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Autore: Liy    16/12/2011    1 recensioni
Veder comparire la sua foto sul cellulare che squillava lo fece sorridere: aveva proprio bisogno di parlarle, di sentirla e di dirle quanto desiderasse tornare a casa più spesso – da lei e da Kaede.
[Spoiler ep17][Kotetsu/Tomoe]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Drawn into the past
Personaggi: Kotetsu, Tomoe.
Pairing: Kotetsu/Tomoe.
Rating: Verde.
Genere: missing moment, fluff, angst.
Avvertimenti: One-shot.

Note: Fanfic scritta prima che qui su EFP esistesse una sezione per t&b, prima ancora che finisse lo show... credo risalga a poco dopo la messa in onda dell'episodio 17. Bah.

Disclaimer: I personaggi non mi appartengono bla, bla, bla...

Drawn into the past

 

Veder comparire la sua foto sul cellulare che squillava lo fece sorridere: aveva proprio bisogno di parlarle, di sentirla e di dirle quanto desiderasse tornare a casa più spesso – da lei e da Kaede. Fissò quell'immagine che aveva scattato mesi prima ancora per qualche istante e poi, quasi fremendo, rispose a quella chiamata che gli parve d'aver aspettato così a lungo.

“Tomoe”, il sorriso sulle labbra dell'uomo s'allargò mentre pronunciava quel nome. E quando sentì la sua voce – quando lei chiamò il suo nome – le sue gambe smisero di muoversi, lasciandolo impalato su quel marciapiedi a malapena illuminato. Abbassò il cappello per coprire gli occhi e s'appoggiò al muro lì accanto, una mano in tasca e una stretta saldamente al cellulare, la voce bassa mentre parlava concitato, raccontando la propria giornata alla moglie ora così distante. La sentiva ridere ogni tanto, e lui la immaginava seduta accanto al telefono con la mano davanti alla bocca per sopprimere un po' le risa che altrimenti avrebbero svegliato la piccola Kaede.

“... E il signor Ben ha detto che se continuo così prima o poi lo manderò in bancarotta e sarà costretto a chiudere e cercarsi un altro lavoro.”

“Ha ragione però, Kotetsu. Dovresti stare un po' attento; potresti ferire qualcuno un giorno.”

“Naaah, un eroe salva le persone, Tomoe! Le salva, non le ferisce!”, gesticolava parlando, muovendo avanti ed indietro l'indice, come se avesse avuto la donna di fronte e non le stesse parlando attraverso il telefono. E lei lo sapeva. Sapeva che suo marito gesticolava mentre parlava con lei attraverso quell'apparecchio; l'aveva sempre fatto, sin da quando, più giovani, avevano appena iniziato a vedersi per uscire insieme.

“Comunque...”, Kotetsu abbassò la voce, riprendendo a camminare verso casa, “come stai adesso? Meglio?”

Il sorriso era completamente sparito dalle labbra dell'uomo ora, il capo rivolto verso il basso e gli occhi fissi sul marciapiedi che nemmeno vedeva, immerso com'era nei pensieri che quella voce dall'altro capo del telefono riusciva in qualche modo a guidare.

Ultimamente Tomoe non si era sentita molto bene e Kotetsu, preoccupato, aveva chiesto a sua madre di aiutarla con Kaede – lui non poteva, troppo impegnato con il lavoro, troppo impegnato ad inseguire il suo sogno ed i suoi ideali, troppo impegnato a salvare tutti per potersi concentrare sulla sua famiglia. Si era detto che, infondo, sarebbe andato tutto bene: non era nulla di grave e quindi, di conseguenza, lasciare la città per stare con Tomoe, lasciare che le persone in pericolo avessero un eroe in meno pronto a salvarle sarebbe stato un errore da parte sua. Ed era stata Tomoe stessa a dirglielo – 'sei un eroe; proteggi Stern Bild, com'è giusto che sia'.

“Sto meglio, non preoccuparti.”

Quella voce così leggera, quelle parole che aveva già sentito così spesso – ogni volta che la chiamava, in realtà; quando chiedeva come stesse, la sua risposta non cambiava. E Kotetsu si preoccupò come ogni volta precente, registrando quell'affermazione come un segnale di pericolo.
“E Kaede?”, domandò esitante.

“Sta bene anche lei. Ora sta dormendo.”

“Bene”, la voce tremante mentre saliva gli scalini e cercava le chiavi per aprire la porta di quell'appartamento così vuoto e privo di calore – quel posto che non avrebbe mai chiamato 'casa', perché casa sua era altrove.

“Kotetsu.”

“Mh?”

“Sto davvero bene.”

L'uomo – l'eroe lontano dalla propria casa e dalla propria famiglia – non rispose immediatamente. Non sapeva cosa dirle, quali parole pronunciare per farle capire quant'era preoccupato e quanto volesse stare con lei in quel momento. Con lei e con Kaede, che cresceva senza la sua presenza e che non vedeva da così tanto tempo...

“Voglio tornarmene a casa”, sospirò stanco, lasciandosi andare sul divano.

“Non puoi”, la voce leggera ora aveva assunto un tono di rimprovero, “un eroe non può andare in vacanza quando gli pare. Devi salvare le persone in pericolo.”

“Potresti essere tu in pericolo.”

“Io sto bene, Kotetsu.”

“Mmmh...”

La sentì ridere debolmente, stanca.

Oh, quanto avrebbe voluto esser là con lei.

Odiava saperla così distante, soprattutto quando l'aveva vista così debole e malata. Non riusciva a fare a meno di preoccuparsi per lei e per quegli occhi che aveva visto così spenti e tristi l'ultima volta che le aveva prestato visita a casa loro. Aveva già pensato di portarla in un ospedali lì a Stern Bild, ma lei aveva rifiutato, dicendo di star bene, che sarebbe guarita, che non era nulla di grave.

… Ma forse era solo lui che si preoccupava per nulla, infondo. Poteva benissimo essere una semplice influenza quella che aveva colpito sua moglie, proprio come aveva affermato lei stessa qualche tempo prima. E Tomoe era sempre stata così forte, l'avrebbe superata di sicuro.

“Domani ti chiamo dopo pranzo, va bene?”

“Sì, così anche Kaede potrà salutarti. Oggi continuava a chiedere di te.”

Un'altra risata, e Kotetsu sorrise languidamente.

“A domani allora... buonanotte, Tomoe.”

“Buonanotte, Kotetsu.”

Sentiva freddo ora in quella stanza vuota, quella leggera presenza di Tomoe svanita nel momento in cui aveva riagganciato.

Sarebbe davvero voluto tornare a casa da lei; l'anello che aveva al dito gli ricordava perennemente la promessa che si erano fatti di passare l'eternità insieme ma non era abbastanza, non quando sentiva il desiderio di abbracciarla o di addormentarsi nel loro letto e di stringere il suo corpo così morbido e caldo.

Sospirò, attendendo un sorriso di conforto che non ricevette, perché nessuno era lì con lui in quel momento – era solo, com'era giusto che fosse un eroe che non voleva coinvolgere la propria famiglia nei suoi affari.

“Aaah, mi manchi, Tomoe.”

 

   
 
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