesso. “Ti poni una domanda senza
risposta, principe. L’uomo, come la donna, sono fatti per combattere, per dare
vita e per toglierla... è nella loro natura. In tutti noi, Haaron ed Hevos
albergano in egual misura” dichiarò Liase, lanciandogli un’occhiata comprensiva.
“Che parla, ora, è la stanchezza, più che lecita dopo tanti mesi di sangue e
morte. Non appena rimetterai piede nella tua amata città, tutto andrà a posto.” “Lo spero, Liase” asserì
Aken, trovando la forza per sorriderle. “Ne sono più che convinta”
annuì con vigore la donna. “E’ giunto il momento di
separare le nostre strade, principi. E’ stato un onore e un piacere lottare al
fianco di uomini coraggiosi e leali come voi. Io e mia sorella decanteremo le
vostre doti alle figlie del branco che non hanno potuto unirsi a noi, perché la
vostra gloria non abbia fine, e l’amore verso la Corona sia ancora più saldo di
oggi.” “Grazie a entrambe. Non solo
il vostro aiuto è stato prezioso, ma ci ha regalato due nuove amiche che…” e
nel dirlo, guardò il fratello Ruak, che sorrise annuendo: “…spero vorranno
farci l’onore di rimanere tali per sempre.” Le due ragazze ridacchiarono
imbarazzate prima di annuire e Vesthe, dando una pacca sul braccio ad Aken, celiò:
“Ora non cominciare a fare lo sdolcinato, principe, o potremmo sorprenderti,
mettendoci a piangere come due viti tagliate.” Ridendo, Aken la strinse in
un rapido abbraccio, allungandosi sulla sella al pari di Ruak, che strinse
gentilmente a sé Liase. Dopo averle osservate ancora
un momento in viso per imprimere nelle loro menti quegli ormai familiari lineamenti, si allontanarono per radunare
l’esercito e tornare a Rajana. Era infine giunto il tempo di
rimettere piede nella capitale del Regno. L’esercito decimato di
Nargan era in fuga, ogni velleità di lotta scomparsa nel mare di sangue sparso tra quei colli ora
desolati che, per molto tempo ancora, avrebbero recato sui loro profili il
segno tragico di quella guerra insana e folle. A ogni buon conto, fidarsi
di Vartas non era la mossa più sensata da fare, nonostante l’esercito in rotta
e la fuga dei comandanti. Per evitare eventuali
recrudescenze, Aken decise di lasciare una compagnia di fanteria sul crinale,
con la promessa di un nuovo invio di truppe non appena avessero raggiunto la
capitale. Dopo aver sistemato anche
quel problema, con il sole ormai prossimo al crepuscolo, si mise alla testa
dell’esercito assieme al fratello e puntò verso sud-ovest, verso casa. A ogni passo percorso lungo
la piccola carovaniera che li aveva condotti in quelle lande, cori di bimbi e
acclamazioni di uomini e donne si sommavano a offerte di cibo e di bevande
fresche. Qualsiasi cosa per celebrare
semplicemente, ma con grande cuore, la vittoria del loro regno nei confronti
dell’odiato Vartas. Un falco fu fatto levare in
direzione di casa, perché il re fosse avvisato del buon esito della spedizione. Mentre i giorni si
affastellavano gli uni sugli altri, i festeggiamenti non vennero mai
interrotti, sulla via del ritorno. Per ogni villaggio
attraversato, le stesse scene si ripeterono all’infinito, mentre la voce della
vittoria della guerra si espandeva per il reame come un fuoco tra gli sterpi. Di pari passo con
l’avvicinarsi della città, molte coorti si staccarono dal corteo principale per
tornare alle rispettive guarnigioni, non senza prima aver ricevuto le lodi dei
due principi. Un premio sarebbe spettato a
tutti coloro che coraggiosamente avevano combattuto con valore per le sorti di
tutto il regno, così come alle famiglie di coloro che avevano perso la vita tra
quelle lande insanguinate. Quando infine, con
l’approssimarsi del ventesimo giorno di viaggio, l’esercito scorse le amene
mura di Rajana, i due principi non poterono esimersi dal sorridere lieti, ben
felici di essere infine giunti a destinazione. Grande fu la festa e la
pompa, quando varcarono il portone principale della capitale, e infinite furono
le libagioni offerte al popolo per rendere onore ai guerrieri tornati dal
fronte. Ogni volto era percorso da
un sorriso, e i bambini saltellavano allegri nel veder tornare il proprio padre
dal fronte. Contro ogni aspettativa, le
perdite erano state minime, nonostante i lunghi mesi di lotta, e furono poche
le famiglie cui Aken dovette portare la triste notizia della dipartita di un
padre, di un fratello, di un figlio o di un marito. Quando finalmente fu il
turno per Aken e Ruak di riabbracciare la famiglia, il sole era già reclinato
verso occidente, tingendo il cielo dei cupi colori della sera. I due giovani, scendendo
ormai stremati dalle proprie cavalcature, si lasciarono abbracciare dai propri
cari, dispensando strette vigorose e baci sentiti e amorevoli. Ruak stentò a non piangere,
stretto tra le braccia tremanti di Anladi e Aken, sorridendo nell’osservarli,
si unì a loro stringendo entrambi in un abbraccio stritolante che li fece
entrambi scoppiare a ridere. Melantha trovò parole di
lode persino per Aken – cosa alquanto strana, visto che non si sopportavano –
ma, visto cosa le era stato risparmiato, il fratello maggiore non trovò
difficile comprendere il perché di quei complimenti. Anladi, dopo aver
scrupolosamente controllato che ai due figli non fosse successo niente, si
ritirò assieme alla figlia con il cuore più leggero. Aken, perciò, scelse quel
momento per parlare con il padre; la fresca vittoria lo avrebbe reso più
disponibile alle sue richieste. Lanciata un’occhiata furtiva
a Ruak, Aken entrò infine all’interno del palazzo assieme al resto della
famiglia. Dopo aver promesso al
fratello che avrebbero giocato assieme a wisth,
seguì con passo tranquillo il padre, diretti verso il suo studio nel mastio
del castello. Percorse in relativo
silenzio le tre rampe di scale necessarie per raggiungere il mastio – non senza
aver ricevuto lodi e congratulazioni da tutti coloro che incrociarono nel loro
cammino – Aken aprì per il padre la pesante porta di legno. Osservatolo entrare con sguardo pensieroso, lo
seguì all’interno dell’enorme stanza circolare prima di chiudersi il battente
alle spalle. Dopo essersi accomodato sul
suo scranno ricoperto di pelli di lupo, re Arkan fece segno al figlio maggiore
di accomodarsi di fronte alla scrivania del suo studio e, orgoglioso, fissò
l’uomo che aveva di fronte. “Come si è comportato, Ruak?” “Molto bene, padre. E’ un
ottimo combattente, e un buon stratega. Ancora un po’ irruente, ma è dovuto
all’età. Credo sia pronto per il suo apprendistato all’estero” dichiarò Aken,
sorridendo. “Ottimo. Scriverò a re
Ordang domani stesso” annuì più volte Arkan. “Ebbene, figlio, cosa volevi dirmi
di così importante da non poter attendere neppure un minuto?” Sospirando, il figlio poggiò
gli avambracci sulle cosce e, allungandosi verso il padre, ammise con voce roca:
“Riguarda me, padre. Mi sono reso conto di non volere ciò che la Corona ha da
offrirmi e…” “Cosa stai dicendo, Aken?”
lo interruppe subito il padre, fissandolo accigliato. “Padre, lasciatemi finire,
vi prego. Sapevo già di non volere questa vita e, trovandomi con Eikhe in mezzo
a quel ginepraio in cui siamo finiti, ne ho avuto la conferma. Io non sono
fatto per starmene rinchiuso in questo palazzo, a parlar di politica. Io sono
un uomo d’azione, amo la libertà, l’aria aperta, il…” proseguì Aken con veemenza. Sbattendo una mano sulla scrivania,
Arkan lo interruppe furioso e, levandosi in piedi con ferocia, ringhiò: “Non
una parola di più, figlio!” “Padre, ma…” esalò il
giovane, sorpreso dalla sua reazione, fissandolo a occhi sgranati. “Tu sei mio figlio, l’erede
al trono, non un qualsiasi contadino di paese!” sbottò Arkan con tono sempre
più rabbioso. “Non voglio sentire da te parole simili, è chiaro?! Tu mi
succederai, e questo è quanto!” “Non è mio desiderio” replicò
Aken, cercando di mantenersi calmo. Aggredire a male parole il
padre sarebbe stato oltremodo controproducente. “Tu ti sposerai, avrai un
figlio che erediterà il tuo titolo, e mi succederai al trono!” gli ordinò
ancora Arkan, fissandolo con occhi lividi. “Non farò nulla di tutto
ciò. C’è già un’altra donna nella mia vita, perciò non potrei mai prendere in
moglie alcun’altra per soddisfare i vostri desiderio. Io desidero vivere con
lei, se mi sarà possibile. Ma non qui” ammise allora Aken, sfidandolo a
replicare. Aggrottando pericolosamente
la fronte, Arkan oltrepassò la scrivania reggendosi al bastone e, sempre più
furioso, esclamò: “Quella puttana di una selvaggia! Lei! E’ stata lei a farti
uscire di senno!” Alzatosi come una furia,
Aken fece cadere a terra la poltrona su cui si era accomodato – tanta fu la
veemenza del suo gesto – e replicò furente: “Non osate parlare di Eikhe a
questo modo! Non merita le vostre parole rabbiose!” “Non lascerò che mio figlio
vada a stare con una pezzente suo pari. Sei il figlio del re, l’erede al trono,
ricordalo sempre!” “E a me non interessa!
L’unica cosa che voglio, è lei!” urlò a quel punto anche Aken, picchiando i
pugni sulla scrivania. “Tu obbedirai ai miei
ordini, o io la farò uccidere, ti è chiaro?!” sibilò Arkan, facendolo
impallidire. “Non potete far questo. C’è
un trattato, con le donne-lupo. Voi non potete!” tentennò Aken, non essendosi aspettato una
simile reazione dal padre. “Vi volete rimangiare tutte le parole di lode che le
avete tributato, padre?” “Non metto in dubbio ciò che
a fatto per noi, e tutto quello che le dissi a quel tempo, rispondeva al vero, ma
non la accetterò mai come tua moglie. Inoltre, passerò sopra senza problemi al
trattato, se potrò evitarti di screditare il buon nome della nostra famiglia.
Pensaci bene, Aken, prima di scatenare un’altra guerra, e solo per sfogare i
tuoi più bassi istinti.” Arkan lo fissò furibondo, gesticolando
ampiamente con la mano libera dal bastone. “E voi pensateci bene, prima
di mettere a repentaglio la vita di Eikhe. Se solo vengo a sapere che le avete
torto un capello, porrò fine di mia mano alla mia esistenza, così potrete
piangere sulla mia tomba e chiedervi se sia valsa la pena impormi simili
restrizioni” replicò Aken, con sguardo adamantino quanto fermo. “Rinunceresti a vivere… per
lei?” sibilò Arkan, adombrandosi ulteriormente in viso. “In qualsiasi momento” annuì
il figlio, ergendosi in tutta la sua statura e fissando il padre con fredda
determinazione. “E vi dirò di più. Non pensate che io mi sposi perché, se non
potrò avere Eikhe, voi non avrete un mio erede. Ci penserà Ruak, se mai vorrà
sposarsi, a proseguire la vostra stirpe, ma non certo io. In cambio, vi
prometto che rimarrò a Rajana. Ma solo a queste condizioni.” Arkan lo fissò negli occhi
per diversi minuti, troppo furioso per aprire bocca anche solo per ingiuriarlo.
Alla fine, preso un gran
respiro, il re annuì e dichiarò: “Sia come vuoi. Non la toccherò, né pretenderò
da te che ti sposi, ma non uscirai mai più da Rajana. Non posso rischiare che
tu fugga per seguire questa follia, gettando fango sulla nostra casata e sul
suo buon nome secolare.” “E sia” sospirò Aken,
reclinando il capo senza più avere la forza di guardare il padre negli occhi. “Preferisco
sapere Eikhe libera e viva, che braccata da voi perché io non ho voluto cedere
alle vostre minacce.” “Tu sei folle” scosse il
capo Arkan, disgustato. “Forse, ma non più di voi. Con
permesso, padre” disse a quel punto Aken, uscendo dallo studio con passo
fiacco. Non appena si ritrovò nel
corridoio, il giovane sobbalzò nel trovare sua madre Anladi a pochi passi da
lui e che, con occhi leggermente sgranati, lo fissò turbata. “Perché urlavate? Cos’è
successo?” “Nulla, madre, non
preoccuparti. Va tutto bene” le sorrise mesto lui, stringendola in un abbraccio
tremante. “Aken, tesoro, cos’hai?” gli
sussurrò la donna contro il torace ampio e tremante, carezzandogli
sommessamente la schiena. “Permettimi solo di
abbracciarti un momento, madre,… ora mi passa” mormorò soltanto lui, sentendosi
prossimo alle lacrime. Non avrebbe più rivisto
Eikhe, non avrebbe più scorto i contorni burrascosi dei Monti Urlanti, o le
placide colline dei Rinnail, o la cascata di Atrohos. Nulla, solo le pareti del
castello e i tetti delle case di Rajana. Solo fredda, inospitale roccia, fino
alla fine dei suoi giorni. Ma non poteva rischiare che
suo padre mettesse a rischio la vita di Eikhe, o il trattato con le donne-lupo.
No, lui avrebbe rinunciato
alla sua libertà per lei e, se un giorno gli dèi avessero avuto pietà di lui,
avrebbe rivisto i suoi occhi dorati e il suo sorriso sincero.